Fanfic su attori > Johnny Depp
Segui la storia  |       
Autore: Princess of Dark    27/02/2013    6 recensioni
Incontrare Johnny Depp è il sogno di tutte noi donne, o almeno era il sogno di Denise.
E lei credeva di stare veramente sognando quando lo incontrò.
Denise ha un lavoro noioso, una migliore amica un po' pazzerella, una vocina maligna nel suo cervello, un "fidanzato" e un sogno nel cassetto. Johnny sarà lì per renderlo vero.
ATTENZIONE:Johnny Depp dovrebbe essere illegale, ma visto che non lo è, va preso come minimo preso a piccole dosi. E' veramente rischioso per la vostra salute una meraviglia così!
Se anche voi lo amate, questa è la ff giusta per voi...aspetto le vostre recensioni!!
Booktrailer: https://www.youtube.com/watch?v=rLHOJc3yhPM
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non fatevi ingannare dalla barretta a destra che segna un capitolo infinito, è lungo come tutti gli altri niente di più, niente di meno, sembra molto più lungo perché ho cambiato stile e ingrandito molto la scrittura u.u Ora si legge meglio, no?
P.S questo capitolo mi piace tantissimo, poi scoprirete perché *-* Buona lettura!!



Erano le quattro del pomeriggio quando Johnny arrivò. Mi aveva avvisato con un breve messaggio che l’aereo aveva ritardato il suo volo ad un paio di ore senza aggiungere troppe dolcezze se non un “buona giornata” più cordiale che affettuoso.
«Ciao!», esclamai quando fu fuori dalla porta. Mi buttai tra le sue braccia senza rifletterci, dimenticando che doveva avercela a morte con me. Ma me lo diede subito in mente quando le sue mani si poggiarono leggere e fredde sui miei fianchi e capii tutto, staccandomi da lui. Entrò in casa senza aprire bocca e poi scagliò una delle tante riviste che avevo visto in giro che mi raffigurava assieme a Fred.
«Io parto per un solo fottutissimo giorno e tu ti metti a fare tutto questo?», borbottò amaro e i suoi occhi brillarono dalla collera. Restai a fissarlo qualche secondo, tintinnante, prima di aprir bocca.
«Posso spiegarti…», farfugliai a testa bassa. Pessima mossa, tipica di chi aveva fatto veramente qualcosa e cercava scuse.
«Infatti mi aspetto delle spiegazioni. Non sono abbastanza per te?», aggiunse in un sussurro. Risi isterica, scuotendo il capo.
«E’ stato tutto un malinteso!», replicai, non trovando le parole giuste per spiegargli com’erano andate veramente le cose.
«Un malinteso? Ora ti dico io come sono andate le cose: te la sei presa perché sono partito per incontrarmi con Vanessa e hai ben pensato di farmi un dispetto. Oppure semplicemente si è presentato fuori dalla tua porta – e sono venuto a sapere che non è la prima volta e non me l’avevi mai detto- e ti si è riaccesa la “passione”. L’hai fatto dormire pure nelle mie lenzuola, stanotte?», ringhiò, avvicinandosi minacciosamente a me. I suoi occhi scintillarono dalla collera, indietreggiai intimorita.
«Ti rendi conto di quello che stai dicendo?», alzai la voce, ferita. Era stato un grosso errore non dirgli nulla quando, tempo fa, Fred venne da me a chiedermi di tornare insieme.
«Me ne rendo conto eccome!»
«Ti stai sbagliando! Lascia che ti spieghi come sono andate le cose e…»
«No, non voglio ascoltare altre bugie. Basta. Cazzo, Denise, stava andando tutto bene!», esclamò isterico, passandosi una mano tra i capelli. I suoi occhi ora erano lucidi, doveva sentirsi una merda: lui pensava che l’avevo tradito. E ora chi glielo diceva che non l’avrei tradito per nessuno al mondo?
