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Autore: OurNamesRhymeWithForever    27/02/2013    1 recensioni
Florence si strinse la pelliccia al petto e aprì la porta. Mogano, cedro, pino, ebano e quercia, una danza, un soffio, una pennellata dura e compatta. Bare poggiate ai muri, per terra, appese. Ovunque si girasse non riusciva a scorgere altro che morte. Il proprietario del negozio si voltò e sorrise, un sorriso complice.
“Non credevo che l’avrei rivista così presto, signorina McKenitt”.
La donna rise, una risata quasi dolce.
“Così ne è già a conoscenza?”
“Per quale altro motivo una donna come lei si presenterebbe in un luogo del genere?”.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La signora McKenitt si pulì le mani e lasciò che il sangue sporcasse il lavandino. Imprecò a bassa voce quando il detersivo che stava usando le penetrò in un taglio.
“Stronzo” sibilò al cadavere del marito a pochi passi da lei “non mi hai nemmeno permesso di ucciderti con calma”.
Florence McKenitt osservò il pugnale piantato nel cuore del marito e sospirò, estraendolo.
Il marito la osservò, gli occhi spalancati e la bocca contorta in una smorfia. Florence incrociò le braccia al petto e sorrise cattiva.
“Sei ancora più brutto da morto”.
La signorina Justine bussò alla porta dieci minuti più tardi, puntuale com’era solita arrivare, e Florence le aprì.
“Oggi dovresti pulire anche la collezione di porcellane di mio marito, ho intenzione di venderla”.
Justine annuì mentre Florence la conduceva verso la cucina.
“Dovresti dare uno sguardo anche al bagno degli ospiti, temo manchino asciugamani”.
Justine non commentò, silenziosa e pronta all’ordine.
“Innaffia i ciclamini e pulisci la lettiera del gatto”.
“Sarà fatto, signora”.
Florence sorrise soddisfatta e fece per andarsene.
“Di suo marito cosa ne faccio signora McKenitt?”.
La donna si voltò, sorpresa. Justine stava indicando il cadavere del marito ancora inzuppato di sangue, non un’ombra di turbamento sul viso.
“Dovresti pulirlo e nasconderlo fino al mio ritorno: esco a comprare una bara”.
La signorina annuì nuovamente e si piegò, prendendo il cadavere del marito. Florence sorrise, soddisfatta. Se solo ci fossero state più ragazze come lei al mondo.
“Ci vediamo fra tre ore, Justine, mi raccomando, non scordarti i ciclamini”.
Florence indossò la sua pelliccia, regalo del marito di tre anni prima, e uscì da casa. Le vie di Londra erano fredde, le ultime sporadiche foglie sugli alberi parevano non aver più nemmeno la forza di cadere. Un gatto grigio la superò velocemente, infilandosi sotto un cancello. Entrata in Covent Garden fu salutata allegramente da un’anziana signora seduta in un Caffè. Florence ricambiò con un cenno del capo e proseguì per la sua strada. Voltò in una trasversale, passò di fronte ad un ristorante e infine giunse a destinazione. Bull Inn Court, numero 8.
