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Autore: DK in a Madow    27/02/2013    6 recensioni
Era come se Apollo stesse spiando un Orfeo ispirato, che col suo canto riesce ad equilibrare la natura e a rendere mansueta anche la più feroce delle fiere.
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Richard Wright
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Piove su i nostri volti
silvani.
Piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella..."
(La pioggia nel pineto - Gabriele D'Annunzio)



"Strangers passing in the street
By chance two separate glances meet
And I am you and what I see is me"
(Echoes - Pink Floyd)





Help me understand the best I can.




Londra 1970. Primavera.


Si trovarono per caso, sotto il cielo stranamente terzo di Londra. Non c’era nulla che turbasse quel celeste manto, a parte una vena vermiglia provocata dal sole al tramonto. Separatamente, vagavano tra le strade della capitale, confondendosi tra i mille volti senza nome che le percorrevano frettolosamente. Vuoi per uno strano scherzo del destino, vuoi perché le coincidenze non hanno nulla a che vedere col fato, si ritrovarono davanti al numero 66 di Sun Street* arrivando dai due punti opposti della strada. Quando i loro sguardi s’incrociarono, si salutarono con un sorriso, sorpresi quanto felici.
- Strano vederti da queste parti, Wright!
- Non posso dire lo stesso di te, Gilmour! – il tastierista si avvicinò, lanciando una pacca amichevole sulla spalla di David. Questo frugò frettolosamente nelle tasche dei jeans cercando le chiavi. Una volta trovate, aprì il portone invitando l’amico ad entrare.
- Come mai sei qui?
- In verità non saprei spiegartelo. – rispose Rick con aria spaesata mentre salivano la breve rampa di scale che portava all’appartamento di Dave – Sentivo l’Ispirazione. Così ho deciso di uscire fuori, fare quattro passi.
- E a cosa sei arrivato? – chiese il chitarrista incuriosito dallo strano comportamento dell’amico, mentre facevano ingresso nel lungo corridoio della sua casa.
- A nulla. Ho ancora l’esigenza di cercare e trovare qualcosa, ma non ci arrivo. È troppo profonda, ben nascosta, lontana da me. Forse è per questo che sono qui! – concluse, guardandosi intorno, spaesato, come se si fosse accorto solo in quel momento di trovarsi nel salotto di casa Gilmour.
Le pareti bianche e nude erano ricamate dalle ombre degli alberi e dalle sfumature rossastre della luce del tramonto che filtrava dalle grandi finestre, prive di tende, che davano sul giardino; il pavimento, privo di qualsiasi arredamento, era ricoperto da una serie infinita di tappeti e cuscini, mentre in un angolo tra una finestra e il camino, spiccava la meravigliosa Fender nera, tirata a lucido dalle solite cure maniacali di Dave, insieme ad altre chitarre elettriche ed acustiche. Il centro era occupato da un grande pianoforte a coda, mentre il resto della stanza accoglieva microfoni, cavi, amplificatori e una piccola batteria. Più che un salotto, era una vera e propria sala prove, dove ogni tanto si ritrovavano tutti e quattro insieme, bevendo qualcosa o semplicemente improvvisando, sintonizzandosi sul momento uno sulle frequenze dei pensieri e dell’ispirazione dell’altro.
Dave non riceveva mai visite da Rick; solitamente ci si sentiva per telefono e finiva che, dopo una manciata di minuti, tutti erano a casa sua facendo esplodere il caos.
- Beh, continua a cercare qui. Io intanto vado a prendere qualche birra. – disse Dave, mentre Rick si accendeva una sigaretta.
- Va bene! – rispose il tastierista sedendosi sullo sgabello di fronte al pianoforte. David lo lasciò lì, di fronte ai suoi tasti, scrollando la testa e sorridendo teneramente davanti a quella scena così insolita. Rick prese a fissare i tasti come ipnotizzato, mentre nella sua mente andava delineandosi una fitta rete di pensieri. Silenziosamente li seguiva, facendo fremere lievemente le labbra e quasi non si accorse del ritorno di Dave fino a quando non si vide sbattuta in faccia una bottiglia di birra. Il chitarrista soffocò una risata, vedendo l’amico scuotere la testa come se si fosse svegliato di soprassalto.
- Non ti ho mai visto così concentrato!
- Lo so. È snervante.
- Perché?
- Vorrei saperlo Dave. – disse Rick grattandosi la testa – Stanotte non ho nemmeno dormito. I suoni si rincorrevano nella mia testa senza che si lasciassero distinguere e il compenso per questa tortura è stato una cazzo di nota! – e così dicendo, premette l’indice destro contro uno dei tasti del pianoforte con fare nervoso.
Un si acuto.
