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Autore: HappyCloud    01/03/2013    2 recensioni
Reparto ortofrutta di un supermercato qualunque all'ora di pranzo: pochi clienti, corsie semideserte, nessuna coda alle casse.
Lui è in ritardo, ha ventun minuti per fare la spesa, portarla a casa e tornare in ufficio.
Lei deve correre al suo appartamento per preparare una cena e tentare di salvare un matrimonio altrui già finito.
Entrambi non hanno tempo da perdere, ma tra un triplice ferimento, importanti scelte da fare e prodotti da contendersi, il corso della loro giornata potrebbe cambiare. E pure l'umore!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ronzii – Parte II.
 
Aveva sottovalutato la storia del burlesque. Prima di tutto, aveva speso oltre cento euro di biancheria intima; secondo, aveva decisamente sopravvalutato le sue capacità atletiche. Perché le ballerine del Moulin Rouge erano in grado di alzare la gamba fino alla testa, ma lei, Azzurra, rischiava uno stiramento o addirittura uno strappo muscolare. A questo poi, si aggiungeva il fatto che, nonostante fossero le due del pomeriggio di lunedì 17 Dicembre, Achille non aveva ancora risposto al messaggio della sera precedente. Lei aveva saltato il pranzo per andare al centro commerciale, rimandato gli impegni di lavoro con la scusa di dover apportare delle modifiche ad un progetto in realtà già concluso e lui non riusciva a trovare trenta secondi per rispondere ad un sms. Doveva cercare una posizione del Kamasutra abbastanza dolorosa da farlo pentire dei suoi peccati.
 
Dall’altra parte della città, in un bar del centro poco distante dalla filiale della banca, Achille era seduto davanti ad un’insalata triste e quasi intatta. La serata precedente era stata più movimentata e frenetica del previsto. Trascorrerla con Chantal lo aveva lasciato stordito e non gli andava di ascoltare le chiacchiere di Brambilla, soprattutto non durante la pausa.
Ricordava di non aver ancora dato una risposta ad Azzurra, ma con tutto quello che era successo il giorno prima, non sapeva onestamente cosa dirle. Digitò veloce un messaggio, prima di abbandonare il pranzo e  tornare a lavoro.
- Ci sarò.
 
I semafori sembravano essersi messi tutti d’accordo: l’avevano costretto a fermarsi a quelle che, nello stato d’agitazione in cui si trovava, parevano un miliardo di volte. Achille guardò il mazzo di ranuncoli bianchi che aveva appoggiato sul sedile accanto al suo. I fiori erano un gesto sincero, forse patetico, forse dovuto dal senso di colpa. Pensò all’opportunità di ritornarsene a casa, ma non poteva fare questo ad Azzurra. Non lo meritava.
Parcheggiò la macchina sotto il suo condominio e prese le scale. Arrivò di slancio davanti alla porta rossa della mansarda e bussò immediatamente. Doveva dirglielo subito.
Azzurra gli aprì e la bocca di Achille si sigillò.
Era in vestaglia, i capelli che solitamente portava liscissimi erano un po’ arricciati, aveva un trucco pesante sugli occhi e degli inspiegabili sandali neri dal tacco vertiginoso. Non capì se la testa di lei appoggiata sulla porta fosse un modo per sedurlo, per mostrargli gli imponenti orecchini luccicanti o soltanto per tenersi in piedi su quei trampoli.
- Finalmente! – sussurrò lei.
Lo prese per il colletto della camicia e lo trascinò con sé all’interno della casa, chiudendo la porta con il tacco della scarpa – per quello non era stata necessaria Dita, era bastato guardare una puntata de I menu di Benedetta e sostituire il forno con la porta.
- Azzurra, dovremmo parlare… – provò Achille, ma lei lo zittì.
- Parlare? Non era esattamente quello che avevo in mente…
Spalancò la vestaglia nera in pura seta e gli mostrò ciò che indossava. Il mazzo di ranuncoli precipitò sul parquet, alla vista di un babydoll viola scuro dalla profonda scollatura stretta e verticale, tagliato sotto il seno da una cintura di corallini, con una balza in fondo e degli strass sugli spallini. Il look era completato da un brasiliano dello stesso colore e dallo smalto nero sulle unghie.
- Oh, okay, beh… accidenti… i-io no-non me l’aspettavo. – Lui arrossì, colpito da un’improvvisa crisi di balbuzie.
- Ti dispiace?
Azzurra, con un movimento secco del capo, cercò di scansarsi i capelli dietro la spalla, tentando di riprodurre il fare da panterona consumata che aveva provato davanti allo specchio. Il risultato fu un suono gutturale che fece aggrottare la fronte di Achille, il quale la guardava tra il famelico per il vestiario succinto e il sorpreso per quell’inedito comportamento da femme fatale.
- Ce-certo che no.
Non sapeva bene perché, ma cominciava ad avere paura. Azzurra lo prese per mano e lo condusse fino al divano. Lo spinse affinché lui si sedesse con un tonfo sul cuscino. Lasciò che la vestaglia le scivolasse sulle spalle e le braccia, prima di cadere sul tappeto. Gli si mise a cavalcioni, cercando di baciarlo sul collo. Achille alzò di scatto la testa, che cozzò con il mento della ragazza.
 
- Ahia, cavolo! Mi sono morsa la lingua! – piagnucolò. – Scusa, Trent, scusa!
 Non farti distrarre, Azzurra. Puoi farcela anche con la lingua dolorante.
- Non importa, piccolo. – Gli disse seducente.
Piccolo? Che cavolo le era preso? Si stava palesemente facendo prendere troppo la mano. Per riconcentrarsi, Azzurra gli tolse, non senza una certa difficoltà, il maglione; la maglietta gli rimase incastrata in quei dannati riccioli e lei dovette dare uno strattone per liberarlo. Quasi cadde all’indietro e solo i riflessi pronti di lui le impedirono di rovinare sul pavimento a gambe all’aria.
Si ritrovarono improvvisamente vicini, sul bordo del divano, lui a torso nudo, lei con quel babydoll striminzito. Gli puntò un indice tra i pettorali e lo fece indietreggiare, di modo che la sua schiena aderisse alla seduta del sofà. Si chinò a baciarlo sulle labbra, gli spalancò le braccia perpendicolarmente al corpo e cominciò a tracciargli una scia con la lingua sulla pelle, dalla gola fino a… più in giù, insomma. Abbassò le mani fino ad afferrare la cintura dei suoi pantaloni. Si alzò in piedi e poi s’inginocchiò davanti a lui.
 
- Abiti ancora in via Matteotti?
- Già.
- Ti ricordi quella panetteria sotto casa tua dove compravamo i maritozzi? Li mangiavamo sempre dopo aver fatto l’amore.
- Secoli fa.
- Mi manchi, Achille.
 
Achille guardò per qualche secondo il soffitto, respirando rumorosamente. Non aveva idea di cosa lei avesse in mente. O meglio, lo sapeva fin troppo bene, così come sapeva bene che non voleva che la prima volta con Azzurra fosse… così. Soprattutto non dopo quello che era successo la sera precedente con Chantal. Afferrò con le mani il bordo superiore dello schienale del divano e lo strinse forte.
 
