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Autore: RubyChubb    19/09/2007    7 recensioni
Sul pezzo di carta si leggeva "Victor Hugo Straße 185" semplicemente. Nient'altro, tranne il nome di quella via. Non sapavano dove stavano andando e la pioggia batteva a dirotto sul parabrezza della macchina.... Ecco la mia nuova Fiction sui Tokio Hotel! Pensavo di pubblicarla a settembre ma... è già pronta!!!!
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Life, Love and Hate by Tom and Mac' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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THE NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS - Pt. 1




Chiuse la portiera della macchina prendendo dal portafogli i soldi necessari per fare il pieno alla sua macchina. Si sarebbe poi fatta fare una fattura, così le avrebbero rimborsato le spese come sempre. Andò dal benzinaio e gli disse di riempire il serbatorio di gasolio. L'uomo fece come gli era stato detto, mentre la sua cliente si stringeva ancora di più nel suo piumino.
Dove sarà andato quello scemo, pensò, calzandosi il cappellino di lana sulla testa. Era così che chiamava, nella sua testa, il suo assistente combinaguai. Quel ragazzo, benchè sapesse scattare delle foto di grande qualità, era davvero un perdente, riusciva a tagliarsi con un cucchiaio. Era pure molto strano e questo non sapeva spiegarselo razionalmente. Lo vide uscire, incespicando sui suoi passi, dal bar della stazione di servizio, con in mano due caffè lunghi.
"Tenga, signorina Rosenbaum.", le disse, porgendole il caffè nel suo bicchierone di polistirolo.
"Andiamo, Faust, lo sai che devi darmi del tu.", gli disse per l'ennesima volta.
"Lo so ma non ci riesco. E' più forte di me."
"Lavoriamo insieme da sei mesi e ancora non mi chiami nemmeno con il mio nome."
"Mi scusi... cercherò di migliorare.", fece lui.
Aveva una venticinquina anni, era uscito da diversi altri lavori, ma era un mago con la fotocamera. Glielo aveva presentato Karl, il fotografo presso il quale Mac aveva fatto apprendistato; era suo nipote e Mac, dopo aver visto un paio delle fotografie che aveva scattato e dopo aver consultato il direttore di 'Landskapes', che l'aveva nominata da qualche tempo fotografa a tempo pieno, aveva deciso di prenderlo con sè. Lo doveva a Karl, che le aveva aperto un mondo facendola lavorare con lui, e lo doveva a se stessa, perchè aveva bisogno di un aiutante!
Per il servizio del mese di gennaio, il direttore aveva deciso di spedirla in giro per i mercatini natalizi che si tenevano nelle maggiori città tedesche per fare un reportage. Da un mese, Mac viaggiava per il suo paese, tra mille difficoltà e peripezie, da fare invidia ad un romanzo di Jules Verne. Una volta le si era rotta la macchina, la volta dopo quell'incompetente aveva messo la benzina al posto del gasolio, la volta successiva il treno su cui doveva salire aveva avuto mezza giornata di ritardo per una bufera di neve. Cercando di non pensare che il suo aiutante Faust portasse sfiga, Mac era andata avanti nel suo lavoro. 
Ripresero il loro viaggio, dopo aver pagato il benzinaio, e andarono verso il centro della prossima città.


Non era facile fotografare quando la neve cadeva così fitta, così i due fotografi di 'Landskapes' decisero di approfittare di quella pausa inaspettata dal lavoro per andare a prendere una cioccolata calda in un locale. Seduti davanti alla vetrina appannata, aspettarono che il tempo migliorasse.
"Questa neve è pazzesca...", disse Faust, dopo un'ora passata al caldo, in attesa, "Sembra non smetta mai di venire giù..."
Mac, che aveva la certezza matematica che ogni frase sul tempo detta da lui si trasformasse nella realtà nell'esatto opposto, gli chiese di ripeterla di nuovo.
"Beh... non smetterà di venire giù fino a domani.", disse lui, con noncuranza.
Mac, speranzosa, guardò fuori e, se avesse scommesso cento euro sulla teoria, cinque minuti dopo sarebbe stata pronta a riscuotere la vincita perchè piano piano la neve scemò, facendo ripopolare le vie della città. Era il ventitrè dicembre e tutti erano sommersi da pacchi e pacchetti, sembrava di vedere un film natalizio americano.
