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Autore: RubyChubb    17/09/2007    9 recensioni
Sul pezzo di carta si leggeva "Victor Hugo Straße 185" semplicemente. Nient'altro, tranne il nome di quella via. Non sapavano dove stavano andando e la pioggia batteva a dirotto sul parabrezza della macchina.... Ecco la mia nuova Fiction sui Tokio Hotel! Pensavo di pubblicarla a settembre ma... è già pronta!!!!
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Life, Love and Hate by Tom and Mac' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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IN SALUTE ED IN MALATTIA




Lungo il tragitto nessuno dei tre spiccicò parola: seduti davanti, i due Kaulitz sembravano sul silenzioso piede di guerra. Bill, a lato accompagnatore, con le braccia conserte, guardava fuori dal finestrino, labbra serrate. Suo fratello, un braccio appoggiato sul volante e l'altro sul cambio, altrettanto muto. Mac, dietro, con aria interrogativa, si domandava perchè Bill si fosse tanto incavolato quando suo fratello gli aveva detto che aveva cantato male. Era vero, entrambi avevano fatto pienamente schifo ma non c'era motivo di prendersela per una cosa del genere.
"Svolta qui a sinistra.", disse poi a Tom, "Puoi lasciare la macchina anche in questa vietta qua, tanto sicuramente non c'è più posto sotto casa."
La macchina si spense tra le due strisce bianche del posteccio. I tre fecero qualche decina di metri camminando al fresco, che non riuscì a calmare i loro spiriti in subbuglio. Tra i tre fratelli era calata una cortina di ferro impenetrabile, un muro di Berlino fatto di silenzio. Solo per una stupida frase, pensò Mac. 
Come erano complicati quei due...
Una volta in casa, Mac chiese a loro se volevano una camomilla, tanto per rilassarsi, ma i due rifiutarono. 
Con lo stesso silenzio e la medesima freddezza, presero le loro cose e andarono nella stanza degli ospiti.
Il miagolio soffice della sua gattina invece le fece ricordare che c'era ancora qualcuno che desiderava parlarle, senza andarsene via a chiudersi in una stanza, senza proferire parola.
"Ciao, piccolina mia! Vuoi venire a letto con me?", le domandò, prendendola in braccio. Quella rispose con un mao.
"Ma sì, ora ti prendo la cuccetta e la metto in camera, sei d'accordo?", fece, andando verso il salotto, dove aveva posizionato quel piccolo letto per lei. Lo prese  e lo sistemò accanto al suo letto.
Da sotto il suo cuscino prese il suo pigiama, che consisteva solo in una lunga e larga maglietta dismessa. Si tolse con calma tutti i vestiti e la indossò, mettendosi anche un paio di calzini. Era incredibile quanto le si ghiacciassero i piedi durante la notte e, per evitare di infreddorlirsi, se li metteva sempre. Controvoglia, andò in bagno a lavarsi i denti: se lo imponeva da quando era piccola di farlo almeno una sera sì ed una no, odiava avere il sapore del dentifricio in bocca per tutta la notte, ma per evitare problemi ai denti cercava di mantenere questo ritmo. Dopo essersi tolta le lenti a contatto andò nel bagno, spremette un po' di pasta sullo spazzolino e iniziò il rituale giro di boccacce davanti allo specchio. Si stava risciacquando la bocca per l'ultima volta, quando:
"Tu non capisci niente!", sentì dire. Doveva essere la voce di Bill, ovattata dal muro che divideva il bagno dalla stanza in cui lui si trovava con il fratello. La sua  buona educazione le imponeva di non origliare, ma Mac si ritrovò un attimo dopo con l'orecchio quasi sigillato alla porta dei due fratelli, e lo spazzolino che continuava a fare il suo lavoro.
"No, sei tu che non capisci niente!", gli rispose Tom, "Sei tu che hai cominciato per primo!"
"Non ho fatto nulla di male!"
"C'era una regola ben precisa tra di noi... e tu non l'hai rispettata!"
"Ti ripeto che non ho fatto nulla di male!"
"Ah no? Allora non ci sarebbe mai stato niente di male se io avessi fatto la stessa cosa a te!"
"Esatto! Proprio così!"
"Ma che bugiardo che sei! Se ci avessi provato in quel modo mi avresti tagliato a fettine spesse così!"
Mac, al di là della porta, stava quasi per ridere e dovette portarsi una mano alla bocca per trattenersi.
"Io non ci ho provato con lei!", disse Bill. 
A quel punto, la risata di Mac si interruppe, e il suo orecchio cercò di catturare tutti i risvolti possibili di quella discussione.
"Continua ancora a prendermi per il culo, dai Bill, continua!"
"Stavamo solo cantando una canzone, cercavamo di divertirci! E questo non vuol dire che io ci abbia provato!", fece Bill, la cui voce si sentiva sempre meglio rispetto a quella del fratello, "Potrei anche aggiungere che potevi anche evitare di andare a flirtare con la bionda davanti a lei, non hai fatto sicuramente una bella figura!"
"Però mentre cantavi l'hai abbracciata, l'hai toccata, ti sei strusciato adosso a lei...", disse Tom, ignorando ciò che aveva detto suo fratello.
"E se avessi voluto baciarla lo avrei anche fatto, ma si dà il caso che non sono quello innamorato di Mac! Non io! Lei è solo un'amica per me!", disse Bill.
Mac si impietrì.
"Allora stai ammettendo che avresti voluto baciarla!", ribattè Tom.
"Stai rigirando la frittata come sempre! Non sei capace di sostenere una discussione da adulto!"
"Parla quello che non vuole prendersi le sue responsabilità..."
"E questo discorso cosa c'entra?"
"Te lo ricordi quando abbiamo visto quel filmato, sul computer di Mac? Quello in cui scopriamo che ci teneva nascosto di essere stata con Georg?"
"Non riesco ancora a capire dove tu voglia arrivare... e non alzare troppo la voce, lei è nella stanza di fronte alla nostra!"
"Ecco il punto: tu ne sei responsabile tanto quanto me ma ogni volta che abbiamo affrontato questa discussione, tu hai sempre voluto tirarne fuori le gambe scaricando la colpa su di me! Se io non sono adulto per affrontare una discussione, come dici tu, allora nemmeno il signorino Bill Kaulitz è così maturo per comportarsi da uomo e addossarsi parte della colpa!"
"Vuoi sempre avere ragione tu! Va bene, ho torto, contento? Adesso vado a lavarmi i denti.."
La maniglia si mosse, la porta che li divideva si aprì. 
Bill si trovò davanti Mac, in pigiama, con lo spazzolino da denti che le pendeva dalla bocca.
Uno scambio di sguardi fece comprendere loro che lei aveva sentito quello che non avrebbe dovuto. 
Si sasso, continuava a fissarlo.
Con la mano sinistra si tolse lo spazzolino dalla bocca, lo passò alla destra e lo puntò verso la porta di casa.
"Fuori di qui.", disse, con estrema calma.
"Mac... lasciaci spiegare...", provò a dire Bill.
"Fuori... di... qui...", ripetè lei, scandendo le parole per farsi comprendere meglio.
"E' stato solo per gioco, non pensavamo mai che tu lo avresti scoperto...", continuò l'altro, cercando di salvare la situazione.
"Ho detto FUORI DI QUI!", gridò.
Tornò nella sua camera sbattendo la porta. 

