Capitolo
3
Mi alzai dal
lettino della nave un po’ sollevata di avere una scusa per
separarmi da quella
mezza specie di cosiddetto “letto”. Le onde si
alzavano e si abbassavano
dall’oblò e la Luna era alta in cielo, segno che
doveva mancare poco alla
mezzanotte e mezza. Ma la nave era ancora in subbuglio, tanta la gente
che non
riusciva a dormire. C’era chi non sopportava il letto e si
lamentava, chi non
sopportava chi non sopportava il letto e si lamentava e chi non
riusciva a
dormire perché quelle due di prima litigavano, insomma era
tutto un giro
complicato.
Girai la
maniglia della porta e mi ritrovai nel buio, realizzai poi che non ero
diventata cieca ma che qualcuno mi aveva tirato in faccia un coso nero,
freddo
e bagnaticcio... Me lo sfilai dalla testa e lo buttai a terra sulle
Converse di
qualcuno. Misi a fuoco e vidi che era un giacchetto.. il MIO giacchetto
porca
banana. “Oh santoddio il mio giacchetto!” e lo
raccolsi per terra tutto
fradicio. Davanti a me una voce stridula da donna urlò
“Le mie
scarpeee!!!!!” come
una femminuccia.
Rimasi perplessa nel vedere il solito ragazzo con una faccia
traumatizzata
guardare le sue scarpe. Nemmeno io, che ero una femmina in piena
regola, sapevo
urlare in un modo così acuto! Sentii una fitta di gelosia..
“Il
mio
giacchetto.” Puntualizzai e poi lui isterico emise un
gridolino indicando a
palmi aperti e con tutte e due le mani verso il basso trattenendo un
urlo in
modo strambo “Le mie scarpe”
Alzai un
sopracciglio e scoppiai in una risata buttando la testa indietro come
un pazza
e senza un minimo di vergogna buttai lì “Ma sei
gay?”
Ci fu un
attimo di silenzio in cui lui si riscosse e mosse la testa con il
ciuffo che
dondolò in avanti e in una frazione di secondo
eliminò lo spazio che c’era tra
di noi con un balzo.
Arrossi
violentemente diventando del colore delle sue converse rosse e il mio
naso si
fiorò con il suo. Osservai attentamente la sua bocca carnosa
e quando alzai gli
occhi e vidi i suoi capii che anche lui mi stava osservando da vicino,
troppo
da vicino, con
tutte le mie
sfaccettature ogni centimetro del mio viso. Dagli occhi marroni che
odio tanto,
alla bocca a cuore, al nasino all’insù. Nel tempo
che passò nessuno dei due
respirò e ogni attimo lo passavo con il terrore che lui si
rendesse conto del
mio aspetto e sospirasse deluso. Ma quando respirò un soffio
d’aria si levò e
mi sfiorò la guancia per poi far curvare la sua bocca in un
sarcastico sorriso.
Alzò la mano e mi arrotolò un capello,
già arricciato di suo che usciva ribelle
dalla coda disfatta. Ma quando i suoi occhi si incontrarono con i miei
uscii
dal mondo reale e tutto dannatamente programmato ed imperfetto. Annegai
nei
pozzi d’acqua limpida e mi persi nella loro grandezza. Senza
accorgermene
sentii le mie Converse alzarsi da terra e rimasi sulle punte, come
sotto
incantesimo avvicinai le mie labbra alle sue senza smettere di guardare
quegli
occhioni. In quel momento realizzai, che il mio grande terrore in quel
momento
sarebbe stato dimenticare il colore degli occhi di quel ragazzo.
Senti il suo
respiro sulle mie labbra e con la mano sul suo petto il battito del suo
cuore
accelerare.
“Emh..
ma come li chiamiamo?” chiese
una donna sulla trentina.
“Non
so, io la chiamerei Sara la
tua!” disse una donna accanto a lei sul lettino
dell’ospedale.
“Bene,
e che ne dici di ... Andrea!”