"Avanti Faust, torniamo al lavoro.", disse Mac.
Nel frattempo si era fatto buio e l'atmosfera, illuminata a festa, era davvero impregnata di Natale. Se facevano presto a scattare buone fotografie, per il venticinque erano ognuno a casa propria.
Mentre Faust si occupava di fotografare ciò che più gli piaceva, sperando magari che uno dei suoi scatti finisse con l'essere pubblicato, Mac si occupava di cercare l'immagine perfetta. Voleva beccare due fidanzatini a baciarsi romanticamente e, se non ci fosse riuscita, li avrebbe anche pagati per farlo. Con la macchina pronta tra le mani si guardava intorno, in cerca dei suoi soggetti preferiti.
Dopo qualche tempo li trovò: portò la macchina all'occhio, azionò lo zoom, sistemò la messa a fuoco e... 
Quella faccia la conosceva, era familiare, anche se riusciva solo a vederne una parte perchè era voltata... 
Aumentò l'ingrandimento, guardando se alla bocca di lui ci fosse un... pearcing
Sì, c'era, al solito posto. Era lui.
Il cuore le fece un tonfo nel petto...
La goffaggine di Faust la investì ancora: per fotografare una stupidità le era venuto addosso, facendole cadere di mano la fotocamera.
"Faust!", disse lei, dopo che l'ebbe raccolta, "Ma con tutto il posto che c'era!"
"Mi scusi... non volevo... non è che si è rotta?", disse lui, preoccupato.
"No... la neve ha attutito il colpo.", fece lei, scuotendola.
Cercò di ritrovarlo con gli occhi, ma non c'era più. Sicuramente si era allontanato, abbracciando la sua ragazza per scaldarla dal freddo.
"Vuole... vuole che le faccia vedere i miei scatti?", le chiese Faust, vedendola distratta a cercare qualcuno.
"No, li vedrò stasera.", disse Mac, tornando alla ricerca di una nuova coppia di innamorati per distrarsi da un affollamento di pensieri che le erano piombati senza preavviso nella testa.
"Non ci posso credere...", disse qualcuno alle spalle di Mac.
Lei si voltò e riconobbe a malapena il miscredente, mentre la sua faccia era nascosta tra un cappello di lana e una pesante sciarpa, ovviamente entrambi neri, come il suo lungo cappotto.
"Nemmeno io... Bill!", disse lei, porgendogli la mano infreddolita per stringere la sua, "Cosa ci fai qua?"
Si stupì di se stessa: quando lo aveva riconosciuto, la prima cosa che le era venuta in mente non era stato quello che era successo un anno fa, ma bensì che era contenta di vederlo. Molto contenta.
"Beh... ci abito in questa città, non te lo ricordi?", disse lui, sorridendole.
"Oh sì, che sbadata! Scusami ma ero completamente assorta che non ho riflettuto.", disse Mac, dandosi una pacca sulla testa.
"Figurati... sei qui per lavoro?", le fece, vedendole la macchina fotografica tra le mani.
"Sì, rimango oggi e riparto domani. Sono qua con il mio assistente...", fece, voltandosi verso Faust, ma non trovandolo nei paraggi, "Ma dov'è andato? Sparisce sempre quando lo cerco e lo ritrovo quando non ne ho più bisogno!"
"Un assistente utile allora!", esclamò Bill, ridendo di gusto, "Mi sto chiedendo da quanto tempo è che non ci vediamo..."
"Davvero troppo...", fece Mac, con rammarico, "Riesco a contare almeno dai tredici ai quattordici mesi."
"Già... non siamo bravi nel mantenere i nostri rapporti, non credi?"
"Proprio così, c'è qualcuno lassù che non vuole che ci teniamo in contatto.", disse Mac, infilandosi i guanti per evitare il congelamento.
"Hai niente da fare per adesso? Sta tornando a nevicare.", fece Bill, notando che nuovi fiocchi di neve stavano cadendo.
"Beh, se nevica non posso fotografare e quindi sono disoccupata."
"Andiamo a prenderci una cioccolata calda, ti va? Tanto per chiacchierare un po'.", le propose lei.
"Molto volentieri... anche se devo trovare quello scemo di Faust."
"Mandagli un messaggio sul telefono, digli che siamo al Cafè Marseille, qua dietro l'angolo."