- È tardi, ormai.
- È solo mezzanotte e un quarto…
- Intendo dire che è tardi per noi.
- Dimmi che non mi vuoi.
 
Più o meno inavvertitamente, iniziò a pensare alla professoressa Savarese, all’abbigliamento di Ingrid, il donnone tedesco della banca, persino al chihuahua di quest’ultima… avrebbe pensato a qualsiasi cosa, perché era più facile cercare di domare un’imminentissima erezione, piuttosto che chiedere esplicitamente ad Azzurra di non fare quello che lei si era così magnanimamente offerta di fare. E che cazzo, è contro natura chiedere ad una donna di non farti un pompino!
Achille, non puoi.
 
- Non sei sposato, non sei nemmeno fidanzato… non hai alcun obbligo nei suoi confronti. Nessun legame è per sempre.
- Questo me l’ha insegnato tu.
- Solo stanotte. Resta con me.
 
La mano di lei era già ben oltre il limite del punto di non ritorno, quando lui finalmente si decise a fermarla.
- Aspetta, Azzurra, aspetta.
 
La prese per le braccia, la fece alzare, ma lei non aveva intenzione di mollare. Non aveva passato dieci ore al computer per documentarsi su come sedurre un uomo per farsi rifiutare al primo tentativo. Diamine, poteva non avere il fisico di Bar Rafaeli o il sex appeal di Charlize Theron e, d’accordo, non aveva neppure il bicchiere da champagne gigante di Dita Von Teese, ma di certo non era la figlia di Fantozzi! Perciò, che Achille non facesse troppe rimostranze, perché quella sera aveva intenzione di stenderlo.
Lo fece alzare a sua volta, lo abbracciò e lo baciò, un secondo prima di cadere a peso morto sul divano, trascinandoselo addosso.
 
Savarese, chihuahua, Ingrid, Moira Orfei, spiaggia di vecchie nudiste, Savarese, chihuahua, clown, i clown! Quelli funzionavano sempre!
Achille continuava a ripeterlo all’infinito, nonostante fosse nell’unico posto in cui da settimane sperava di trovarsi. La desiderava e lei era calda e morbida sotto di lui. Era come l’aveva sempre creduta. Ma non poteva, non in quel modo, non era giusto per lei, né per lui.
Era incredibilmente difficile pensare a pagliacci e ad anziani svestiti, guardando Azzurra strusciarsi contro di lui. Senza preavviso, gli infilò una mano nei boxer.
 Sussultarono entrambi, per ragioni diverse.
 
- Vuoi dirmi che non sarei dovuta tornare da te?
- No. Sono contento tu sia qua... 
 
Achille stava per cedere, quella tortura stava mettendo a dura prova i suoi nervi e non riusciva proprio a ragionare, con le mani di lei nei pantaloni: il sangue stava affluendo dal cervello verso altri lidi.
 
Azzurra ritrasse subito le dita, il secondo in cui realizzò la calma piatta – ma proprio piatta – che regnava nel bassoventre del riccio. Non si aspettava certo che l’albero maestro fosse già bello e pronto per navigare nei suoi mari, ma insomma, era mezza nuda, lo aveva toccato, palpato, strizzato, baciato, leccato… si era persino inginocchiata davanti a lui e non di sicuro per pregare insieme! E, in tutto questo, lui l’aveva scoraggiata, dissuasa e le risposte che le aveva dato lasciavano molto a desiderare… era evidente: Achille non la voleva da quel punto di vista, o magari addirittura da ogni punto di vista. Lui voleva la fottuta ciambella francese.
Se lo scansò di dosso, raccolse la vestaglia da terra e la rinfilò.
- Credo dovresti andare, ora, – gli disse sconsolata.
Lui la guardò senza capire.
- Cosa? Perché?
Il sangue doveva essersi fermato dalle parti dello stomaco, a metà strada tra la testa e l’inguine, perché le funzioni cerebrali e quelle genitali erano in grossa difficoltà, ma, in compenso, ad Achille era venuta una certa fame. Però Azzurra non stava scherzando.
Non glielo aveva nemmeno detto e lei già lo stava mandando via? Oddio, mica sapeva leggere nel pensiero, vero?
- Buon Natale, Achille. – Lei strinse forte la cintura sulla vita. Lui tentò di protestare, quantomeno di avere delle spiegazioni, ma lei tagliò corto. – Stammi bene.
Gli aprì la porta ed abbassò lo sguardo, in attesa che lui raccogliesse le sue cose e uscisse da quella casa. 
 
Azzurra era delusa. Se ne stava sul letto, a gambe e braccia incrociate, a fissare lo schermo spento della tv almeno da mezzora. Il cellulare era in modalità silenzioso da due sere prima, perché non ne poteva più di sentire il trillo di un sms in arrivo o la voce di Sting che la informava che c’era un Message in a bottle. Lo aveva capito già alle prime cinque chiamate di Achille. Non era stata una grande idea quella di personalizzare la suoneria… cominciava a detestare quella canzone. Più di quanto già non detestasse Achille. Ah, ma chi ci pensava a quello? Se lui non si era eccitato con la performance di lunedì erano chiaramente – ed unicamente – problemi suoi. Qualunque uomo avrebbe fatto la fila per una come lei.
Sei una bomba sexy, chiaro, Azzurra? Certo, potevi fare qualche prova in più davanti allo specchio e fare un movimento più sinuoso con il collo per spostare i capelli, ma… no. Sei una bomba sexy, punto e basta.
Magari Achille era gay. Anzi, lo era di sicuro, perché chi diamine oggigiorno rifiuta una donna mezza nuda che ti si offre come il gorgonzola sulla polenta? Un cretino, ecco chi. Perché lei era come Beyoncé, un po’ più bianca e con meno sedere, come Shakira, ma senza quella mobilità nel bacino… era come Shakira incinta. Sempre bella comunque, no?
Non poteva permettere che quel cretino gay di Achille Quaresmini mettesse in crisi la sua indiscutibile femminilità e avvenenza. Non appena si fosse fatta una doccia e tolta il camicione da novizia in convento gliele avrebbe cantate. Salì in piedi sul letto e si mise a cantare e ballare Single ladies. No, doveva lavorarci ancora un pochino.
 
