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Autore: sofcwrites    28/02/2013    2 recensioni
[...] I volti dei due si avvicinarono, sempre più piano, sempre più vicini. Un bacio lieve a fior di labbra li fuse insieme. Erano uno la metà dell’altro, non potevano fare a meno di quel contatto così appassionato e, nonostante tutto, virile. [...]
Parla di due ragazzi e del loro amore, i quali dovranno andare incontro alle difficoltà tra di loro e tra gli altri e, in seguito, ad essere accettati. Slash.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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PREMESSA=Ho usato alcuni termini giapponesi tipici del karate, quindi, se non li conoscete(chi vuoi che li conosca, poi?):
Mawashigheri: Tipo di calcio
Giakuzuki: Tipo di pugno
Yemen: Fine del combattimento
Per favore recensite, mi farebbe piacere, spero vi piaccia!





Il cuore gli batteva a mille, sembrava volesse uscire dal petto, liberarsi. Le gambe tremavano dall’agitazione, il viso si colorava di rosso. Tutto improvvisamente divenne caldo, gli venne voglia di togliere la maglia e rinfrescarsi ma se ne stette in piedi, ritto come un giunco. All’improvviso arriva il segnale: un fischio e qualche parola in giapponese che non si era mai sforzato di comprendere. Di lì in avanti sarebbero stati tre minuti di kumitè: combattimento libero.  L’adrenalina che gli scorreva nel sangue gli permise di focalizzare il suo avversario, ogni movimento, ogni respiro. Le gambe si muovevano veloci intorno, accerchiavano il ragazzo biondo che gli stava davanti; erano le finale, non si sarebbe permesso di sbagliare. Improvvisamente un mawashigheri gli si piazza in viso. L’arbitro fischia. Gli bastò una piccola recita per fingere dolore per guadagnare un altro punto. Mentre l’arbitro lo visitava, si accorse di essere in vantaggio. Si era estromesso a tal punto dal mondo esterno da non capacitarsi delle urla di incitamento del maestro e dei conoscenti, dei punti “segnati”, dei fischi dell’arbitro ad ogni punto, dei confabuli dei giudici. Dopo alcuni giakuzuki ben piazzati sentì l’urlo dell’arbitro estendersi per l’intera palestra, “yemen”: fine dell’incontro.

Fece il saluto e si diresse dal suo maestro che gli porgeva un asciugamano; solo a quel punto si rese conto di aver effettivamente vinto.

"Bravo Marco, sono fiero di te!"

La grande mano del maestro andò posandosi sulla schiena appiccicata e bagnata dal sudore. Il maestro la ritrasse con una stizza di disgusto, per ritrovarsi con una mano che avrebbe potuto attirare le mosche.   

A quel punto famigliari e amici lo circondarono complimentandosi. Ebbe un capogiro e si portò la mano alla testa, con una nota di nausea in viso: un’altra delle sue recite. Sua madre doveva aver capito che non si trovava a suo agio in quella situazione ed intervenne.


"Non è meglio che vai nello spogliatoio, a farti una doccia magari…"


Gli passò una mano sulla pelle sottolineando quanto sudore si era posato sulla sua pelle e facendo una faccia appena disgustata. Nessuno tranne Marco si accorse dell’occhiolino; recitare era un dono di famiglia.

---
 
Girò la manopola, se così si poteva chiamare, della doccia e afferrò l’asciugamano posato appena fuori, sulla panchina che antecedeva l’ingresso nel box della doccia. Se lo legò frettolosamente alla vita e ne prese un altro con cui asciugare i capelli. Uscì dalla stanza delle docce e si diresse nella camera principale dello spogliatoio, senza nemmeno vedere dove stesse andando. Alzò gli occhi appena in tempo per vedere Fabio. Un sorriso si dipinse tenue sul volto di entrambi, seguito subito da un abbraccio virile.

"Ce l'hai fatta, campione!"

"Sembra che stai parlando ad un cane"

Una risata fragorosa li avvolse. La mano di Fabio salì piano verso la chioma scura di Marco, il sorriso che si allargava. Prese ad accarezzargli leggermente i capelli.


"Mi sei mancato."

La mano che prima accarezzava i capelli si spostò sui pettorali, soffermandosi ostinatamente sui capezzoli. I volti dei due si avvicinarono, sempre più piano, sempre più vicini. Un bacio lieve a fior di labbra li fuse insieme. Erano uno la metà dell’altro, non potevano fare a meno di quel contatto così appassionato e, nonostante tutto, virile.

"Anche tu."

La stanza era vuota, tutti erano ormai casa, rimanevano solo loro due in un silenzio che sembrava infinito. Non era un silenzio imbarazzato ne un silenzio di chi non ha nulla da dire. Era il silenzio di chi si è detto tutto, le parole che non dicevano riempivano quel silenzio che tanto li metteva a loro agio. Un silenzio tanto netto che a loro sembrava assordante.

La porta si aprì all’improvviso e loro si staccarono prontamente. La madre di Marco fece irruzione.


"Neanche un grazie a chi ti ha salvato dagli altri, eh?"

"Grazie ma
’"

Lei si girò improvvisamente, e solo allora vide Fabio.


"Che ci fai qui? Un minuto fa eri dentro."

"Ero solo venuto a congratularmi col mio compagno…"

Non fece in tempo a finire la frase che Marco intervenne. "..di squadra! Compagno di squadra! Siamo un team!"

Fabio abbassò lo sguardo imbarazzato, dopo essersi reso conto di quello che aveva quasi rivelato. Il suo volto si colorò di rosso. La madre nel frattempo fece uno sguardo perplesso, questi due sono sempre più strani , pensò. Si volse verso l’uscita e li lasciò nel loro silenzio. Loro ripresero a parlare e, occasionalmente, si scambiarono qualche bacio.
   
 
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