Buongiorno!
Il
programma era di aggiornare il venerdì, il giorno dopo
l'uscita
della nuova puntata, ma adesso il telefilm è in pausa e io
ho
pensato di portarmi avanti, pubblicando più di un capitolo
alla
settimana.
Anche
se la storia non ha ricevuto molte recensioni, ringrazio chi ha letto
e spero sia piaciuto.
Da
qui in avanti, conoscerete meglio Julya.
Buona lettura!
“Words
like violence
Break the silence
Come crashing
in
Into my little world
Painful to me
Pierce
right through me
Can't you understand
Oh my little
girl”
Enjoy the silence- Depeche Mode
Quando
il taxi la lasciò di fronte a casa Salvatore, Julya
alzò una mano
per ripararsi dal sole e al dito brillò un anello di zaffiri
e
diamanti.
Sorrise
appena mentre trascinava i propri bagagli fin sulla porta di casa e
suonò. Contò cinquanta respiri prima che la porta
si aprisse e si
parasse di fronte a lei la figura di un ragazzo.
Era
alto, moro e con un sorriso sfacciato che le piacque subito.
D'istinto riconobbe in lui uno spirito per certi versi affine e seppe
che sarebbero diventati amici e le sue sensazioni non sbagliavano
quasi mai.
“Buongiorno,
cerco Stefan Salvatore”
Il
ragazzo di fronte a lei alzò un sopracciglio, poi si
voltò verso
l'interno e chiamò.
“Certo,
sarà qui tra un attimo”
Si
spostò e Julya interpretò quel gesto come un
invito a entrare, ma
doveva averlo frainteso perché rimase bloccata sulla porta e
il suo
sorriso venne sostituito da una smorfia infastidita.
“Ah,
una cosa prima di decidere se farti entrare o piantarti un paletto
nel cuore: chi ti manda?”
“Non
mi manda nessuno. Sono qui per vedere un vecchio amico”
La
soppesò per svariati secondi e poi le fece cenno di entrare.
L'ingresso della casa era ampio, ma non proprio arioso o allegro con
tutti quei colori così scuri.
“Niente
di personale” le disse il ragazzo – di cui peraltro
non sapeva
ancora il nome- “ma di questi tempi non si sa mai. Spero che
tu non
te la sia presa” continuò con un sorriso allegro
che a Julya
sapeva tanto di presa in giro.
“E
dimmi, come mai vuoi vedere mio fratello?”
Ora
tutto era chiaro. Be', dire che si assomigliassero sarebbe stato
mentire spudoratamente perché non avrebbero potuto essere
più
diversi. Pure, c'era in loro qualcosa che li accomunava: doveva
essere la bellezza disarmante e il fatto che avessero entrambi un
sorriso da farfalle allo stomaco, anche se per motivi diversi.
Tuttavia,
non avrebbe risposto alla domanda perciò gli rivolse un
sorriso
enigmatico e si guardò intorno, ignorando l'espressione
contrariata
sul bel viso del suo interlocutore.
“Comunque,
io sono Julya”
“Damon”
Attesero;
vedeva che Damon spasimava dalla voglia di chiedere ancora e la cosa
la divertiva. Sapeva che il suo modo di fare – sempre
così
misterioso ed enigmatico- non era sempre piacevole, ma quel piccolo e
innocente gioco non avrebbe ucciso nessuno e la divertiva sempre.
Aveva
incontrato tanti vampiri nella sua vita da immortale e molti avevano
convenuto con lei che fosse praticamente un miracolo che fosse
riuscita a conservare il proprio carattere e la propria essenza anche
dopo la trasformazione.
Julya
non era del tutto certa di essere sempre la stessa, ma era decisa a
non piangersi addosso per quel che era successo.
Dopotutto,
anche se non aveva chiesto espressamente di essere trasformata in
vampiro, era stata lei a pregare per una seconda possibilità.
Perciò
si era impegnata per rendere la propria vita unica ed elettrizzante
in ogni momento, cercando di mettere a frutto l'incredibile dono che
le era stato fatto: una seconda possibilità.
