Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: Pulciosa    14/09/2007    1 recensioni
Nascosta dietro la tenda di sottile garza nera, continuava ad osservare con l’occhio stanco il buio blu della nottata. Inginocchiata sul pavimento odoroso di ciliegio, spiava attenta le mosse del vento, che faceva ondeggiare la Pianta malata.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nascosta dietro la tenda di sottile garza nera, continuava ad osservare con l’occhio stanco il buio blu della nottata.

Inginocchiata sul pavimento odoroso di ciliegio, spiava attenta le mosse del vento, che faceva ondeggiare la Pianta malata.

I suoi ramoscelli deboli erano piegati innaturalmente, e fendevano l’aria agitati dal vento, mentre le foglie color veleno andavano morendo lentamente. Il terriccio color paura scopriva man mano le sue radici debolette, lunghi artigli scheletrici immondi.

Per Spina, era stato un totale successo.

Da quando aveva iniziato ad annerire i suoi polmoni, immaginandoli grevi nel loro antro cavernoso, mentre leggeva di una ragazza che beveva collutorio, aveva aperto la sua personale fabbrica di incubi.

Subito aveva pensato che avrebbe dovuto cucire un’altra testa al suo gatto di panno, ed era diventato così grazioso che quando prendeva il the con Messer Brivido lo sfoggiava noncurante.

Certo quella pianta, con quei fiori così deliziosamente delicati non andava bene.

Aveva iniziato a studiare, aiutata dal Principe Nero, uscito da una vita quasi sconosciuta, da una ricerca in classe dimenticata anni fa, fino a quando aveva capito come avvelenarla fino in fondo.

Certamente non voleva ucciderla, sarebbe stato così crudelmente di cattivo gusto, e si era sempre vantata di essere eccellentemente elegante.

Il Principe Nero conveniva e la baciava sfiorandogli la guancia con una piuma.

Nel silenzio della notte, sospirava all’unisono con il vento, in silenzio.

Spina aveva dimenticato tutto quello che era prima di annerirsi. Ora si nutriva di grigio fumo e raramente, in impeti di sadica felicità, spilluzzicava more schiacciate in un mortaio. Girava lungo il corridoio immenso, convinta che vi fosse qualcosa di male. Le tende tirate, rivelavano di rado dipinti sporchi, vecchi di inquietante selvatichezza che baciavano i bambini.

Mentre passeggiava spazzava il legno odoroso di putrefazione del pavimento con la veste scura, ombreggiando crepe inesistenti.

Aveva provato anche lei col collutorio, ma per i suoi gusti era troppo dolce e piano.

Messer Brivido la rincorreva, triste ricordo pazzo, fino a spingerla nella camera dall’ampio baldacchino rotto, dove giocavano fino a metà notte.

Seduti sulle coperte sdrucite, sospingevano l’aria soffiando fiochi, aspettando per celia un fuoco fatuo. Messer Brivido faceva i complimenti al gatto di panno, a cui versava prodigo una tazza senza the. Alla fine Spina doveva mandarlo via agitando le pagine strappate di un diario, perché il Principe Nero era così geloso che se li avesse scoperti le avrebbe tagliato i fondi di caffè.

Si barcamenava così tra due amori più o meno interessanti, sentendo chiaramente che non avrebbe potuto fare a meno di considerarli poco o niente.

Messer Brivido le regalava carezze di vento ed ebbrezze dispotiche, sfiorandole le caviglie con baci inesistenti.

Il Principe Nero arrivava saltellando su una gamba, irato e vago nei suoi duodevenentista centimetri, abbracciando fosco ritagli di taffettà sporco. Lui era tangibilmente più violento, e finché non le faceva sbattere la testa contro una trave sporgente non trovava soddisfazione.

Spina amava a sua volta i lividi violacei che le escoriavano la pelle, e in solitudine serrata, ne ammirava i contorni sfuggenti come mele settembrine.

Non sentiva neanche il dolore di quelle assurde proiezioni, proiettata come era nel suo scopo.

Il Principe Nero era a suo modo anche un po’ filosofo. Un filosofo pazzo, che rincorreva i pipistrelli con un retino per farfalle che le offriva come pegno d’amore. Spina ci giocava un po’, poi li liberava, sospingendoli verso l’aria dura del buio. Lui non se ne aveva mai a male, forse neanche ricordava, così preso com’era dalla dura disciplina cui ogni tanto sottoponeva la sua allieva.

Compreso nella parte del maestro, parlavano a lungo, mai da pari a pari, del modo migliore di colorare le farfalle.

Ovviamente parlavano anche di come poter rendere la Pianta malata un incubo.

Il pennello veleggiava fantasioso, mentre sulle ali tenere dell’insetto comparivano due sinuosi arabeschi.

Dipingere le farfalle era diventata la sua attività principale, da quando non poteva più camminare per il corridoio. La Pianta Malata le assorbiva così tante energie da renderle impossibili molti sforzi. Pigramente rimaneva sdraiata sul pavimento, mentre il gatto di panno giaceva abbandonato più in là. Anche il Principe Nero si era fatto quasi più premuroso, il che indicava qualcosa di buono.

Messer Brivido era sollecito come al solito, tanto da venir cacciato più volte dalla grande camera, con gemiti fievoli, paurosi.

Aveva sanguinato dalla bocca per parecchi giorni, sangue liquido e chiaro, simile ad acquerello.

Si era pulita con una coperta da neonato, con cui una volta aveva soffocato la sua vecchia bambola.