"Buona soluzione.", disse Mac, prendendo il telefono e chiamandolo per dirgli di quel cambio di programma. Lui le disse che sarebbe andato in hotel a riposarsi. Bene, pensò Mac, così non avrebbe combinato guai.
Seduti al caldo del Cafè Marseille, i due fecero un rapido resoconto della loro vita trascorsa in quell'anno lontani: Bill le disse che il suo album era andato bene, ma non aveva fatto tanto furore e che, per il momento, i Tokio Hotel erano in studio, pronti per uscire con il nuovo lavoro. Mac, invece, aveva abbandonato il suo lavoro da segretaria, si era tasferita in una nuova casa, ed era tornata a fare la fotografa a tempo pieno. Gli disse anche con grande rammarico che aveva dovuto dare via Kenzie alla sua vicina di casa, perchè aveva scoperto di essere allergica al pelo del gatto e non poteva vivere con lei.
"Oh, mi dispiace, se avessi saputo che eri allergica...", disse Bill.
"Non preccuparti, nemmeno io sapevo di esserlo. Ma è stato bello condividere di nuovo l'appartamento con qualcuno, anche se non camminava su due gambe e aveva tutti quei peli addosso!", rispose Mac, con ilarità.
Bill rise di quella battuta. Non la trovava molto cambiata, anche se dovette notare una certa stanchezza nel suo aspetto, forse causata dal lavoro. Eppure aveva sempre quei grandi occhi, che le illuminavano il viso, facendola passare a prima vista per la persona solare e simpatica che era davvero. Altrettanto lo pensava Mac di Bill, sempre con quei capelli neri, stavolta però tenuti perfettamente a bada con una piastra, lunghi sulle sue spalle. Sempre il solito sorriso a tutti i denti, sempre la solita risata.
Un anno non li aveva cambiati molto nell'aspetto, in fondo.
"Senti... lo so che è tardi per farlo ma... vorrei scusarmi davvero per quello che è successo, un anno fa.", disse Bill.
"Dai, Bill, non ci pensare... in fondo, cosa è mai successo? Solo una cosa stupida... non vale la pena tornarci sopra.", si scusò a sua volta Mac, facendo spallucce.
"Ne sei sicura?", volle accertarsene Bill.
"Puoi starne certo. Anche io ho da farmi perdonare, l'ho presa troppo sul serio, avrei potuto contenermi. Ma quando mi montano i cinque minuti non sempre riesco ad essere così ragionevole."
"A chi lo dici!", disse Bill.
Era proprio contento di averla ritrovata, stava molto bene in sua compagnia. Gli erano sempre piaciute le persone genuine come lei.
"Ti va stasera di farci compagnia?", le domandò, senza rifletterci troppo.
"In che senso?", chiese Mac, perplessa.
"E' ritrovo tra amici, a casa mia, per festeggiare insieme il Natale. Mi chiedevo se tu volessi aggregarti.", le spiegò.
"Beh... non saprei, mi sentirei un po' come un pesce fuor d'acqua Non conosco nessuno.", disse Mac, lievemente a disagio.
"No, non devi. Siamo davvero in pochi, forse una quindicina", disse Bill, cercando di convincerla.
Mac avrebbe voluto dire di sì, era così tanto tempo che non andava ad una festa...
Ma non voleva fare determinati incontri, sapeva che si sarebbe sentita a disagio. Dall'altra parte, però, voleva prendere la situazione di petto e farsi scivolare tutto sulle spalle. Lo aveva visto appena un quarto d'ora prima, abbracciato ad un'altra. L'effetto non era stato del tutto positivo, dovette ammettere che aveva sentito una punta di gelosia e di invidia. 
Poi si disse che a ventisette anni queste cose doveva imparare a gestirle, senza comportarsi come una mocciosa.
"Allora invito accettato.", disse, aggiungendo un sorriso amichevole.
"Benissimo! Allora passa all'ora che vuoi, dopo cena, questo è il mio indirizzo.", disse, scrivendoglielo al volo su un tovagliolino di carta.
"Perfetto...", disse Mac, salutandolo e alzandosi dal tavolo, "Ci vediamo tra un po'!"
"Mac...", la chiamò lui, prima che si allontanasse troppo.
"Dimmi.", si voltò Mac.
"Lui non ci sarà...", le disse, guardandola attentamente negli occhi per scorgere un segno, "Intendo Tom... non è in città, torna tra qualche giorno."
