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Autore: Faffina    28/02/2013    12 recensioni
C'è Daniel che è sempre stato etero.
Scott è gay ma non lo sa nessuno.
Gabriel, bello e ricco, è deciso a vedere il mondo da solo.
Ely, dalle ciglia lunghe e dai lineamenti delicati rischia di sembrare ciò che non è.
Kyle è scappato da casa all'età di 15 anni e non sa nemmeno più da cosa sta fuggendo.
Cinque ragazzi che vogliono iniziare una nuova vita a New York. Quattro di loro nascondono un segreto.
Scappano spinti dal bisogno di stare soli, senza sapere che è proprio la cosa da cui fuggono.
Impareranno a conoscere sé stessi, la paura, l'odio, l'amore e il sesso, che a volte si nascondono dietro l'amicizia.
Quando Dan alzò lo sguardo, Scott aveva le lacrime agli occhi. Abbassò il viso sulla sua pizza per nasconderle. Un posto in cui sentirsi a casa. Non era ciò che cercavano tutti?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2

Non hai mai paura?

 

 

I'm not frightened of dying, anytime will do, I don't mind.
Why should I be frightened of dying?
There's no reason for it, you gotta go sometime.

The Great Gig in the Sky - Pink Floyd

 

 

Dan restò per un attimo sulle scale, perso nel suo stordimento. Era notte fonda e aveva mandato Ely, o Elijah, o come cavolo si chiamava, in giro per una città che non conosceva. Ripensò alla sua espressione gentile, a quei lineamenti delicati e venne assalito di nuovo dal senso di nausea. Come aveva potuto essere così cieco? Il rumore del portone che si chiudeva lo riportò alla realtà. Merda.
Mettendo da parte l'orgoglio e l'imbarazzo, e contemporaneamente maledicendosi, corse per le scale fino a raggiungere la strada buia. Afferrò il braccio di Ely un attimo prima che svoltasse l'angolo.
«A... Aspetta!» ansimò. «E' tardi per cercare un Bed and Breakfast, puoi restare, per stanotte.»
La tensione nel volto di Ely si allentò un po’, dopo un attimo di esitazione accettò l'offerta per la seconda volta quel giorno. «Va bene. Se va bene anche per te.»
Dan non lo sapeva se per lui andava bene, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Finalmente ruppe il silenzio imbarazzato che si era creato e si decise a chiedere «Quindi, riguardo al nostro equivoco. Ehm… tu sei... un ragazzo?» si sentì arrossire nel pronunciare quelle parole, lui che non arrossiva mai e che si divertiva a prendere in giro Scott quando gli succedeva.
Ely annuì mesto. «Già. Non ho mai cercato di sembrare qualcos'altro. Questo è ciò che sono. Mi dispiace che tu abbia frainteso.» Per la prima volta si fissarono e Dan rimase sorpreso di leggere nei suoi occhi uno sconforto ed una delusione pari almeno alla sua. Con una stretta al petto pensò che forse anche Ely si era illuso per qualche ora. Anche lui aveva percepito l'intesa immediata che c'era stata tra loro e si era concesso di sperare.
«Lo so, mi dispiace, ricominciamo da capo, ok?» mormorò Dan cercando di ignorare i sentimenti contrastanti di delusione ed ammirazione che ancora lo prendevano quando posava gli occhi sul suo viso.
Dopo un attimo di esitazione Ely gli prese la mano e la strinse.