Dal pub di fronte qualcuno gridò.
Rumore di vetri infranti.
Le risa di una ragazza.
Florence si strinse la pelliccia al petto e aprì la porta. Mogano, cedro, pino, ebano e quercia, una danza, un soffio, una pennellata dura e compatta. Bare poggiate ai muri, per terra, appese. Ovunque si girasse non riusciva a scorgere altro che morte. Il proprietario del negozio si voltò e sorrise, un sorriso complice.
“Non credevo che l’avrei rivista così presto, signorina McKenitt”.
La donna rise, una risata quasi dolce.
“Così ne è già a conoscenza?”
“Per quale altro motivo una donna come lei si presenterebbe in un luogo del genere?”.
Florence si tolse i guanti di pelle e accarezzò contemplativa il bordo dorato di una tomba.
“Mi sei sempre piaciuto Durward, sei un uomo perspicace”.
Durward Morrison accennò un inchino e si strofinò le mani in uno straccio.
“Cosa posso fare per lei?”
“Justine si sta… prendendo cura… del mio defunto marito proprio in questo momento: vorrei che la bara fosse pronta in due giorni”.
“Ogni suo ordine è un mio piacere: come la desidera?”.
Florence ci pensò per un attimo.
“Qualcosa di semplice, ho già speso troppo per Carl”.
“Credo fosse Ed, signora”.
“Come scusa?”
“Suo marito, intendo: ha speso poco per la bara di Carl, molto di più per quella di Ed”.
Florence rise, e forse nemmeno le bare avevano mai visto qualcosa di così agghiacciante.
“Perdonami Durward, faccio sempre così tanta confusione”.
Il signor Morrison sorrise, comprensivo, e le bare tremarono a quel silenzioso segreto.
“In pino, lunga un metro e ottantacinque, la voglio pronta per venerdì”.
Durward s’infilò gli occhiali e segnò l’ordine su un foglio.
“Mi perdoni se le sembro inopportuno, ma immagino che lei abbia già trovato il suo prossimo marito, o non si sarebbe presentata alla mia porta con tanta urgenza”.
“Pensi bene”.
Florence si prese un momento per fissare l’uomo, con insistenza, con ardore, con desiderio.
“Crede che se ne stancherà in fretta? Del suo prossimo marito intendo”.
La donna sorrise dell’ingenuità dell’uomo.
“Non saprei, signor Morrison: davvero non saprei cosa aspettarmi da lui”.
“Quando non la soddisferà più sa dove trovarmi”.
“Bull Inn Court numero 8, lo so fin troppo bene”.
Florence si voltò e fece per andarsene, ma arrivata sulla soglia indugiò e si voltò nuovamente verso il signor Morrison.
“Sarebbe disponibile a farmi altre quattro bare?”.
“Quattro?” chiese l’uomo sinceramente sorpreso.
La signora McKenitt annuì.
“Due piccole, bianche, per bambini; una lunga un metro e settanta in mogano e l’ultima, la più importante, in cedro, un metro e novanta: non se ne scordi, è importante”.
Durward segnò l’ordine in silenzio e Florence si allontanò da dove era venuta, ancora uno strano sguardo malinconico sul viso.
 
