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Autore: WildTeenSpirit_    26/02/2013    1 recensioni
'Ho perso tutto, le persone che amo mi sono scivolate davanti come fantasmi. Ma ricomincerò, giuro'
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Questa long-fic partecipa al concorso "Red Carpet" di clalla97
Genere: Angst, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprii leggeremente gli occhi. Avevo la bocca impastata dal sonno e una forte nausea. Davanti a me c'era mia madre, bianca in volto, che mi metteva una pezza umida sulla fronte. Era così cambiata in quei anni di prigione! I capelli sciupati non avevano più nulla di quella chioma lucente che portava prima, gli occhi verdi erano un po' spenti e le sue braccia sembravano meno forti. Il volto era segnato da numerose rughe, che le davano un'aria saggia, vissuta (come realmente era). 
"Bianca?" sussurrò lei vedendo i miei occhi aprirsi. Io pensavo di sognare, dopotutto era così irreale la situazione! Poi mi tornò in mente Cinna. Mi agitai nella barella, come in preda a convulsioni, e scattai a sedere. La mia testa cominciò a girare violentemente, la nausea aumentò, così mi sdraiai di nuovo urlando.
"Bianca! BIANCA!" urlava mia madre preoccupata. Io mi calmai un po', ansimante.
"Mamma.. sei qui.. ma dov'è Cinna? L'hanno catturato? Che fine farà? Oh, è tutta colpa mia, non dovevo acconsentire al suo piano di scappare.." lei mi zittì. Le domande mi stavano uscendo dalla bocca come per rimuoverle, apparentemente dal cuore, ma continuavano ad assalirmi. Strinsi la mano avvizzita di mia madre e respirai profondamente. Stavo piangendo. Cavolo, stavo piangendo. Ho pianto poche volte nella mia vita, e quella volta piansi. Non so se a causa del dolore fisico che stavo provando, o a causa dello stress morale: ero appena riuscita a liberare mia madre, Cora, Annie, Haymitch, e, più importante di tutte, mia madre; avevo distrutto le Prigioni Eterne! Ma Cinna era stato rapito, ne ero sicura, e Johanna era tornata a piede libero, questa volta dalla parte di Senya. Non sapevo se essere felice o triste, arrabbiata o sconfitta; decisi semplicemente di portarmi il dorso delle mani agli occhi per asciugarmi le lacrime, ma le dita mi facevano troppo male, erano come immobili. Le bende erano rosse, intrise del sangue delle mie ferite. Le mie gambe erano distrutte, anche se ero riuscita a mettermi a sedere qualche secondo fa, le sentivo come spezzate sulla misera barella su cui giacevo. E il respiro mancava, i battiti rallentavano, gli occhi si facevano pesanti. Mi addormentai.
 
Quando mi svegliai stavo meglio. Insomma, relativamente meglio. Ricominciai a camminare, con l'aiuto di un paio di stampelle di fortuna: sostanzialmente dei legni incastrati insieme che Gale aveva raccolto durante una sosta. Le braccia rimanevano ancora salde alle stampelle, non riuscivo a muoverle più di tanto e le dita mi procuravano ancora dolori atroci. Quando pensavo a Cinna, la testa cominciava a girarmi e a pulsare, come se fosse stato un ricordo represso in qualche parte remota del cervello. Eravamo di nuovo in viaggio. Eravamo in viaggio con l'elicottero di Gale, lo stesso che mi recuperò di quella sera. Viaggiammo per tutti i distretti, cercavamo di trovare qualche volontario a terminare questa insaziabile guerra, ma nessuno si offrì. Tornammo sconsolati al 12, per un mese di sosta, per poi ritornare a Capitol e fare una sommossa. Gale non mi parlava più, era troppo arrabbiato per il piano che avevo creato, perchè non gli avevo chiesto neanche un aiuto che poteva essere di fondamentale importanza, e avevo rubato quello stramaledettissimo elicottero che era sparito tra le fronde degli alberi davanti alla villa di Senya. Senya. Mi sentivo male solo a pensare a quel nome. Insomma: un mese. Quando lo scoprii fu il finimondo: ma lo sapevano quante cose potevano succedere in un mese? Cinna sarebbe potuto morire, morire sotto tortura, essere torturato, dato in pasto a qualche animale; oppure era già morto, e giorno in più giorno in meno, non faceva differenza. I giorni trascorrevano lenti, e mia madre ed io ci stavamo riprendendo. Era ancora strano pensare di avere una madre, un qualcuno che ti aiutasse nel momento del bisogno. A volte, la notte, sognavo il momento della sua morte, mi svegliavo di soprassalto, impugnavo le stampelle cercandola per l'ex-villa che aveva da ragazza dopo i 74esimi Hunger Games, ma crollavo sotto il mio stesso peso dopo qualche passo (un po' per la preoccupazione, un po' perchè mi dovevo ancora riprendere).
