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Autore: Elisir86    28/02/2013    1 recensioni
Questa fanfic era nata per il contest: "Pesca una foto di Joel Robinson" ma visto che non sono riuscita a consegnare in tempo ho deciso di postarla.
“Perdonami...”
Uno strattone violento e la stoffa scivola tra le sue mani.
Uno strattone violento e lui gli volta le spalle.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Colin Canon, Dennis Canon, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Perché Lei è mio Fratello

 

"Non mi lasciare!" la voce è alta, stridula, spaventata. Dannatamente reale, in quel fracasso che li circonda.

Le sue mani stringono un mantello nero con una forza che non sapeva di avere.

Il viso contratto dalla disperazione e le lacrime che gli solcano il viso sono imploranti.

Io lo devo fare...” la voce è un sussurro incerto nel frastuono, sembra quasi fittizia. E un viso simile al suo si accosta di poco, “Perdonami...”

Uno strattone violento e la stoffa scivola tra le sue mani.

Uno strattone violento e lui gli volta le spalle.

Qualcosa esplode nel suo petto, come una fiammata gelida che lo costringe a respirare più aria possibile. Stringe le mani a pugno e piange ancor più disperatamente.

Non lo fare! Non lo fare!” e batte i piedi con violenza sul terreno come un bambino di tre anni.

Lo vede girarsi, guardarlo incredulo.

Non andare! Non farlo!” urla e gli studenti che li circondano li guardano con occhi sgranati mentre scappano da quel posto...da quella scuola.

Non puoi! Non devi!” e non sa nemmeno lui perché ripete le stesse cose, non riesce a dire altro.

Poi lo sente, un rumore assordante, forte e perfino caldo. Fa perfino male. E nel momento che realizza di aver ricevuto uno schiaffo spalanca gli occhi.

Ora basta, Dennis. Vai con gli altri ragazzi.” la voce è calma e autoritaria, così simile a quella di loro padre quando combinano qualcosa di sbagliato.

Ma lui lo sa, chi sbaglia è suo fratello.

Con forza rialza lo sguardo e urla, urla con tutto il fiato che ha in gola. Urla finché la gola non gli fa male.

Urla anche quando lo sguardo sgranato di suo fratello diventa triste.

E non smette nemmeno per sentire cosa gli sta dicendo. Chiude gli occhi e si tappa le orecchie, non vuole sentire scuse.

Non vuole che la voce di Colin gli dica che sembra un moccioso.

E continua a urlare come un ossesso anche quando l'altro gli gira di nuovo le spalle e sparisce tra la folla.

Urla, pesta i piedi, si conficca le unghie nella carne.

Ma nulla sembra far tornare indietro suo fratello.

 

Dennis si ritrova affannato nel suo letto. Il lenzuolo di lino attorcigliato intorno alle sue gambe e la canottiera completamente imbrattata di sudore.

Si porta una mano sul viso spostando lievemente la lunga frangetta, la fa scendere lenta lungo il collo, gli sembra di aver urlato per anni.

Scosta con le gambe l'impiccio del tessuto e si mette seduto. Le braccia che penzolano sulle ginocchia e lo sguardo fisso sui pollici che si muovono lenti.

Ha la pelle abbronzata e un paio di tatuaggi. Uno di quelli è sul piede sinistro e fa quasi ridere vedere una pellicola che dalla caviglia si attorciglia fino a giungere al pollice. Farlo è stato lungo e doloroso, soprattutto sotto la pianta del piede. Aveva zoppicato per un'intera settimana e suo padre aveva sbuffato sonoramente quando aveva ricevuto la notizia che si era “fatto marchiare come le vacche”.

Era il sedici luglio del 2001 e lui aveva voluto festeggiare il compleanno di suo fratello a modo suo.

Dennis ora osservava quell'immagine e si domandava perché quella notte Colin era tornato a tormentarlo.

Erano anni che non lo sognava...

...Che non sognava quella maledetta notte e il loro ultimo incontro.

Smise di muovere i pollici, improvvisamente aveva sete.

Sospirò.

Per alcuni minuti stette fermo, indeciso se scendere in cucina e prendersi un bicchiere d'acqua o restare lì ad aspettare l'alba.

Infine la gola secca e dolorante lo fece alzare.

 

Dennis!” la sagoma di una donna si avvicinò a lui, “Dennis, vieni con me un momento.” e finalmente riuscì a distinguere in quell'anziana con i capelli spettinati e i vestiti lacerati la professoressa McGonagall.

Il viso contrito e non gioioso, come se la vittoria di Harry Potter non fosse stata un motivo di gioia.

E mentre la seguiva il suo sorriso scemò.

Dennis, c'è una cosa che ti devo dire.” iniziò una volta allontanatesi dalla calca. E lui non era sicuro di voler sapere “Non è semplice per me, mi rit...”

Non lo dica!” esclamò lui “Non parli!” e si mise ancora una volta le mani sulle orecchie. Non voleva sapere.

 

Lo specchio posto vicino all'entrata lo bloccò.