"Ah... ok!", esclamò Mac, cercando di assumere la faccia di una che non sapeva quale fosse argomento di cui si stava parlando. 
Lo salutò ancora con la mano e poi uscì dal locale.
Allora quel ragazzo che aveva visto prima non era lui, si disse, aveva avuto un abbaglio... 
Non potette nascondere che la cosa le stava facendo piacere, ma si dette della stupida e si incamminò verso l'hotel.


Bussò almeno tre volte alla porta di Faust prima che lui le dicesse che era quasi pronto. 
Ovviamente non poteva essere puntuale perchè il ritardo era patologico in lui.
"Ti aspetto in macchina, ti do cinque minuti o parto senza di te.", lo minacciò.
Di solito quell'avvertimento funzionava sempre ed anche quella volta non fu diversa dalle altre. 
Partirono alla volta della casa di Bill, infreddoliti dal gelo natalizio.
Trovarono la casa al primo tentativo, il navigatore satellitare che le aveva dato la redazione non aveva sbagliato ad indicarle la strada e dopo una mezzoretta di viaggio suonarono il campanello di casa Bill Kaulitz. A vederla da fuori, quella villetta a due piani non pareva tanto diversa dalle altre, a parte per il classico cancello altissimo posto a barriera dell'entrata. Non c'erano vialetti da percorrere perchè l'abitazione si trovava a pochi metri dalla strada principale. Era in una zona non molto abitata, un'edificio qua e uno là gli facevano compagnia, si poteva dire che anche lui abitasse in campagna. A Mac faceva tornare in mente quelle abitazioni degli anni quaranta dall'architetto Lloyd Wright, che si divertiva a costruire le case sulle cascate. In poche parole, era davvero una bella costruzione, che alternava muri lisci a muri in pietra scoperta, non perfettamente regolari, molto asimmetrici.
Il cancello si aprì e la macchina di Mac entrò nella proprietà dell'amico, parcheggiandola accanto alle altre. Arrivata davanti alla porta, bussò e il solito Bill venne ad aprirle, salutandola con un abbraccio.
"Questo è Faust, il ragazzo di cui ti parlavo.", disse Mac, presentandogli il suo assistente.
"Ma allora lui è davvero Bill Kaulitz! Non era solo uno che si chiamava come lui!", fece Faust, stringendogli così forte la mano da fargli male, "Wow, sto conoscendo il cantante dei Tokio Hotel!"
"Si, Faust, ma adesso molla la presa, non ti mettere a fare l'idiota! E non torturare gli altri invitati!", fece Mac, separandolo da Bill.
"Prego, entrate.", disse il padrone di casa, mentre si massaggiava la mano.
"Complimenti Bill, che bell'appartamentino di periferia che ti sei trovato!", gli disse Mac.
"Diciamo che è stato un affare.", fece lui, "La festa è di qua. Aspettavamo voi!"
"Ecco Faust, ci hai fatto arrivare ultimi!", rimproverò Mac il suo assistente.
I due nuovi arrivati lo seguirono in un grande sala, dove si trovavano almeno un'altra decina di invitati. Tra questi Mac riconobbe Georg e Jasmine, seduti sul divano vicino al caminetto scoppiettante e corse a salutarli, perchè anche con loro non c'erano state molte altre occasioni per vedersi, se non quelle legate al servizio fotografico sul loro matrimonio. A pochi passi da loro un solitario Gustav che parlava con un ragazzo, che gli venne presentato come Andreas, un vecchio amico di Bill. Volle quasi chiedere a Gustav cosa ci faceva lì solo soletto, ma aveva paura che la risposta fosse 'mi sono lasciato da poco'.
Passò l'ora successiva a parlare con Bill, che le raccontò più o meno tutti i fatti personali dei suoi invitati. Gustav non si era lasciato, stava ancora con Kim, la ragazza spagnola, ma Bill pensava che ci fosse un po' di aria di crisi tra i due, dato che lui non l'andava più a trovare così spesso. Il matrimonio di Georg stava andando molto bene, i due stavano progettando di trasferirsi da quelle parti per facilitare gli spostamenti di Georg, per via del gruppo.
"Secondo me stanno pensando di avere qualche pargoletto.", spettegolò Bill.
"Sul serio?", fece Mac.
"Beh, direi di sì, e forse non accadrà tra molto tempo. Non noti una certa pancetta su di Jasmine?"