Nel giro di cinque minuti i due sgomberarono la stanza e, quando Mac sentì la porta di casa chiudersi, maledisse il giorno in cui li aveva incontrati. Si promise anche che non avrebbe mai e poi mai più avuto vederli: loro si erano permessi di frugarle nel computer, di vedere cosa contenevano le sue cartelle, ed avevano scoperto ciò che non avrebbero dovuto. La cosa spiacevole non era tanto il fatto che loro sapessero che cosa c'era stato con Georg: la cosa che la faceva imbestialire era che i due si erano permessi di invadere i suoi spazi. 
Questa cosa non l'aveva mai sopportata, mai.
Anche il resto di quello che aveva sentito le era andato di traverso: cos'era? Un oggetto? Attenzione a come toccate Mac altrimenti vuol dire che ci state provando con lei? Queste forme di possessione non le aveva mai sopportate... anche se era Tom ad essere geloso. Geloso di lei... e innamorato. Di lei.
Si alzò dal letto e andò in bagno. Credendo che quel pensiero non l'avrebbe mai fatta dormire, Mac prese una pillola di sonnifero.


"Sei un dannato imbecille Tom!", disse Bill, mentre i due stavano camminando verso la macchina, cercando di infilare i vestiti dentro alle loro borse. Ancora non si erano tolti quelli che indossavano, altrimenti sarebbero stati costretti ad uscire in mutande, "Potevi rispiarmiarti di nominare quel fatto!"
"La colpa è anche tua, non te lo scordare.", rispose l'altro. Non voleva andarsene da lì, assolutamente, voleva riuscire a spiegarle, voleva provare a parlarle.
"Sì, ma sei stato tu a far precipitare la situazione!"
"E tu hai detto cose che non avresti dovuto! Se... se scopro che lei ha sentito anche quello...", lo avvertì Tom, camminando diretto verso la sua macchina.
"Per questo ti chiedo scusa...", si pentì Bill. Poi lo prese per un braccio, "Almeno voltati quando ti parlo, non continuare a camminare!"
"Non mi toccare...", lo minacciò Tom, "Non voglio guardare quella faccia di merda che ti ritrovi...", gli disse, seccamente, "Te l'ho detto anche prima,  c'era una regola ben precisa, tra di noi: non con la stessa ragazza, se uno dei due prova qualcosa. E tu l'hai infranta!", gridò Tom. 
Poi prese un profondo respiro, cercò di calmare il tono della propria voce.
E tornò verso casa di Mac.
"Perchè torni indietro?", gli chiese Bill.
Tom si voltò e gli lanciò con rabbia le chiavi della sua macchina, che per poco non lo colpirono in piena faccia. 
"Vai dove cazzo ti pare e non mi rompere.", gli urlò contro.
Bill comprese che non ci sarebbe stato niente da fare. Montò nella macchina, mise in moto e lo lasciò alle sue spalle. 
Doveva trovare dove dormire... all'una di notte, non sarebbe stato facile.