Se
non le fosse stata concessa, non avrebbe mai conosciuto Stefan. Lo
ricordava come se fosse accaduto il giorno prima.
Lei
faceva la cantante in un night club di Philadelphia e lo aveva
adocchiato subito, dall'alto del palco e nonostante la luce soffusa e
pregna di fumo.
Ci
era voluto un mese perché lui le rivolgesse la parola, ma
Julya era
divertita da quei giochi di sguardi, sorrisi e occhiate fugaci e non
avrebbe fatto il primo passo per niente al mondo.
A
quel tempo Stefan era “lo squartatore” e Julya
già sapeva che un
giorno il peso delle sue azioni sarebbe ricaduto su di lui.
“Chi
era alla porta?”
La
voce di Stefan la riportò alla realtà e quando
scese l'ultimo
gradino fece un passo avanti, come se ci fosse bisogno di quello
perché lui la vedesse.
Si
sarebbe accorto della presenza di Julya anche in una stanza piena di
gente. Guardando in quegli occhi, scuri e ridenti come li ricordava,
tutte le emozioni e i sentimenti che lei gli
suscitava si
riversarono su di lui come una doccia ghiacciata e fu come se non
fossero passati decenni dal loro ultimo incontro.
“Ciao,
Stefan”
Avrebbero
potuto passare secoli – anche millenni, probabilmente- ma
Julya gli
avrebbe fatto sempre lo stesso effetto: come il canto di una sirena,
una droga pericolosa almeno quanto il sangue.
Provò
un milione di sensazioni diverse nel risentire la sua voce: amarezza,
felicità, rancore, desiderio, abbandono.
Era
tutto talmente confuso che ci mise più di qualche secondo a
mettere
abbastanza ordine tra i suoi pensieri da poter parlare.
“Che
ci fai qui?”
“Ho
bisogno di aiuto” ammise sinceramente e con un sorriso
talmente
candido e spensierato che Stefan non riuscì a non provare
rabbia.
Preferì
lasciarsi sommergere da questa, piuttosto che ammettere con se stesso
che lo feriva sapere che Julya non sarebbe mai andata a cercarlo se
non avesse avuto bisogno di lui per qualcosa. Avrebbe voluto
chiederle se avesse mai sentito la sua mancanza, ma non era sicuro di
essere pronto ad ascoltare la risposta.
“Abbiamo
abbastanza problemi, non ho certo il tempo di farmi carico anche dei
tuoi. Ora devo andare”
Julya
gli si piazzò davanti, mani sui fianchi e sguardo deciso:
aveva
dimenticato che, per essere così piccola, sapeva essere un
fastidio
enorme.
“So
che non sei contento di vedermi” iniziò e a Stefan
parve che la
sua voce si incrinasse un po' “ma ho davvero bisogno di te.
Ho
bisogno un aiuto”
Per
un attimo si chiese se aiutarla non fosse la cosa giusta da fare e i
suoi occhi, grandi e supplicanti, gli fecero salire le parole alle
labbra.
Forse,
dopotutto, poteva perdonarle di essersene andata e averlo lasciato
proprio quando aveva più bisogno di un'amica.
Non
avrebbe dovuto biasimarla per averlo fatto e si chiese se avrebbe mai
potuto perdonarla.
Vedendolo
tentennare, Julya fece un passo avanti e il calore del suo corpo e il
suo profumo colpirono Stefan con la forza di uno schiaffo, deliziosi
come la più inebriante delle essenze.
In
un attimo, desiderò davvero di essere in grado di
perdonarla, ma per
quanto lo volesse, non era sicuro di poterlo fare con il cuore
così
lasciò la domanda in sospeso.
Però
Julya era ancora lì e lei non sarebbe stata contenta fino a
quando
non avesse avuto una risposta.
“Devo
andare”
“Stefan!”
lo richiamò, ma lui l'aveva già aggirata
così gli si parò di
nuovo di fronte, proprio a metà strada tra lui e la porta.