 

* * *


Erano circa le sette del mattino quando un suono acuto interruppe il sonno di Scott. Telefono. Avrebbe sicuramente risposto sua madre, si girò sulla pancia senza darsi la pena di aprire gli occhi. Probabilmente fu la suoneria diversa da quella a cui era abituato o l'odore di pulito delle lenzuola nuove a fargli riprendere contatto con la realtà. Non era a casa, non c'era nessuna madre. E quel telefono non era il loro. Il trillo continuò con insistenza e Scott si diresse in corridoio lanciando un'occhiata alla porta chiusa di Dan da cui non proveniva nessun suono, aveva sempre avuto il sonno pesante.
Il telefono era dove lo ricordava: un apparecchio di foggia antiquata che si intravedeva appeso alla parete della cucina.
Attraversò il soggiorno scorgendo la sagoma immobile di Ely sul divano, tra mucchi di coperte. A quanto pare Dan non era l'unico ad avere il sonno pesante. Quel volto addormentato, con le labbra infantili socchiuse, le ciglia lunghe e i lineamenti ingentiliti dal sonno emanava un’aura di dolcezza quasi angelica. Con una punta di tristezza capì cosa ci trovasse Dan di così speciale. Si chiuse delicatamente la porta della cucina alle spalle e sollevò la cornetta.
«Pronto?» Mormorò esitante schiarendosi la gola. Sperò che il suo tono non sembrasse quello di qualcuno che era stato svegliato bruscamente dallo squillo del telefono.
Dall'altra parte del filo una voce femminile chiese «Abita lì signor Cooper? Gabriel Cooper.»
Scott si appoggiò alla parete «Sì, ma al momento non c'è. Tornerà tra qualche giorno.» E così si era trascinato giù dal letto solo per dire a un'ammiratrice di Gabriel che lui non c'era? La donna dall'altra parte sospirò e disse «Non credo proprio, Gabriel è in ospedale, è ricoverato al Presbyterian. Sono un'infermiera.»
Per un attimo a Scott si ghiacciò il sangue nelle vene ed il senso di déjà-vu sembro soffocarlo, respira, si disse, non conosceva neanche quel ragazzo, non l'aveva nemmeno mai visto, non poteva farsi prendere dal panico. «Che cosa gli è successo?» chiese in un sussurro.
«Ha avuto un incidente, ma preferirei parlargliene di persona. E' da ieri che provo a chiamare, ma non risponde nessuno e non aveva con sé nessun numero della sua famiglia. A proposito, lei chi è?» chiese l'infermiera.
«Io sono... sono un amico. Viviamo insieme. Cioè, siamo coinquilini.» Balbettò arrossendo, ma la donna sembrò non far caso al suo imbarazzo, gli diede l'indirizzo dell'ospedale e si raccomandò di portare qualche cambio di vestiti per il ricoverato.
Quando riappese, Scott si accorse di avere il respiro un po' accelerato, non gli aveva voluto dire nulla sulle sue condizioni, ma almeno era vivo. Ancora incredulo andò a svegliare Dan che si agitò nel letto per due minuti buoni prima di aprire gli occhi. Non aveva perso la sua abitudine di scalciare nel sonno. Quando erano a Pittsburgh gli era capitato di addormentarsi nello stesso letto, guardando la tv, ed ogni volta era stato svegliato dai calci di Dan. Un senso familiare di calore gli invase lo stomaco al pensiero di quelle serate; nonostante non riuscissero mai a scegliere un film che piacesse a entrambi non si erano mai annoiati. Bastava la vicinanza di Dan a scacciare i suoi incubi. Per un attimo ebbe voglia di rifugiarsi di nuovo sotto le coperte come un tempo, dimenticando l'angosciante telefonata. Ma poi gli tornarono in mente le parole dell'infermiera: non avevano trovato nessun numero da chiamare oltre a quello. Niente genitori, niente amici, niente ragazza. Proprio come nelle foto.
«Dan, sveglia amico, abbiamo un problema. Anzi, Gabriel ha un problema.»

Mentre facevano colazione con l'unica cosa commestibile presente in casa, le fette di pizza avanzata scaldata al microonde, Scott raccontò l'intera telefonata a Dan ed Ely. Decisero che loro due sarebbero andati all'ospedale, mentre Ely avrebbe iniziato a cercare un lavoro.
Prima di uscire rientrarono nella zona off limits, la camera di Gabriel, e scovarono un borsone da viaggio in un angolo. Vestiti in quantità erano ammucchiati sul letto, sulle sedie e persino sul pavimento, ma anche l'armadio era altrettanto pieno ed incasinato tanto da non sapere dove mettere le mani. Scott afferrò una manciata di magliette e le ficcò nella sacca cercando di non guardare il ragazzo che gli sorrideva dalle foto. Cosa gli era successo? Si sarebbe ripreso? Due paia di jeans e un pigiama in stile orientale raggiunsero le magliette.
Sul muro, seminascosto dalle foto, c’era un cartoncino azzurro scritto a mano in una calligrafia fluida ed ordinata.
 