Poche altre volte avevano litigato in quel modo e non voleva ricordarle in nessun modo, perchè gli faceva male. Accendendosi una sigaretta prese la seguente decisione: voleva confessarle tutto ed andarsene, ad ogni modo lei non lo avrebbe più voluto vedere. Così si sarebbe tolto quel peso e avrebbe potuto iniziare a vivere una vita normale.
Ce l'aveva a morte con Bill, avrebbe voluto rompergli la faccia, prenderlo a calci... ma doveva essere ragionevole. Quello che era successo al pub non era niente, Bill era stato sincero, glielo aveva letto negli occhi.
Salì le scale velocemente, sperando che lei non fosse già a letto. Arrivato davanti alla porta, però, gli mancò tutto il coraggio che credeva di avere. Aveva alzato la mano per bussare alla porta, ma questa non vi ci si era avvicinata nemmeno di un millimetro.
"Cazzo...", disse sottovoce, appoggiandosi alla balaustra.
Cercò di trovare la volontà di bussare, ma dopo diversi tentativi falliti gli fu chiaro che non ci riusciva. Ma non se ne sarebbe andato da lì, avrebbe aspettato fino alla mattina seguente. Non gli interessava che la temperatura fosse calata, che fosse ottobre, e che la sua maglietta a maniche lunghe non fosse sufficiente a ripararlo dal freddo. Si sedette di fronte alla porta, con la schiena contro la balaustra di cemento, e attese.