«E continuerà ad andare tutto bene infatti! Perché tra me e Fred non c’è stato assolutamente nulla»
«Ti avevo dato tutta la mia fiducia, poi giro un po’ alla larga e passo per il cornuto della situazione per tutto il mondo. E questo non mi sta bene, non dopo tutto quello che ho potuto darti», disse ancora, riprendendosi il suo borsello che aveva appoggiato sul tavolo. «Quando ti sarai schiarita le idee e saprai ciò che vuoi…»
«So già cosa voglio: una vita felice»
«Senza di me però», sussurrò prima di aprire di nuovo la porta di casa.
«Non puoi andare via!», replicai sgranando gli occhi.
«Non ha senso restare: se mi hai amato è stato amore, se hai giocato… beh, fa un po’ male. Adesso però lasciami andare, mi passerà». Mi morsi un labbro: Johnny non aveva voluto ascoltare la mia versione, aveva sempre detto che quelli lì dicevano un mare di stronzate per fare soldi e ora si era limitato alla bugia dei giornali. Stava per uscire di casa e chissà per quanto tempo sarebbe rimasto incazzato: doveva sapere che aspettavo un figlio.
«Sono incinta», sussurrai infine. Si fermò sull’uscio di porta e il silenzio piombò tra di noi. A testa china, stava pensando e quelli mi parvero attimi interminabili.
Ti prego, dici qualcosa!
Si voltò di nuovo e, sempre con i suoi occhi lucidi, mi guardò.
«Hai sbagliato tattica. Parlavo seriamente quando dicevo che volevo una famiglia con te, probabilmente non è la stessa cosa che vuoi tu…. Bel modo di convincermi a restare», mormorò deluso, prima di andare via sbattendo la porta.
Mi portai le mani alla bocca, crollando sul pavimento con la schiena poggiata alla porta e scoppiai in lacrime. Mi ero cacciata in un grosso casino: un casino che non avevo creato io e che mi sarebbe costato ugualmente molto caro. Mi sentivo male, avevo quello stupido groppo alla gola che non mi faceva buttar giù la mia stessa saliva, quella morsa che mi stringeva lo stomaco e mi attanagliava il cuore togliendomi il respiro, lacrime che non smettevano di scendere copiose sulle mie guance mentre mi passavo le mani tra i capelli, tenendomi la testa. Mi aveva mollata e aveva creduto che avessi detto la bugia del bambino solo per farlo restare: se credeva che potessi fare questo voleva dire che Johnny non mi conosceva affatto.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Rimasi ancora lì in macchina, davanti alla sua casa, osservando dinanzi a me i vetri dell’auto che si bagnavano per la pioggia.
Stavo uno schifo, mi sentivo uno stupido. Forse le avevo dato troppa fiducia, forse ero stato troppo sicuro di me, credevo di conoscerla bene e invece mi ero ritrovato davanti una persona che non era più quella di cui mi ero innamorato. “Sono incinta”, mi aveva detto. Un tempo le avrei creduto, ci sarei cascato, mi sarebbe piaciuto, ma per fortuna avevo aperto gli occhi. Che cos’erano stati tutti quei momenti passati insieme? Soltanto una tattica per avere un po’ di fama? Che colpo meschino. Ed io ci ero cascato in pieno: avevo mandato a monte la mia famiglia per nulla.
Le mie labbra tremarono violentemente e la cenere della sigaretta che tenevo tra le labbra mi finì sulla giacca. Diedi un colpo al manubrio, ringhiando, prima di poggiarti la fronte sopra e serrare gli occhi.
Piangevo come un bambino.
Che razza di uomo ero? Dopotutto, era soltanto una delle mie stronzate, un’altra storia andata a male. Ma la amavo, era tutto perfetto, lei era perfetta.
Alzai lo sguardo e mi tirai su, cercai di ingoiare quel groppo alla gola senza riuscirci: un po’ di alcool questa sera mi avrebbe aiutato. Ingranai la marcia e andai dritto, veloce come un fulmine. Pregai che spuntasse improvvisamente un albero davanti a me, che mi ci schiantassi contro. Fanculo a tutti.
 
 
Image and video hosting by TinyPic
 
«Mi dispiace tantissimo, tesoro», sospirò Marylin, abbracciandomi forte mentre mi faceva sedere sul suo divano. Charlie mi guardò preoccupato e dispiaciuto mentre cercavo di smettere di piangere.
