Capitolo
2
Aprii la
porta della nave per uscire fuori all’aria aperta e mi trovai
davanti una
ragazza, aveva lunghi capelli neri e lisci e gli occhi neri, era magra
e
abbastanza alta mentre sul suo visto traspariva uno sguardo severo.
Doveva
avere circa la mia età.
“Manuel!”
ringhiò ad alta voce ad un bambino
sui
cinque anni con i ricciolini marroni.
“Ehm—“
bisbigliai cercando di passare.
“Scusami,
mio fratello...– disse indicandolo di sfuggita con uno
sguardo complice, e il
bambino corse via- stupido
ragazzino dove
vai!?” sbraitò e fece per rincorrerlo.
“Scusami,
ti
serve una mano ?”chiesi cercando di rendermi utile.
Immaginavo come fosse
prendersi cura di un ragazzino, specie io che avevo il cugino
più casinaro del
mondo.
“Oh
mio Dio
grazie! Mi faresti un favore immenso! – disse sgranando gli
occhi color pece-
si chiama Manuel, e beh, lo hai visto. E’ tutto il tempo che
mi fa fare su e
giù per la nave!” disse sbuffando.
“Oh
bene..
Credo, - disse e accennammo una risata- comunque sono Sara “
dissi e le strinsi
una mano.
“Giada,
piacere.- sorrise amichevolmente- allora, facciamo così, ti
do il mio numero
così se lo trovi mi invii un messaggio, tutto chiaro
?”
“Limpido”
dissi e mi feci dettare velocemente il suo numero. Gli feci
l’occhiolino e mi
avviai da una parte della nave e lei si fece strada dalla gente nella
parte
opposta. Almeno mi ero trovata qualcosa da fare, dissi tra me e me.
Giada era
napoletana, lo si sentiva dall’accento strambo. Non che io ne
avessi uno
migliore, certo. Abitavo a Roma e diciamo che il mio italiano non
poteva essere
più che originale, ma ero fiera del mio accento anche se non
si addiceva ad una
“signorina educata della capitale” diceva mia madre
con il mento alto.
Sentii un
trambusto venire dal corridoio successivo e mi fiondai dentro.
C’era un signore
caduto a terra e si teneva sui gomiti imprecando tutte le parolacce
possibili
ed inimmaginabili. Accanto a Manuel ridacchiava per aver fatto cadere
quel
signore ma appena mi scorse si ricordò di me e
scappò via.
“Piccolo
ragazzino!” gridai sgomitando tra la gentaglia che assisteva
alla scenetta per
passare. “Manuel!” gridai più volte
rincorrendolo .
Lo vidi
fermarsi per riprendere fiato, cavolo quanto correva quel piccoletto su
quelle
gambe lunghe quando un mio polpaccio! Riprese a correre a
più non posso ma non
feci in tempo a realizzare da che parte fosse andato che andai a finire
dritta
dritta addosso ad una persona.
E ti pareva!
Pensai tra me e me. Alzai lo sguardo scusandomi secca e mi girai in
fretta per
cercare un piccolo riccio di quel bambino ma qualcuno mi trattenne per
un polso
“Scusa devo andare” dissi sbrigativa senza guardare
chi mi tratteneva nemmeno
in faccia. Ma quel “qualcuno” non dava segni di
lasciarmi andare allora mi
girai seccata alzando un sopracciglio.
“Dimmi
come
mai ci dobbiamo scontrare sempre cosi, ragazzina.” Disse
cauto lui.
“Sono
di
fretta, e non chiamarmi ragazzina io ho ... Ma che ti frega a te quanti
anni ho
io! Và, che devo perdere tempo a parlare con te. “
strattonai il polso e
ripresi a correre all’impazzata facendo mangiare la mia
polvere al ragazzo che
mi aveva trattenuta.
Si okay, sei
un bel ragazzo, questo non te lo toglie nessuno. Ci siamo scontrati, e
questo
lo sappiamo. Ero stata un po’ scontrosa, e questo lo sanno
tutti. Lasciami in
pace, pensai sul figlio di Marco.
Mi morsi un
labbro, perché alla fine quelle attenzioni non mi
dispiacevano.
Rallentai il
passo e mi accostai vicino al bagno delle donne mentre un bambino
baldanzoso
camminava tranquillo e strafottente. Possibile che già a
cinque anni avevo a
che fare con una mini versione di bad boy?
Lo afferrai
di soppiatto e gli tappai la bocca “Non urlare,
Manuel.” Gli sussurrai
all’orecchio nemmeno fossi un’inviata speciale
della CIA.
Con il
ragazzino in braccio feci fatica a prendere il cellulare dalla tasca
dei
pantaloncini di jeans. Composi il numero che Giada mia aveva lasciato e
scrissi
“ho trovato il piccoletto, vediamoci sul retro della nave tra
cinque minuti “
feci una faccina felice anche se il mio volto non era proprio lo
specchio della
felicità e mi avviai verso la zona scelta.
Stavo per
svoltare l’angolo quando qualcuno mi si pose davanti,
qualcuno che conoscevo
già. Il ragazzo posò il braccio sul muro accanto
a me e mi tagliò la strada
“Chi è ?” disse, curioso indicando
Manuel.
Sbuffai
“Mio
figlio” inventando.
“Fortunato
il papà allora!” disse e pizzicò la
guancia di Manuel con le due dita. Beh..
devo ammettere che la posizione in cui si era messo non aiutava a
oppormi ma
passai sotto il suo braccio e svoltai l’angolo sistemandomi
una ciocca dei
ricci biondi che era volata via dalla coda. Intravidi Giada con un
libro in
mano che aspettava, paziente.
“Manuel!
“
strillò lei e Manuel assunse un’aria dispiaciuta.