Why should I be frightened of dying?
There's no reason for it, you gotta go sometime.

 

Perché avere paura della morte? Prima o poi te ne devi andare. Era un modo coraggioso di vedere la vita, pensò Scott, anche se un po’ inquietante. Ed ironicamente azzeccato rispetto al contesto. 

«Scott, hai fatto? Ho già chiamato il taxi.» Gli chiese Dan dalla porta scuotendolo dalle sue fantasticherie.
«Serve qualcosa di pesante.» Rispose. L'autunno a New York poteva essere freddo. Si accorse che nell'armadio mancavano completamente i vestiti pesanti. «Niente felpe, niente maglioni, niente cappotti. Sembra il guardaroba di qualcuno che vive ai tropici. Non ha mai passato un inverno in città?» mormorò.

Dan sparì in camera sua e ritornò dopo un attimo con un maglione blu che Scott conosceva, lo avevano comprato insieme dopo una mattinata passata a mangiare pop corn innaffiati di cioccolato fuso. Era incredibile come anche solo i vestiti di Dan gli riportassero alla mente immagini e ricordi. Si chiese se ci fosse qualcosa di lui, di loro che avesse dimenticato. Qualche dettaglio insignificante che era stato cancellato dalla memoria. Probabilmente no. Non c’erano mai stati dettagli insignificanti.
Aggiunse il maglione, che ancora sapeva di Dan, e lo spazzolino verde che aveva trovato nel bicchiere in bagno. Diedero appuntamento ad Ely per pranzo in un caffè che avevano visto il giorno prima e presero il taxi per l'ospedale.
Dan era taciturno e pensieroso, assorto dal panorama che sfilava oltre il finestrino, che fosse preoccupato per la sorte di Gabriel? Era sempre stato un tipo sensibile e altruista, ma lo conosceva abbastanza per immaginare che ci fosse dell'altro. Forse era già stato rifiutato da Ely. Aveva notato che i loro rapporti si erano un po' raffreddati rispetto al giorno prima.
Quasi in risposta ai suoi pensieri Dan si sfregò gli occhi stanchi e si voltò verso di lui. «Hai presente Ely?» Indovinato. Scott lo fissò in silenzio ed alzò le sopracciglia in attesa che continuasse.
«Ieri abbiamo avuto, come dire, un incontro ravvicinato.» proseguì. Sembrava in imbarazzo. Adesso era veramente curioso.
Dan abbassò la voce per non farsi sentire dal tassista «Lei... Cioè lui... Scommetto che sarà una sorpresa anche per te... Oh, cazzo, Ely è un ragazzo.» Balbettò, arrossì e poi lo buttò fuori tutto d'un fiato, come per togliersi un peso. Scott sgranò gli occhi incredulo. Aveva sentito bene? Effettivamente non aveva nulla di tipicamente femminile nell’aspetto. Erano stati i modi di fare aggraziati e la dolcezza che lo caratterizzava ad ingannarli. Bastava guardare la faccia di Dan per capire che non scherzava e che non trovava la cosa affatto divertente. Scott iniziò a ridacchiare senza riuscire a trattenersi, guadagnandosi un'occhiataccia.
«Si chiama Elijah.» borbottò Dan risentito. Questo scatenò altre risate da parte di Scott che ormai aveva le lacrime agli occhi. Adesso capiva perché l'amico non aveva mai avuto una ragazza. Non era in grado di distinguerle dai ragazzi. Si trattenne dal dirglielo sapendo che era un tasto delicato, ma avrebbe sfidato chiunque a non trovare comica la situazione.
La loro nuova vita a New York era iniziata in maniera tutt'altro che prevedibile, impossibile credere che fossero lì da meno di ventiquattro ore. Il pensiero di Gabriel raffreddò un po' la sua allegria, ma ormai erano in vista dell'ospedale e a breve l'avrebbero incontrato. L'infermiera aveva detto che aveva avuto un incidente senza specificare di che tipo. Si sarebbe aspettato un incidente di paracadutismo o qualcosa di simile, anche se in centro a New York era un po' improbabile.