Non poteva essere lei. Più Achille guardava la ragazza in fila allo sportello della filiale, più si convinceva che non potesse essere proprio Azzurra. Sarebbe stato sperare troppo. Dopo giorni e giorni di chiamate rifiutate, ignorate, soliloqui limitati dai bip della sua segreteria telefonica ed sms a cui non aveva mai ricevuto risposta, non c’era possibilità che lei fosse in carne ed ossa a qualche persona di distanza.
Achille cercò di assecondare le richieste dei clienti che precedevano la presunta Azzurra velocemente, nonostante una signora anziana mezza sorda, un cinese che non conosceva una parola d’italiano, il computer impallato… Era una strana sensazione, quella che provava. Lei gli mancava. Azzurra sapeva essere saccente, dispettosa, irritante, infantile, una vera spina nel fianco per dirla in breve; ma era anche una presenza costante, rassicurante. Gli venne da sorridere, pensando ad una puntata de La vita secondo Jim, nel quale il protagonista si lamenta delle chiacchiere ininterrotte e superflue della moglie Cheryl, ma nell’istante stesso in cui lei comincia uno sciopero del silenzio, lui si rende conto che quei blateramenti che tanto lo indispongono in realtà coprono un sacco di piccoli altri rumori che lui odia. Ecco, a lui mancava il chiacchiericcio di Azzurra in sottofondo, quei fiumi di parole spesso indirizzate a se stessa, perché lei riusciva a coprire gli altri piccoli rumori indesiderati di tutti i giorni. Lei, non Chantal.  
Congedò rapidamente la coppia che la precedevano con la scusa del computer bloccato e la vide.
- Ciao, – le sorrise.
- Signora, – disse lei rivolta alla donna dietro di lei, con un inedito piglio determinato. – Le consiglio di cambiare fila. Sarà una cosa molto lunga. Bene, buongiorno Achille. Sono venuta a discutere della tua débâcle.
L’intera fila di clienti dello sportello di Brambilla si voltò verso di lei, improvvisamente interessata.
- Débâcle? Quando? – Domandò confuso. Provò a rimettere insieme i pezzi dell’ultima volta in cui si erano visti. Dunque: casa sua, divano, babydoll – e chi se lo scordava? –, lei inginocchiata davanti a lui – questo non l’avrebbe mai scordato –, la sua mano nei pantaloni, la Savarese, i clown… oh cielo, no! No! NO! Azzurra pensava che lui non si fosse eccitato! Effettivamente questo aveva molto più senso delle teorie per cui lei fosse in grado di leggere nel pensiero o che l’avesse cacciato di casa perché spaventata dalle enormi dimensioni del suo armamentario.
- Quando? Forse mi confondi con Chantal.
Lo dicevo che sapeva leggere nel pensiero!
- No, Azzurra, lasciami spiegare.
- Spiega, coniglio! – Urlò, attirando l’attenzione anche dell’unico essere umano nella banca che si era fatto delle remore ad ascoltare così platealmente: Brambilla.
Achille si guardò intorno, si chiese quanto fosse appropriato discutere della propria vita sessuale in mezzo a clienti che vedeva più o meno ogni giorno e optò per una soluzione alternativa.
- Ne parliamo stasera? Cena, da me.
- Lo vede come fa, signora? – Azzurra tornò a rivolgersi alla donna alle sue spalle. – Fa l’ambiguo. Eppure le ho provate tutte con lui! Avrebbe dovuto vedere il babydoll che ho comprato per lui: seta e corallini. Che diavolo dovevo fare? Mi sono persino offerta di fargli…
- Azzurra! – La bloccò, prima che scendesse in dettagli che lo avrebbero condotto dritto dritto al licenziamento. Doveva provare con la gentilezza. – Tesoro, ti prego, ti chiamo più tardi. Ora devo lavorare.
Lei gli diede un’occhiata gelida.
- Tesoro? Tesoro ci chiami Chantal. – Si girò per l’ennesima volta dalla signora. – È la sua ex francese.
La Leone arrivò dagli uffici sul retro ticchettando con le scarpe costose sul pavimento lucido della filiale, attirata dal trambusto agli sportelli. C’era troppo casino perché fosse una rapina e troppo poco trambusto perché fosse di nuovo quella vecchia mezza sorda che urlava come un’oca starnazzante.
- Ehm… Quaresmini, che succede? – Achille deglutì, pronto ad un’ennesima ramanzina. Il fido Brambilla si premurò di farle un accurato resoconto, fortunatamente dimenticando la questione della débâcle. – È una banca, per Giove, non Uomini e donne. Fai venire la tua amica in ufficio, prima che gli altri clienti si mettano a fare gli opinionisti.
Il riccio fece segno ad Azzurra di passare attraverso la piccola porta che conduceva sul retro. Lei fece un po’ la preziosa, s’intrattenne a parlare con l’ormai amica signora Fappani che la consigliò di risolvere, soprattutto perché doveva andare a fare la spesa ed andava di fretta. Il marito non stava bene e… purtroppo la fine della storia non l’avrebbe mai saputa, visto che Achille praticamente la trascinò negli uffici.
- Uffa, che modi…  – Si lamentò lei. – Quello cos’è?
Il ragazzo diede un’occhiata rapida a ciò che lei stava indicando e le rispose.
- È un apparecchio che conta i soldi.
- Posso andare allo sportello a toccarlo?
Eccolo tornato, il ronzio di sottofondo.
- Ovviamente no.
- Posso prendere l’acqua dal dispenser?
- È solo per gli impiegati, – le spiegò.
- Ho fatto davvero così pena?
Achille tacque un istante. Impiegò qualche secondo a capire con esattezza ciò che lei intendeva, ma non gli servì altro tempo per realizzare che era lei a non aver capito.
- No, – si affrettò a dire. – No. È successo a causa mia.
- Eppure mi ero esercitata tutto il giorno! Ho guardato i film, letto le istruzioni, ho persino chiamato il collega di Dalila in ginecologia per delle delucidazioni tecniche… non so cosa sia potuto andare storto… o dritto, in questo caso.
C’era qualcosa di estremamente gratificante nel fatto che lei si fosse data tanto da fare per risultare più bella, più seducente, per piacergli, quando in effetti a lui bastava pensare a lei in pigiama e spettinata per sentirsi già su di giri. Ma, di nuovo, non voleva dirglielo così, in banca, con i clienti che se avessero potuto avrebbero appoggiato dei bicchieri contro il vetro per ascoltarli e che in effetti erano appoggiati al vetro a cercare di leggere il loro labiale.
- Azzurra, mi sento davvero a disagio a parlarne qui. Possiamo sentirci dopo?
 
Lei si arrese. Annuì abbattuta; ci aveva provato, in ogni modo immaginabile, però se lui non le voleva tenderle una mano, aiutarla, insegnarle come poter stare insieme, allora non valeva nemmeno la pena continuare a puntare i piedi, insistere, ritentare, se il risultato era quello.
- Ti lascio lavorare.
 
Achille la osservò riattraversare la porticina, ritornare nella stanzona dove tutti i clienti la stavano guardando, neanche fosse una sfilata, ed entrare nella bussola.
Che giornata di merda.
Aveva voglia di urlare, di prendere a testate quel pirla di Brambilla già solo per la tua esistenza, sputare in un occhio alla Leone che, neanche a farlo apposta, lo stava fissando, scuotendo il capo.
Cazziatone in tre, due, uno…
- Quaresmini, potevi baciarla, santo cielo! – Il riccio rimase sconvolto: che la regina delle acide avesse un… cuore? – Così i nostri clienti si sarebbero dimenticati dell’abbassamento del tasso d’interesse sui conti!
No. Quella aveva un caveau, invece del cuore.
Afferrò il cellulare, cercò freneticamente un numero di telefono e avviò la chiamata.
- Sergio? Ho bisogno di un favore.
 