«Hai provato a dirgli come sono andate le cose?», disse lui.
«Non ha voluto neanche sentirmi! È venuto, mi ha insultata e se n’è andato», ringhiai, stringendo un cuscino con foga.
«E non gli hai detto del bambino? Magari camb-»
«Ha creduto che fosse una bugia per convincerlo a non andar via», dissi a testa bassa e più pronunciavo quelle parole, più mi sentivo male.
«Come ha potuto non crederti?! Ma a che cazzo pensava?! Ora vado a parlargli io». Charlie si alzò di scatto dalla sedia e afferrò la giacca, Marylin lo guardò preoccupata.
«No! Charlie, per favore, torna qui», lo pregai.
«Voglio solo spiegargli come sono andate le cose»
«Non ha creduto me, non crederà neanche agli altri. E se non ha fiducia in me… cazzi suoi!», ringhiai, alzandomi dalla poltrona.
«Dove vai?», squittì Marylin quando mi vide aprire la porta d’ingresso.
«A trovare una persona», dissi tetra, pensando già alla faccia di Fred nera per i miei cazzotti.
“Per favore, fermala”, sentii sussurrare prima che andassi via. Due secondi dopo, Charlie mi correva dietro.
«Denise! Fermati, Den! Non fare cosa insensate!»
«Devo sapere perché l’ha fatto… devo guardarlo negli occhi mentre mi spiega tutto», ringhiai, mettendomi nella macchina di Charlie. Lui mi si accostò ma misi la sicura.
«Per favore, apri!», mi implorò, tentando invano di aprire lo sportello.
«Te la riporto senza un graffio», gli promisi, ingranando la marcia e facendo slittare le ruote sull’asfalto ghiacciato prima di partire.
«Oh Santo Cielo! Mary!», urlò Charlie, portandosi una mano alla testa mentre mi vedeva sparire.
Se ora avessi dovuto scrivere su un bel diario segreto come mi sentivo, non avrei saputo farlo: ringraziai il cielo di non avercene uno. Era accaduto tutto ieri sera, mi ero sentita uno schifo, non avevo chiuso occhio tutta la notte e avevo sperato che parlarne con Mary mi avrebbe fatto star meglio: mi sbagliavo, perché più ne parlavo e più mi rendevo conto di quanto fosse grave la situazione. Non volevo rinunciare a Johnny, non potevo lasciarlo andare via. Il dolore si era trasformato in rabbia pensando a Fred: faceva meno male dare la colpa a qualcuno, tirarsi indietro, dire “non è dipeso da me” piuttosto che “è stata colpa mia, potevo far andare tutto diversamente”. Per sua sfortuna ricordavo ad occhi chiusi la sua vecchia casa, dalla strada che spuntava sulla campagna del sindaco, i bidoni sempre colmi di spazzatura, i cani randagi che si aggiravano per quei quartieri, a quella piccola schiera di case gialline circondate da terreno incolto. Scesi dalla macchina furiosa e percorsi il piccolo vialetto che portava all’entrata, poi bussai con dei violenti colpi alla porta.
«Un attimo, ho sentito, un attimo!», sentii dire, mentre qualcuno si avvicinava alla porta. Venne ad aprirmi mezzo nudo, con un asciugamani sulle spalle con il quale si stava tamponando i capelli scuri, un accappatoio e delle pantofole blu scuro. Mi guardò sorpreso con quell’espressione di chi ha visto un fantasma, senza aprire bocca. Forse aveva visto il diavolo in persona fuori dalla sua porta. La prima cosa che feci, fu dargli uno schiaffo sonoro con tutta la forza che avevo, come sognavo di darglielo da tempo.
«Ma che cazzo fai?!», esclamò, guardandomi come se fossi un alieno, massaggiandosi la guancia arrossata.
«Mi fai schifo», ringhiai, spingendolo per il petto e facendolo indietreggiare per poter entrare anch’io in casa. «Ora voglio che tu mi spieghi ogni singola cosa», aggiunsi, puntandogli un dito contro.
«Di che cosa stai parlando?», rise scettico.
«Chi ti ha mandato? Eh?»