L'interno del Presbyterian era simile a mille altri ospedali. Pali delle flebo trascinati in giro da uomini in vestaglia e pantofole e carrozzine cigolanti che si muovevano lentamente per i corridoi. Lo sguardo di Scott si soffermò sui volti emaciati, sulle braccia costellate dai lividi degli aghi. Scott non odiava gli ospedali, gli facevano solo paura, paura che un giorno avrebbe potuto ritrovarsi a fissare il soffitto di una di quelle stanze, con le stesse pantofole e gli stessi aghi. Sentì la mano di Dan stringergli una spalla e si accorse di avere il respiro affannato, incrociò il suo sguardo preoccupato e si sforzò di sorridere.
Erano giunti al reparto e Dan individuò un'infermiera giovane dall'aria gentile. La ragazza li accolse sorridendo, sul petto aveva appuntato un cartellino con il nome: Gill Smith. Era l'infermiera che Scott aveva sentito al telefono. «Sono felice che ci sia qualcuno con quel ragazzo, mi dispiaceva vederlo solo.» mormorò. «Ormai è fuori pericolo, ma se l'è vista brutta. Un automobilista l'ha investito e ha continuato senza nemmeno fermarsi. Credo stesse tornando dalle vacanze, perché quando l'hanno trovato aveva in spalla uno zaino da campeggio.»
Erano arrivati davanti alla stanza di Gabriel ed ancora non sapevano cosa aspettarsi, attraverso la porta aperta si intravedeva una stanza singola, un letto dalle lenzuola bianche tenute sollevate da un archetto. «Ha una gamba rotta, un bel po' di lividi e una commozione cerebrale. L'abbiamo dovuto operare alla gamba, è ancora sotto sedativi, ma credo che tra poco si sveglierà.» Li informò la ragazza. La mano appoggiata sul copriletto si mosse leggermente, quasi a voler confermare le sue parole e poi ricadde immobile.
L'infermiera li accompagnò nella stanza, probabilmente non c'era nient'altro che potesse dire per prepararli. Sul letto con le sponde, vicino alla finestra, una figura giaceva immobile. Scott si avvicinò per vederlo meglio, cercando di riconoscere in lui il ragazzo delle foto. Se si concentrava sulla parte sana del suo volto riusciva quasi ad immaginarlo. Sotto l'abbronzatura e i lividi appariva terribilmente pallido, aveva la fronte fasciata, uno zigomo gonfio e tumefatto e una ferita suturata sul sopracciglio. Sotto le coperte si indovinava la forma di un gesso. Almeno aveva ancora tutte e due le gambe.
«Si rimetterà completamente?» chiese Scott, mentre Gill sostituiva la flebo.
«Il dottore è ottimista. L'operazione alla gamba è andata bene e le cicatrici spariranno quasi del tutto. Vi lascio un po' soli con lui.» Gli indicò il campanello da suonare in caso di bisogno e se ne andò facendo dondolare la lunga coda di capelli biondi.
Rimasti soli Dan e Scott si guardarono incerti, erano venuti solo a portargli le sue cose e a sentire come stava, ma l'espressione sollevata dell'infermiera quando li aveva visti arrivare gli impediva di andarsene. Scott si voltò di nuovo verso il ragazzo disteso sul letto. «Ehi, Gabriel, se puoi sentirci, siamo i tuoi nuovi coinquilini, piacere di conoscerti.» si schiarì la voce, cercando il sostegno di Dan.
«Esatto, e farai bene a riprenderti in fretta se non vuoi che ti distruggiamo l'appartamento.» aggiunse l'amico.
Il viso di Gabriel era sempre immobile, ma l'infermiera aveva detto che era solo questione di tempo prima che si risvegliasse. Tempo che però sembrava non trascorrere mai. Scott prese ad aggirarsi nervosamente per la stanza, i suoni provenienti dal corridoio lo mettevano a disagio. Impallidì quando sentì un verso soffocato provenire dalla camera accanto. Dolore. Anche senza parole riuscivi sempre a riconoscerlo.
Guardò l'inconfondibile scenario di New York fuori dalla finestra, quella città sembrava sempre frenetica, anche a quell'ora del mattino. C'era quasi da sentirsi in colpa a starsene con le mani in mano.
Il cielo, prima azzurro, si stava lentamente coprendo, Dan seguì il suo sguardo e disse «Forse faremmo meglio ad andare, prima che piova.»
Scott tirò un sospiro di sollievo ed annuì, voltandosi per l'ultima volta verso Gabriel, che ora aveva un'espressione come di chi stesse facendo un brutto sogno.