“Si
penso vada bene per il mio..
Andrea, forte e coraggioso!” gli occhi della neomamma
diventarono due cuoricini
e voltò il figlio verso l’altra bambina appena
nata. Sara incontrò gli occhi di
lui e si perse nel loro blu. Tutto il resto del mondo sembrava
lontano...
“Ti
voglio bene sorellina” sussurrò
una mamma in lontananza, lontana dai mondi dei due bambini, alla donna
sdraiata
sul lettino.
“Ti
voglio bene anche io”
La neonata si
riscosse e si guardò
intorno. Persone che correvano in camici bianchi indaffarati a sdraiare
la sua
futura zia e a portarle via il figlio dalle braccia, le urla di lei .
Le grida
“Andrea!ANDREA!”
Pianti. Solo
pianti. Poi il buio, duo
occhi celesti nel buio e le lacrime che nascono ai lati le palpebre che
sbattono e alternano l’oscurità fino a che quei
due occhi, pieni di lacrime, si
chiudono per sempre.
Sara
sbattè
le palpebre velocemente e tornò sulla pianta dei piedi.
Guardò di sfuggita il
ragazzo deluso e con la mano ancora sul suo petto lo
allontanò alla distanza di
prima. Non c’era stato nessun bacio. Lui, fingendosi
indifferente, gli porse il
giacchetto e lei cercò di tornare acida e sarcastica come
sempre.
Prendendo in
mano il suo giacchetto nero le gocce d’acqua scivolarono sul
suo braccio e gli
scappò un sorriso “Si può sapere cosa
hai fatto con il mio giacchetto, la
doccia per caso ?!”
“Mi
sono
fatto un giretto sulla nave..” disse indifferente.
“Con.IL.MIO.GIACCHETTO.?”
“Si...Va
bene io vado, buonanotte” disse cercando di scappare per
evitare una mia urlata
sicuramente.
“Buonanotte”
dissi secca e voltai le spalle sbattendomi la porta dietro. Il suono
non si
attutì e mi voltai vedendo una converse rossa spuntare tra
lo stipite della
porta e un “Ahi” trattenuto.
La aprii e
mi stampò un bacio secco sulla guancia “Sogni
d’oro!” con un passo il roscio
mezzo biondo scomparse nella sua cabina e io rimasi lì,
impalata sentendo
ancora le sue labbra calde sulla mia guancia.
Scrollai la
testa e rientrai nella stanza, vedendo mia sorella dormire beata.
Rimuginai ore
sul sogno che avevo fatto ma non mi venne in mente niente. Era chiaro
che le
due mamme erano sorelle e di conseguenza i due bambini cugini... Ma
quelle urla
improvvise, i medici che allontanano la mamma... Mi rimbombava in testa
“Andrea, forte e coraggioso”.. Si quello era il
significato, il significato del
nome Andrea.
Mi alzai dal
letto, erano le tre passate e con indosso il giacchetto mi avviai fuori
dalla
nave. Feci un po’ di strada fino a che le gambe quasi mi
cedevano e decisi di
fermarmi lì, ovunque stavo. Doveva essere il dietro della
nave, non passava
nessuno. C’ero già stata e avevo trovato solo lui,
ma forse se fosse venuto a
cercarmi la mattina dopo mi avrebbe anche fatto compagnia appena
sveglia. Me lo
immaginai di sfuggita che con nonchalance cammina per la nave con un
giacchetto
da donna. Con il sorriso in volto e l’immagine di lui in
testa mi addormentai
mentre il vento sibilava sul mio corpo e Morfeo mi richiamava a lui.
Solo una
cosa avevo capito da quella serata.. Non era gay.
*-*
Quella
mattina mi ero svegliata prima del dovuto e ma oramai il sole era
già alto nel
cielo e la costa della Croazia era nitida mentre le navi si
avvicinavano alla
nostra più recentemente. “Papà, ma per
chi era il disco per cui hai scattato la
foto?” chiesi.