"Bill, sei diventanto una macchina spara-gossip!", lo rimproverò ironicamente Mac.
"Dopo tutto quello che sento dire su di me non credi che abbia il dovere di dire la mia?", fece lui. ridendo.
"Già, hai perfettamente ragione!"
Il campanello prese a suonare quasi ininterrottamente e Bill, dopo aver guardato Mac con una faccia interrogativa, andò a vedere chi potesse mai essere quello scocciatore.
"E' quì la festa?", sentirono dire a gran voce tutti gli invitati che si voltarono verso l'entrata della sala.
"Smettila scemo! E pulitevi le scarpe che fai tutte le pedate!", rispose Bill all'intruso.
Mac, che avrebbe potuto ancora riconoscere quella voce tra mille altre, volle annegare nel suo bicchiere di Martini bianco. Dopo averlo ingerito tutto d'un fiato, Mac si avvicinò a Faust, che se ne stava solitario a guardare fuori dalla grande porta a vetri, in disparte,  e gli disse:
"Sei il mio assistente?"
"Sì...", rispose lui, senza comprendere il perchè di quella domanda.
"E fai tutto quello che ti dico io, non è vero?"
"Certo, se non voglio che tu mi cacci.", rispose lui, con un certo tremito nella voce.
"Allora ti dispiacerebbe per una sera soltanto mettere da parte quel tuo lei del cavolo e fare finta di essere il mio fidanzato?", gli disse, sperando di non dover più ripetere quella frase ancora.
"Cosa? Vuole che io faccia... e perchè?", disse lui.
"Faust, dammi del tu e facciamola finita! Te lo impongo!"
"Va bene... Mac... ma mi spieghi perchè devo farlo?"
"No posso spiegartelo, ma tu fai finta e basta!", disse e lo prese a braccetto, voltandosi a guardare fuori la neve che cadeva e sperando di essere, per miracolo, diventata invisibile.
Proprio in tempo per vedere entrare Tom nella sala, riflesso nel vetro.
Gli altri invitati gli si avvicinarono per salutarlo e lui se ne restò per diverso tempo con loro. Mac osservava la scena riflettersi nel vetro, cercando di essere credibile nel suo improvviso amore per il suo assistente, che se ne stava rigido come un palo. Si aspettava di vedere il Tom di cui si ricordava, con abiti normali, della sua taglia, senza cappellino, ma non fu così. Con quei vestiti extra large e il cappellino, pareva che fosse tornato indietro nel tempo, a quando lo aveva conosciuto la prima volta, e ne rimase alquanto delusa.


Poteva prendere le chiavi ed aprire come faceva tutte le volte, ma voleva un'entrata coi fiocchi e si attaccò al campanello.
"Verrà presto ad aprire e sarà anche abbastanza incavolato!", disse a Thea, la sua pseudo-fidanzata, con cui divertiva da un paio di mesi.
Infatti la faccia indispettita di suo fratello apparve dopo qualche secondo.
"E' qui la festa?", esclamò lui, entrando in casa.
"Smettila scemo! E pulitevi le scarpe che fai tutte le pedate!", disse lui, da bravo rompipalle igenista che era.
Andò quasi correndo verso la sala e, con in una mano una bottiglia di vino e nell'altra una di champagne, dette il benvenuto a tutti gli invitati, che andarono a salutarlo. Bill prese le due bottiglie, le esaminò un attimo e andò a metterle insieme alle altre. Non aveva nemmeno salutato Thea, tanto gli stava antipatica. All'inizio non era stato così, quando l'aveva conosciuta gli era sembrata una bella ragazza, anche simpatica, ma poi aveva capito che lei pensava di essere di qualche gradino sopra a tutti gli altri, dava giudizi non richiesti e trattava male quelli che non le andavano a genio. Questo sentimento di repulsione nei suoi confronti era così evidente che anche lei non ci faceva più caso e non gliene importava niente, ricambiandolo con la stessa moneta.
Tom la presentò a i suoi amici, togliendola dall'aura di odio che Bill proiettava su di leii. Si fermò a parlare un attimo con Gustav e Georg, dicendo loro che era appena tornato dallo studio, dove aveva appena ascoltato il lavoro che avevano fatto e lo aveva trovato grandioso. Finiti i rituali saluti, andò verso la zona bar, per prendere un po' da bere per sè e per Thea, che lo aveva seguito fedelmente come un cagnolino. 
