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Autore: Jessica James    02/03/2013    3 recensioni
1944 - Auschwitz Birkenau.
"Io me ne andrò via da qui, Ana. Non lascerò a questi mostri la soddisfazione di uccidermi, farò qualsiasi cosa per andarmene viva da questo fottutissimo campo di concentramento. Voglio raccontare alla gente lì fuori quello che ci stanno facendo passare, non lascerò che dimentichino. Anche se questo vuol dire dar via questo corpo che non mi appartiene più. Guardami, questa non sono io. E' solo un ammasso di ossa, fame e disperazione. La vera me è rimasta in quel cinema, fra le braccia di quel ragazzo a cui non ho nessuna intenzione di dire addio. Quel ragazzo che mi ha dato la cosa più importante: l'amore. Ed è proprio l'amore che provo nei suoi confronti a darmi la forza di non mollare, di sopportare i pugni, il freddo, la fame, l'umiliazione; ma soprattutto mi da la forza di sopportare tutto lo schifo che mi invade quando quei mostri si muovono dentro di me. Faccio tutto per lui, perchè se c'è una cosa che i nazisti non possono togliermi è proprio questa: l'amore."
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando ci fecero scendere dall'autocarro ci portarono in una stanza enorme, vuota e fredda.
La sete ci straziava, spingendoci a leccare le labbra secche, alla ricerca disperata di un po' di sollievo.
C'era un rubinetto gocciolante, lì vicino, ma c'era scritto che l'acqua non era potabile.
E nessuna di noi ebbe il coraggio di controllare se fosse vero, anche se a me sembrava messo lì proprio per aumentare la nostra tortura.
Ci guardavamo l'una con l'altra, in attesa, ma non successe nulla.
Aspettammo, ora dopo ora, e ad ogni goccia che cadeva da quel maledetto rubinetto, la nostra sete aumentava.
Alla fine sentii che le gambe non mi tenevano più, la testa mi girava per la fame, perciò decisi di sedermi sul pavimento sporco.
Ma proprio in quel momento la porta si spalancò ed entrò una SS donna.
Ci osservò, mentre ci rimettevamo tutte in piedi, poi disse: "Wer kann Deutch?"
Si fece avanti una ragazza bionda, si avvicinò alla SS e fece da interprete.
Dovevamo disporci in fila per cinque, a intervalli di due metri tra una donna e l'altra; poi dovevamo spogliarci e riporre tutto a terra, separando i vestiti di lana dagli altri e facendo attenzione a non farci rubare le scarpe.
Perchè avrebbero dovuto rubarci le scarpe?
E perchè volevano che ci togliessimo i vestiti?
Ci avevano già tolto la libertà, non bastava?
Non mi ero mai spogliata davanti a nessuno, nemmeno davanti a mia madre.
Ma strinsi i denti e feci quello che mi veniva detto, tenendo lo sguardo fisso per non guardare nessuno.
La SS ci disse di mettere le scarpe tutte in un angolo; dove poi venne un uomo con la scopa e le spazzò via.
Rimasi confusa. Erano più di cento cinquanta paia e le stava mescolando tutte, spaiandole.
Ma l'entrata di quattro persone mi distrasse da quei pensieri.
Avevano pantaloni e giacche a righe, con un numero cucito sul petto, come quegli omini che ci avevano preso i bagagli alla stazione; solo che questi erano robusti e floridi.
Avevano in mano rasoi e tosatrici; ci presero una per una e in pochi minuti ci ritrovammo tutte rasate.
Molte donne piangevano.
Mi ritrovai a fissare le mie ciocche scure che cadevano per terra, mentre sentivo ancora la voce di Greg che mi diceva "Mi piace quando li tieni sciolti, così posso accarezzarli".
Chiusi gli occhi e pregai che, almeno a lui, tutto questo venisse risparmiato.
Ero stanca, era notte fonda, più o meno le quattro del mattino, ed erano giorni che non riuscivo a dormire bene.
Si aprì un'altra porta e ci ritrovammo in una sala docce, ancora nude e infreddolite, con l'acqua che ci arrivava alle caviglie.
Ci lasciarono lì per ore, perchè dovevamo aspettare la sveglia, perchè senza disinfestazione non si poteva entrare al campo.
Non potevamo sederci perchè l'acqua era gelida, quindi ci limitavamo a camminare e a spostare il peso da una gamba all'altra, per evitare che si addormentassero.
Mi tenni stretta a mia madre. 
Non aveva aperto bocca da quando eravamo salite sull'autocarro.
Non aveva più detto una sola parola.
Sentimmo una campana, e a quel suono l'intero campo si risvegliò.
Dalle docce uscì all'improvviso acqua bollente, una beatitudine, un sollievo dopo quattro giorni.
Ma durò poco, perché poi ci cacciarono in un'altra stanza, gelida, dove ci diedero quei vestiti a righe e un paio di scarpe con la suola di legno.
Però non potevamo vestirci.
Chiamarono tutte le ragazze dai sedici ai trent'anni, e ci dissero di rimanere dove eravamo, mentre tutte le altre dovevano uscire fuori nella neve, a piedi nudi, e raggiungere una baracca.