 Non era mai stato allo StudioLab. Era una costruzione moderna, su più livelli, dipinta di un bianco pulito ed elegante. Sulla facciata c’erano una miriade di finestre e, dietro una di quelle, c’era l’ufficio di Azzurra. Non aveva idea di quale fosse, ma gli sarebbe piaciuto vederla all’opera.
Achille consultò l’orologio: le 17.30. Se Sergio era riuscito a trattenerla mezzora in più del consueto, allora il piano era perfetto e lei sarebbe uscita entro pochi minuti. Cominciò a passeggiare nervosamente sul marciapiede antistante l’edificio; non si sentiva così dall’ultimo colloquio di lavoro che aveva fatto. Dio, quell’attesa era peggiore dell’agonia durante la finale degli europei di calcio… perlomeno fino a quando l’Italia non aveva cominciato a prendere goal.
Iniziò a contare i mattoni a vista sulla facciata dello studio, i cartelli stradali della via, il numero di passanti in sessanta secondi; la matematica aveva il potere di calmarlo, renderlo lucido, aiutarlo a ragionare. Ma chi cazzo se ne fregava dei trentaquattro mattoni, otto lampioni e cinque passanti?
- Che ci fai qui? – Oh, il ronzio familiare! Azzurra era piena di borse, borsette e borsine e rotoli di carta, di progetti e di stizza. – Hai sbagliato strada?
Procedette a fatica, in mezzo all’asfalto del vialetto e all’erba del giardino intorno allo StudioLab.
- Ti ho promesso una cena da me, stasera, – rispose calmo.
- Non posso, – lo liquidò lei. – Devo lavorare.
- Ti aiuto, – si offrì, pur sapendo che al massimo poteva fare la punta alle matite, se gli architetti ancora le usavano. Azzurra aprì con il telecomando la propria auto e rovesciò tutto ciò che aveva tra le mani e le braccia nel portabagagli. – Non accetto un no come risposta.
- E a che ora sarebbe?
 
Glielo aveva chiesto così, non aveva intenzione di presentarsi a casa sua; voleva solo illuderlo che ci stava seriamente pensando. Era prontissima a dargli buca all’ultimo.
- Ora. – Beh, questo complicava un po’ le cose… – Chiudi la macchina e vieni con me.
No, Azzurra, no. Se proprio ci vuoi andare, vacci con la tua auto. Perché a) sta pensando che ti porterà a letto e dormirai da lui; b) sta pensando che ti porterà a letto e poi dovrai prenderti un taxi; c) sta pensando di portarti a letto e ti abbandonerà per strada.
- No, prendo la mia.
Poteva sempre cambiare strada, perdersi accidentalmente, dimenticare l’indirizzo di casa Quaresmini per un Oblivion autoinflitto. Cose che capitano.
- D’accordo, ti seguo.
Ah, bastardo! Non è che sapeva leggere nel pensiero? Pazienza, sarebbe andata da lui e gli avrebbe fatto passare una serata noiosissima a base di gossip, televisione spazzatura, film sdolcinati, roba da femmine.
 
- Ripetimi ancora perché stiamo facendo uno schizzo dell’albero di Natale, invece che farlo fisicamente…
Disegnare un abete, palle e addobbi natalizi per due ore e trentasette minuti non era precisamente ciò che aveva in mente di fare con Azzurra. Ma, da cavalier servente, si era offerto di aiutarla e non osava proporre attività alternative.
- Te l’ho detto: faccio l’albero il 5 di Gennaio, – gli rispose, colorando gli aghi dell’albero. Uno ad uno.
- E il senso di questa cosa? – Cercava di essere delicato, però di fronte ad una tale insensatezza, le buone maniere venivano un po’ meno.
- Perché così il 6, quando lo dovrò disfare, non avrò avuto tempo per affezionarmici, – gli spiegò per la terza volta, sempre più saccente.
- Giusto. – Achille disegnò l’ennesima stellina sull’ennesima stupidissima palla e decise che poteva bastare: era ora di fare l’uomo, magari meglio di come l’aveva fatto a casa di lei. – Ehm, dovremmo parlare, Trent. Se lunedì non è… andata come speravamo, non è stato…
- Una ciambella, – lo fermò lei, sbattendo la matita colorata sul tavolo.
- Cosa?
- È perché non sono una ciambella grondante crema pasticcera, gelato e panna montata, lo so. Io sono un Oro Saiwa.
A lui piacevano gli Oro Saiwa. Erano un’ottima base per il cheesecake e lui avrebbe venduto l’anima per mangiarne una fetta in quel momento. Magari sul corpo di lei, perché era tornato quel tono da maestrina così fastidioso e sgarbato. La cosa lo elettrizzava.
- Non sei un biscotto secco, Azzurra, – la calmò. – Sei bella, dico davvero. E mi piaci, tanto. Non voglio che pensi neanche per un istante che non ti trovi sexy o che non vorrei fare l’amore con te. È solo che mi hai colto di sorpresa, non me l’aspettavo, forse non ero nemmeno pronto.
- Beh, quello l’avevo capito, – mugugnò imbronciata.
Achille ignorò il colpo basso e proseguì con il discorso in sua difesa.
- La verità è che quella domenica mi hai piantato in macchina, furiosa per via di Chantal e il giorno dopo mi sei saltata addosso non appena varcata la porta di casa tua, con indosso un babydoll e poco altro. Magari in una situazione normale non ci avrei pensato due volte e l’avremmo fatto subito, sul divano; ma so che stavi aspettando il 20 Dicembre… Non voglio che tu venga a letto con me soltanto perché ti senti minacciata da lei.
Azzurra si voltò oltraggiata verso di lui, balzando in piedi.
- Io? Minacciata da quella? – Achille la guardò severo e lei si sentì sovraesposta. – D’accordo, forse ho forzato un po’ la mano. È che mi sentivo in svantaggio.
- Perché sono stato con lei e non con te? E volevi pareggiare i conti? – Qualche giorno prima sembrava un’idea intelligente… – Per quanto questo un po’ mi lusinghi, non è una competizione. Non sceglierò tra te e lei in base a quanto ci sapete fare tra le lenzuola. Non sceglierò e basta. Se insistete, però… ricordo bene quanto tu sia brava ad insistere.
Si alzò anche lui, raggiungendola vicino al divano. Ricordarle uno dei loro piccoli bisticci al supermercato la stava facendo sorridere.
- Ti ho mai parlato della mia grande abilità nell’evirazione? – replicò piccata.
Le mise le mani sui fianchi e la girò verso di sé. Lei si lasciò manovrare come una bambola.
- Trent, hai ragione quando dici che conosco lei più di quanto conosca te. Ma la conosco abbastanza da sapere che non mi piace, non m’interessa.
- E io?
Ronzio.
La ragazza spavalda e arrogante aveva lasciato il posto ad una indifesa ed insicura.
- Prima devo portarti a letto, sai com’è… – sdrammatizzò, prima di tornare serio. – Azzurra, abbiamo il potenziale per essere felici per sempre, quanto per ferirci a vicenda e odiarci fino alla morte. Non so come andrà tra di noi. Tempo al tempo.
Lei gli girò il polso per guardare l’orologio. Forse l’aveva preso un po’ troppo alla lettera.
- Vuoi andartene di già? – chiese, timoroso della risposta.
- No, stavo guardando che giorno è.
Era il 19 Dicembre, Achille lo sapeva bene, stava praticamente facendo il conto alla rovescia fino al 20, e non di certo perché temesse che qualche sciocca profezia Maya si avverasse, ma perché Azzurra aveva scelto quella data ed era così testarda che non l’avrebbe cambiata. Il che significava che lui aveva ancora un giorno per dirle tutta la verità, prima di corrompersi al punto che lei non lo avrebbe voluto rivedere mai più.
- Azzurra…
Lui prese coraggio, ma lei prese l’iniziativa. Lo guardò negli occhi, afferrò i due lembi della giacca del completo che lui indossava e gliela sfilò. Fece scivolare la propria mano sulla cravatta e lo tirò per avvicinarlo a sé. Erano giorni che non si baciavano, non si toccavano
ed entrambi sapevano quanto importante ciò fosse all’inizio di una relazione, quando non ci si conosce, ma si vuole imparare a farlo. E lei aveva deciso che non gli importava di date, fine del mondo, stronze d’Oltralpe, sorelle ficcanaso. C’erano lei ed Achille, punto.
Lo baciò senza delicatezza, con una foga che cozzava con i movimenti delicati delle dita attorno al suo collo, sul petto, pronte a svestirlo con una lentezza disarmante ed esasperante. Gli allentò il nodo della cravatta affinché potesse sfilarla dalla testa, dandogli una pausa da quel bacio che li stava lasciando a corto di fiato.
Azzurra cominciò a sbottonare piano la camicia di Achille. Dal canto suo, lui non osava toccarla; non voleva spogliarla, l’avrebbe reso vulnerabile e poco lucido, rischiava di non avere il coraggio necessario per parlare.
- Azzurra…  – sussurrò, mentre lei ancora continuava a slacciargli la camicia.
- M-hm? – gli rispose distrattamente, lo sguardo fisso sul corpo nudo di lui che stava scoprendo sotto il tessuto.
Achille deglutì a vuoto un paio di volte, poi le prese le dita piccole e sottili tra le sue mani grandi e le immobilizzò contro il proprio sterno.
 