“Per
Lorenzo
no, non ti ricordi, quel signore panciuto che vediamo sempre
l’estate che-“
“Papà,
mi
ricordo di Lorenzo vai avanti!” lo bloccai.
“Beh,
hai
visto che la sera cantava nei locali in cambio di vitto e alloggio
sull’isola
no? Beh, ha deciso di fare un disco- sorrisi- che si incentra
sull’amore e è da
un anno che mi ha chiesto questa dannatissima foto, ma me lo sono
ricordato
solo adesso pensa un po’ e voi due beh eravate
perfetti!”
Lo
ringraziai, afferrai il libro di narrativa e uscii dalla sala da pranzo
per
arrivare sul tetto della nave e sedermi comodamente sul pavimento caldo
e
scivoloso. Poco dopo vidi i miei zii lontano da me mentre Leonardo, mio
cugino,
giocava sul pontile facendo finta di cadere. Afferrai il libro
salutandoli di
sfuggita con la mano e mi coprii la vista con la scrittura fitta fitta
sfilandomi il giacchetto e lasciandolo accanto a me.
Non so quante
ore erano passate, fatto sta che stavo leggendo per la centesima volta
la
stessa riga quando chiusi di scatto il libro sbuffando. Alzando gli
occhi vidi
che ci eravamo avvicinati molto alla costa e il porto era ben visibile,
sorrisi. Mio cugino stava ancora facendo finta di cadere continuamente
dondolando da una parte e dall’altra come un ubriaco come se
la nave stesse
facendo una così grande oscillazione. Mi ritrovai ad
incrociare le dita dietro
la schiena e a sussurrare “Cadi, cadi cazzo cadi!”
sperando che quel cretino
cadesse così l’avrebbe fatta finita e si sarebbe
messo a frignare
catapultandosi nella cabina.
“Come
sei
crudele.” Sussurrò un ragazzo che si sedette senza
pochi problemi davanti a me.
Mi voltai e lo squadrai guardando in quei profondi occhi azzurri ma non
riuscivo a reggere quello sguardo e li abbassai mordendomi un labbro.
“Sono tre
ore che fa su e giù così” Dissi
gesticolando e mancandolo per poco con uno
schiaffo involontario e sfiorandogli il ciuffo rosso-mezzo biondo.
“Ehi,
occhio
ai miei capelli!” ringhiò. “Sono la mia
arma, devo essere perfetti.” Disse poi
passandosi una mano tra di essi e ammiccando a due ragazzine con una
tragica
tempesta di ormoni in atto.
Gli bloccai
un braccio guardandolo sincero “Con questo vento credimi,
amico, anche io ci ho
perso la speranza.” Sibilai poi guardando un riccio volato
davanti agli occhi.
Sorrise
mostrando una sfilza di denti perfetti. “Allora angelo, dove
sei diretta? Su
una stella?” disse.
“Punto
primo: Angelo?! Cos’è non sapendo il mio nome mi
dai i nomignoli? – risi di
gusto- punto secondo: affari miei.”
“Scusa
Scusa!- disse alzando le mani- comunque a dirti la verità si
Angelo quando
penso a te ti chiamo così visto che tu ti rifiuti di dirmi
il tuo nome.” Mi
indicò severamente.
“Sarai
felice di sapere che nella mia mente tu sei : il roscio mezzo
biondo.” Lo
schernì
“Non
sono
roscio!” ribatté lui offeso. “Ho
ragione. Discorso chiuso. E dimmi, Roscio
mezzo biondo, dove sei diretto?” chiusi la questione.
“Su
una
piccola isola, niente di particolare...” “Oh, beh,
incrociamo le dita che non
sia la mia stessa!” dissi.
“Magari,
così ti potrei tormentare ogni giorno!” disse
mentre con gli occhi vagava nel
cielo.
“Magari,
così ti potrei denunciarti per stalking” sorrisi
amara per poi voltare lo
sguardo.
