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Autore: Smeralda Elesar    28/02/2013    3 recensioni
Questa fiction è una What-if incentrata sul personaggio dell'Ispettore Javert subito dopo la sua decisione di lasciare libero Jean Valjean, dopo che questi gli aveva salvato la vita alle barricate. Ne "les Miserables" il Libro Secondo della parte quinta si conclude con il suicidio dell'Ispettore di polizia, questa fiction è un ipotetico terzo libro in cui si racconta cosa avrebbe fatto Javert se le sue riflessioni non lo avessero spinto a gettarsi dal Ponte Notre Dame.
Dal testo-
Quando Valjean aveva detto “perdono” quella parola aveva vibrato dentro di lui in tutta la sua luce.
Proprio come quando una gelida lastra di vetro investita da un getto di acqua bollente si spacca in mille pezzi, così quella parte dell’animo di Javert che ancora resisteva al cambiamento, quella che era ancora severa e sorda alla pietà, a contatto con il calore umano di quella parola, si spezzò di schianto ed egli crollò su se stesso gemendo :-Ah! Sono un miserabile!-:
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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IV

Come una forte emozione rende pericolosi gli oggetti sul tavolo da toletta

 

Trascorsero ancora parecchi minuti di silenzio, minuti che noi impiegheremo per descrivere un po’ come era fatta la camera in cui si trovavano Jean Valjean e l’Ispettore Javert.

Era una di quelle stanze piccole, tuttavia la scarsa mobilia la faceva sembrare molto più spaziosa di quanto non fosse.

Difatti gli unici mobili erano il letto addossato alla parete, poco discosto da questo un tavolino da toletta molto semplice su cui era posato uno dei candelabri, e sotto la finestra uno scrittoio, messo in quella posizione per sfruttare il più possibile la luce del giorno o del lampione e fare così economia sulle candele.

In questo contesto i due rimasero per qualche tempo, i loro profili delineati dalla luce soffusa delle candele, finché Valjean non ritenne opportuno tentare di nuovo di convincere Javert che quell’ora della notte non era adatta agli interrogatori ed in generale a qualunque altra attività che non fosse il sonno.

 

:-Ispettore…?-:

 

Quello lo fermò con un gesto imperioso della mano, senza tuttavia osare alzare la testa.

 

:-Vi prego, Valjean… Ho bisogno di pensare-:

 

Eccome se aveva bisogno di pensare!

Alla fine aveva scoperto la verità su Valjean, ma a quale prezzo!

Ciò che prima gli sembrava solo un’enorme assurdità ora era reale e davanti a lui, ed era una verità che lo annientava.

Era vero, Valjean era stato un galeotto, ma allo stesso tempo aveva fatto del bene a tante persone e la Legge, perseguitandolo, si era dimostrata ottusa, iniqua e meschina, e quel che era peggio era che quella Legge era lui in persona, Javert!

Esaminando quanto il suo agire verso Valjean fosse stato ingiusto l’Ispettore si trovava a riesaminare tanti altri casi simili che gli erano passati per le mani, e si chiedeva quanti altri errori avesse commesso e quante altre vite avesse rovinato.

Il solo pensiero lo atterriva e lui non poteva fare altro che nascondere il viso tra le mani e tremare come in preda alla febbre o agli incubi.

Era perso in una sorta di vertigine in cui si sentiva perso e peggio ancora tradito.

Lui che aveva dedicato ogni singolo respiro a servire la Legge adesso scopriva che questa era una cosa fredda e crudele, e che tutta una vita passata ad essere irreprensibile non valeva un solo istante in cui Valjean gli aveva detto “andate”. Allora la sua vita aveva mai avuto un senso?

Sarebbe stato meglio che si fosse gettato nella Senna prima di arrivare a quella drammatica verità, o ancora meglio sarebbe stato non aver voluto interrogare Valjean.

La condizione di Javert era del tutto simile a quella di Adamo quando, dopo aver insistito per   mangiare il frutto della conoscenza, scoprì la propria nudità e ne ebbe vergogna.

D’improvviso si alzò con uno scatto.

 

:-Devo andarmene da qui!-:

 

Esclamò con una voce che pareva uscire dall’oltretomba.

Valjean si alzò anche lui e gli si mise di fronte.

Aveva imparato a riconoscere i moti del cuore umano, e certo aveva intuito senza che Javert ne facesse parola quale profondo turbamento stava attraversando l’Ispettore e quali potevano essere le sue intenzioni.

 

:-Andarvene? E dove volete andare?-:

 

Non ebbe risposta, allora lo afferrò per le spalle per scuoterlo da quello stato di trance.

Alle volte un uomo agisce d’istinto sicuro di provocare una certa reazione e credendo di fare del bene, e invece ottiene una reazione completamente opposta che ha conseguenze negative.

Valjean con il suo gesto aveva inteso rassicurare l’Ispettore, come a fargli sentire che voleva aiutarlo, invece Javert a quel contatto trasalì ed il suo stato di terrore si fece più forte.

Nel suo delirio gli sembrava di essere sospeso su di un abisso e che quelle mani forti che gli stringevano le spalle fossero pronte tanto a trarlo in salvo verso la luce quanto a scaraventarlo nell’inferno.