“Non
puoi andartene senza avermi dato una risposta”
“Non
ora. Devo andare a scuola, ne parleremo quando torno”
“Ma...”
Avrebbe
dovuto ricordare che era dannatamente testarda. La afferrò
per le
spalle e la scosse appena perché il suo messaggio risultasse
più
incisivo.
“Dopo”
scandì e, quando vide la sua espressione farsi ancora
più ostinata,
aggiunse “Resta qui. Damon ti cercherà un posto
dove stare e
quando tornerò a casa ne parleremo”
Si
fiondò fuori di casa prima che la sua protesta lo
raggiungesse e in
un attimo partì con la sua Jaguar.
In
casa, Julya lo guardò andarsene con gli occhi socchiusi e le
labbra
atteggiate a un'espressione di stupore.
Si
voltò verso Damon.
“Sbaglio”
domandò “o sta cercando di evitarmi?”
Damon
fece spallucce “Questo teen-drama ve lo
dovete risolvere da
soli. Per ora, il mio compito è mostrarti la tua
stanza”
*
“E
non ti ha detto perché è qui?”
Elena
non era particolarmente contenta che un altro vampiro fosse giunto in
città. Un vampiro che per di più era una donna,
probabilmente
bellissima, e che sembrava scombussolare l'equilibrio di Stefan.
“Non
gliene ho dato il tempo” ammise.
Sapeva
che Julya non si sarebbe arresa troppo presto perché lei era
fatta
così, testarda ai limiti dell'incoscienza.
A
volte aveva pensato che lei assomigliasse un po' agli ibis sacri
nell'Egitto in cui era morta, tanti decenni prima: elegante e bella,
il suo sguardo intelligente era sempre fisso sul premio.
Essere
un vampiro non cambiava la natura della persona e Julya doveva essere
sempre stata così, incapace di staccare gli occhi dal suo
obiettivo.
A
volte la invidiava per questo perché sembrava attingere
dalla
propria missione una forza di volontà enorme.
“Non
hai neanche un'idea?”
“Non
è facile entrare nella mente di Julya. E' un'intellettuale,
nella
sua testa sono stipati così tanti argomenti che sarebbe
difficile
capire quale sia il tarlo del momento” ammise sinceramente.
“Quindi
oltre che bella, mi stai dicendo che è anche intelligente?
Perfetto”
borbottò Elena e Stefan scoppiò a ridere di
gusto, attirandola a sé
e scoccandole un bacio sulla tempia.
Quel
genere di atmosfera, quell'insolita pace... ecco, era esattamente
ciò
che non avrebbe permesso all'arrivo di Julya di rovinare.
Non
le avrebbe permesso di scombussolare la sua vita ancora una volta:
aveva imparato la lezione. Julya era come un ciclone: non avvisava
del suo passaggio, si faceva strada a forza e portava via qualunque
cosa, sempre per quella maledetta abitudine di guardare solo alla
metà senza curarsi di ciò che calpestava nel
percorso.
Ma
non voleva pensarci, non voleva rimuginare su quel pensiero che era
un po' la storia della loro amicizia.
Ma
non era mai stata solo un'amicizia e dopo che lei se n'era andata per
inseguire un altro di quei misteri storici che tanto amava, il loro
rapporto si era ridotto a essere ancor meno.
“Stefan?”
La
voce di Elena, ancora stretta tra le sue braccia, lo riportò
con i
piedi per terra.
“Che
aspetto ha questa Julya?”
“Non
devi preoccuparti di lei, Elena. Per quanto sia bella, tu
sei...”
“No,
no, non è per quello. E' che credo che sia proprio
là” e indicò
un punto alle spalle di Stefan.
Julya
era proprio di fronte all'ingresso della scuola e leggeva un foglio,
apparentemente ignara delle occhiate incuriosite degli studenti che
le passavano accanto.
“Che
diavolo ci fa qui?”