Dave, nel frattempo, si era seduto a terra, alla destra dell’amico, incrociando le gambe, dando un sorso generoso alla sua birra, mentre quella di Rick giaceva sul pianoforte, ancora intatta. Il chitarrista fissava Wright ammaliato, mentre continuava a tormentare quel si; vederlo così ispirato lo aveva incuriosito a tal punto da non avvertire nemmeno un velo di nervosismo o una punta di noia nell’ascoltare quella nota ripetersi all’infinito. Continuava semplicemente a fissarlo, carezzando con un indice l’orlo della bottiglia.
- Niente.
- Io dico che funziona!
- Si. Immagina che bello. Tre minuti riempiti da un semplice tìn! – disse Rick sarcastico, imitando il suono del si, suonandolo per l’ennesima volta.
- Io dico che è geniale. – osservò David grattandosi il mento – Sembra il rumore che fa una goccia infrangendosi nell’acqua.
- Sarà, – disse Rick accarezzando la tastiera con una sensualità che un uomo riserverebbe solo alla sua donna – ma è un tarlo. Non riesco a farla evolvere, crescere, esplodere.
- Cerca nei tasti, Rick! – disse David come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Richard, invece, lo guardò come se non c’avesse pensato prima, poi rivolse lo sguardo nuovamente a quelle dita d’avorio, tornando a tormentare il si. Dopo averlo ripetuto per cinque volte, lentamente si piegò in avanti, quasi a volersi immergere tra i tasti, iniziando a premerne alcuni. Iniziò a suonare delle brevi melodie, lente, dolci, seguite sempre dal si finale. Non c’era forza nel suo modo di suonare e nemmeno intenzione, ma un delicato abbandono al suono, come accade nelle ninne nanne, una sorta d’incantesimo che aveva reso le dita di Rick cordiali, schiave di quelle armonie arcane e misteriose.
Dave fissava l’amico ad occhi sgranati, le labbra socchiuse, facendolo sembrare una specie di dio greco in contemplazione, stupito di cosa potesse fare un “comune mortale” mettendo le proprie mani al servizio della Musica. Era come se Apollo stesse spiando un Orfeo ispirato, che col suo canto riesce ad equilibrare la natura e a rendere mansueta anche la più feroce delle fiere. Dave pensò che probabilmente c’era davvero qualcosa di divino in quei suoni, come se racchiudessero il senso della vita, il mistero della sua origine e l’indicazione del luogo al quale ci condurrà, tenendoci per mano, la morte.
Rick aveva composto una manciata di accordi quando si fermò, gli occhi chiusi, il viso disteso in un sorriso.
- Avevi ragione, Dave!
- Eh? – il chitarrista sobbalzò sentendo il suo nome, avvertendo l’anima e il respiro ritornargli di colpo nel petto dopo averli persi tra le vibrazioni della Musica.
- Ho detto che avevi ragione! – ripeté Rick piegandosi verso l’amico, poggiandogli una mano sulla spalla scuotendolo - È geniale!
Incrociarono gli sguardi, sorridendo. Orfeo e Apollo, terra e cielo insieme; l’uomo che trova in sé la magia e i tratti del divino, il dio che guarda l’uomo e si ritrova debole tanto quanto lui, vulnerabile di fronte alle emozioni, entrambi persi nella grandezza di qualcosa che va oltre la morte e l’eternità.
La Musica.
Fuori dalle finestre, il cielo si era incupito poco a poco. Piccole stelle iniziavano ad ammiccare nell’aria ancora carica del calore del tramonto, mentre la luna brillava piena contro il tetto dell’universo, illuminando il giardino di casa Gilmour e colorando con fili d’argento le cime degli alberi che la brezza di Maggio faceva oscillare dolcemente. Lo sciame argentato riempì anche il salotto, mentre Rick continuava a ripetere gli accordi della sua nuova creazione, dandole un ritmo crescente, quasi incalzante, come se la melodia stesse accompagnando la danza sensuale e antica di un gruppo di ninfe che a piedi nudi ballano sotto il chiaro di luna. David decise di alzarsi, prese la sua Stratocaster nera e, dopo averla collegata all’amplificatore, andò a sedersi sul pianoforte a coda portandosela al grembo.
- Ricomincia, Rick. Ti seguo.
Il tastierista annuì sorridendo, il fascio di luce lunare che svelava solo metà del suo volto. Prese a suonare, seguendo con lo sguardo le mani di Dave che iniziavano a muoversi lungo la sua chitarra, in un’aura perlata. Il suono era pieno, acuto, ma non stridente, caldo come i primi raggi di sole che penetrano attraverso le nuvole dopo il temporale. Suonavano, creavano e intanto le pareti intorno a loro si allontanavano (o forse l’ispirazione li stava staccando dalla realtà senza che se ne accorgessero), l’aria aveva perso ogni traccia di silenzio e vibrava ad ogni nota e accordo, si riempiva ad ogni basso e si squarciava ad ogni acuto. Dopo un po’, anche le loro voci iniziarono a partecipare a quel concerto fatto di echi e di rintocchi, senza parole. Niente di umano poteva intromettersi a quell’atmosfera mistica che poteva appartenere solo a creature di natura celeste. A cosa sarebbero servite le parole, poi? Le loro voci galleggiavano nell’aria come quelle delle sirene nascoste negli abissi, piegando ogni loro fattezza umana e facendola annegare nel loro canto, senza lasciare morire, ma facendole rinascere ogni volta.