Venerdì mattina la signorina McKenitt si vestì con calma, si profumò e truccò forse più di quanto fosse solita e ripercorse quella strada che aveva sofferto i suoi tacchi sul selciato decine di volte.
Durward la attendeva, le cinque bare pronte. Florence lanciò appena un’occhiata a quella per il defunto marito, concentrando invece tutta la sua attenzione alle altre quattro: l’ordine inaspettato, il presagio di morte.
“Hai seguito le mie indicazioni?” domandò seria.
“Alla lettera, non si deve preoccupare”.
La signora McKenitt indicò una delle due bare bianche, e il signor Morrison ne spiegò la consistenza e il materiale, come un padre avrebbe potuto mostrare orgoglioso al mondo suo figlio, il figlio che avevacreato.
“Le assicuro che non ho mai creato niente di migliore, queste due tombe bianche sono la mia gioia”.
Florence approvò, soddisfatta, e indicò quella in mogano.
“Mentre sceglievo il legno per questa bara pensavo a lei, signora, a come sarebbe stato il suo viso intagliato nel legno, e da lì ho ricavato una bara, che è simbolo di morte, esattamente come lei”.
Florence poggiò lo sguardo su Durward e sorrise tristemente.
“Sei sempre così solo”.
“Ho mia moglie, e le mie due bellissime bambine: non necessito d’altro”.
“Ma sua moglie è gravemente malata, potrebbe andarsene da un giorno all’altro”.
Io comando la morte a mio piacimento: fino a che non avrò costruito una bara per mia moglie la falce scura della morte non potrà raggiungerla”.
Florence passò all’ultima bara, quella importante, quella che le premeva fosse perfetta, quella che la terra avrebbe dovuto bramare ricoprire e i vermi invadere. La bara.
“Questa, signora McKenitt, è una bara che, giuro su Dio, preferirei morire piuttosto che veder contenere la persona sbagliata”.
“E come dovrebbe essere la persona giusta contenuta al suo interno?”.
“Nessuno. Nemmeno il suo creatore, nemmeno io stesso, sarei degno di esservi sepolto. Le assicuro: questa bara non ha eguali”.
Florence si avvicinò a quell’uomo e gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Durward, parlami ancora della morte”.
I due si sedettero su un divano nell’angolo del buio negozio, e il signor Morrison iniziò a parlare: la voce bassa, gli occhi chiusi e una mano posata sulla coscia della signora McKenitt.
“La morte non è un attimo solo, bensì un lungo percorso che dura tutta la vita: nel momento stesso in cui nasciamo iniziamo anche a morire, ogni giorno di più. Passiamo anni avvicinandoci sempre di più a quel momento in cui i nostri occhi si chiuderanno, ed è solo un secondo prima di spirare che capiamo cosa sia veramente la vita. La morte è perfetta, è l’unica cosa completa su questa terra: è una chiusura, un punto finale, un ultimo sospiro di vita. La morte è bramata da quanti soffrano e temuta da quanti amino: niente ci segue dopo di essa, non i dolori, non il nostro amante. La morte è ciò che ci accomuna, è la stessa per tutti. Nasciamo in contesti diversi, cresciamo in case differenti, sperperiamo il nostro denaro o viviamo sotto i ponti, ma dopo la morte finiamo tutti sottoterra, e quei vermi che abbiamo sempre disprezzato fanno banchetto delle nostre carni. Ricchi e poveri, donne e bambini, vecchi e ragazzi: la falce nera della morte colpisce tutti, senza distinzione, e non ha nessun tipo di pietà. La morte è un capovolgimento della vita, un appiattimento delle differenze, un futile tentativo del genere umano di dare una spiegazione alle sue più angosciose paure. Io comando la morte: senza che io lo voglia, nessuno può morire”.
Florence sospirò.
“A quanto siamo giunti Durward? Quanti uomini sono già stati preda del mio tedio e del tuo amore per le bare?”.
“Venti, signora”.
La donna rimase in silenzio per alcuni attimi, forse pensierosa, forse sorpresa, o forse perché non v’è parola che non possa essere espressa dal silenzio.
“Quanti credi ne ucciderò ancora?”
“Tre, dieci, cento: non lo so, e non mi azzarderei mai a dire un numero”.
“In fondo cosa siamo? Nient’altro che numeri”.
“In questo non posso far altro che concordare con lei: l’uomo non è altro che un’espressione di cifre, e non può essere identificato in altro modo”.
“Il mio prossimo marito voglio sia speciale, lo desidero davvero”.
“Ciò vuol dire che non si stancherà mai di lui, che sarete per sempre?”.
Florence rise.
“Oh, mio caro Durward, nulla è per sempre, se non la morte stessa; persino le tue bare sono invase dai vermi”.
“Quindi tornerà?”
“Tornerò: anche il mio prossimo marito avrà una bara”.
“In che modo il suo prossimo amante sarà speciale?”.
“Sarà diverso: sarà l’unico che piangerò alla sua tomba”.
“Come mai, se mi è concesso chiederlo?”.
“Perché quest’uomo, mio caro Durward, è quanto di più prezioso io abbia mai avuto”.
 