Azzurra avrebbe voluto dire qualcosa di assolutamente seducente e altrettanto imbarazzante imparato su qualche numero di Cosmopolitan, ma il viso turbato di lui la fece desistere; aveva imparato che lui era un maschio strano e non reagiva come gli altri a certe provocazioni. Si doveva scongiurare il rischio cilecca.
- Devo dirti una cosa… – Oh mio Dio, era davvero gay. O sposato. Cielo, un gay sposato? Un prete. Un frate. Un ricercato. Un terrorista. Un terrorista gay sposato in seminario. – Domenica sera, dopo che te ne sei andata, sono uscito con Fabrizio… e l’ho vista.
Dopo la prima parte della frase, aveva creduto davvero che lui stesse per fare coming out, ma quella a alla fine dell’ultima parola aveva messo in crisi l’intera teoria. Vista. Escludendo l’ipotesi che lui si premurasse tanto di comunicarle il fortuito incontro con sua sorella, sua nipote o una qualsiasi amica, l’unica opzione rimasta era la crêpe avariata appena giunta in città. 
- Chantal? – Il tono interrogativo tradiva in realtà la matematica certezza di aver indovinato.
Achille infatti annuì, abbassando lo sguardo.
- Si è seduta al nostro tavolo, ci siamo messi a parlare…
Chissenefrega! Azzurra decise che la descrizione della serata fosse necessaria e giunse al dunque.
- Ci sei andato a letto?
- No. – rispose subito.
Azzurra tolse le mani da quelle di lui e fece un passo indietro.
- Avresti voluto? – Lui, ormai con le dita libere che non sapeva dove appoggiare, finì per passarsele fra i ricci disordinati. – È una domanda facile, Achille.
 