Si divincolò con un grido e per tenersi in piedi si addossò alla parete.

C’era, lì vicino, un tavolino da toletta e su di esso pochi oggetti, tra cui un rasoio; su quello si fissò lo sguardo dell’ispettore come se non vedesse altro al mondo che quella lama.

 

“Che ho fatto? Mio Dio, che cosa ho fatto?”

 

Con un gesto disperato afferrò il rasoio e, apertolo con uno scatto, se lo premette sulla gola.

Era uno spettacolo terribile a vedersi: pallido, scarmigliato, con occhi ardenti e spalancati e quella lama affilata premuta sulla giugulare da una mano tremante.

Tuttavia sentiva che non era suo diritto decidere di togliersi la vita: poiché aveva offeso un uomo solo a quell’uomo spettava decidere del suo destino, proprio come era successo tanti anni prima a Montreuil.

 

:-Una parola, Valjean!-:

 

Gridò sconvolto.

 

:-Buon Dio, Javert, cosa fate?-:

 

Valjean si slanciò in avanti per togliergli il rasoio dalle mani, ma dovette  fermarsi perché Javert aveva premuto di più la lama come una minaccia.

 

:-Javert, posate quel rasoio-:

 

Gli disse cercando di essere allo stesso tempo autoritario e rassicurante.

Javert scosse la testa e quel movimento portò la lama ad incidere la pelle sotto il mento.

 

:-Una parola! Monsieur Valjean, dite solo una parola!-:

 

Pretese ancora Javert con un accento di feroce disperazione.

Valjean si passò una mano sulla fronte senza sapere che fare. Gli sembrava che Javert gli stesse dicendo “Dite una parola ed io sarò salvato” ed allo stesso tempo “Dite una parola ed io mi ucciderò qui davanti a voi”

Intanto lungo la lama aveva cominciato a scorrere una goccia di sangue.

 

:-Una parola… Valjean… nient’altro che… una parola. Vi  scongiuro-:

 

Rantolò Javert allo stremo delle forze.

Jean Valjean vide il sangue ed inorridì. Era colpa sua: sapeva che quell’atteggiamento di Javert era dovuto alla sua ossessione per lui, ed in definitiva lui aveva rovinato la vita a Javert non meno di quanto l’ispettore di polizia l’avesse rovinata a lui.

Ma non era mai stata questa la sua intenzione!

 

:-Ah, Javert! Perdono!-:

 

Esclamò.

Perdono!

Quella parola scoppiò nella piccola stanza ed ebbe sull’Ispettore lo stesso effetto di una fucilata.

Per pochi attimi rimase immobile, poi, lentamente, la mano che stringeva il rasoio si allentò e questo scivolò a terra conficcandosi nelle assi del pavimento con un tonfo sordo.

Stavolta Valjean fu svelto a prenderlo e a lanciarlo dall’altro capo della stanza.

Javert intanto era scivolato lungo la parete e poi in ginocchio sul pavimento.

 

:-Perdono… avete detto…-:

 

Disse come parlando in sogno.

 

:-Io vi ho braccato come un animale mentre tutto quello che voi facevate era aiutare le persone. Anche me avete aiutato, mi avete salvato la vita… ed io ancora una volta, stolto, cieco, non ho capito chi avevo davanti-:

 

I suoi occhi smarriti erano fissi sul vuoto e si tormentava le mani.

Valjean si inginocchiò a sua volta davanti a lui.

 

:-Via, Javert, tutto questo appartiene al passato ormai-:

 

Gli disse con tono paterno, ma l’ispettore pareva non udire.

 

:-E dopo quello che vi ho fatto… perdono!-:

 

L’Ispettore ebbe un sussulto come se si fosse svegliato in quel momento.

La verità è che, poiché il suo animo non aveva mai avuto esperienza di un affetto qualsiasi, non riusciva neanche a concepire l’assoluta grandezza del perdono, ma poi, a partire da quando Valjean gli aveva salvato la vita e poi ascoltando la storia dell’argenteria del vescovo, aveva iniziato a comprendere.

E quando Valjean aveva detto “perdono” quella parola aveva vibrato dentro di lui in tutta la sua luce.

Proprio come quando una gelida lastra di vetro viene investita da un getto di acqua bollente ed  istantaneamente si spacca in mille pezzi, così quella parte dell’animo di Javert che ancora resisteva al cambiamento, quella che era ancora dura, severa e sorda alla pietà, a contatto con il calore umano di quella parola, si spezzò di schianto ed egli crollò su se stesso gemendo :-Ah! Sono un miserabile!-:

 

 

Cantuccio dell’Autore

 

Giuro che non sono una sadica (anche se da come ho maltrattato Javert in questo capitolo potrebbe sembrare) è solo che i canoni della letteratura ottocentesca richiedono appunto situazioni tragiche e stati d’animo estremi.

Ne approfitto per ringraziare chi ha letto fino qui (almeno quelli che sono sopravvissuti e non sono corsi a cercare un ponte da cui gettarsi) e grazie anche a Ginevra Eneri per aver messo la storia tra le preferite.

 

 

 

   
 
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