Guardai gli occhi verdi del
bambino, così dolci e pucciolosi e quasi mi pentii di averlo
sgridato. Ma poi,
quando tolse lo sguardo rivolto alla sorellina si girò e mi
fece la linguaccia
strizzando gli occhi. Gemetti abbattuta e salutai Giada per poi tornare
finalmente per i fatti miei.
Mi sistemai
bella bella sulla parte superiore della nave, dove non c’era
un’anima viva e mi
misi a guardare il mare sconvolta dal fatto che non avevo ancora
vomitato.
Sentii lo stomaco brontolare contrariato e mi sedetti sul porta
salvagenti con
le spalle voltate verso la pista di atterraggio dell’aereo,
usata in caso di
emergenza. Il vento mi sferzava il viso, la coda si sciolse con una
folata di
vento troppo forte e i miei capelli iniziarono a fare su e
giù come matti.
Sbuffai raccogliendo l’elastico e infilandomelo al polso.
Mi voltai di
scatto sentendo un rumore mentre Lui si sedeva a pochi metri da me.
Possibile
che con tutto lo spazio che quella nave avesse, lui doveva venire sul
terrazzo,
dove non c’era anima viva, e senza nemmeno un giacchetto per
di più.
Mi sorrise
di sfuggita e mi ammiccò, per poi infilarsi le cuffie e
poggiare la testa sul
muro. Lo guardai attentamente per la prima volta e mi ritrovai a
guardarlo con
gli occhi sgranati . Aveva ai piedi delle converse rosse, un paio di
jeans
chiari e una maglietta di e rossa di Superman. Aveva un ciuffo biondino
troppo
lungo che gli ricadeva davanti al viso e gli occhi, beh, quegli occhi
così
familiari... Quegli occhi così, così...
Maledettamente vicini...
VICINI!?
Scrollai la
testa e spinsi mettendo le mani sul petto del ragazzo che si era
spostato
davanti a me, spingendolo via. “Così mi consumi,
angelo..”
“Ma
per
favore!” sbuffai mollandogli un pugno sulla spalla giocosa
mentre le goti mi si
arrossavano e abbassai la testa per non farmi vedere imbarazzata dal
nomignolo
che aveva usato.
Sentii il
suo indice sfiorarmi il mento e alzandomelo delicatamente fino a
trovarmi a
guardarlo negli occhi. Malgrado fossi seduta e lui in piedi lo guardavo
con il
naso all’insù e arricciai il naso infastidita.
“Posso
sapere il nome della ragazza che mi fissa da quando le sono andato
addosso?”
disse soffiandomi sul naso.
“Solo
se gli
dirai il tuo, Casanova!” dissi apostrofandolo e cercando di
non guardarlo negli
occhi.
“Non
ho
intenzione i farlo, cara mia!” rise sornione alla mia smorfia
e cercò di seguire
con gli occhi la direzione in cui stavo guardando.
“Allora
penso che vivrai anche senza il suo nome” saltai agilmente e
i capelli mi
volarono su e giù con il corpo per poi avviarmi verso
l’entrata, da dove ero
venuta. Sentii il suo sguardo seguirmi allora mi morsi il labbro quando
ancora
non mi vedeva e, per fare una bella uscita, mi voltai lanciandogli
un’ultima
occhiata e facendo sarcastica “ciao-ciao” con la
manina.
Non
sarà
certo per il suo sorriso e i suoi occhi che si guadagnerà
qualche attenzione da
me.
Aprii
lentamente la porta per tornare all’interno della nave ma non
feci in tempo a
mettere piede sul pavimento coperto dalla moquette che mi battei una
mano sulla
tempia.
Mi ero
scordata il giacchetto fuori.
Possibile
che ogni volta che volevo fare qualcosa di figo doveva essere sempre
tutto
rovinato dalla mia sbadataggine ?!
Mia cugina
si parò davanti a me all’improvviso e mi sorrise
mettendomi un braccio attorno
al collo facendomi entrare mentre l’aria calda si
impossessava dei miei polmoni
. “Sarè, tutto bene? Hai una faccia pallida... Sei
morta e non te ne sei
accorta?”
Alzai gli
occhi al cielo per la scarsa presenza di umorismo nel cervelletto di
mia
cugina, ma infondo risi. Perché era per quello che la amavo
tanto (?)
“Sono
una
demente, Francesca” buttai lì.
“E
cosa è
successo di così tanto grave! Ti è caduto il
telefono giù per il ponte ed è
andato a finire in acqua?”
“PEGGIO!
Ho
lasciato il giacchetto fuori !”
“Ah..
Allora
scusa! Alzo le mani, ciccia” mi prese in giro. Mi voltai
verso di lei e strinsi
la mano a pugno sotto il suo mento ”Tu non sai cosa comporta
questo!” dissi in
preda ad un attacco di panico per aver rovinato la mia uscita strafiga.
“Okay,
okay.
Te lo vado a prendere io!” Mi addolcii subito e lasciai
cadere la mai mano su
un fianco ma non passò nemmeno un secondo che la abbraccia
stritolandola come
una pazza.
“WAAAAAAAA-
urali con tutta la gente che mi guardava- ti amo, ti amo, ti amo!
“ Misi una
mano sulla mia bocca e feci finta di baciarla mentre un coro di
“Oooooooooh” si
levò dalla gente. Mi separai veloce da lei e li squadrai
urlando “Fate sul
serio?”
Sono
sempre io, yaya.
E
sono viva, e ho aggiornato prestissimo non fateci l’abitudine
ahhahaha <3
Vi voglio bene !
C’è mi sono divertita un
sacco a scrivere questo capitolo, spero vi siate fatti un sacco di
ristae .
Bacioni
-
Levi