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Autore: Lavi Bookman    02/03/2013    0 recensioni
"Tutto ciò... Non cambierà le cose, no?"
"Hn?"
"Resteremo comunque sempre amici, noi, vero?"
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Dati mancanti a piacere".


Loro due erano lì. Ancora. Uno in camicia e l'altro con una felpa.
E lei li odiava, li odiava davvero tanto. Sentiva i loro sguardi ripercorrerle il corpo, i loro commenti scivolarle sulla pelle quasi fossero saliva. Ovunque si voltasse, li vedeva. E ogni qualvolta provavano ad avvicinarsi, trovava il modo per allontanarsi.
Era una ragazza semplice, non si truccava molto a eccezione della matita per gli occhi. Aveva ventitre anni, capelli lunghi sino a metà schiena di colore rosso sbiadito e lisci. Non era bella, "carina". Mentre loro erano talmente belli da non riuscire a guardarli in volto per più di dieci secondi.
Scoccò loro un'occhiata che avrebbe dovuto farli smettere di fare "quello". Lanciare sguardi languidi davanti a tutta quella gente. Anzi, indipendentemente. Loro non avrebbero dovuto guardarla così. C'era un qualcosa di terribilmente sbagliato.
Anche perchè lei non era assolutamente una ragazza pudica, ma piuttosto un maschiaccio vestito a festa che solitamente viveva a pane e sesso.
Ma non con loro. Detestava sentirsi voluta in quel modo proprio da quei due. Sapeva che le appartenevano più che chiunque altro, sapeva che erano talmente tanto suoi che vedeva tutto ciò come una violenza nei suoi confronti. Non pensava "vogliono fare sesso con me", ma piuttosto "vogliono violentarmi". Non si fidava perchè erano irrealistici.
Il luogo dove si trovavano era una festa, probabilmente, tenuta in una villa gigantesca, con un giardino che si espandeva tanto da perdersi a occhio umano. In quell'istante era seduta con alcuni suoi amici attorno ad un tavolino. Vi erano tanti tavolini, vi erano tante persone, vi erano tanti gazebo. E fiori, thè, biscotti. Guardò l'abito giallo che aveva addosso sentendosi stranamente a suo agio per quanto odiasse quel colore, e si limitò a pensare "sono cresciuta, ma almeno non uso i tacchi".
Una ragazza dai capelli biondi e lunghi le si avvicinò. La detestava,  per un qualche motivo. Lei rimase seduta.
"Perchè non te lo scopi?", disse riferendosi al ragazzo con i capelli più scuri.
"Ce l'ha troppo grande e io ci tengo alla mia vagina", rispose senza degnarla di troppa attenzione.
"Allora posso fare amicizia con il suo amico", annunciò. Pessima mossa. Venne presa per la mandibola e tirata giù in modo che l'altra potesse guardarla negli occhi, e strinse tanto da non permetterle nessun movimento e nessuna parola. Lasciò che potesse rimanere sconcertata da quello che aveva davanti e che credesse seriamente a "posso fare molto peggio di così, chiaro?". Lasciò la presa vedendo che cominciava a perdere bava e schiuma e la tironò per i capelli, inclinandole tanto la testa all'indietro da non permettere alcun suono che attirasse l'attenzione. Poteva solo piangere sommessamente.
La lasciò andare spingendola verso terra, e la vide correre via con il suo vestitino bianco a fiori e corto, e con il trucco colato.
Le persone al tavolo non intervennero e non dissero nulla. Leggeva nei loro volti la parola "prevedibile". Si voltò verso i due ragazzi protagonisti dell'argomento di discussione e notò la soddisfazione disegnarsi sulle loro bocche. Cominciarono ad avvicinarsi.
"Voi due", disse prendendo per mano altre due, "venite con me, scappiamo". Non dissero nulla, seguendola. E corsero, corsero dappertutto, si nascosero in posti introvabili, e puntualmente venivano scovate dai due. Puntualmente veniva trovata. E puntualmente li odiava e escogitava nuove fughe per preservare la propria integrità, chiedendosi perchè dovessero insistere tanto. Eppure sentiva che non era solo fastidio, il suo.