Il funerale fu veloce, la pioggia lo fu ancora di più nel cancellare ogni preoccupazione dl cuore di Florence.
“Justine, prepara un bagno caldo e una tazza di caffè forte, io sarò nel mio studio: non disturbarmi”.
Florence McKenitt salì le scale lentamente, stanca: forse per la giornata, forse della vita. Una volta giunta nello studio adiacente alla sua camera aprì un cassetto e prese una penna e un foglio di carta. Non pensò a cosa scrivere, le sue mani avevano bramato per anni di comporre quei versi.
 
 
Londra, 25 novembre
 
Mio caro,
scrivere questa lettera mi rattrista quanto mi potrebbe rattristare la perdita di un amato, ma forse non ho mai veramente capito cosa sia l’amore, quel sentimento che tutti credono in grado di vincere persino la morte ma che a mio parere non potrebbe vincere nemmeno la vita. Non hai mai preteso che ti raccontassi niente, la passione che nutri nei confronti del tuo lavoro e la tua discrezione te l’hanno impedito. Eppure, anno dopo anno, minuto dopo minuto, sei venuto a conoscenza di piccoli segreti che il mio cuore lasciava trapelare: forse per debolezza, forse per profonda convinzione che un uomo non si possa salvare da solo, una donna tormentata non si possa salvare e basta. Ero convinta che Abel mi amasse, forse l’ho amato anch’io inconsciamente, ma il mio cuore ha respinto ogni tipo di sentimento il giorno stesso in cui un coltello da cucina è penetrato nel suo petto, spinto con convinzione dal mio braccio. Avevo diciotto anni, e forse ero troppo giovane per capire le conseguenze del mio atto e già troppo vecchia perché non mi toccasse e non influenzasse la mia vita futura. Gli occhi di Maximilian mi ricordavano troppo quelli del mio dolce Abel, e non appena ne ebbi l’occasione lo uccisi. E poi Pace, quello scrittore fallito che si era innamorato disperatamente di me, e Ed, il giovane sognatore che mi aveva promesso la luna. Elton mi stancò quasi subito, e le ricchezze di Buck me lo resero odioso. E Lawson, Bastian e Godric, in una veloce sequenza. Non appena riuscivo a mettere le mani su un uomo il mio cuore pensava già a come avrei potuto ucciderlo. Ho creduto che Carl potesse essere quello giusto (oh che aggettivo inutile), ma poi se ne è andato, così come Bernard e gli altri di cui ho scordato persino i nomi. Non ho mai preteso amore, ricchezze o comprensione da nessuno di loro, tutto ciò di cui necessitavo era qualcuno: non ciò che quel “qualcuno” avrebbe potuto darmi, fossero soldi o poesie, ma solo quel “qualcuno” come persona, come essere capace di trasmettermi emozioni. E questo non l’ho trovato in nessuno dei miei sventurati mariti. Poi tu sei entrato nella mia vita, timido e silenzioso, e ti sei fatto strada nel mio cuore fino a diventare la mia stessa ragione di vita. Sono arrivata al punto di uccidere solo per godere per pochi attimi della tua compagnia. Ti ho ascoltato, ti ho sorriso, ho sperato che ogni mio gesto nei tuoi confronti, nel quale ho sempre deposto tutto l’amore del quale sono capace, ti facesse capire il mio desiderio di amarti. Forse non ti amo, forse credo solo che sia così perché tu sei l’unico che io abbia mai veramente bramato possedere e poi uccidere e l’unico che non possa avere. Hai una famiglia, una famiglia che rispetti, perché come mi hai insegnato l’amore non esiste. Forse avrei potuto fare di più, forse se avessi tentato con tutta me stessa di farti mia saresti diventato un altro di quella lunga serie di uomini che si sono innamorati dei miei occhi, dei miei soldi, di tutto tranne che di me. Invece non ne ho avuto il coraggio, il mio orgoglio me l’ha impedito. Non leggerai mai questa lettera, non la leggerà mai nessuno. Forse ci incontreremo nuovamente, e ti bacerò. Fino ad allora, tieni a mente quello che ti sto per chiedere: se la morte è in grado di separare due amanti se uno dei due rimane in vita, non è allora vero che può unirli se entrambi muoiono?
 
Florence McKenitt
 
“Signora, il suo bagno è pronto”.
Florence uscì dal suo studio e si lavò, indossò il suo vestito migliore e bevve il suo caffè. Quindi piegò la lettera, la mise in una busta, la infilò in tasca e si preparò per uscire da casa.
“Justine, mi porteresti un coltello?”.
La giovane ubbidì prontamente.
“Le devo preparare la cena per il suo ritorno, signora?”.
Florence parve riflettere.
“Non credo tornerò: ti ho lasciato alcune migliaia di sterline nel cassetto della cassapanca in soggiorno, prendi pure tutto quello che desideri, dopo questi anni di servizio li meriti”.
Justine annuì senza proferire parola.
“Il gatto portalo a casa con te, e anche i ciclamini”.
La ragazza annuì ancora, come sempre, silenziosa e ubbidiente.
Florence si mise il coltello in tasca e per la prima volta un’ombra di tristezza deturpò il suo viso.
“Non trovi come sia divertente la vita? Non sai mai cosa aspettarti. Per questo motivo amo la morte, è così dolce e sicura: se potessi essere nata morta l’avrei fatto”.
Florence uscì e chiuse la porta dietro di sé, mentre il suo gatto grigio, seduto sul davanzale, faceva le fusa al timido sole novembrino.
 
Alla memoria di:
Ally Morrison, 23 settembre 2007/25 novembre 2012
Margarite Morrison, 6 gennaio 2000/25 novembre 2012
Ellen Morrison, 19 giugno 1970/25 novembre 2012
Durward Morrison, 16 marzo 1960/25 novembre 2012
Che le loro anime riposino in pace nel Signore.
 
 
 
N.d.A.: questa one shot è stata ispirata, sebbene solo nei suoi delineamenti più generali, dalla canzone “My boy builds coffins” di Florence+The Machine. La cantante ha anche ispirato il nome della protagonista. I luoghi nominati nel racconto esistono veramente a Londra.
 
 
  
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