Strinsi la mano di mia madre cercando di darle un po' di coraggio, prima di lasciarla andare.
"Voi!" urlò una SS donna con forte accento tedesco.
La divisa nera le faceva risaltare i capelli biondi e gli occhi color ghiaccio.
"Non provate a scappare o vi ammazzo in meno di un secondo. Mettetevi in fila per cinque, come prima. E state in silenzio!"
Io mi misi in fondo, ero l'ultima della seconda fila.
La porta si aprì ed entrarono tre uomini in divisa, tre SS.
Avevano un'aria minacciosa. Ci scrutavano con un sorriso cattivo sul viso.
Uno dei tre, alto e moro, stava un po' più avanti rispetto agli altri due, entrambi biondi.
Era forse il capo?
"Carne fresca!" commentò quello moro, e gli altri due risero di gusto.
"Sono tutte ebree?" chiese poi, alla SS donna, la quale scosse la testa.
"Le ebree a destra e tutte le altre a sinistra. Subito!" urlò la donna.
Ci dividemmo. A sinistra eravamo solo due file, mentre a destra ce n'erano più di sei.
L'uomo con i capelli scuri indicò il gruppo di ebree agli altri due: "Sono tutte vostre. Divertitevi. Io non scopo con le ebree."
Mi si gelò il sangue.
Era per quello che ci avevano tenuto?
"Vediamo un po'.." si passò la lingua sulle labbra.
"Ne sceglierò una di voi, una sola. A differenza dei miei amici, a me non piace cambiare ogni sera. Quella che avevo prima probabilmente è morta e la sera mi sento piuttosto solo." si lasciò sfuggire una risata.
Sospirai, disgustata.
Non poteva dire sul serio.
Ma il mio sospiro attirò la sua attenzione.
Tenne gli occhi fissi nei miei, mentre camminava verso di me, lentamente, osservandomi.
Cercai di coprirmi come meglio potevo con mani e braccia e lui rise di nuovo, guardando i miei goffi tentativi.
Si posizionò dietrò di me e mi annusò il collo. Iniziai a tremare.
"stai ferma e non dire una parola, qualsiasi cosa io faccia. Altrimenti quella ti ammazza." sussurrò, in modo che potessi sentirlo solo io, riferendosi alla SS donna.
Poi si spostò, mi venne davanti e passò lo sguardo sul mio corpo nudo.
Abbassai il mio sui suoi stivali lucidi.
Mi sentivo umiliata.
Gli altri due lo incitavano, ridendo.
Allungò una mano e sfiorò quella che tenevo in mezzo alle gambe per oprire la mia nudità, "Da ora in poi sarò l'unico, e sottolineo l'unico" si rivolse ai suoi amici con sguardo severo, prima di riportare l'attenzione su di me, " a toccarti lì in mezzo."
Mi lanciò un sorriso inquietante.
"Come ti chiami?"
"La-Layla." balbettai.
"Vieni con me, Layla. Voi altre, vestitevi e andate a lavorare." disse, con tono autoritario.
Tornò a guardarmi e, vedendo che ero rimasta immobile accanto a lui, mi allungò uno schiaffo che mi lasciò senza fiato per alcuni secondi.
"Vestiti." mi sussurrò, con voce ingannevolmente dolce, "Fuori fa freddo."
Obbedii, in silenzio, con la guancia che pulsava per il dolore.
Aspettò che rimanessimo soli e si girò di nuovo verso di me.
"Vieni con me?" chiese, a bassa voce.
"Ho scelta?" replicai, sentendo la rabbia montarmi dentro.
Aggrottò le sopracciglia.
"No, in effetti no. Cercavo solo di essere carino."
Mi lasciai sfuggire una risata sarcastica.
"sono i sensi di colpa per avermi schiaffeggiata?"
Avevo il presentimento che avrei passato guai seri se avessi continuato a rispondere così, eppure non riuscivo a frenarmi.
Si chinò a guardarmi e quando i miei occhi incontrarono i suoi, mi rivolse un sorriso sfacciato.
"Chi non prova sentimenti non ha sensi di colpa."
Sostenni il suo sguardo, trattenendo il fiato.
Era dannatamente vicino, sentivo il suo respiro sfiorarmi.
"Non puoi non provare sentimenti."
Si piegò un altro po' verso di me per potermi osservare meglio e allungò una mano per accarezzarmi la guancia che aveva colpito poco prima.
Il suo tocco mi fece sussultare, e istintivamente feci un passo indietro.
"Non mi conosci. Fai qualche domanda in giro, ti diranno quello che devi sapere su di me."
"Perchè non lo fai tu?"
Si allontanò, scuotendo la testa.
"Andiamo, ti porto nella mia stanza."
"Vuoi stuprarmi subito?" mi morsi la lingua, stavo esagerando.
Si fermò.
Mi dava le spalle ma notai che si era irrigidito.
"Andiamo!" ripeté, urlando; il suo tono era gelido e non ammetteva repliche.


@mickyslaugh
  
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