Buongiorno!
Eccomi
con la mia prima storia in questo fandom. In realtà l'ho
sempre
seguito a fasi alterne ed ero rimasta indietro nella terza stagione,
ma quando ho scoperto la famiglia degli Originali... be', non mi sono
più persa una puntata.
Probabilmente
loro, Stefan e Caroline sono il motivo per cui continui a seguirla,
benché se continua così prima o poi la Plec li
farà fuori tutti.
Importante!
Comunque,
la storia ha bisogno qualche piccola precisazione.
Qui,
Stefan è partito con Klaus dopo aver salvato Damon,
sì, ma non c'è
mai stato nessuna compulsione né è mai diventato
il vampiro freddo
e scostante che abbiamo visto per metà della terza stagione.
Lui
è tornato da Elena e qui sono felici e contenti. Be',
più o meno.
Klaus
è rimasto a sua volta a Mystic Falls, ma quello che
farà lì non
sarà d'interesse per noi in questa fic. La mia storia si
riallaccia
alla terza stagione solo dall'episodio 13, quando gli Originali si
risvegliano.
Ora
vi lascio al prologo.
La
frase è di Oscar Wilde e farà da apertura per
l'intera storia
mentre il titolo del capitolo è di Victor Hugo.
Per chi fosse interessato, lei è Julya.
Ekleipsis
"Tutti
dicono che l’amore fa male, ma non è vero.
La solitudine fa
male. Il rifiuto fa male.
Perdere qualcuno fa male.
Tutti
confondono queste cose con l’amore,
ma in realtà, l’amore è
l’unica cosa in questo mondo
che copre tutto il dolore
e ci
fa sentire ancora meravigliosi”
Oscar
Wilde
Siete voi il mio demonio o il mio angelo?
Ansimò
nel caldo asfissiante del Cairo e qualcuno le deterse il sudore dalla
fronte.
La
sua stanza aveva un'ottima vista, affacciata direttamente sulle
piramidi appena fuori città. Con un po' di immaginazione
poteva
anche vedere con la mente la zona degli scavi dove aveva lavorato
fino alla settimana precedente.
Prima
che la febbre colpisse anche lei.
Julya
Peskov era una ragazza curiosa, aiutante dell'archeologo, disposta a
sfidare qualunque cosa per amor di conoscenza.
Il
suo più grande sogno, fin da che avesse memoria, era
risolvere uno
dei grandi misteri della storia.
Riuscire
in un simile intento era quanto aveva mosso i suoi studi in diciotto
anni di vita e quando il suo mentore, l'uomo che le aveva insegnato
tutto senza chiedere niente in cambio, aveva acconsentito a portarla
con sé al Cairo aveva pensato che fosse un sogno.
Un
vero scavo, la possibilità concreta di
mettere a frutto tanti anni di studi e di trovare davvero qualcosa...
non ci aveva creduto fino a quando non si era trovata sotto la cappa
di calore della capitale egiziana.
Allora
era diventata l'ombra di Gregory Lewitt e lo aveva accompagnato
dovunque, certa che solo così avrebbe potuto trarre il
massimo
beneficio.
Non
avrebbe saputo dire quando si fosse ammalata: sapeva solo che, a un
certo punto, alcuni membri della spedizione avevano contratto la
malattia e che questa si era diffusa a macchia d'olio.
Gregory
non era ancora stato colpito, per quanto ne sapeva Julya.
Aveva
visto il corso della malattia e, a giudicare dal proprio stato,
dedusse che mancasse poco alla fine.
Con
straordinaria freddezza calcolò quanto tempo le restasse da
vivere e
rivolse lo sguardo verso le piramidi.
Il
suo più grande rimpianto sarebbe stato aver concluso la sua
vita
senza aver mai risolto nessun mistero, senza aver mai scoperto
qualcosa di davvero grandioso.
Avrebbe
voluto parlare, ma dalle labbra le uscì solo un mormorio
indistinto
e dagli occhi le sfuggì una lacrima.
Non
avrebbe mai più rivisto San Pietroburgo, sua madre e tutta
la sua
famiglia, ma piangere per quello sarebbe stato nobile, giusto.
E Julya non
era certa che le sue
lacrime fossero solo per
quello.
Avrebbe
voluto vivere per sempre per poter raggiungere tutti i traguardi che
si era prefissa e avere ancora la possibilità di rivedere la
sua
famiglia. Avrebbe fatto di tutto per una seconda possibilità.
All'improvviso
sentì un tramestio intorno a sé, ma era troppo
debole per capire
cosa stesse accadendo; a un certo punto, si accorse che non c'era
più
nessuno accanto al suo letto a parte una persona.
Non
ne mise a fuoco i lineamenti, ma si accorse confusamente che aveva
magnetici occhi scuri che calamitarono la sua attenzione.
Altre
mani le asciugarono il sudore dalla fronte e poi le labbra dell'uomo
si aprirono.
“Avete
l'aria di una che ha bisogno una mano”
Si
accorse che nel suo sguardo qualcosa era cambiato, ma era troppo
stanca per capire cosa. Il suo cuore accelerò i battiti,
come se
corresse verso il momento in cui avrebbe cessato di battere.
“Sarebbe
davvero uno spreco lasciar morire una così bella giovane
donna”
osservò quasi soprappensiero lo sconosciuto, come se lei non
fosse
lì a sentire le sue parole.
Ansimò
alla ricerca di aria e seppe che il suo ultimo respiro si stava
avvicinando. Allora accadde qualcosa che non poteva ancora capire e
che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.
Qualcosa
premette sulle sua labbra e per riflesso bevve ciò che lo
sconosciuto le aveva porto. Aveva un sapore strano, diverso da
qualunque cosa avesse mai assaggiato prima e altrettanto afrodisiaco.
Poi,
il suo cuore smise di battere e Julya morì in un assolato
giorno di
Aprile.
Continua
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