Un leggero camminio sul suo petto le fece aprire il primo occhio, ma era ancora lontana dal recuperare la funzionalità mentale. Quando si prendeva un sonnifero rimaneva intontita per diverso tempo prima di riuscire ad alzarsi senza sbattere la faccia in terra. Un mao molto dolce le entrò dolcemente nell'orecchio, era la piccola Kenzie che aveva fame e voleva mangiare. 
Dopo qualche minuto, decise che era meglio alzarsi e accontentarla, perchè le leccatine sulle orecchie non le piacevano molto.
Andò ad occhi chiusi in cucina, tirò fuori un po' di latte e ne versò su un piattino per la sua piccola micia, che accettò molto entusiasticamente quella colazione. Si sedette a terra, di fronte a lei, a guardarla mangiare. 
La invidiava: i gatti come Kenzie se ne stavano tutto il giorno a poltrire, senza problemi, senza preoccupazioni... e senza cuori infranti. Piuttosto che tornare a pensare alla sera prima, era ora di darsi una pulita e di prepararsi per andare a fare qualcosa. Non sapeva ancora cosa, ma le andava di uscire. Magari una passeggiata al parco le avrebbe chiarito alcuni pensieri, avrebbe incontrato qualche amico che passava di lì e avrebbe chiacchierato. Altrimenti, sarebbe passata all'edicola accanto a casa sua, avrebbe comprato un quotidiano e si sarebbe messo a leggerlo su una panchina. Ecco, era questo quello che avrebbe fatto. Andò in camera per cambiarsi, infilarsi un maglioncino, jeans e via.
Poco prima di uscire passò dalla cucina per afferrare un biscotto da sgranocchiare.
Quello, però, non toccò mai la sua bocca
Quando aprì la porta, le cadde dalla mano, frantumandosi per terra. 
La testa appoggiata sulle braccia conserte, seduto, con le gambe al petto, Tom stava lì, addormentato, davanti a casa sua. Cosa ci faceva? 
Non era uno stupido e sicuramente sapeva che non aveva nessuna voglia di vederlo. Le venne quasi la voglia di passare oltre, senza svegliarlo...
Maquel pazzo era lì da tutta la notte e si era preso un freddo pazzesco. 
Gli si avvicinò, toccandogli una mano che penzolava quasi inerme. Era molto fredda.
"Tom...", disse scuotendolo.
Ma lui non reagì.
"Hey Kaulitz... mi stai facendo prendere uno spavento, svegliati.", disse Mac, alzandogli la testa e dandogli dei piccoli colpi sulle guance. 
Lui aprì leggermente gli occhi, ma li richiuse subito quando la luce del giorno glieli fece pizzicare.
"Dove sono...", disse.
"Ti porto dentro...", disse Mac, cercando di farlo alzare, "Sicuramente hai anche la febbre... ma cosa pensavi di fare..."
Una volta in piedi, lo fece appoggiare alla sua spalla e, trascinandosi sui piedi, Tom riuscì ad entrare nella casa, mezzo intontito. Mac sentiva quanto fosse freddo e fu pienamente certa che avesse passato la notte al ghiaccio. 
Lo portò in camera sua e lo fece stendere sul letto.
"Mac..." cercò di dire lui.
"Farai meglio a non dire una parola per tutto il tempo che rimarrai qui. Appena ti riprenderai, spero tra un paio di ore, chiamo tuo fratello e ti faccio venire a prendere.", gli rispose Mac, nel tono più freddo e asettico che potesse utilizzare.
Gli slacciò le scarpe e gliele tolse. Ebbe un attimo di ritrosia per toglierli i pantaloni.
"No...", disse Tom, quando si accorse che Mac gli stava abbassando la cerniera.
"Credi che voglia farlo per piacere o perchè sto cercando di farti stare meglio?", sbottò lei, prendendogli i pantaloni per le gambe e sfilandoglieli con poca gentilezza. Poi lo aiutò ad andare sotto le coperte e gli sistemò il cuscino sotto la testa.
Toccandogli la fronte sentì che scottava abbastanza, avrebbe fatto bene a chiamare il suo dottore, che abitava al primo piano della sua palazzina. Sperò di trovarlo in casa, era abbastanza preoccupata. Prima di scendere a chiamarlo distese un'altra coperta sul letto, per evitare che Tom prendesse altro freddo.
Suonò il campanello del dottor Keller, attendendo che qualcuno la ricevesse.
"Buongiorno, Mackenzie.", disse la moglie, che era venuta ad aprire alla porta.
"Buongiorno, c'è suo marito?", le chiese.