Dave era ormai fuso con la sua chitarra, i lunghi capelli biondi, eclissati dall’argenteo manto lunare, gli ricadevano sul viso, mentre con la testa seguiva il ritmo divenuto incalzante, le labbra che si protendevano in avanti spinte dalla concentrazione. Le mani si muovevano sullo strumento come in preda a una possessione, come se avessero vita propria, lasciando che dall’amplificatore scivolassero fuori suoni simili a gemiti acuti e sottili. Richard, invece, aveva rivolto la testa indietro, il profilo del pomo d’Adamo risaltato dalla luce, ormai strappato allo spazio e al tempo per mano della Musica. Quando sentì che l’esaltazione stava per esaurirsi, prese a cambiare il ritmo. Il diluvio che lascia il posto a una pioggerella sottile, quasi impercettibile; così erano le note che Rick aveva preso a suonare, lievi gocce di pioggia che andavano a morire su foglie sempreverdi, mentre Dave le ripeteva dopo di lui, seguendolo in un eco che, dopo un po’, sfumò nel silenzio.
Quando le loro mani divennero immobili, fuori la brezza si era trasformata in vento come per magia, come a volersi risucchiare anche l’ultima nota per restituirla alla natura e alla sua armonia primordiale. Era notte inoltrata, sia fuori che dentro i loro occhi che rimanevano nascosti dietro le palpebre e i loro respiri affannati. Man mano che recuperavano ossigeno, più ritornavano al presente, riattivando i sensi, mentre i loro cuori iniziavano a percepire il ritorno del tempo scandendolo ad ogni battito. Riaprendo gli occhi, le prime cose che videro furono i loro volti; volti nuovi e pur sempre gli stessi. Erano tornati alla terra come rinati, un po’ come quando si ritorna a galla dopo essersi tuffati. Si sorrisero, l’uno lo specchio dell’altro, in un gesto naturale come il primo passo di un bambino, incerto, ma che diventa stabile con lo scorrere del tempo.
- Wow! – sussurrò Dave, come se non riuscisse più a parlare, forse perché le parole non bastavano.
- Geniale! – esclamò Rick, buttandosi le mani nei capelli, mentre il chitarrista prese a guardarsi intorno, cercando un particolare che gli suggerisse il luogo in cui si trovasse. Guardò fuori dalle enormi finestre e incontrò una luna vanitosa, essenziale e lontana come l’esperienza che avevano appena vissuto. Tornò a guardare Rick e capì che era tornato a casa dopo aver galleggiato chissà dove per chissà quanto tempo.
- Dave? È tutto ok?
- Si! – disse Gilmour sorridendo – Ma che ore sono? – si domandò scendendo dal pianoforte e dirigendosi verso l’interruttore della luce, la quale colpì i loro occhi in maniera quasi dolorosa. Beccò l’orologio appeso sopra il camino.
02.33 **
- Cristo, abbiamo suonato per tutto questo tempo? – chiese Rick interpretando alla perfezione i pensieri di Dave, che si grattò la testa con aria spaesata.
- E adesso? – chiese a Rick.
- Cosa?
- Torni a casa?
- Non saprei, qui c’è una bionda che mi sta aspettando da qualche ora! – disse il tastierista indicando la birra sul pianoforte con un cenno del mento. Dave rise.
- Ora che ci penso, quasi quasi me ne faccio un’altra! – disse il chitarrista continuando a ridere – Ho la gola secca. - aggiunse dirigendosi con aria pigra verso la cucina.
- Prendine qualcuna anche per me! – gridò Rick, afferrando la bottiglia di fronte a se e dirigendosi verso le grandi vetrate, scrutando con sguardo felino il giardino ritornato immobile, senza ottenere risposta da Dave.
- È diventato sordo. – sussurrò, sghignazzando, quando sentì i passi di David che tornava nel salotto.
- Ti ho sentito eccome, Wright!
- Merda! – rispose Rick, voltandosi con un sorriso colpevole verso l’amico che portava tra le braccia una decina di birre, appoggiandole vicino alle finestre. Si sedettero sul pavimento, sereni come la notte che li circondava.
- Rog dovrà pensare alle parole e Nick avrà il suo bel da fare.
- Non avranno problemi. – rispose Dave annuendo con convinzione – La canzone è praticamente finita.
- Manca un titolo.
- Hmm.
- Pensavo a qualcosa come Nothing***, non so perché.
- Forse perché non abbiamo pensato a un cazzo mentre la componevamo! – rise Dave.
- Gilmour, sii serio! – lo ammonì Rick sorridendo.
- Wright, è inutile cercare un titolo a quest’ora. Tanto domani potrebbe succedere che a Rog non piacerà e potrebbe andare tutto a puttane. Lo troverà lui un titolo! – concluse, finendo di bere la seconda birra.
- Giusto!
- Ora rilassati, Rick! L’alba arriverà a momenti con i suoi ambasciatori.
- E noi saremo qui ad aspettarla! – rispose Richard sbadigliando, prima che entrambi si lasciassero cadere sui tappeti della sala, chiudendo gli occhi per abbandonarsi all’oblio.





















