Il Mistero dei Tempi
CAPITOLO 1
Sofferenze a Misteri
Il vento soffiava impetuoso in una stradina buia di Privet Drive. Le foglie
si sollevavano descrivendo segni circolari nell’aria, spostandosi delicatamente
di lato per lasciare libero passaggio ad un ragazzo moro, alto, con lo sguardo
velato di lacrime, che gli coprivano il volto da troppo tempo privo di un
sorriso sincero e felice… almeno non da quella terribile notte di due settimane
prima.
Chiunque l’avesse visto in quel momento avrebbe provato pietà per quel
povero ragazzo, chiunque avesse conosciuto la sua storia gli si sarebbe stretto
il cuore nel vederlo così, e chiunque avesse conosciuto Harry, non Harry
Potter, ma solo Harry, il ragazzo sorridente, felice, capace di farti
dimenticare tutti i mali del mondo solo guardandolo negli occhi, con una forza
d’animo ,un coraggio, una sincerità e un’onestà invidiabile, sarebbe morto in quel
preciso momento perché la persona che stava soffrendo in quel modo straziante
non poteva essere lui, non poteva essere quel meraviglioso ragazzo che ne aveva
già passate troppe per la sua età, non poteva essere sempre lui.
La sua mano corse ad allontanare una delle tante, delle troppe lacrime che
avevano già percorso il suo giovane volto.
-Harry, Harry… sei proprio uno stupido- si disse osservando il proprio
riflesso su di un pezzo di vetro vicino al suo piede destro.
Fece fatica a riconoscersi attraverso quell’immagine che non avrebbe mai
detto appartenere a lui fino a poco tempo prima. Scosse la testa quasi con
rassegnazione, e dalle sue labbra uscì un sorrisetto di scherno per quello che
era diventato, per quello che era stato costretto a diventare dopo la morte di
Sirius.
Sirius…
Un nome che, pronunciato impercettibilmente dalla sue labbra, ebbe
sul suo cuore l’effetto di un impatto con un meteorite, come se lo avesse
gridato a squarciagola con tanto ardore da bruciargli le corde vocali.
Incurante del tempo attorno a lui che improvvisamente aveva trasformato una
leggera brezza estiva in un vero e proprio temporale con tanto di fulmini e
saette, si inginocchiò sul duro asfalto che lo aveva sorretto in piedi fino a
poco prima e pianse, pianse come non aveva mai fatto fino a quel momento,pianse
ed urlò con tutta la voce di cui in quel momento disponeva.
-Perché?...perché?- continuava ad urlare come una litania insieme a tutto
il disprezzo e la rabbia che celava nel suo cuore.
-Sirius, perché mi hai abbandonato… perché?-
Una domanda rivolta al cielo, a quelle stelle che si intravedevano
attraverso le nubi scure che lo affollavano, una domanda rivolta a quella
stella… alla sua stella…
…alla stella di Sirius.
Tutto, tutto in quel momento gli faceva ricordare il suo padrino.
Il semplice guardare le stelle di notte glielo richiamava alla mente,
l’osservare un grosso cane nero passeggiare per strada faceva nascere dentro
lui la speranza che potesse trattarsi di Sirius.
-Maledizione!- esplose colpendo con violenza il pugno sull’asfalto,
ferendosi con il medesimo pezzo di vetro che prima aveva ospitato la sua
immagine.
Osservò, senza nessuna particolare espressione in volto, il sangue uscire
velocemente da quella nuova ferita. Non faceva male, non più.
Più niente l’avrebbe potuto ferire ormai, niente.
-Perché…-
Questa volta nella sua voce non vi era traccia di rabbia ma solo di
una dolorosa rassegnazione a quella che era la sua vita.
-Remus...- disse la voce di una giovane donna lì vicino -fermati, ti prego-
-Tonks, non posso vederlo così, io non…-
-Remus, ti prego fermati, non andare. Ha bisogno di starsene da solo- aggiunse
abbassando il tono di voce.
-NO, Tonks, maledizione, È SEMPRE SOLO!- urlò il licantropo con una nota di
rammarico e rabbia nella voce.
-Non può starsene da solo ad affrontare questo dolore. Non ancora- sussurrò
mentre la sua voce si spegneva come privata della linfa vitale che aveva reso
possibile lo sfogo di poco prima.
-Ma ...- cercò di ribattere lei, senza realmente trovare le parole adatte
per farlo
-Calma Tonks, Remus ha ragione- si intromise una voce profonda, ma allo
stesso tempo stanca, interrompendo così la protesta della giovane.