Le sue condizioni erano peggiorate, fino a che si era trovata in uno strano mondo parallelo dove un bambino con le ali la osservava dall’alto di un ponteggio, e la stoffa verde ad arabeschi d’oro frusciava. Era rimasta con gli occhi spalancati e le iridi che perdevano di giorno in giorno sfericità, sino a diventare due sottili lamine color petrolio.

( Se nella tua mente vedi una larva bianca non è un buon segno. E’ come se tu fossi progressivamente mangiata da un lemure lucido. Tuttavia, parlo per sentito dire, ovvio, capita che a volte qualcuno desideri queste larve, una tensione, che so. La tua insanità si prolunga, fino a che continui a vedere la tua distorsione in primo piano, e non ti accetti, ma allo stesso tempo senti un così grande amore per te stessa che.)

(Se nel quadro dell’oscurità vedi un cavallo grigio che trascina le zampe anteriori perché agonizzante è lievemente angosciante. Forse sei malato. Problematicamente morto.

Zitto, silenzio. Basta conferme.) 

Quando si era svegliata aveva trovato una debole luce ad illuminare il pavimento.

Protestò vivamente, preoccupata per la sua salute. Il Principe Nero corse a rimproverare la tenda che si era lasciata sfuggire quel raggio, ma dentro di sé era contento, perché come tutti i dannati provava il rimpianto per la vita.

Spina nel frattempo si era alzata sui gomiti, scrutando apprensiva le ali fasciate dell’angelo appeso alla parete.

- La Pianta sta un po’ meglio.- sorrise il Principe, sprimacciandole un cuscino. – Durante la tua permanenza nel Mondo Ancora Più Di Là ho provveduto a raccogliere nell’ampolla il tuo sangue copioso, così fragile povera ragazza, e le tue lacrime inconsistenti. Le creature malvagie non riescono a piangere, è così umano.-

I rami nodosi erano quasi più vigorosi nel loro dolore, così attorcigliati eppure elastici. La moria delle foglie continuava, eppure un minuscolo germoglio verde sbiadito allietava il tronco imbelle.

Con rabbia, Spina lo troncò di netto, masticandolo e poi sputandolo per terra.

Tutti abusavano di lei, anche quella sporca Pianta Malata.

Gettò su tutta la pianta il contenuto dell’ampolla che con discrezione aveva tirato fuori da una manica, assurda prestigiatrice nell’assurdo.

La Pianta Malata aveva tossito.

Con tutto il sangue di cui si era privata, il suo colorito si era fatto ancora più pallido.

Messer Brivido elogiava il suo candore intrinseco che invariabilmente si rifletteva sul suo aspetto esterno.

Spina ghignava felice, ricordando i suoi giochi notturni con il Principe Nero, che, saltimbanco malato, mangiava con avidità la sua innocenza, di giorno in giorno, di globo in globo.

Solo le sue intime carezze impalpabili e ventose riuscivano a toglierle ogni speranza, ed era così bello, proprio come morire, troppo disumano.

(La luna è così lucida da sembrare uno specchio, nevvero?)

La Pianta Malata era finalmente guarita.

Tutte le cure preservategli da Spina, l’amorevole costanza con cui l’aveva avvelenata, giorno per giorno, con il suo sangue, erano sicuramente ammirevoli.

Non molti si dedicano alle fabbriche di incubi con persistente tenacia, tale da renderle eventi più unici che rari. Come quando una voce sottile si dimena all’interno di una scatola vuota, così il suo amore nocivo e sgraziato aveva dato i suoi frutti.

Il fusto nodoso era liscio, grigio. Il color liquirizia sporca abbracciava l’unico, minuscolo fiore color pece, che brillava sulla sommità di un rametto.

Dolorosamente bella.

Non molti avrebbero potuto ammirare Spina, ma quei pochi erano così spietati da rubarle il Fiore.

Avrebbe volentieri ballato una macabra danza scomposta, se avesse potuto.

Sentiva la vita fluirle via dai polsi, e ammonticchiarsi fuori di sé, dopo una romantica cascata scenica.

Il Principe Nero era soddisfatto. Aveva depennato infine anche lei dalla lista dei Vivi.

Spina scivolava sul pavimento, ferendosi i gomiti aguzzi, con cui faceva forza sul pavimento lurido.

Non ne era sicura ma voleva provare a sentire l’aria su di sé, l’ennesima carezza ambigua, mortifera. Lasciava scie nere dietro di sé, inspiegabili tracce che forse avrebbero ispirato i suoi due fedeli cacciatori.

E fu allora che la vide, il tenero struggimento di tutti questi dannati, come Spina, come noi, che viviamo nell’ombra, ritirati nel buio, dove i nostri occhi si ammalano in silenzio, gridando aiuto senza speranza. Disumano, nevvero, disumano, ed è così bello, sentire un lacerante senso di sconforto che lentamente cerca di ucciderti, e ci riesce benissimo, perché glielo permetti senza problemi, perché ti piace, perché è bello autodistruggersi consciamente in questa nostra buia spirale.

E allora vedi nero, in quest’opera di distruzione numero infinito, dove sono le nostre teste ad esplodere, come dice lei, ma anche i polmoni neri hanno il loro fascino, grumi color asfalto che annegano in un corpo conosciuto, dove le cellule muoiono senza lentezza, nell’acqua bollente interstiziale, dove il fegato agonizza ingiallito, aiutala a misurare la temperatura.

E dunque la luce.  

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Pulciosa