Purtroppo stavolta il ronzio non era positivo. Ne era conscio, non sempre gli sarebbe piaciuto ciò che lei aveva da dire. Certe volte l’avrebbe ignorata o finto di non ascoltarla, ma voleva quel dannato ronzio ed era arrivato il momento di prenderselo.
- Con lei sono ancora il ragazzino di ventitré anni inesperto che non sa cosa vuole dalla vita e che ha bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi per non cadere. Ho la presunzione di credere di essere cresciuto, o comunque di star ancora crescendo e ora so cosa voglio: non voglio più sentirmi in quel modo. Non ho bisogno di qualcuno che mi faccia sentire in quel modo. Sì, una parte di me potrebbe aver desiderato fare sesso con lei, per quello che è stata, per cosa ha rappresentato. – Prese fiato e seguì con gli occhi Azzurra che si stava spostando fino a guardare fuori dalla finestra. – Non posso estirpare il ragazzino ventitreenne da me, vorrei, ma non posso. Ci sto lavorando.
Azzurra guardò attraverso le tende leggere ed i doppi vetri: fuori c’era buio. Le sporadiche macchine che passavano nella stradina dietro l’abitazione di Achille scorrevano accanto ai vialetti dei vicini, decorati ed illuminati da fili di luci colorate.
- Non è successo niente? Avete solo… parlato?
Il riccio guardò la schiena della ragazza ormai lontana da lui e decise che tanto valeva farsi avanti vuotare il sacco.
- Mi ha baciato, – confessò.
Gli occhi di Azzurra schizzarono fuori dalle orbite e in un attimo si girò verso di lui.
- Quella z… zavorra! – si corresse all’ultimo. – E tu sei stato lì, a farti sbaciucchiare come un mammalucco?
- No, mi sono tirato indietro. Te lo giuro, Azzurra.
Voleva tranquillizzarla, rassicurarla, ma era come se avesse acceso la miccia di una bomba piena di domande e ora fosse costretto a subirle tutte.
- Perché non ci sei andato a letto?
Se l’era chiesto anche lui, a bordo dell’auto di Fabrizio, mentre tornava a casa, poi nel letto in casa sua, e ancora in ufficio. La verità era che più ci pensava, più gli venivano in mente ragioni per cui aveva fatto bene ad andarsene. Ma bastava ricordare il passato – come si sentiva con Chantal –, bastava riflettere sul futuro – come si sarebbe sentito con Azzurra pochi giorni –, bastava vivere il presente – come si sentiva senza una e senza l’altra – e tutto sembrava essere come avrebbe dovuto.  
- Perché non era giusto, – rispose semplicemente.
- Per chi?
Achille scrollò le spalle.
- Per te, per me, per lei. Ci tengo a te, anche se al momento ti è difficile crederlo.
- Okay. – Il riccio fece una smorfia imperscrutabile che spinse Azzurra a spiegarsi meglio. – Ti credo.
Lei gli credeva. Così, senza il bisogno di chiedere delucidazioni o di approfondire l’argomento. Si fidava, insomma. Bene. Era una bella cosa, giusto? Achille ci pensò un attimo e non capì. Azzurra era una donna, e in quanto tale, dietro ogni sua parola apparentemente innocua per l’intero universo maschile celava un immenso mondo di trappole e significati oscuri. Per quanto tutto ciò potesse sembrare paradossale, era lui a non fidarsi del fatto che lei si fidasse.
- Sul serio? – osò domandare. – Non per tirarmi la zappa sui piedi, ma mi aspettavo che dessi fuori di matto e bruciassi la bandiera francese o mi rasassi i capelli a zero.
Lei lo guardò sorpresa e infastidita.
- Sono una signora, Achille. Le tue insinuazioni mi offendono.
Ogni uomo dotato di una buona dose di raziocinio a quel punto avrebbe taciuto, si sarebbe dato un cinque da solo e avrebbe ringraziato tutti gli dei protettori della casa e del focolare di aver superato indenne una tale prova. Ma ad Achille Quaresmini le cose facili non erano mai piaciute.
- Hai montato un caso internazionale per due pesche e un’albicocca, sono solo stupito che tu ti stia rivelando così comprensiva…
Azzurra gli lanciò un’occhiata scocciata e cominciò a tamburellare sul pavimento con il piede, indecisa se dargliela vinta o continuare con quella mezza farsa.
- Lo sapevo, okay? – sbottò all’improvviso. – Sapevo del vostro incontro.
- Come?
La domanda del riccio si collocava a metà tra un “In che modo potevi saperlo?” e un “Scusa, puoi ripetere? Devo aver capito male”. Purtroppo per Azzurra, lui aveva capito bene e lei stava per fornirgli la risposta al primo quesito.
- Potrei aver chiamato Fabrizio e lui potrebbe avermi scambiato per tua sorella, – disse vaga.
- Potrebbe?
- Deve avere mal interpretato le mie parole, – spiegò.
- Quali?
- Tipo “Ciao Fabrizio, sono Elettra”…
Achille le sorrise divertito. Adesso gli era chiaro perché lei diceva di fidarsi di lui; con le dovute precauzioni e indagini preliminari, pure l’apostolo Tommaso si sarebbe ricreduto.
- Beh, ora capisco come possa essersi confuso…
- Avevamo litigato, non rispondevi al cellulare, Chacquetta era tornata in città, stavo solo cercando di preservarti dal fare un errore gigantesco.
Oh, certo, si era spacciata per sua sorella per evitare che lui finisse in una situazione compromettente con la sua rediviva e recidiva ex.
- Quindi non è perché non ti fidavi…  – suppose.
- Era più una cosa patriottica,  – lo informò lei, persuasa dalle sue stesse parole, – non mi piacciono i francesi. Ci hanno rubato la Gioconda!
- Non credo sia stata Chantal a commettere il furto.
- Che fai, ora? La difendi? E prova a nominarla un’altra volta e vedi cosa succede ai tuoi amati ricci.
- Hai ragione, Chantal. Oh, scusa, intendevo dire Azzurra!
Lei lo gelò all’istante con due occhi arrabbiati e Achille comprese che lo scherzo era finito.
- Non sapevo del bacio, solo dell’incontro, – continuò lei. – E la cosa mi ha fatto diventare parecchio territoriale ed è per questo che ho tentato, molto bene aggiungerei, di sedurti con il babydoll e il resto. Ma sai, poi ci sono stati quei problemi tecnici…
- Non c’è alcun problema tecnico! C’ero solo io disperato e eccitato come un criceto che cercavo di rispettarti. Non volevo farlo con te prima di averti parlato di questa storia.
Lei bofonchiò uno ‘speriamo’ contro il vetro appannato, che lui non si lasciò sfuggire. La raggiunse accanto alla finestra, però si limitò a starle dietro, a debita distanza. Era il suo modo di dirle che era una sua decisione scegliere se averlo vicino o meno, ma, in ogni caso, lui ci sarebbe stato. Nessuna pressione.
- Hai fame? – cambiò argomento, dirigendosi verso la cucina. Aveva notato come le sue spalle si fossero irrigidite, l’imbarazzo era palpabile. – Sono le otto passate e ti avevo promesso una cena, perciò…
- A dire il vero, no. Posso usare solo un secondo il bagno? – gli chiese lei, la confusione che lui avrebbe potuto tranquillamente sul suo viso, se non si fosse rifugiato con la testa nel frigorifero, in teoria a cercare qualcosa da mangiare, in pratica per sfuggirle.
- Certo, figurati. Ricordi dov’è, no?
Avvertì il rumore della porta in fondo al corridoio e comprese che sì, a quanto pareva lo ricordava. Ritirò la testa dal frigorifero e lo chiuse, domandandosi per quale oscuro motivo le cose dovessero essere così maledettamente complicate. Si era tolto un peso, raccontandole di Chantal, ma a che prezzo? Una serata di disagio totale, lui barricato in cucina, lei nel bagno. Aveva bisogno di zuccheri. Aprì la biscottiera e vi rinvenne tre Gocciole: se le sarebbe fatte bastare. Una sbirciata sulla superficie riflettente del forno gli rimembrò la camicia sbottonata che, se nella condizione di prima poteva conferirgli un non so che di sexy, ora lo faceva sembrare un tronista tamarro in vacanza in Costa Smeralda. Si avviò verso la propria camera da letto; sentiva il bisogno di cambiarsi, indossare qualcosa di più comodo del completo da bancario serio e topo di biblioteca.
Doveva ammettere che il confronto era piuttosto impietoso: Azzurra era molto più brava a sbottonargli la camicia… potendo scegliere, lo avrebbe fatto fare sempre a lei. Si tolse  pantaloni e calze e li buttò sulla poltrona nell’angolo. Aprì l’armadio e cominciò a cercare un paio di jeans e un maglione, ma una mano gelata poggiata sulla schiena lo fece saltare dalla sorpresa e dal freddo. Per poco non picchiò il naso contro lo scaffale in alto delle magliette.
Azzurra rise a crepapelle e quel suono fece comprendere al riccio che forse c’era ancora speranza che la serata non si concludesse con una stretta di mano e false promesse di rivedersi.
- Vedo che mi hai già tolto il piacere di spogliarti… – ammiccò lei.
Ehm… cosa era successo nel bagno? Droga? Magia? Achille non sprecò nemmeno un momento a domandarsi il motivo di tanta fortuna.
- Veramente mi stavo cambiando, ma vedo che la tua mente pervertita ha subito pensato che mi stessi offrendo. – Azzurra lo guardò stupita. – E non fare quella faccia, sei tu quella ad essere entrata di soppiatto in camera mia.
- Hai lasciato aperta la porta, – gli fece notare. – Era un chiaro invito ad entrare. Ma se così non è…
Gli diede ad intendere che se lui non gradiva la sua presenza, lei non si sarebbe fatta problemi ad andarsene. Lui l’afferrò per un braccio, un attimo prima che lei si girasse per uscire. L’avvolse in un abbraccio e lei si lasciò coccolare, mentre il suo cuore cominciava a battere più forte. La stringeva così forte che ad Azzurra venne voglia di non andarsene più, né quella sera, né mai.
Achille era caldo, nonostante non indossasse che un paio di boxer e fosse scalzo sul pavimento freddo. Si godettero quel momento di calma, dopo giorni di tempesta ed incomprensioni. Lui le scostò i capelli dalle spalle e parve ricordare solo in quel momento che lei era ancora vestita. Purtroppo. Doveva rimediare. Le bloccò la nuca con una mano e la bacio sulla bocca: ora che ce l’aveva tra le braccia, non l’avrebbe fatta scappare, né in bagno, né altrove. Si spostò sulle guance, sulla fronte, perché Azzurra era bollente e lui aveva un disperato bisogno di calore… la vide tenere gli occhi bassi e poi chiuderli, le labbra semiaperte e la testa leggermente reclinata indietro. A ben pensarci, si stava scaldando da solo.
 