-Silente...-
-Ho sbagliato...ancora una volta- ammise il vecchio uomo con sguardo
assente.
-Ma Albus, cosa stai dicendo?- domandò confusa la McGranitt avanzando e
posizionandosi al lato del collega.
-La verità! Guardalo Minerva…tutta questa sofferenza non è altro che il
risultato delle mie sciocche convinzioni. Se non avessi detto niente ad Harry
di quello che stava succedendo lui non si sarebbe messo nei guai. Se non gli
avessi spiegato il vero motivo del suo legame con Voldemort lui non avrebbe
sofferto. Convinzioni… solo stupide e sciocche convinzioni- terminò con gli
occhi celesti serrati, come per dimenticare i propri errori e rispedirli nel
profondo della propria coscienza.
Un lungo e profondo sospiro ruppe il silenzio venutosi a creare dopo le
parole del preside.
-Inutile, è stato tutto inutile! Lui sta soffrendo come neanche Voldemort
stesso si meriterebbe mai di soffrire, e tutto questo per gli errori di un
vecchio sciocco-
-Albus, ma che…-
-Concordo con lei, per una volta- si intromise una voce seria alle loro
spalle.
Il preside si girò per guardare negli occhi il proprietario di
quell’affermazione.
-Penso che sia la prima volta in tutti questi anni- ammise Silente con una
voce stanca rivolgendosi al giovane ragazzo dinnanzi a se.
-Direi la prima dopo quest’anno-
-Direi di si- confermò il vecchio uomo portandosi stancamente una mano
davanti al volto.
-Harry- sussurrò il licantropo avvicinandosi al ragazzo
-Come stai?- domandò cercando di accarezzargli una guancia con il dorso
della mano.
Il ragazzo si ritrasse improvvisamente, come se quella mano appartenesse a
Voldemort stesso, spiazzando il giovane licantropo.
-L’hai visto anche tu come sto Remus- lo sfidò a negare il tutto guardandolo
con occhi pieni di sofferenza
-Eravate lì a godervi lo spettacolo- continuò osservando tutti i presenti- e
direi che concordi con me se la parola “bene” non rientra tra le mie attuali
condizioni- sbottò con un tono duro e freddo, che non avrebbe mai dovuto
solcare le labbra di un ragazzo così giovane.
Questa risposta ebbe l’effetto di una bomba nell’animo dei presenti.
Con un sorriso triste, mise le mani in tasca e si girò per ritornarsene a
casa.
-Harry, io….mi dispiace!- sussurrò il giovane uomo chiudendo per una
frazione di secondo gli occhi sperando che il ragazzo capisse il vero
significato di quelle parole.
-Lo so- ammise il moro, voltandosi per guardare in volto l’unico legame
ancora vivente con i suoi genitori e con Sirius -Anche a me- proseguì lasciando
scorrere sulla sua guancia l’unica lacrima che ebbe il coraggio di seguire le
altre.
Continuò lungo la sua strada fregandosene se faceva pena a tutti laggiù, se
lo compativano, se erano lì a dispiacersi per lui…non gli importava più nulla
oramai.
Entrò in casa sbattendo la porta dietro di sé, facendo finta di non sentire
le urla di zio Vernon che lo minacciava di morte per averla “chiusa molto
delicatamente”, o di sentire le urla isteriche di sua zia che malediceva il
giorno in cui l’avevano accolto nella loro casa, e fregandosene anche del fatto
che Edvige borbottava indignata per non aver ricevuto le dovute attenzioni.
Il suo sguardo si posò sulla scrivania stracolma di lettere dei suoi amici.
Non le aveva aperte.
Neanche una.
Non c’e ne era bisogno, sapeva esattamente il loro contenuto.
Tutte piene di parole di conforto, parole che volevano fargli comprendere
che non era colpa sua quello che era successo, parole che cercavano di farlo
sentire meglio senza però riuscirci.
Era stanco, stanco di tutta quella falsità, degli inganni, delle belle
parole portate via dal vento.
Era stanco della guerra, di Voldemort, della morte…
... della vita.
Era stanco di tutto.
Voleva cambiare, cambiare se stesso. Cambiare il mondo che lo
circondava, cambiare il presente, il passato e il futuro.
Se solo ne avesse avuto il potere, lo stesso potere che aveva Voldemort,
avrebbe cambiato tutto.
-Ridicolo- pensò con una punta di amarezza mista a divertimento.
Le sue labbra si distesero fino ad assumere una forma somigliante ad un
sorriso.