«Non capisco…», farfugliò. Afferrai il giornale dalla borsa e glielo sbattei addosso.
«Questo forse ti può schiarire le idee»
«Ah… hai visto? Ci hanno beccati», ridacchiò. Strappai la carta, strattonandolo per l’accappatoio.
«Chi. Ti. Ha. Mandato?», ripetei, scandendo le parole. Lui si staccò da me, dandomi poi le spalle.
«Non ho nulla da dirti, tesoro, torna a casa prima che prendi l’acquazzone», disse noncurante, versandosi un po’ di vino in un bicchiere. Mi misi le mani sui fianchi.
«Maledico quel giorno di merda che ti incontrai», sussurrai, avvicinandomi a lui. «Mi hai rovinato la vita, non hai fatto altro che crearmi problemi», aggiunsi.
«Quanto ti hanno dato? Per quante migliaia di euro ti hanno comprato per questo lavoro sporco?!», urlai, afferrandogli i lembi dell’asciugamano.
«Io ti strozzo, Fred, giuro che lo faccio», minacciai e in quell’attimo non mi riconobbi più neanche io. Era la rabbia, la collera, il dolore per tutto quello che per colpa sua era successo a guidarmi.
«Tu sei matta», sussurrò impaurito, strappandomi l’asciugamano dalle mani. «Vattene o chiamo la polizia»
«L’unica persona che doveva chiamare la polizia qui ero io, quando mi hai messo le mani addosso la prima volta. Sei un verme, la razza più disgustosa sulla faccia della terra», sussurrai accecata dalla rabbia, infilando le mani nella borsa.
«Tieni! È per questi che venderesti l’anima al diavolo! Tienili!», urlai, gettandogli contro banconote di denaro come se fosse un barbone, come se fossero delle pietre che potessero ferirlo. «Hai bisogno di fare queste stronzate perché non sarai mai nessuno. Sarai sempre la riserva, la seconda scelta, quello che verrà mollato per un altro, che verrà pagato come un criminale per fare il lavoro sporco. E solo così potrai vedere uno spicciolo, perché non sarai mai capace di guadagnarteli con la tua pelle. Ucciditi», gli sussurrai a fior di labbra, infilandogli le banconote nell’accappatoio. Quelle parole erano veleno, rancore, rabbia, odio allo stato puro, avrei voluto ucciderlo con le mie stesse mani per vederlo soffrire e sussurrare pietà: sarei andata all’inferno per aver provato simili sentimenti. «E giusto perché non ti ho creato ancora nessun danno…», accennai sorridendo malignamente, avvicinandomi ad uno dei vasi colmi di fiori. Lo presi e lo gettai a terra, godendo del suono dei mille pezzi in frantumi del secondo, poi del terzo e infine della bottiglia di vino che schizzò sporcando il tessuto del divano.
«Presentati ancora una volta davanti casa mia, davanti a questi occhi… e ti giuro che la prossima volta non ci sarà il vino, ma il tuo sangue qua terra», minacciai, sbattendo la porta alle mie spalle mentre andavo via.
Mi rimisi in macchina e sospirai soddisfatta, guardando dinanzi a me e accorgendomi che sorridevo. Avrei voluto registrare la scena e riguardare mille volte la sua espressione impaurita: non aveva aperto bocca, guardandomi ad occhi sbarrati.
Dici che ho esagerato?
Mmm… nah, infondo gli hai risparmiato la vita!
Carina la minaccia del sangue, eh?
Sembrava un misto tra un thriller e un film dell’orrore. E tu eri a metà tra un serial killer e una posseduta.
Il diavolo in persona, Ginevra, sono stata il diavolo in persona.

«La tua bambolina è parcheggiata giù», risi a Charlie, lanciandogli contro le chiavi. Mi scaraventai sul divano, sorridendo. Al di là del fatto che Johnny mi aveva piantata, mi ero tolta una grande soddisfazione. Avevo un bel piano in mente e quello era stato il mio primo grande passo.
E quale sarebbe il tuo piano? Uccidere tutti?