"Ti senti male?", domandò a sua volta.
"No, non è per me, è per un mio amico...  è su in casa mia, penso abbia la febbre alta."
"Te lo chiamo, verrà su tra qualche minuto."
"Ok, lo aspetterò in casa, lascio la porta aperta per lui.", disse Mac.
Tornò nella sua camera, pensando a quanto potesse essere idiota quel ragazzo. Lo trovò addormentato, o forse svenuto, fatto stava che aveva gli occhi chiusi. Si sedette accanto a lui, sul letto, e gli toccò di nuovo la fronte. Stava bruciando, sicuramente non se la sarebbe cavata in poco tempo. Doveva avvertire suo fratello, sperando che anche lui non avesse fatto un'altra scemenza del genere.
"E' permesso?", sentì dire, dall'atrio.
"Venga dottore, siamo in camera.", disse Mac.
Il dottor Keller, un signore sulla cinquantina con un paio di enormi baffi bianchi, era sempre stato il suo dottore di famiglia, da quando era piccola. Aveva delle guance così paffute che sembrava scoppiassero da un momento all'altro ed aveva sempre quei gilet vecchio stile che lo facevano sembrare un dottore dell'ottocento. Accompagnato dalla sua fedele valigetta di pelle, chiese a Mac di poter uscire dalla stanza per visitare il suo paziente. Seduta sul divano, con un bicchiere in mano, attese che il dottore le dicesse che Tom doveva essere ricoverato in ospedale perchè si era preso una polmonite. 
Dopo qualche minuto, il medico ricomparve.
"Come sta?", gli domandò Mac a sangue freddo, balzando in piedi.
"Di certo non bene.", rispose lui, "Cosa ha fatto?"
"Beh, è... rimasto tutta la notte fuori... qua fuori, davanti alla... mia porta.", disse Mac, non nascondendo un certo imbarazzo.
"Capisco... Per i prossimi giorni dovrà stare al caldo, deve mangiare cibi leggeri e prendere queste. Te le regalo.", disse lui, passandogli una bottiglietta di vetro scuro con dentro delle pillole
"Non è niente di grave vero?", chiese Mac, leggendo di sfuggita il nome scritto sulla boccetta..
"No, non preoccuparti Mackenzie. Ha solo febbre alta e quelle pillole servono appunto per farla scendere. Gliene ho già date una e non credo che te ne serviranno altre, ma non si sa mai. Se le mie previsoni non saranno corrette, dagliene una e fai un salto da me, lo visiterò ancora, ma non penso di rivederti.", disse lui, con quel sorrisone paffuto.
"Grazie mille dottore...", fece Mac, tirando un sospiro di sollievo.
"Ah, quasi dimenticavo, ho un'altra diagnosi per il suo amico, questa un po' più grave dell'altra.", disse, in tono molto serio.
"E cioè?", domandò Mac, alla quale tornarono a tremare le mani dallo spavento.
"Cuore infranto... ci parli un po', con quel ragazzo.", disse lui, sorridendole come se fosse stato suo padre, e poi uscì.
Scese le scale con molta calma, altrimenti gli sarebbe venuto il fiatone. Come dottore era uno che predicava bene e razzolava male: diceva che una dieta sana e un po' di esercizio fisico potevano far vivere a lungo, ma lui non faceva nè una nè l'altra. Prospettava di vivere almeno un'altra decina di anni, poi sicuramente gli sarebbe preso un infarto, ma la sua vita gli piaceva così com'era e non aveva rimorsi mentre si mangiava tutte quelle cose grasse ma deliziose che gli preparava sua moglie.
Entrò in casa e la trovò seduta sul tavolo, che giocava nervosamente con uno straccio.
"Cos'aveva Mackenzie?", gli domandò. Le era sempre stata simpatica, quella ragazza, e l'aveva vista quasi crescere. Ogni volta che suo marito andava a visitarla, stava in pensiero per lei.
"Lei sta bene, ma aveva un amico con un po' di febbre. Ah, cosa fanno i giovani per amore...", disse lui, ricordandosi i bei tempi in cui stava corteggiando la sua futura moglie.
"Perchè? Cosa è successo?", domandò lei ancora, per soddisfare la sua curiosità.
"Beh... anche se quello che il ragazzo mi ha detto non fosse indirizzato a me, ho assistito alla più bella dichiarazione d'amore che un dottore possa ricevere mentre visita un paziente in stato di semicoscienza.", disse l'uomo, senza nascondere una leggera risata.