Lanciai il
pugno in alto in segno di vittoria e iniziai una danza buffa davanti a
lui
mentre mi guardava sconcertato. Sorrisi e avvicinai il mio viso al suo
posandolo sulla sua spalla in modo da avere la sua stessa visuale
facendo finta
di non aver notato il fatto che si era leggermente irrigidito e poi gli
indicai
un ragazzino, mio cugino per precisare, sdraiato per terra a lagnare
per essere
scivolato. Lui rise e ci battemmo il pugno “Povero
ragazzino!” sospirò lui. “E’
uno stronzo, e non guardarmi così- aggiunsi alla sua faccia
incuriosita- lo
dico perché è mio cugino!!”
Un
ghignò si
formò sul suo volto e poi con voce roca disse
“C’è anche una cugina nascosta
per caso?”. Gli mollai un pugno sul braccio
“Biondino vacci piano!”
“Gelosa?”
“Mai, sconosciuto” risposi a testa alta mentre un
sorriso increspava le nostre
labbra. Una sirena si propagò in tutta la nave, segno che ci
preparavamo a sbarcare.
Saltai in piedi afferrando il libro decisa a fare l’uscita di
prima ma senza la
figuraccia con il giacchetto. Gli stampai un bacio sulla guancia e gli
dissi
“Buon viaggio roscio mezzo biondo” ammiccai e poi
feci per andare verso
l’entrata della nave, a raccogliere le mie cose ed ad
abbandonare i ricordi di
quel ragazzo al porto di Spalato, ma prima mi girai e gli feci
“ciao-ciao” con
la mano come avevo fatto prima per poi iniziare a scendere le scale.
Non avevo
superato uno scalino che senti una mano forte afferrare il mio polso e
bloccarmi “Angelo, dimentichi qualcosa” mi voltai
sentendo la sua voce per
incontrare i suoi occhi e il suo sorriso e... Il mio giacchetto tra le
sue
mani.
“Cazzo.”
Borbottai afferrando il giacchetto.
“Ci
tieni
così tanto a fare questa uscita strafiga?”
scherzò lui pizzicandomi la guancia.
“Troppo”
non
feci in tempo a salutarlo per poi andarmene con la vergogna sulle
spalle che le
sue mani si strinsero sul poggia mano delle scale incatenandomi tra lui
e la
ringhiera. Ero confusa e alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi
“Francesco.”
Disse semplicemente. Sorrisi capendo al volo ma non volevo dargli la
soddisfazione di dirgli il mio nome e feci per andarmene ma mi strinse
su di
lui ancora di più “Allora?- fece per
incoraggiarmi- Non mi farai mica baciare
una sconosciuta dai capelli ricci, Angelo” si
avvicinò pericolosamente a me, ma
qualcuno mi salvò la pelle:
“Ricciolì?
Dove
sei? Corri tuo padre ti sta cercando!” chiamò mia
cugina da sotto le scale non
vedendomi per fortuna.
Cavolo che
culo almeno non ha detto il mio nome, la ringraziai mentalmente e lui
lasciò la
presa.
“Ti
cercherò
al ritorno Angelo” disse lui facendo scoccare la lingua sul
palato.
“Penso
che
mi farò trovare, Frà” lo apostrofai e
ammiccando mi voltai scendendo le scale,
mentre la mente vagava, vagava pensando già alla fine della
mia vacanza...
Ma un
pensiero ancora mi assillava... Chi era Andrea?
LEGGETEEEE
TUTTI
Allora,
spero vi piaccia. Ci ho messo il triplo del tempo per farlo solo
doppiamente
più lungo però è parecchio bello..
Insomma, spero di avervi intrigato.
Non so se
riesco ad aggiornare molto presto perché devo partire una
settimana e
TARATTAATAA : Vado a New York.. Lo so, parto da Roma quindi immaginate
l’orario
in cui arriverò T_T
Mi mancherete
fatemi trovare mille recensioni occhei ?
TAAANTO
LOVE,
Levi