Stefan
si alzò e si diresse verso Julya con lunghe falcate, Elena
alle
calcagna che si sistemava la tracolla sulla spalla e cercava di
stargli dietro senza correre.
“Non
ti avevo detto di stare a casa?”
Julya
gli rivolse un sorriso radioso che riuscì solo a irritarlo:
gli
sembrava che si stesse facendo beffa di lui, ma Stefan sapeva che
Julya era davvero felice di vederlo e forse quella era la parte
peggiore.
“Mi
annoiavo e così ho pensato di fare un giro”
“Bene,
ora puoi tornare lì e aspettarmi”
Allora
assunse un'espressione contrariata “Non ci penso neanche. Tra
le
tante cose che ho fatto nella mia vita, non ho mai frequentato un
liceo americano e così mi sono iscritta”
La
afferrò per un braccio “Non ci pensare neanche,
Julya”
“Andiamo,
Stef” lo prese in giro avvicinandosi di un passo
“cosa c'è di
male? Devo forse pensare che tu non mi voglia qui?”
“Non
devi pensarlo. E' esattamente così”
Seppe
di averla ferita nel momento in cui strinse le labbra e
sbatté le
ciglia. Era sempre stata come un libro aperto per lui, capace di
leggere qualunque sentimento le divampasse nell'animo. Poi aveva
pensato di essersi sbagliato e che in realtà non era mai
stato
davvero in grado di capirla, ma non era così.
Sapeva
leggere ciò che passava nei suoi occhi e, ancora di
più, aveva il
potere di scatenarle dentro grandi sentimenti, qualunque essi
fossero.
“Cosa
ti ho fatto per meritare questo?” sussurrò e scese
tra di loro un
velo di rancore e incapacità di comprendersi che
sfociò in un
silenzio teso in cui i loro occhi non si lasciarono mai.
A
spezzare quell'atmosfera pesante fu Elena che si frappose fra i due.
“Ok,
direi che non è proprio il momento né il posto
adatto per sostenere
questa conversazione. Andate a casa, entrambi” li
esortò, anche se
avrebbe di gran lunga preferito tenere Stefan lontano da quella
specie di silfide dagli occhi da cerbiatta.
Si
guardarono per un momento. Lo sguardo di Stefan si aprì un
poco, al
contrario quello di Julya divenne duro come acciaio e scosse il capo.
“No.
Io resterò qui e compilerò i moduli per
l'iscrizione. Poi paleremo”
Detto
questo, se ne andò lasciandosi alle spalle solo il suo
profumo
-vaniglia nera per i capelli, rosa e mirra per la pelle- e Stefan
sospirò.
Avrebbe
dovuto saperlo: la convivenza con Julya sarebbe stata difficile.
Poteva tentare di evitarla a scuola, provare a non rivolgerla la
parola se si fossero incontrati, ma Julya sarebbe stata sempre un
passo avanti lui e prima o poi lo avrebbe fatto capitolare.
Alla
fine, probabilmente, avrebbe ottenuto che la ascoltasse e,
altrettanto probabilmente, sarebbe anche riuscita a persuaderlo ad
aiutarla in qualunque folle impresa si fosse imbarcata quella volta.
Non
avrebbe avuto bisogno di alcun potere: gli sarebbe bastato implorarlo
sinceramente, guardandolo negli occhi e avrebbe
capitolato
perché Julya aveva su di lui un potere strano, uno che
neanche
Katherine ed Elena avevano mai avuto.
Ed
era questo – più delle sue richieste e di tutto il
resto- a
spaventarlo: il fatto che probabilmente avrebbe rivoltato il mondo
per lei.
*
Mentre
tornava alla villa dei Salvatore, Julya rimuginava.
Canticchiava
una vecchia canzone russa che intonava sempre sua madre per far
addormentare suo fratello Aleskeij, quando faceva i capricci o
semplicemente non voleva dormire.
Non
avrebbe dovuto andare a cercare Stefan, solo con il senno di poi se
ne rendeva conto.