Potrei pensarci… In realtà pensavo a qualcosa del tipo “corri e recupera tutto finché sei in tempo”
Oh… suona bene…
La questione Fred è andata, credo che dopo questa non lo vedrò per una ventina d’anni. Ora scopro chi c’è dietro questa faccenda –anche se ho già qualche idea- e recupero Johnny. Voglio un lieto fine per questa storia.
Marylin e Charlie mi guardarono sorpresi e spaventati contemporaneamente.
«Denise? Ti senti bene?», farfugliò Marylin, avvicinandosi con cautela.
«Mai stata meglio!», esclamai, chiudendo gli occhi per rilassarmi.
«Non ti sei ubriacata, vero? Fa male al bambino se…»
«Sono lucida, tesoro, non preoccuparti», farfugliai alzando gli occhi al cielo prima di guardarli di nuovo.
«Hai la faccia di una che ha ammazzato qualcuno ed ora si sente soddisfatta per essersi tolta da mezzo l’ingombro», azzardò Charlie, scrutandomi. Scoppiai a ridere.
«Ci hai quasi azzeccato»
«Perché sei così felice? Non avrai mica fatto…»
«Non ho ucciso nessuno, state tranquilli», borbottai, tornando seria. Davvero facevo così paura? Davvero ero così incazzata da far credere che stavo andando ad ammazzare qualcuno?
Sì…
«Ho solamente chiesto a Fred chi l’avesse mandato. Ma non me l’ha voluto dire. Così ho iniziato ad insultarlo. Sai, ora mi vergogno un po’: ero completamente fuori di me, un’altra persona! Sputavo quelle parole con così tanta rabbia e odio che… non voglio più essere così. Gli ho lanciato contro dei soldi, dicendogli che non era nessuno, che sarebbe stato sempre la scelta di qualcun altro. Poi gli ho stretto l’asciugamano intorno al collo e ho minacciato di strozzarlo: l’ho fatto per finta, giusto per fare scena e spaventarlo», scoppiai a ridere. «E ci sono riuscita! Gli ho minacciato che se l’avrei rivisto avrei sparso il suo sangue. Poi gli ho rotto un paio di cosette…», feci spallucce. «Volevo solo essere sicura che uscisse definitivamente fuori dalla mia vita». Marylin e Charlie si guardarono negli occhi diversi secondi, prima che scoppiassero a ridere.
«Oh Dio, volevo vedere la faccia di Fred!», rise Marylin.
«Dovevi vederlo mentre gli minacciavo di ucciderlo! Voleva chiamare la polizia!»
«Almeno te lo sei tolta dalle scatole»
«Scusami se prima ti ho “rubato” la macchina», mormorai a testa bassa.
«Ti perdono… solo se non me l’hai sfasciata», scherzò e ridemmo.
Tornai a casa e la prima cosa che feci fu chiamarlo. Non ce la facevo.
«Ti avevo detto di lasciarmi stare»
«Hanno pagato Fred per venire da me. È stata tutta una messinscena, come puoi essere così stupido da non capirlo?!»
«L’unica cosa di stupido che non ho capito è che non sei mai stata del tutto sincera con me! Sai benissimo quanto ci tenga alla fiducia in un rapporto»
«Ti prego, ritorna. Devo parlarti. Ci sono così tante cose che ho da dirti e…»
«Non m’interessa»
«Dove sei ora?»
«A casa, ed è qui che resterò, perciò non perdere tempo»
«Ma qui ci sono le tue cose e-»
«Passerò a prenderle qualche giorno di questi…»
«Non fare così, sei ingiusto. Non merito di essere trattata in questo modo»
«Ah, Denise attacca prima che io possa iniziare a dirti cose davvero cattive, per favore»
«Ti amo»
«Smettila. È finita, che ti piaccia o no. Tutte le storie troppo perfette finiscono. Rassegnati». Un “bip” mi fece caprie che aveva staccato la chiamata. La felicità temporanea per essermi liberata di Fred svanì come la rabbia, lasciando posto nuovamente al dolore. Se mi sentivo bene dopo averlo insultato? No, avrei potuto anche ammazzarlo ma nulla mi avrebbe portato indietro nel tempo o avrebbe fatto cambiare idea a Johnny.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Forse era stata una pessima idea ritornare ma volevo prendere le mie cose e non lasciare più traccia di me: sarebbe stato più facile per lei dimenticare senza che aprisse gli armadi e trovasse le mie camice, mi avrebbe lasciato anche più spazio per continuare a vivere la mia vita. Dovevo partire, andare lontano su un’isola deserta dove i giornali, i paparazzi, le chiamate, la gente non potevano raggiungermi. Cosa c’era di male nel volersene stare da soli a riflettere, in santa pace, nella più totale solitudine?