-Sto pensando come lui- considerò rivolto al buio della sua
stanza.
-Che diavolo sto facendo?- si chiese facendosi schifo da solo, piegando le
gambe al petto cercando di estraniarsi dal mondo intero, quel mondo che l’aveva
privato di tutte le persone a lui care.
-Sirius…- mormorò singhiozzando
-Quanto vorrei che fossi qui con me, non immagini quanto. Sentire la tua
voce, le tue parole di scherno per il mio stupido comportamento, i tuoi
rimproveri, la tua risata, la tua voce triste e felice allo stesso tempo quando
mi ricordi che sono uguale a mio padre…-
-Vorrei averti qui vicino a me- disse lasciando cadere una lacrima sul
cuscino ormai zuppo.
E con questi pensieri cadde nelle braccia di Morfeo, che lo cullarono e
tennero stretto incurante del fatto che le sue preghiere non erano state
lasciate cadere al vento.
-Fanny…-
Il strillo acuto e armonioso fece capire a Silente che la fenice aveva
compreso il suo compito, e vedendola sparire nel cielo stellato, trasse un
sospiro di sollievo.
I giorni seguenti passarono esattamente come tutti gli altri.
Quando non era in casa impegnato in qualche lavoro domestico affidatogli da
sua zia, era fuori che passeggiava per le strade di Privet Drive e
vicinato, sempre ovviamente tallonato da quelli dell’ordine che non lo
mollavano un attimo.
Svoltò l’angolo che portava a Magnolia Crescent, e con la coda dell’occhio
vide che qualcuno lo stava seguendo. Sicuramente Tonks visto che era appena
inciampata nella radice di un albero.
Sorrise pensando che quella ragazza in fondo non sarebbe mai cambiata, ma
dentro di sé si sentiva braccato, in gabbia come un animale.
Aveva sempre qualcuno che controllava le sue mosse.
Non ce la faceva più! e in più tutti i giorni era sempre la stessa
routine.
Quanto avrebbe desiderato che qualche Mangiamorte fosse venuto a fargli
visita, tanto per fare qualcosa di diverso, quanto avrebbe voluto che “LEI” gli
fosse venuta a far visita, avrebbe vendicato Sirius, e l’avrebbe fatta
soffrire, la stessa sofferenza che stava patendo lui in questo momento.
Gli occhi cominciarono ad inumidirsi dalla rabbia. Convincersi che la colpa
era di un po’ di polvere entratagli negli occhi non lo aiutava e soprattutto
non alleviava il dolore che la sua anima stava provando in quel momento. Ma
come sempre accade, quando vuoi qualcosa, mai che questa ti si presenti davanti
servita su un piatto d’argento.
Svoltò l’angolo dirigendosi al suo luogo di tortura preferito.
Non suo…
Oh no, ma di suo cugino e i suoi amichetti. Doveva pur sempre scaricare la
tensione in qualche modo.
Arrivato al parchetto di Magnolia Crescent, si sedette su una delle poche
altalene non ancora distrutte da suo cugino, dondolandosi leggermente.
La sua mente cominciò a ripercorrere gli avvenimenti di quelle ultime
settimane. La colpa per quello che era successo prese il sopravvento sulle sue
reali intenzioni .
Sirius…
Alzò lo sguardo dalle sue scarpe per poi posarlo dinnanzi a se. Aveva
sentito un leggero fruscio d’erba.
Pregò che fossero Dudley e i suoi scagnozzi, almeno avrebbe pensato ad
altro.
Avrebbe scaricato un po’ la tensione.
Ma non fu così.
Il suo sguardo si posò nell’immensa distesa di giaccio che era il colore di
quegli occhi che aveva davanti.
Occhi grandi e rotondi
Di un colore grigio con striature verde oltremare.
Un colore unico.
Non aveva mai visto una persona con degli occhi simili, anche se gli ricordavano
qualcosa, anzi, qualcuno.
-Ciao- fece la proprietaria degli occhi.
-Ciao- rispose Harry guardando la bambina dinnanzi a sé.
Era piccola, piccolissima, con dei capelli neri boccolosi che le arrivavano
a metà schiena, un visetto d’angelo ed un sorriso disarmante.
Rimase un attimo senza parole, non aveva mai visto una bambina cosi bella.
-Io mi chiamo Gahell, ( si legge come si scrive ) tu come ti chiami?- fece
la bimba risvegliandolo dai suoi pensieri e porgendogli la piccola manina
davanti al viso.
-Harry, piacere piccola -fece lui prendendogli la manina tra le sue e
facendole il baciamano.