Azzurra rimase così per qualche secondo, in attesa un morso, analogo a quello che Diana aveva rifilato ad Achille, perciò aspettò che arrivasse il dolore, ma lui si limitò a posarle un bacio leggero sulla punta del naso. Si sorrisero a vicenda e lui fece per toglierle il cardigan, ma lei lo bloccò. Il riccio la fissò disorientato – se aveva cambiato idea a quel punto era disposto anche ad implorarla –, ma Azzurra lo fissò negli occhi con tutto il candore di cui era capace e se lo sfilò da sola. Aprì la zip a lato dell’abito verde scuro che indossava, scostò le spalline e lo fece scendere lungo le gambe, insieme ai leggins.
Era il suo modo di fargliela pagare: lui l’aveva privata del piacere di svestirlo poco alla volta e ora avrebbe scontato la pena, guardando lei fare altrettanto.
Forse non si rendeva conto di quanto la cosa potesse essere ugualmente eccitante agli occhi di Achille. Una donna che si levava gli abiti per lui era comunque un bel successo.
- Beh, non è il babydoll dell’altra sera… – alzò le spalle e finse di essere deluso dal semplice e discreto intimo nero che Azzurra indossava.
- Beh, l’altra sera non ha funzionato. E non parlo solo del babydoll, – gli rispose a tono.
Lui si avvicinò di nuovo, punto nell’orgoglio da quel continuo alludere ad una sua – e l’avrebbe ribadito fino alla morte – presunta morte del cigno. Cercò la bocca della ragazza e giocò con la sua lingua, stringendola a sé, ora che entrambi erano mezzi nudi e accaldati. La fece indietreggiare fino a farla sedere sul letto e continuò a baciarla mentre lei si stendeva sotto di lui. Percorse con una mano e con le labbra una linea immaginaria dalla gola al bordo degli slip di Azzurra, attraverso l’incavo dei seni e l’ombelico. Le divaricò appena le gambe, abbastanza perché la ragazza andasse in iperventilazione all’idea di vedere – finalmente! – quei benedetti ricci in mezzo alle cosce. Trattenne il fiato nell’istante in cui Achille le leccò e mordicchiò delicatamente l’interno coscia, non le sembrava di aver mai atteso qualcosa con tanta impazienza. E quando il suo tocco sparì, così, all’improvviso, proprio nel momento in cui lei credeva di liquefarsi sulla trapunta a righe, sentì il proprio piede muoversi. Si sollevò quel poco per puntellarsi sui gomiti e capire dove fosse finito Achille; lo trovò intento a disfare il piccolo fiocco che lei aveva fatto alle stringhe delle francesine che portava.
Francesine? Le avrebbe buttate.
Lui ripeté l’operazione anche con l’altra scarpa, mentre Azzurra lo fissava sbigottita, le guance in fiamme e nulla da dire, perché qualsiasi cosa le sembrava troppo stupida, troppo volgare, troppo imbarazzante. Achille la osservò di sottecchi e poi scoppiò a ridere.
- Che ti aspettavi, signorina? – La prese in giro.
Azzurra diventò rossa di vergogna, ma non si perse d’animo: si mise a sedere, si sganciò il reggiseno e lo fece cadere sul letto. Achille rimase di stucco; si sforzava di sostenere la sua espressione di sfida, ma lo sguardo continuava imperterrito a cadergli sul seno scoperto della ragazza.
- Che aspetti, Achille? – lo canzonò. – Oh, finalmente c’è un po’ di vita in quei boxer! Cominciavo a perdere le speranze…
Il riccio non ebbe bisogno di controllare che ciò che Azzurra aveva appena detto corrispondesse alla realtà. La sgradevole sensazione di essere alle strette non era dovuta solo al fatto che il comando della situazione fosse tutto nelle mani di lei, ma era anche fisica. E riguardava l’unico indumento che ancora aveva addosso. Si abbassò le mutande con nonchalance ed emulò il gesto di poco prima di Azzurra, gettandole a terra. Ma lei era molto più brava nel gioco di non distogliere gli occhi dal suo viso. Scivolò sul bordo del letto e si alzò in piedi, decisa a levarsi a sua volta gli slip.
Achille, però, la fermò. Poteva dargliela vinta su tante cose, ma non su quello. Sostituì le dita di lei con le sue e accompagnò l’ultimo indumento rimasto a separarli fino al parquet. Lei si adagiò sul letto e lui la coprì con il proprio corpo. Ripresero a baciarsi e toccarsi con frenesia, rotolandosi sulla trapunta, ingarbugliandosi nel lenzuolo e tra le gambe dell’altro.
- Un’ultima cosa, – esclamò lei, interrompendo una lunga sequenza di carezze più o meno lecite. – Non credo di poter reggere altri preliminari. Due mesi sono sufficienti.
Il riccio le sorrise. Okay, sapeva leggere nel pensiero.
- Grazie a Dio.
Allungò il braccio fino al comodino e ne trasse una scatola di preservativi. Ne estrasse uno e ne strappò con i denti la carta argentata. Per non lasciare silenzi imbarazzanti durante tutte quelle operazioni, non perse occasione per fare il cretino.
- Se fossi un tipo vanitoso, ti farei notare come tutto funzioni perfettamente in me… – scherzò, ma non troppo.
Azzurra roteò gli occhi e se lo trascinò addosso, aiutandolo a sistemarsi tra le sue gambe. Achille entrò in lei con delicatezza, dandole il tempo di abituarsi a quell’intrusione, ma non fu altrettanto clemente con le spinte successive, quando sentì la necessità di farle capire quanto lei fosse desiderabile anche senza babydoll e ninnoli vari e soprattutto di dimostrarle che la sua virilità non aveva nulla che non andava.
 
Lei lo lasciò fare, fino a quel momento aveva giocato con lui, ma sapeva che voleva essere lui a condurre i giochi e lei aveva tutte le intenzioni di permetterglielo. Lo assecondò nei movimenti e nei gemiti, negli affondi e nei sorrisi di complicità appena accennati, a fior di labbra.
 