Ancora
una volta aveva permesso al proprio egoismo di farle fare la cosa
sbagliata. Forse, se non se ne fosse resa conto sarebbe stata
perdonabile: avrebbero detta di essere fatta così, che non
poteva
farci nulla.
Però
lei non era fatta così e aveva scelto
di andare da lui, pur
sapendo che rivederla non sarebbe stato facile per Stefan.
Sapendo
che non avrebbe potuto perdonarla. Si era chiesta se poteva accettare
il suo disprezzo per raggiungere il traguardo e si era detta che lo
poteva fare, ma solo ora che era lì si rendeva conto di non
aver mai
davvero creduto che Stefan potesse odiarla.
Aveva
considerato la possibilità, ma non l'aveva mai presa sul
serio. In
fondo al cuore aveva sperato di ritrovare Stefan che le sorrideva,
Stefan che le prendeva la mano tra le sue, Stefan che le accarezzava
i capelli e la guardava con un'intensità tale da farle
venire le
farfalle allo stomaco.
Aveva
sperato di ritrovare Stefan come lo aveva lasciato, come se il tempo
non fosse passato. Ma era stata stupida, ottenebrata da un desiderio
irrealizzabile anche per loro, congelati in un istante eterno.
Forse,
si disse mentre attraversava il lungo viale, avrebbe solo voluto
l'occasione di recuperare il tempo perso e rimediare all'errore che
aveva commesso tanti anni prima.
Forse
la scelta giusta sarebbe stata andarsene anche stavolta, lasciare che
fosse felice senza che lei gli piombasse tra capo e collo a
rovinargli l'esistenza.
Sorrise
con nostalgia pensando a quanto potesse essere beffardo il destino:
anche decenni prima aveva fatto la stessa scelta per la stessa
ragione.
Lo
ricordava come fosse stato solo il giorno prima.
Lavorava
come cantante in un night club di Philadelphia ed erano gli anni dei
proibizionismo, uno dei periodi d'oro per la malavita e i baristi
più
intraprendenti, quando si erano conosciuti. Ricordava il suo smoking
e che le aveva detto qualcosa sulla sua voce, un complimento a cui
lei aveva ribattuto con un sorriso saccente che era il peggior
abbordaggio della storia.
Ricordava
anche che erano stati mesi meravigliosi, ma neanche in quel periodo
aveva dimenticato la sua ossessione.
Poi,
un giorno, era arrivata una lettera da uno dei suoi contatti in Medio
Oriente, un uomo di cui si fidava poco ma che sembrava aver
rintracciato una traccia per ciò che stava cercando con
tanto
impegno da decenni.
Aveva
dovuto scegliere: restare con Stefan, aiutarlo a non cadere nel
baratro, oppure andare. Aveva scelto di partire, ma non lo aveva
detto a Stefan.
Gli
aveva sorriso e gli aveva chiesto di restare con lei quella notte e
lui lo aveva fatto. Avevano bevuto whisky -di gran lunga il loro
liquore preferito- avevano giocato a carte e poi Stefan era crollato
mentre lei aveva fatto i bagagli e se n'era andata senza guardarsi
indietro.
Capiva
perché Stefan fosse arrabbiato, come avrebbe potuto non
esserlo?
Ma
lei non poteva andarsene, aveva bisogno di aiuto per raggiungere il
suo scopo. Erano decenni che ci provava e ora era talmente vicina al
premio che non avrebbe permesso a niente di impedirle il passaggio.
Se
doveva convincere Stefan, lo avrebbe fatto, in un modo o nell'altro.
Aveva
quasi raggiunto casa Salvatore quando le venne in mente che forse
sarebbe stato meglio trovarsi una casa propria, anche solo un piccolo
appartamento da affittare per il tempo necessario.
Poi,
con un sorriso malizioso, pensò che fosse più
giusto restare a casa
Salvatore. Stefan non avrebbe acconsentito ad aiutarla, ma lei poteva
fargli cambiare idea: aveva molte frecce al suo arco e non avrebbe
esitato a usarle tutte per farlo capitolare.
Continua
**