Arrivarono ad una cucina, una delle tante.
"Usciremo una alla volta, o rischiamo di farci vedere. Io vado per prima", e detto questo si precipitò fuori dalla porta correndo sino a raggiungere un cespuglio poco lontano da lì. Si nascose e attese l'arrivo delle altre. Le quali non arrivarono. Comparve solo una donna sulla cinquantina, probabilmente la governante, che doveva annaffiare il roseto lì vicino.
"Chi sei?", si sentì chiedere. Avrebbe voluto spiegare quando incrociò lo sguardo con quello dei suoi inseguitori che l'avevano nuovamente trovata. Salutò frettolosamente la signora e cominciò a percorrere la strada sterrata che aveva di fronte, sempre correndo. Quando capì di averli troppo vicini decise di fare una finta, girando per un angolo e fermandosi immediatamente, attaccata al muro. Come previsto, questi si accorsero di dov'era solo all'ultimo e finirono a terra uno sopra l'altro cercando di bloccarsi. E rise. Si divertiva, in fondo.
Tornò a scappare e si rese conto di essere vicina ad un asilo. Chiedendosi come potesse quel posto avere anche un asilo, decise che non era neanche il caso di stupirsi. Cercò nascondigli, cercando di infilarsi in un armadietto color verde chiarissimo, dove sarebbe forse entrata se fosse stata almeno dieci centimetri più bassa. Notò una poltrona poco lontana e si accucciò lì.
E loro entrarono, tra le urla e le risate dei bambini, cercandola con gli occhi e controllando nell'armadietto che -fortunatamente- aveva scartato. Si avviarono verso l'uscita.
"ONI!", sentì urlare da una maestra che si rivolgeva ad un bambino. Non capì perchè quella donna avesse detto "demone" a un bambino, e soprattutto perchè in giapponese. E poi vide le loro schiene che si allontanavano, mentre la porta trasparente si chiudeva.
Oni-Baku. Eikichi Onizuka e Ryuji Danma. Maurizio e Marco.
(https://www.youtube.com/watch?v=x5V7yLM1s_c  e da qui, ascoltare questa canzone.)
Sentì il respiro bloccarsi, e fu come se vedesse improvvisamente la vera identità dei due ragazzi. E avvertì il bisogno di andare da loro così come aveva avuto quello di scappare. Si alzò e arrancò nei primi passi, quasi dovesse imparare nuovamente a camminare.
Aprì la porta e, nonostante la primavera avanzata, a terra, su quella strada in salita, vi era della neve fresca.
Si voltarono verso di lei, stupiti della sua decisione di uscire allo scoperto così all'improvviso. Solo all'ora si accorse di aver ripetuto per tutto il tempo la frase di una canzone, "I won't cry myself to sleep, like a sucker".
Li fissò come se fosse la prima volta, e procedette nella loro direzione. In un altro momento avrebbe voluto dirgli tante, tante cose. Ma lì, in quel momento, si sedette sui talloni. Fecero lo stesso.
"Tutto ciò... Non rovinerà tutto, no?", chiese incerta se fissare gli occhi nei loro o meno.
"Hn?"
"Resteremo sempre amici, noi, vero?"
Le fece male pronunciare quelle parole, e non ne seppe il motivo. Poi vide i loro sorrisi. Dolcezza, tenerezza, rassegnazione, accondiscendenza, tristezza. E non risposero.
Acquattata così, abbassò lo sguardo verso la punta delle scarpe che aveva della neve sopra. Faceva un po' male, sì.
Si alzò di scatto e corse su, sino in cima. Sapeva di avere i loro sguardi puntati sulla schiena, e si fermò.
"Sì, lo resteremo"
Si girò verso di loro e sorrise. Aveva gli occhi lucidi, ma sorrideva.
Aprì un po' le braccia e Maurizio e Marco capirono. E corsero verso di lei, prendendola a braccetto.
E camminarono, insieme.

Sarebbe stata una bella fotografia.


Spazio Autrice:
Frutto di un sogno, per questo motivo tante cose può sembrare non abbiano un filo logico. Ma ce l'hanno, immagino.
Maurizio e Marco esistono realmente, la protagonista anche. Non sono più insieme, e non saranno mai più insieme, ma esistono, e sono esistiti insieme.
  
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