Azzurra aveva i piedi gelati e naturalmente li aveva infilati entrambi tra le sue gambe, facendogli venire la pelle d’oca. A dirla tutta, aveva anche il respiro pesante. E pesante era un eufemismo: sembrava di avere accanto un rinoceronte.
Ronzii.
Si erano appisolati poco dopo aver fatto l’amore, sopraffatti dalla stanchezza, dallo stato di assoluto relax e tepore, sotto le coperte invernali. Secondo la sveglia sul comodino, dovevano aver sonnecchiato per un’oretta, ma adesso, con quei ghiaccioli conficcati nelle cosce, il corpo di Azzurra spiaccicato lungo il fianco e la sua mano spalmata in faccia, dormire appariva impraticabile.
Le passò le dita tra i capelli, accarezzandoli delicatamente. Cercava di essere tenero e se nel frattempo lei avesse smesso, per pura fortuna, di russare come un ferrotranviere siberiano, tutto di guadagnato. Azzurra emise un suono che gli parve un miagolio, poi si stirò e sbadigliò, avvinghiandosi a lui come un babbuino. Oh, che sensazione celestiale: si era coricato con una donna, si ritrovava con un incrocio tra una scimmia e un gatto.   
- Ehi, Pisolo. – le sussurrò.
Lei impiegò qualche istante a fare mente locale: era nuda, in un letto altrui e sentiva l’impellente bisogno di andare in bagno e sistemare l’impiastro là sotto.
- Che ore sono? – bofonchiò.
- Tardi per andare a casa. Resti qui con me, – le rispose Achille. In realtà non erano che le 21.30, ma lei mica lo sapeva.
- Mi stai sequestrando? – domandò sospettosa, puntellandosi con un gomito sul cuscino per guardarlo dritto in faccia. Il riccio la imitò e si trovarono così faccia a faccia.
- Sì, – rispose sorridente.
Lo sguardo di Achille scivolò nel punto in cui il lenzuolo e la trapunta rimanevano tesi, incapaci di nascondere il petto di Azzurra; si congratulò per il proprio occhio clinico:  terza coppa b confermata. O forse ci voleva un ulteriore controllo…
Le destinatarie di tante attenzioni vennero prontamente coperte sotto il piumone dalla loro proprietaria. Achille sorrise, consapevole di essere stato beccato in flagrante, ma per un paio di tette, questo e altro. 
- Ho già individuato una mezza via di fuga in bagno, – lo informò Azzurra.
- Quindi è questo che è successo prima!
Droga e magia, però, sarebbero stati più divertenti.
- Ho provato a scappare dalla finestra, ma era troppo piccola, perciò ho pensato che l’unico modo di fuggire fosse fare sesso con te.
Achille tornò a sdraiarsi e si finse addolorato da una tale esternazione.
- Quanto romanticismo, Trent!
La ragazza fece spallucce.
- Uno dei due dovrà pure dimostrarne un po’…
Lui la trascinò addosso a sé, le stampò un sonoro bacio sulla tempia e le morse un orecchio.
- Mi sei mancata in questi giorni.
Lei cercò di divincolarsi e roteò gli occhi.
- Non fare lo sdolcinato, ora! – lo rimbrottò.
- Sdolcinato? Azzurra, il mio cuore si è fermato nel momento stesso in cui sei corsa via da me, oh mio raggio di sole. I tuoi occhi sono gemme preziose, i tuoi seni due tondi perfetti, la tua pelle è di seta. Stellina mia, staremo insieme per sempre, perché la mia vita senza te non vale nulla. Faremo l’amore in tutti i luoghi e in tutti i laghi, in tutto il mondo e l’universo…
Azzurra si tappò le orecchie per non ascoltare quello strazio smielato con cui Achille la stava prendendo in giro.
- Basta! – gridò, ma lui non si scoraggiò e proseguì la sua altisonante dichiarazione degna di un Harmony. 
- Sei il mio apostrofo rosa, il mio amor ch’a nullo amato amar perdona, l'Amore che è tutto e che è tutto ciò che sappiamo dell'Amore, perché sei il mio essere speciale ed io avrò cura di te!
Azzurra stava ridendo senza contegno, mentre lui le urlava nell’orecchio e le faceva il solletico per convincerla a starlo a sentire.
- Ma di che diavolo stai parlando? – ridacchiò.
Achille le bloccò le braccia e gambe con le sue e le disse, fintamente serio.
- L'amore è non sapere di cosa si sta parlando, – recitò lui.
La ragazza alzò un sopracciglio e provò ad indovinare l’autore della citazione.
- Nicholas Sparks? Winston Churchill? Socrate?
- Lucy Van Pelt.
I Peanuts. Lui aveva appena citato i Peanuts, con lo stesso pathos con lui l’avrebbe fatto con un grande poeta romantico. Azzurra gli diede un pizzicotto sul braccio a cui lui reagì con un esagerato urlo di dolore e di lamentele. Achille fece per brontolare, ma lei lo baciò, prima che lui potesse arrivare anche solo ad aprire bocca.
- Zitto e coccolami, scemo.
 
- Vuoi dirmi che non sarei dovuta tornare?
- No. Sono contento tu sia qua. Se non l’avessi fatto, probabilmente mi sarei chiesto per sempre se stavo vivendo ancora nel tuo ricordo, aspettando un tuo ritorno. E la risposta è no.
- Non è la risposta che mi aspettavo.
- È l’unica che avrai, Chantal.
 
Nascosto sotto il piumone fin sopra alla testa, Achille Quaresmini aveva sonno. Tanto sonno. Azzurra gli aveva riservato una sinfonia di Natale a colpi di ronf-ronf e colate di bava sul cuscino per tutta la notte. E ora, alle 6.45 della mattina, era sotto la doccia a cantare a squarciagola Con te partirò. Achille si domandava come i vetri di casa sua potessero essere ancora integri con quegli strilli.
Era bello avere Azzurra per casa, vederla gironzolare con il suo maglione o addirittura senza nulla addosso. Era carino sentirla borbottare tra sé o commentare ogni singola cosa. Era discretamente piacevole dormire con lei, anche se poi lo relegava in un angolino e lei si prendeva il resto del letto. Era abbastanza terribile svegliarsi con la sua interpretazione di classici della musica italiana: piuttosto forte e stridulo per essere un ronzio.
Achille si alzò dal letto, attento a non fare rumore, poi si avvicinò alla porta del bagno e premette la maniglia. Azzurra era il suo ronzio e aveva intenzione di averla intorno per molto tempo. Ma nulla vietava di trovare un senso alternativo alle sue urla mattutine.
 
 
Rieccomi! Bando alle ciance, vi dico solo che le citazioni fatte da Achille sono di Dante Alighieri, Emily Dickinson, Edmond Rostand, Franco Battiato e (mi vergogno a scriverlo accostato ai nomi appena citati) Valerio Scanu.
Ringrazio Triggy, Neppie e Rosie perché sono tre emerite rompipalle e Nep anche perché ha betato.
Spero di tornare presto!
S.
 
 
 
 
   
 
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