La piccola rise soddisfatta dalla galanteria del ragazzo che aveva appena
conosciuto.
-Mi piaci sai- ammise schietta la bambina.
-Ne sono felice- ringraziò Harry, facendo nascere sul suo bel visino un
solare sorriso.
-Perché sei triste? -chiese lei sedendosi su un’ altalena di fianco la sua.
Harry la guardò un attimo in quei occhi profondi come a valutarne
l’affidabilità.
-Pensavo ad una persona- disse Harry ritornando con la mente a Sirius.
-Alla tua ragazza?- chiese la bimba guardandolo negli occhi con un espressione
semi-offesa
Ad Harry scappò un risata immaginandosi Sirius come la sua ragazza -Non
proprio piccola-
-A chi allora?- continuò non arrendendosi
-Ad una persona che per me è stata come un padre -
-E adesso questo tuo papà non c'è più, giusto?- domandò seria la bimba
-Già, non c'è più…- rispose abbassando lo sguardo e chiedendosi come mai
stesse parlando di questa cosa con una bambina che di certo non poteva capire
niente della situazione nella quale si trovava.
-Secondo me non sei solo -disse d’un tratto la bimba
Harry alzò lo sguardo confuso per fissare Gahell negli occhi.
-Tu ti senti solo in questo momento, senza di lui, ma non lo sei, fidati,
io lo sento. Sei circondato da amici, da persone che ti vogliono un mondo di
bene e che farebbero di tutto per te, se solo tu glie lo chiedessi-
Harry rimase colpito da quelle parole.
Come faceva una bambina sui 4 anni a sapere tutte queste cose di lui?
-Ma come...-cercò di dire, ma la bambina lo precedette.
-Io sono qui da appena cinque minuti e se solo tu me lo chiedessi farei
qualsiasi cosa per te- ammise con una strana luce negli occhi.
Harry era sempre più sbalordito da quello che sentiva.
-Te lo detto prima che mi piaci, no?- non aggiungendo altro, come se quello
che aveva appena detto dovesse di per sé, cancellare tutti i dubbi nella mente
del ragazzo.
La bambina scese dall’altalena, si sistemò la gonnellina e dopo aver
frugato in una delle tasche tirò fuori una specie di ciondolo.
-Chiudi gli occhi ti prego -fece riferendosi ad Harry
-Gahell io…-tentò di replicare il giovane intuendo quello che aveva in
mente la bambina.
-Ti prego, Harry- insistette lei con uno sguardo serio e da cuccioletto
allo stesso tempo.
Il ragazzo chiuse gli occhi sentendo poco dopo il leggero peso della
collanina adagiarsi sul petto.
-Questo te lo regalo -fece la piccola dopo avergli messo la collanina al
collo -Ne hai più bisogno tu di me-
-Piccola io non posso accettarlo- cercò di sottrarsi Harry una volta
riaperto gli occhi.
-Si che puoi- fece la piccola guardandolo testarda negli occhi -A me non
serve più ormai, e poi scommetto quello che vuoi, che un giorno me lo ridarai-
concluse enigmatica.
Harry non ci capiva più nulla. Quella bambina era una continua fonte di
sorprese.
-Okay, allora grazie –accettò infine Harry, scoccando un bacetto sulla
guancia della piccola la quale divenne tutta rossa.
-Harry?-
-Si?- Chiese lui rivolgendole ancora lo sguardo.
-Puoi chiudere ancora gli occhi? un secondo solo, ti prego..-
Harry sorrise divertito da quella bizzarra situazione.
Come risposta il ragazzo chiuse gli occhi in parte sorpreso e curioso da
questa nuova richiesta.
Sentì Gahell avvicinarsi e donargli un piccolo bacino sulla guancia
-Ci rivedremo un giorno, e quando questo succederà, me lo ridarai tu stesso
il ciondolo- e dopo averlo sfiorato di sfuggita scomparve da davanti il
ragazzo, non prima di aver sussurrato al vento poche parole.
Harry aprì gli occhi di colpo immergendo il suo sguardo nel deserto parco
giochi di fronte a sé.
-In che senso “come hai già fatto una volta?”-chiese ripetendo le
parole della piccola.
Ma di Gahell nemmeno l’ombra.
Si guardò intorno cercando quel piccolo uragano, ma niente. Pensò di aver
sognato, di essersi immaginato tutto, ma quando i suoi occhi si posarono sul
piccolo ciondolo al suo collo, ebbe la certezza che era stato tutto fuorché un
sogno.