Indossava un paio di boxer blu e una canottiera giallastra per via dei troppi lavaggi. Teneva tra le mani un bicchiere ormai vuoto e gli sembrava strano vedersi così con la luce della luna che entrava dalla finestra del soggiorno.

Il suo sguardo si fissò sul tatuaggio sulla spalla destra, ritraeva lo stemma di Gryffindor. A sua padre non piaceva vedere quel scarabocchio, ma lui aveva voluto qualcosa che gli ricordasse Hogwarts.

Che gli ricordasse ciò che era stato e che poteva essere.

Poi la vide. Era postata sulla credenza semi nascosta dalle foto di Colin.

Si girò come un automa e la guardò con occhi sgranati. Rifletteva i raggi si luna come a voler richiamare l'attenzione su di se.

Lentamente raggiunse il lato opposto e con dita tremanti la sfiorò.

Un idea gli balenò nella mente e non riuscì a trovare né una motivazione né la voglia di non realizzarla.

 

Le mani grandi, ruvide, ma stranamente delicate si posarono sulle sue. La professoressa si accucciò un poco e lo stava fissando con gli occhi carichi di dolore e lacrime.

E lui sapeva cosa lei stava per dirgli, ma finché quelle parole non fossero state pronunciate poteva credere che non era vero...Che Colin era sano e salvo a casa.

Dennis...” mormorò “...Tuo fratello è...” e lui voleva ancora tapparsi le orecchie e urlare, ma la voce tremola della donna lo bloccava. Così quando disse quella parola tutto divenne reale e chiaro.

Suo fratello non c'era più.

 

La prima cosa che Galen notò quella mattina, fu l'assenza di suo figlio Dennis in cucina. Di solito si svegliava per primo, preparava il caffè e si sedeva in modo scomposto sulla sedia che dondolava pericolosamente. Le spalle scoperte e quel orribile leone ben in vista, e secondo a Galen era un modo per vendicarsi per il fatto di averlo tolto da quella scuola. Ma lui non era riuscito a sopportare la perdita del suo primogenito e aveva dato la colpa alla magia. Si era ripetuto fino all'esaurimento che poteva succedere di nuovo e che avrebbe perso anche Dennis.

Quella mattina però non c'era ne il provocatorio leone ne l'aroma del caffè.

E mentre stava tentando di capire dove sua moglie avesse messo la preziosa miscela vide la seconda cosa che non ordinaria della giornata.

Attraverso l'unica finestra che stava in cucina vide una gigantesca macchia rossa e nera. Stava nel bel mezzo del suo campo di grano.

Spalancò le ante e allungò il collo, e quel che vide gli fece bloccare il fiato.

 

Piange. Urla.

Sta tra le braccia di quella donna, che era una professoressa.

E vorrebbe che anche lei piangesse disperata come lui, e vorrebbe che tutti urlassero come lui.

Ma accanto a lui ci sta solo un attonito silenzio.

Piange perfino quando sua madre arriva, trafelata con i capelli scompigliati e gli occhi gonfi e rossi.

Urla quando lei lo abbraccia, “Io gli ho detto di non farlo!”

Dennis piange e urla per tutto il giorno.

Per tutta la settimana.

Per un intero mese.

Per un interminabile anno.

 

Galen iniziò a correre verso l'enorme oggetto e più si avvicinava più riusciva a distinguere i particolari.:

L'obbiettivo che sfavillava alla luce del sole appena sorto, il rosso lucente della superficie e perfino dei graffi quasi impercettibili.

Si arrestò all'improvviso vedendo una persona seduta in alto, con le gambe incrociate. E gli parve che fosse il suo primogenito.

Fece un passo avanti, seguito da un altro, e un altro e altri cinque, dieci, venti passi.

Arrivò a sfiorare con la mano l'oggetto che era appartenuto a Colin, lui stesso glielo aveva regalato.

Poi la sentì.

La voce del suo secondo figlio.

“Pensavo che non ci sarei riuscito. Era da tanto che non facevo una magia e credevo di non poter fare un solo incantesimo.”

Galen alzò lo sguardo per incrociare quello di Dennis. Era calmo e sereno.

“Sai, papà, erano anni che non sognavo Colin. Non so perché, ma avevo smesso di guardare quelle fotografie in salotto e piano, piano era sparito. Forse non volevo più soffrire... E non capisco come oggi, dopo tanto, lui mi sia ritornato alla mente...”

L'uomo non smise di osservare il figlio, mentre gli stava aprendo il cuore, a distanza di cinque anni, Dennis gli parlava, e non di lavoro.

Semplicemente parlava.

“Però non mi dispiace. E guarda cosa ho fatto!” rise portandosi la mano tra i capelli.

Galen abbassò lo sguardo e accarezzò la superficie liscia della macchina fotografica, “Perché l'hai fatto?”

Dennis rimase un momento in silenzio, allungò le gambe e mosse i pollici dei piedi come a volerli sgranchire.

“Perché Lei è mio Fratello."

  
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