Con in mano un bicchiere quasi pieno dell'ottimo vino francese che aveva comprato, si appoggiò al mobile bar, passando un braccio intorno alla vita di Thea.
Vide che c'era ancora una coppia di invitati che non aveva salutato, stavano accanto alla finestra, ma non riusciva a riconoscerli. 
O forse si... 
Forse ora stava riconoscendo chi erano. O meglio, chi era lei
Ma non sapeva chi era lui. La vera sorpresa, comunque, era trovarla lì.
Prese Thea per mano e si avvicinò ai due.
"Rosenbaum!", esclamò, alle sue spalle. Lei si voltò, sorridendogli.
"Ma guarda un po' chi c'è, il signor Kaulitz!", fece lei, sorridendo a dentri stretti.
"Cosa ci fai qua? Non mi aspettavo proprio di trovarti!", disse Tom, con tono allegro e cordiale.
"Beh... ero qui in città. Ho trovato tuo fratello e mi ha invitato.", fece Mac, mantenendo una calma che anche lei stessa non pensava di avere, "Piuttosto, Bill mi aveva detto che non tornavi fino a domani, quindi anche io sono altrettanto sorpresa.".
"Già, dovevo tornare domani, mi ero preso un po' di vacanze pre-natalizie, ma ho anticipato il ritorno... Allora... buon natale!", disse Tom. Sentendo poi un piccolo colpo al piede, si ricordò della sua ragazza accanto a lui.
"Lei è Thea.", disse Tom, presentandogliela.
"E lui è Faust.", fece altrettanto Mac.
Dopo che le presentazioni finirono, un certo silenzio cadde tra i quattro. 
Gli sguardi di ognuno che esaminavano l'altro: chi in cerca di un indizio, chi semplicemente per il gusto di giudicare. 
Mac avrebbe voluto essere risucchiata dai vortici neri dell'inferno.
Faust  sentiva la mano di lei stringergli il braccio come un laccio emostatico.
Thea che guardava quella strana coppia divertita.
Tom si chiedeva cosa ci potesse fare Mac con uno come quello stoccafisso accanto a lei.
"Allora... speriamo che la festa riesca!", disse Faust, che non sopportava più lo sguardo di Thea. 
La ragazza pensava che fosse uno sfigato, glielo si leggeva negli occhi.
"Giusto!", esclamò Mac, ritendendo che non ci poteva essere cosa più stupida da dire in quel momento.
"Allora divertitevi!", disse Thea, esortando Tom, con un leggero cenno di testa, a lasciare quelle due stranezze.
I due si allontanarono, lasciando l'infelice coppia al loro posto, davanti alla finestra. Mac, appena si furono voltati, dismise il suo sorriso falso e lasciò Faust per prendersi una sigaretta e andarsela a fumare. 
Faust, libero da Mac, riuscì a respirare e a riprendere un colorito sano, tornandosene a sedere in silenzio. Si sentiva un po' spaesato in quella festa, ma dopo qualche minuto trovò simpatica la compagnia di una signora sui ventisette anni, di nome Rebecca, che era una collaboratrice della casa discografica per cui lavoravano i Tokio Hotel.
Mac, una volta messasi il suo piumino e la sciarpa, andò nel terrazzino su cui si affacciava la sala per fumarsi una sigaretta in pace. Si disse che non poteva cadere più in basso di quel modo, farsi passare per la fidanzata di Faust solo perchè... non si voleva far vedere da sola. Che imbecille! Ma soprattutto, che vergogna... cos'altro poteva fare di peggio?
"Mac! Torna dentro, ti prenderai un accidente!", le disse Gustav, che era rabbrividito nell'infilare fuori la testa dalla terrazza.
"Tranquillo, sto arrivando.", fece lei, spegnendo la sigaretta nella neve.



TITOLO: è il celeberrimo film di Tim Burton, no comment, no scopi di lucro.

Ta Dah! Ci siamo... siamo agli sgoccioli!!! Scusate se anche questa volta non metto i ringraziamenti finali ma... sono stata molto impegnata con un mio caro amico, si chiama San Giovese, detto anche Chianti... in altre parole sono in vigna a vendemmiare... ci starò per i prossimi venti giorni... e mi diverto da morire!!!!!!!
Alla prossima!!!! RcB

 

   
 
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