Infilai le chiavi nella toppa, dovevo ricordarmi di lasciargliele prima di andare via, ed entrai nella casa buia, sperando che non si svegliasse. A passi lenti, mi mossi con cautela fino alla sua stanza. Dormiva al centro del letto, con il solito braccio pendente come faceva di solito quando era agitata: quanti schiaffi che mi ero preso quelle notti! Mi accostai e osservai il suo volto, incorniciato dai suoi capelli chiari e arruffati. Sembrava un angelo, era dannatamente bella e questo mi faceva ancora più male. La coperta si alzava lentamente assieme al suo petto ogni volta che respirava debolmente per poi abbassarsi quando cacciava fuori l’aria. Perché? Avrei potuto essere ancora accanto a lei, accarezzarla, godermi il profumo della sua pelle. Non la meritavo? Era lei che non meritava me? Era stato bello sentirla, guardarla anche solo da lontano, tenerle le mani. Perché la vita era stata così ingiusta? Distolsi lo sguardo, togliendomi dalla faccia quel maledetto sorriso estasiato che era comparso in quei pochi secondi e aprii l’armadio, mettendo caoticamente i vestiti nel borsone gigante. Richiusi tutto e mi voltai nuovamente verso di lei: probabilmente sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei rivista, forse sarei partito per mai più ritornare. Dopotutto, non avevo più motivo di restare in questa cittadina, non aveva senso. Non avrei portato nessuna traccia dentro me di lei, in modo da non avere nulla da rimuovere: non sarebbe stata più la mia realtà, i miei pensieri, la mia quotidianità. Raccolsi tutta la mia forza e, con le lacrime agli occhi, le diedi le spalle, lasciando la stanza da letto. Con un foglio le scrissi un messaggio: forse la mia scrittura sarebbe stata indecifrabile perché non ci vedevo un granché al buio…
“Scusami se sono entrato in casa tua come un ladro, è stato meglio così. Non accadrà più: ti ho lasciato la copia delle chiavi sul tavolo. Parto, vado lontano perché qui non ho più niente da fare. Non cercarmi, non provare neanche a chiamarmi perché probabilmente al tuo risveglio avrò già gettato via la scheda telefonica. Spero che tu possa avere una vita serena e trovare un uomo che ti doni tutto quello che non ho saputo darti io. Johnny”. Lasciai le chiavi sul tavolo, come le avevo scritto nel messaggio, e quasi di corsa mi affrettai a lasciare quella casa. Non mi voltai indietro, mi avrebbe fatto male la violenza con la quale mi avrebbero investito i ricordi.
Richiusi la porta, caricai la borsa in macchina e partii. Avrei ricordato questa città come la casa di uno dei miei più grandi amori, l’avrei ricordata quando con gli occhi appannati dalle lacrime fuggivo via da essa. Ma dopotutto, era meglio così.

 




Eee ciao xD Avete capito perché mi piace?? Sì, qui in pratica Denise manda a fanchiappe Fred ù.ù non immaginate che soddisfazione scrivere questa scena, ragazze!!
Purtroppo le cose non sembrano essere più semplici per i due: abbiamo una Denise incazzata nera e disperata e un Johnny ancora innamorato che sembra quasi costretto a lasciarla andare. Il finale mi fa commuovere : '( E la scena di Denise che parte in quinta per andare da Fred invece mi fa ridere tantissimo xD
Beh, dette queste due o tre stupidaggini non ho nulla da chiarire, il capitolo mi pare piuttosto semplice, quindi vi lascio ai vostri commenti con la speranza che vi sia piaciuto!
A presto, Princess <3


  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Johnny Depp / Vai alla pagina dell'autore: Princess of Dark