Prese delicatamente in mano il ciondolo che sembrava fatto di cristallo al
tatto. Era di un grigio quasi trasparente con delle striature verdognole che
gli ricordarono gli occhi della bimba.
La forma era irregolare. Sembrava una goccia ma con l’estremità superiore
leggermente ricurva verso sinistra che scendeva verso il basso ricongiungendosi
con la rotondità dell’estremità inferiore.
Sulla parte liscia che poggiava sul petto, vi era una piccola scritta. Era molto
difficile decifrarne le parole, specialmente perché, dall’eleganza della
calligrafia, sembrava scritto quasi in un'altra lingua. Aguzzando la vista
riuscì a leggere una frase:
Alla mia unica ragione di vita.
Quando ti troverai alla fine ripensa a quand’eri all’inizio e la tua anima
non smetterà mai di vivere, così come la mia.
La frase era molto bella non c’era che dire.
Un po’ enigmatica, ma affascinante.
-Senza dubbio ha un significato nascosto, chissà quale- pensò
riguardando il ciondolo tra le sue mani.
Un sorriso sincero nacque sul suo volto. Il primo vero sorriso da quella
notte. Quella bimba doveva avergli fatto sicuramente qualcosa. Improvvisamente
il mondo non sembrava così brutto come qualche minuto prima.
Aveva con se un nuovo amuleto, un portafortuna perché no,e una nuova
speranza nel cuore che non tutto per lui era perduto, e rimuginando sulla
misteriosa frase del ciondolo percorse il vialetto di ritorno per tornarsene a
casa.
Stava giusto svoltando l’angolo, quando sentì diversi “CRACK” alle sue
spalle.
Si girò di colpo venendo letteralmente assalito da diversi membri
dell’Ordine.
Si trovò diverse bacchette puntate alla gola. Sbatté più volte le palpebre
cercando di mettere bene a fuoco la situazione dinnanzi a sé.
-Ok! O qui sono tutti pazzi o io sono uscito di senno -pensò
ironicamente. –Allora, ricapitolando: qui davanti a me ho Remus,Tonks, Moody
e altri quattro Auror che non ho mai visto in tutta la mia vita, che mi stanno
guardando come fossi un criminale e mi stanno puntando le bacchette alla gola.
Peggio di così non può andare- si disse.
-Chi sei? – lo aggredì Moody rincarando la spinta della bacchetta.
-Ok, come non detto!-
-Ma che stai dicendo?- fece Harry leggermente nervoso.
-Sono io, Harry! Chi diavolo dovrei essere?- sbottò alquanto seccato.
Ma guarda un po’ se adesso doveva dire anche chi fosse, questa situazione
era ridicola.
-Non mentirmi ragazzo. Ti ho chiesto chi sei- grugnì Moody sempre più
scontroso.
-S..State scherzando, vero?- fece Harry.
Non poteva credere all’assurdità
della situazione.
-Remus, ma che…?-ma non riuscì a terminare la frase che il buio prese il
soppravvento e si ritrovò svenuto al suolo con la sola consapevolezza che le
uniche persone di cui si fidava lo avevano appena schiantato.
***
-Gahell, allora gliel’hai dato vero?- Chiese una voce piuttosto ansiosa
-Si certo, solo...-
-Non preoccuparti, hai fatto la cosa migliore-
-Già, lo spero, ma…-
-Lui…com’era?-chiese la misteriosa voce.
-Lui...lui…O mio Dio, lui era ...vivo- terminò con un’immensa tristezza.
-Lo so piccola, lo so. Vedrai che se andrà tutto bene lo avremo ancora con
noi- cercò di rassicurarla -Non disperare- continuò la giovane voce maschile.
-Lo spero, lo spero con tutta me stessa- fece la bimba con una voce d’un
tratto più adulta rispetto a prima.
***
-Mio signore - disse una voce avvolta nell’oscurità -Ha sentito quello
che….-
-Ho sentito mio giovane amico– lo interruppe la strisciante voce di Lord
Voldemort guardando negli occhi il nuovo venuto.
-Ormai tutto è pronto. Il meccanismo si è messo in moto e nessuno potrà più
fermarlo ora-
Una risata diabolica risuonò nel silenzio racchiuso fra le mura dov’era la
dimora del Signore Oscuro.
-E quando sarà il momento, lui sarà qui, insieme a me, ad avere il potere,
la libertà e…l’immortalità- sentenziò, per poi sparire e lasciare il misterioso
uomo con un sorriso compiaciuto sulle labbra.