Mac cercò di rintracciare più volte Bill e tirò un sospiro di sollievo quando questo rispose alla sua chiamata, con voce impastata ed assonnata.
"Tuo fratello è qui da me.", gli disse.
"Ah... grazie per l'informazione.", rispose l'altro, chiudendo la chiamata bruscamente.
Risentita per quella mancanza di educazione, Mac decise una volta per tutte che quei due non facevano per lei. Nè come amici, nè come altre cose. Basta, i Kaulitz erano una specie da tenersi lontana, come le brutte malattie veneree, altrimenti ci si poteva stare male per niente.
Ma oramai Tom era lì, nel suo letto, febbricitante ma in via di una sicura quanto svelta guarigione, e doveva tenerselo. 
Si affacciò nella camera verso le tre del pomeriggio per controllare la situazione, dato che non aveva sentito nessun rumore provenire da lì. C'era odore di aria chiusa e avrebbe fatto meglio ad aprire un po' la finestra per far circolare l'aria, ma non era saggio farlo Almeno un po' di luce poteva entrare, anche per farlo svegliare e mangiare. Si avvicinò alla finestra, scostò le tende rosse e aprì lentamente le tapparelle, per far entrare gradualmente luce nella stanza.
"Mac...", disse Tom, mugolando, svegliato dal rumore delle tapparelle che si alzavano.
"Sono qua, sei a casa mia. Hai solo un po' di febbre, domani passerà, stai tranquillo.", gli disse lei. Stava cercando di rimanere impassibile ma non ci stava riuscendo molto bene. "Hai freddo?"
"No sto... sto bene... anzi, ho quasi caldo."
"Non toglierti le coperte di dosso, altrimenti non guarirai mai.", disse Mac.
Tom si stropicciò gli occhi e la cercò con lo sguardo. Lei se ne stava lì, in piedi, alla fine del letto, silenziosa.
"Comodo questo letto...", disse lui.
"Non fare lo spiritoso, non è il caso. Piuttosto, devi mangiare qualcosa."
"Non ho fame.", rispose lui, innervosito in parte dalla freddezza della ragazza.
"Ti ho preparato un po' di minestra, sforzati a finirla.", disse lei, con un po' di apprensione, "C'è un termometro sul tuo comodino, misurati la febbre. Ah, ti ho messo sul letto qualcosa da metterti. Ho cercato tra la tua roba ma non ho trovato niente che somigliasse ad un pigiama, così ne ho preso uno mio. Dovrebbe starti.", disse lei, uscendo dalla camera.
Tom affondò la testa nel cuscino, con il termometro sotto il braccio, dicendosi che aveva fatto un altro errore di valutazione, a parte la scemenza di rimanere fuori tutta la notte e beccarsi l'influenza. Indipendentemente da come si sarebbe poi risolta la situazione, in altre parole se Mac non avrebbe più voluto rivederlo oppure sì, lei sicuramente non gli avrebbe mai permesso di parlare se ogni volta lo stroncava con la sua freddezza. Di nuovo tutto stava andando a monte ed a rimetterci era lui. Si tolse quell'aggeggio freddo da sotto il braccio e controllò la temperatura: trentasette e uno, la febbre non c'era quasi più.
Mackenzie entrò nella stanza con una grossa tazza da colazione in mano ed un cucchiaio nell'altra.
"Mettiti seduto, devi mangiare.", gli disse.
"Non ho fame.", rispose lui, mettendosi un cuscino sulla testa.
"Dai, devi recuperare le forze."
"No, ho lo stomaco chiuso."
Mac sospirò, cercando i recuperare il controllo.
"Tom... se non mangerai la situazione collasserà e ti sentirai sempre peggio. Se non ti passa la febbre entro domani, dovremo portarti all'ospedale.", disse lei, con un tono più conciliante.
"Sto bene, la febbre è scesa, non ce l'ho più."
"Fammi controllare.", disse Mac, poggiando la tazza sul cassettone. Era vero, il termometro segnava trentasette, "E' un buon segno... se mangi scenderà ancora di più e starai meglio."
"Ti ho detto di no.", continuò l'altro.
Mac, a quel punto, perse completamente il controllo.
"Ascoltami bene! Non ti ho chiesto di startene tutta la notte come un barbone davanti alla mia porta eppure, ora che stai male, ho deciso di curarti perchè così non dovrai passare un mese all'ospedale, con un flebo su per il braccio, per via di una polmonite! Non ho chiesto mai niente a nessuno e, di certo, non mi metterò ad implorarti come un imbecille per farti mangiare una minestra.", disse Mac, uscendo dalla stanza. 
Tanto era arrabbiata che fece sbattere la porta.
Se ne andò in cucina, mordendosi la lingua, avrebbe voluto parlare molto più. Si accese una sigaretta e se la fumò in pochi minuti, guardando apaticamente fuori dalla finestra, seduta sul ripiano della cucina.
Anche Tom prese a mordersi la lingua, maledicendosi. Anche se gli girava un po' la testa e si sentiva appesantito, andò alla finestra ed aprì completamente le tapparelle, facendo entrare tutta la salutare luce del sole che poteva. Si tolse la maglia che aveva ancora indosso dal giorno prima e si mise quello che gli aveva preparato Mac. Sicuramente quel pigiama grigio, senza particolari disegni, lo aveva scelto per evitare ulteriori futili lamentele. Si sedette di nuovo sul letto, a gambe incrociate, e sorseggiò la minestra, in silenzio, senza pensieri.
Avrebbe voluto rimettersi a letto e starsene tutto il giorno a rimuginare, ma non era questo quello che voleva: si doveva scusare con lei per tutto quello che le aveva fatto. 
Per questo, con la tazza vuota in mano andò in cucina. Appena lei lo vide, balzò in piedi e uscì dalla stanza. Ecco, si disse Tom, erano arrivati al punto in cui le non riusciva a stare nella stessa stanza con lui. Posò la tazza dentro al lavandino e si sedette su una sedia.
Dopo qualche minuto, passato in una nuova riflessione, sentì qualcosa toccargli le spalle.
"Mettiti questa addosso, ancora non dovresti uscire dal letto.", disse Mac, che gli aveva appoggiato sulle spalle un caldo plaid rosso.
"Ah... grazie...", disse lui, sistemandoselo indosso.
"E mettiti i calzini...", fece lei, porgendogli un paio di calze tutte colorate, "Scusa, non ne ho in altri modi."
"Fa' lo stesso."
"Sul divano starai più comodo.", gli fece.
Seguì il suo consiglio e si sedette sul divano, accoccolandosi dentro la coperta. Mac se ne restò invece sul suo amato ripiano, a guardare fuori dalla finestra pensierosa. Lui stette a guardarla per qualche minuto, prima di cadere di nuovo addormentato.