Gill li raggiunse quasi correndo, mentre lasciavano il reparto, con gli zoccoli di gomma che risuonavano sul linoleum. «Ha aperto gli occhi!» Esclamò sorridendo sollevata. Scott la seguì nella stanza, nonostante si sentisse a disagio all'idea di conoscere qualcuno in quel modo. Forse avrebbero dovuto lasciargli il tempo di riprendersi.
Gabriel era nella stessa posizione in cui l'avevano lasciato e fissava il soffitto con occhi annebbiati. Mosse le labbra ma non ne uscì alcun suono, al secondo tentativo emise un gemito e la fronte si contrasse. Probabilmente stava soffrendo. Gill gli prese la mano e con parole rassicuranti gli spiegò dov'era. «Hai una gamba rotta, tesoro. Sei stato operato, se senti dolore stringimi la mano.» Le dita di Gabriel si chiusero intorno a quelle dell'infermiera. «Ok, non così forte! Ho capito, ti porto subito qualcosa.» e sparì nel corridoio.
Lo sguardo di Gabriel si posò su di loro, muti e immobili di fianco al letto, ed aggrottò le sopracciglia. «Chi siete?» mormorò con voce roca.
«Siamo i tuoi coinquilini, io sono Scott e lui è Daniel. L'infermiera ha chiamato a casa tua questa mattina, ti abbiamo portato una borsa con dei vestiti.» Rispose Scott, facendosi avanti con il borsone che gli pendeva da una spalla. Gli occhi verdi di Gabriel si soffermarono su di lui e Scott rivide la foto del ragazzo che si lanciava con il paracadute. Quello che non aveva paura di niente.
Nonostante il dolore, nello sguardo di Gabriel c'era una sorta di fierezza che lo colpì, qualcosa che gli diceva che si sarebbe ripreso e sarebbe tornato a lanciarsi con il paracadute e a fare bungee jumping.
«Grazie. Sono Gabriel. Di solito non ho questa voce e questo aspetto.» mormorò portandosi una mano alla gola. Gill, che nel frattempo era tornata, rise e spiegò che la gola era irritata a causa del tubo che gli avevano messo durante l'operazione.
«Sarà la prima cosa a tornare normale.» Lo rassicurò. «Per la gamba invece ci vorrà almeno un mese. Ti manderemo a casa appena starai un po' meglio, ma dovrai stare immobile per un po'. I tuoi amici si prenderanno cura di te. Adesso ti do un calmante per il dolore, è probabile che ti verrà sonno.» Aggiunse con una siringa un antidolorifico alla flebo e se ne andò di nuovo. Nella stanza era sceso un silenzio teso, se Gabriel era veramente solitario come sembrava, non avrebbe accettato l'aiuto da parte loro.
«Ti ricordi qualcosa dell'incidente? Abbiamo saputo che quel pazzo non si è nemmeno fermato.» Volle sapere Dan.
Gabriel sembrò riflettere, mentre i suoi occhi vagavano per la stanza «No, nulla. So solo che venivo dall'aeroporto, stavo tornando dal Vietnam.»
Dan emise un fischio. «Ti piace proprio viaggiare, eh? Abbiamo visto le foto in camera tua.»
Gabriel aggrottò le sopracciglia per un istante, poi si rilassò. «Ah, già, i vestiti. Ho sempre viaggiato, non potrei farne a meno.» disse con semplicità, poi sorrise. «Ho girato il mondo, fatto rafting nel Gran Canyon, volato in deltaplano e rischio di morire sotto una macchina a due passi da casa.» Gabriel rise e si portò una mano al petto con una smorfia. «L'infermiera ha parlato di costole rotte?» Scott scosse la testa incredulo, era quasi morto e riusciva a riderci sopra? Doveva essere l'effetto della morfina. Dopo poco le pause tra le parole di Gabriel si fecero sempre più lunghe, finché le sue palpebre non si chiusero definitivamente. Lasciarono il borsone con i vestiti di fianco al letto, salutarono Gill promettendole di tornare e uscirono dall'ospedale.