Note:

* Sun Street è una strada d'invenzione, ovviamente, anche se non so se esista davvero. Il numero 66, invece, non è casuale. Infatti, Echoes è la sesta canzone di Meddle che è il loro sesto album.
** L'ora che David legge sull'orologio è "l'adattamento" della durata di Echoes, cioè di 23 minuti e 34 secondi.
*** Il titolo, anzi, i titoli di Echoes all'inizio erano "The son of Nothing" e "The return of the son of Nothing", ma per chi è fan è già ben informato sui fatti!


Note dell'autrice:
Salve!
Torno nuovamente in questa sezione con questo delirio mentale. Non so quanto si sia percepito l'amore maniacale che provo per "Echoes". Ho scelto Dave e Richard per un semplice motivo e cioè che tempo fa ho beccato un video su YouTube tratto da "Live in Gdansk" in cui loro due parlavano della nascita di questa favolosa canzone. Ammetto di aver capito poco e nulla senza i sottotitoli, a parte il fatto che trovassero geniale il fatto di ripetere quel "si" all'infinito, quindi se ci sono incongruenze anche cronologiche, sappiate che la storia è inventata di sana pianta.
Questa storia doveva essere un "regalo" per il compleanno di Dave, ma data la mia natura frettolosa, l'ho pubblicata in anticipo.
Bene, spero non faccia schifo questa OS, perchè davvero ero in preda al delirio totale mentre la scrivevo.

   
 
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