Non sapeva da quanto tempo era rimasta lì, appollaiata davanti alla finestra, a guardare il mondo all'esterno. In tutto quel tempo era rimasta catatonica, senza pensieri, quasi addormentata ma con gli occhi aperti, e la sigaretta in bocca. Si stupiva di se stessa: aveva finito un pacchetto in un giorno, mentre di solito ce ne volevano tre. Non era infatti una gran fumatrice, ma il nervosismo di quelle ore l'aveva portata a diventare quasi una ciminiera.
Fu risvegliata da quell'apatia dallo squillo del suo cellulare. Corse alla porta, era nelle sue vicinanze che giaceva la borsa, al cui interno c'era il telefono, come sempre abbandonato a se stesso.
"Pronto?", disse, dopo aver visto che a chiamarla era Bill, sperando che il rumore non avesse svegliato Tom.
"Ciao Mac... Bill è lì con te, vero?", fece lui.
"Sì... te l'avevo detto stamattina ma, evidentemente, a quell'ora non ti faceva piacere ricevere telefonate."
"Hai ragione, scusa... ma ero ancora arrabbiato e..."
"Lascia perdere. Tom è qui.", disse Mac, lanciandogli un'occhiata. Il telefono non l'aveva disturbato.
"E... come sta?"
"Non tanto bene..."
"Sì?", disse l'altro, preoccupandosi all'istante.
"Ha la febbre. Ma domani starà meglio, potrete tornare a casa."
"E' ancora arrabbiato con me?"
"Non lo so e non mi interessa. Tu dove sei?"
"Stanotte ho dormito all'hotel... hotel Esperia, in via...", cercò di ricordarsi lui, ma Mac lo interruppe.
"Lo conosco. Domani lo porto lì. Ciao.", disse Mac, chiudendo la chiamata. 
Voleva uscire presto da questa storia e senza stare ad ascoltare spiegazioni. Domani sarebbe tutto finito.
Si accapò nel salotto.
Lui se ne stava ancora lì, avvolto nel plaid. Forse era meglio dargli un'altra coperta, pensò Mac, e andò a prenderne una in camera sua. Gliela posò addosso e gli passò velocemente una mano sulla fronte, sentendo che ormai della febbre non c'era più traccia.
E pensare che fino a qualche giorno prima era stata contenta di rivederlo... mentre adesso voleva scaricarlo come un sacco della spazzatura. 
Da quanto tempo lui e suo fratello le nascondevano di averle sbirciato nel computer? 
Provò a pensarci e le tornò a mente che, tempo addietro, Bill le aveva chiesto di poter usare il suo pc per guardare la posta elettronica... 
Che stupida era stata a lasciarglielo fare...
Ma le suonava così strano che Bill si fosse messo a ficcare il naso, non poteva essere stato lui. Quel giorno c'era stato anche Gustav in casa, ma pure lui era da scartare: sapeva che l'abito non faceva il monaco, ma quel ragazzo non le aveva mai dato l'impressione di essere uno che non si faceva i fatti suoi. Per cui, secondo lei, se non era stata colpa di Bill, nè di Gustav, l'unico che rimaneva era Tom. C'era da aspettarselo.
Avrebbe voluto mettergli le mani al collo e strozzarlo nel sonno, ma poi non sarebbe riuscita a sbarazzarsi del cadavere senza che nessuno se ne accorgesse. Accantonata l'idea dell'omicidio, l'altra opzione era quella originaria, cioè tagliare di netto tutti i ponti. 
Aveva tradito la sua intimità, il suo spazio, una cosa che le risultava molto difficile da perdonare.
Thiago le rimproverava sempre di non saper dimenticare, di essere una persona che portava troppo rancore...
Presa da una voglia irrefrenabile di sentirsi punzecchiata dal suo vecchio coinquilino, andò al computer, si connettè ad internet e cercò di chiamarlo tramite Skype.
"Dalla Germania con furore!", rispose lui, come faceva ogni volta che era lei a chiamarlo. 
"Ciao bellissimo! Ti sto disturbando? Hai almeno un'ora di tempo da dedicarmi?"
"Beh... ho avuto un'improvvisa ispirazione per un capitolo del mio nuovo libro...", fece lui. 
Era un modo ironico per dire che non aveva un cavolo da fare...
"Se senti cosa ho da raccontarti vedrai che avrai idee per tutta la vita.", gli disse Mac, ridendo.
Mac iniziò il suo racconto, che durò almeno un quarto d'ora, scandito dai vai 'no me digas', 'noooo', 'madre de dios' detti da Thiago per manifestare la sua vivida attenzione per la sua storia. Mac non si dimenticò di omettere niente, fu molto dettagliata, e riportò tutte le conversazioni quasi per intero, arrivando fino alla chiamata di Bill.
"Mac, devo essere sincero, di tutta questa lunghissima storia riesco a ricordare una sola cosa...", disse Thiago, con quel suo forte accento spagnoleggiante.
"E sarebbe?"
"Tom è innamorato di te! E' bellissimo! Sono contentissimo per te!", iniziò a strepitare l'altro.
"No... Thi calmati... non ci siamo capiti per niente!", cercò di calmarlo MAc.
"Stai zitta, brutta verginella che non sei altro! Per una volta che piaci a qualcuno... sei sempre vestita come un maschio, fai i rutti..."
"Io non li faccio i rutti!", protestò Mac.
"Non mentire!"
"Ok... ma solo quando non c'è nessuno!", si giustificò lei.
"Se c'è una persona in tutto questo universo che ha dei prosciutti infilati dentro agli occhi da non accorgersi di quanto sei disgustosa, tu cosa fai? Lo butti fuori di casa!"
"Sempre carino con me... Ma non stai vedendo la storia dal mio punto di vista!"
"L'ho sempre detto che quel neurone che hai nel cervello non ha mai funzionato...", disse Thiago, sconfortato, "Mac, io capisco perfettamente il tuo punto di vista. Lo so quanto ci tieni alle tue cose e che non vuoi assolutamente che nessuno le tocchi, soprattutto quando si tratta della tua vita privata... ma puoi mettere da parte il tuo orgoglio?"
"Non è questione di orgoglio."
"E allora che cos'è?"
Mac cercò di essere sincera sia con se stessa che con il suo migliore amico.
"E' che... dai, Thi, lo puoi capire perfettamente anche tu..."
"Neurone? Dovevi partire per le vacanze proprio adesso?", disse Thiago, volendo esortare l'amica a parlare.
"Thi, io sono io, una persona comune,", si spiegò Mac come meglio poteva, " con un lavoro comune e una vita normale. E lui è Tom Kaulitz, chitarrista di un gruppo stra famoso in tutta Europa. Ho detto tutto."
"Posso parlare con quel dannato neurone che hai in testa? Mac, queste sono solo stupidità."
"No, Thi, è la verità."
"L'unico punto che mi è un po' oscuro è: tu ricambi o no?"
Mac rimase in silenzio, lasciando che Thiago arrivasse alla facile conclusione.
"Allora cercherò di parlare lentamente così mi capirai senza dovertelo ripetere mille volte:  posso dirti con totale sincerità che Tom è veramente innamorato di te.", disse Thiago, con totale sicurezza.
"Ti chiamerò Dottor Stranamore...", disse Mac, con lieve sarcasmo.
"Per quello che so io lui non è mai stato veramente innamorato... quindi reputati fortunata!"
"Smettila Thiago, non è questo il punto!", ripetè Mac, "Adesso non c'entrano più i sentimenti... ma solo il fatto che mi sento presa in giro. Se mi avessero chiesto di vedere cosa avevo nel mio pc glielo avrei fatto vedere volentieri... Non avrebbero mai dovuto farlo di nascosto!"
"Basta, io ci rinuncio! Prenditi una maestra di sostegno.", protestò Thiago, arrendendosi all'irriducibilità dell'amica.
"Dai, Thi, fai discorsi senza senso!"
"Ci sentiamo la prossima settimana!", fece lui, interrompendo bruscamente la chiamata.
Che Thiago avesse ragione? Mac era talmente tanto scettica. Tornò in salotto, si sedette a terra appoggiando la schiena contro il divano. Si portò le gambe al petto e le abbracciò. Tom, alle sue spalle, respirava lentamente. Sarebbe rimasta lì a riflettere, solo per un po'.