Cora era simpatica. Era cresciuta senza padre, e aveva trascorso la sua adolescenza in una cella con la madre. Ora che poteva, mi diceva, la curava come se fosse sul letto di morte. Cora era fragile e forte allo stesso tempo: riusciva a curare la madre ma piangeva ancora al ricordo del padre o a qualche rimenscenza del passato. Passavamo molto tempo insieme, io e lei, e spesso mi strappava un sorriso.
Haymitch stava scoprendo la vecchiaia. Mamma mi raccontò che non beveva più, o almeno, non lo aveva mai visto avvicinarsi ad una bottiglia dal momento della mia nascita. Più precisamente, da quando la mia prima parola fu "Haymitch". Già, qualche volta lo vedevo guardare intensamente le bottiglie di vodka che erano rimaste, ma poi distoglieva lo sguardo scuotendo la testa, come per convincersi che quelle bottiglie non fossero reali. 
Ma la cosa che mi distruggeva di più, in tutto questo, era la notte.>Sono in un castello antico, e girovago per le stanze come se non avessi niente da fare. Il mio percorso è scelto, c'è un unico corridoio: alle pareti ci sono quadri che raffigurano momenti della mia infanzia, e io faccio fatica ad andare avanti. Alla fine di ogni corridoio c'è una porta, e i corridoi sono infiniti. I quadri percorrono tutta la mia vita: nel primo corridoio ci sono io da piccola, dopo qualche corridoio compare anche Cinna. C'è anche mio padre che ride e scherza con noi, torna dal lavoro con il pane fresco. Ma ad un certo punto, dopo molti corridoi, i quadri diventano orribili, tristi. Io e la mamma quella sera da sole a casa. Gale che arriva. Io e lei che piangiamo. Gli interminabili viaggi. Papà non c'è più. L'appartamento dove vivevamo. Senya che irrompe nella stanza, il pugnale nella gamba. La mamma che va via. La mamma non c'è più. Gale che ci recupera. La perla di mio fratello sotto il divano. La pozza di sangue secco di Senya. Gale che mi dà la mano. Io che urlo dall'elicottero. Gli anni dell'adolescenza passati tra i boschi. Quella sera. Cinna che ruba l'elicottero. Me nella villa. Le Prigioni Eterne. La mamma. Le fronde degli alberi della villa di Senya. La mamma che mi cura. Cinna non c'è più. I giorni passati cadendo, spezzando i legni delle stampelle. I quadri sono finiti, c'è un ultima porta, tremando, la apro, ma è buia, sento un urlo straziante e un colpo di cannone.Sbarrai gli occhi ansimante, mi svegliai. Non riuscivo a muovermi, ogni centimetro del mio corpo era intorpidito, e c'era solo il buio intorno a me. Cinna. Cinna, era sua la voce, l'urlo. Cercai di alzarmi ma non riuscivo a raggiungere le stampelle, così richiusi gli occhi, tremante, pronta ad un nuovo incubo, pronta a vedere Cinna sotto tortura.
Ma non accadde. Il mattino dopo la mamma mi svegliò, i miei capelli erano intrisi di sudore. Parlammo un po' le raccontai semplicemente di aver avuto un incubo, non parlavo mai di Cinna con lei. Ma una cosa mi assaliva. Il sogno non finiva con l'urlo, c'era come uno sparo sovrapposto. Ma cosa significava? Persa nei miei pensieri vidi di sfuggita mia madre alzarsi. 
"Mamma" la chiamai. Lei si voltò
"Dimmi Bianca" disse lei tranquilla.
"Quali sensazioni leghi allo sparo di un cannone? Nel senso.. cosa ti ricorda?" tirai fuori il mio dubbio sospirando. Il suo volto si rabbuio.
"Oh, niente di buono. Vedi, quando ero negli Hunger Games, se un tributo moriva veniva sparato un colpo di cannone affinchè gli altri tributi sapessero della morte. Era crudele, poteva essere la morte di chiunque se eri sola. Perchè?".
Il sangue mi si raggelò nelle vene.
  
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