 

Una volta raggiunto il caffè, Scott scorse immediatamente Ely seduto ad uno dei tavolini all'esterno. Nonostante fosse a conoscenza della verità, ai suoi occhi manteneva un aspetto vagamente androgino. Muoveva le mani sottili in un'accesa discussione con un ragazzo seduto di fronte a lui e quando li riconobbe gli fece cenno di avvicinarsi. Il ragazzo si voltò incuriosito verso di loro, studiandoli con due penetranti occhi scuri. «Lui è Kyle, suona la chitarra.» disse Ely sorridendo in direzione del ragazzo seduto di fronte a lui. Kyle annuì e strinse loro le mani, indicando una custodia rigida appoggiata alla sua sedia. «Elijah ha detto bene. Io vivo di questo.» Sorrise ed il sorriso gli illuminò tutto volto. Doveva essere veramente bravo per riuscire a mantenersi solo suonando, ma non sembrava vivesse per strada. La maglietta a maniche corte era pulita e stirata e i lunghi capelli castani erano legati in una coda sulla nuca. Dimostrava diciannove anni circa. Nonostante la corporatura, l'accenno di barba sulle guance e la sigaretta che teneva tra le dita, sembrava un ragazzino costretto a crescere troppo in fretta.

 

 

 


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* Angolo dell'Autrice *

Ehilà, lasciatemi dire grazie, prima di tutto. Grazie alle splendide ragazze che mi hanno lasciato una recensione, alle 12 persone che hanno la storia tra le seguite, a chi ha letto il primo capitolo e a voi che siete qui dopo aver letto anche il secondo. Siete fantastici!

Vi avevo chiesto di dare una possibilità alla storia e voi gliel'avete data. ♥ Sono commossa!

Come vedete sono passata al POV di Scott per questo capitolo. Si alterneranno all'interno della storia, ma se notate delle stonature fatemelo notare, x favore :)

Siamo ancora agli inizi, la trama non ha ancora preso del tutto il via, mi dispiace tirarla tanto per le lunghe, ma non mi piacciono le cose fatte di fretta e volevo che aveste la possibilità di conoscere i personaggi. Vi presento Gabriel :) Povero tesoro, mi fa un po' pena per ora, ma è forte, si rimetterà. Avete intravisto anche Kyle, ma di lui ci occuperemo nel prossimo capitolo.
Credo che dal prossimo la trama prenderà il via. Come sempre non sono io a decidere cosa fargli fare, ma sono i personaggi che mi fanno scrivere ciò che vogliono. 

PS In questo capitolo ci sono anche io (non ho resistito dal fare una comparsata)... Ebbene sì, per Gill ho preso ispirazione da... me, quando sono in reparto! ^^

PPS la citazione stavolta è una canzone dei Pink Floyd :)

   
 
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