Miao...
Cos'era questo rumore...
Miao...
Dei piccoli passi sulla sua pancia. La gattina che le avevano regalato, Kenzie, stava saltellandogli addosso, giocando con i bruscoli della polvere. La prese delicatamente, le fece qualche carezza e poi la fece scendere, per girarsi su un fianco.
Tanto per rendersi conto di dove fosse, si stropicciò gli occhi e li aprì.
Vide il suo viso, appoggiato al divano, voltato verso di lui. Le gambe vicine al petto, strette tra le braccia. Mac, forse in un momento di stanchezza, si era addormentata in quella posizione. Con delicatezza, le tolse una ciocca di capelli biondi che le copriva la faccia. 
In quel momento realizzò quanto fosse bella e speciale. Voleva ricordarsela in quel modo,  addormentata e serena. Non arrabbiata con lui...
Kenzie, che nel frattempo si era messa a scorrazzare per il salotto, si avvicinò al divano e si arrampicò sulla gamba della sua padroncina, facendola svegliare. Dopo qualche attimo di smarrimento, Mac si affrettò per staccarla dai suoi jeans.
"Gesù...", disse, mentre l'altra protestava per l'interruzione del divertimento. La posò delicatamente sul pavimento e la lasciò tornare ai suoi giochi. Dopo averla guardata un po', fece cadere la testa all'indietro.
"Buon pomeriggio Rosenbaum.", disse Tom, attirando la sua attenzione.
"Sei sveglio?", fece lei, voltando la faccia nella sua direzione.
"Sì, ho dormito per un bel po'."
"Ti senti meglio?", gli domandò.
"Decisamente sì, anche se sono un po' debole."
"E' normale...", disse lei, voltandosi a guardare ancora la sua micina che giocava con la luce sul pavimento, "Ha telefonato tuo fratello prima."
"Ah...", fece Tom, "Cosa ha detto?"
"Ha chiesto di te. Domattina, prima di andare al lavoro, ti accompagno da lui."
"Ok... va bene."
"Vado a vedere che ore sono..." disse Mac, alzandosi per controllare l'orologio che stava appeso in cucina. Fece per muovere il primo passo, ma la sua mano fu presa da quella di Tom.
Mano nella mano, rimasero a guardarsi per diversi secondi, dritti negli occhi, finchè le dita di Mac non scivolarono fuori dalle sue. Cercando di ricacciare le lacrime indietro, Mac andò in cucina, chiudendo la porta dietro di sè e sedendosi intorno al tavolo. Aveva desiderato baciarlo con tutta la sua anima, ma non poteva farlo. Era sempre più convinta che sarebbe stato un errore, che non doveva accadere perchè tanto tra loro due non avrebbe mai funzionato... e lei si sarebbe trovata di nuovo a terra, con il cuore in mille pezzi. Avevano due vite troppo diverse, scandite da ritmi totalmente inconciliabili; i loro caratteri sarebbero entrati in collisione ad ogni ma e se... e la lista dei motivi poteva continuare ancora per molto.
Tom, disteso sul divano, cercò di dare un senso a tutto quello. Voleva baciarla, ma non ci riusciva. Voleva stringerla a sè, ma non trovava il coraggio per farlo. Perchè, una volta riuscito a trovare in questo fottuto mondo una persona di cui potersi innamorare, non riusciva a tenersela stretta? 
Andò verso la camera, riprese i suoi vestiti e li indossò, non curante della finestra spalancata e del vento freddo che entrava. Voleva andarsene da lì, rendere tutto più facile sparendo dalla circolazione. Una volta rivestitosi, si avvicinò alla porta della cucina: era quello il momento, sarebbe entrato, avrebbe parlato e poi se ne sarebbe uscito, senza dire altro.
Aprì la porta della stanza ed entrò, aspettandosi di trovare Mac seduta sul ripiano della cucina, come se l'era immaginata. Invece se ne stava seduta su una sedia, con la testa bassa.
"Mac...", la chiamò, ma lei non rispose.
Le si avvicinò e le mise una mano intorno alla spalla, accucciandosi per poterla vedere negli occhi. La trovò che stava piangendo. Aveva cercato di voltarsi dall'altra parte per nascondersi, ma lui, toccandole la faccia con delicatezza, le disse di non vergognarsi delle lacrime.
"Io... io volevo dirti che posso anche andare adesso.", le fece.
"Ma... ti è passata la febbre da poco, così peggiorerai ancora.", disse Mac, asciugandosi le lacrime con la mano.
"Non ti preoccupare, ho chiamato Bill, arriverà qui tra pochi minuti. Non voglio disturbarti più.", disse lui, alzandosi e andando verso la porta.
Davanti ad essa, però, si voltò.
"C'è anche un'altra cosa che devo dirti...", le disse..
"Parla pure.", fece Mac.
"Mac...", disse Tom, cercando in quegli attimi le parole giuste, "Mac..."
"Dimmi.", fece l'altra.
"Lascia stare... non ha più senso oramai. "
"Anche io ho una cosa da dirti.", disse Mac, "Non vediamoci mai più. Mai più."

 



TITOLO:  fa tanto matrimonio... dite che il Vaticano ha il copyright su una frase del genere?

Eccoci qua... Che bel lunedì, con un capitolo del genere, eh?

A proposito, ho un favore da chiedervi: siccome voi sicuramente saprete molte più cose di quante ne so io sul gruppetto, potreste darmi informazioni su queste due persone? Cioè il loro manager David e Saki. Informazioni di ogni tipo: descrizione fisica, se sono fidanzati/sposati... insomma, se sapete qualcosa su di loro, fatemelo sapere, anche mandandomi una mail. Grazie mille! ps: è per un'idea su una nuova storia...

Per i ringraziamenti oramai lascio tutto in fondo, per l'ultimo capitolo! Stamattina non ne ho voglia, quindi che a tutti voi basti un GRAZIE MILLE! VI ADORO!!!! RcB

   
 
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