Il sole era tramontato, calato oltre la linea dell'orizzonte. Il giorno aveva lasciato il posto alla notte, e assieme alla notte, si sa, alle stelle e alla luna. Remus Lupin era conscio che la luna piena sarebbe sorta di lì a poco, sapeva che il suo sguardo avrebbe incrociato le macchie lunari che tanto parevano un viso. Un brivido gli percorse la pelle, la quale fremeva, conoscendo già il dolore a cui sarebbe stata sottoposta una volta che la dama del cielo avesse chiamato a sé il suo cavaliere e servitore. Perché quando veniva bagnato dalla luce della luna piena, Remus Lupin si trasformava, e la parte feroce di sé incombeva sul resto, avanzava trionfante e chiedeva il suo premio, il suo sangue. La ferocia avrebbe avuto sete come tutte le altre volte, e l'avrebbe placata con il nettare rosso che gli scorreva nelle vene. Il ragazzo non riusciva a controllarsi quando era lupo, la ragione smetteva di esistere, c'era solo quella voglia convulsiva di sangue, sangue! Odore di sangue, sentirlo scorrere tra gli artigli, e poco importava se il sangue era il suo: il lupo sarebbe morto all'alba, il dolore sarebbe rimasto all'umano. Non si controllava, si graffiava, mordeva, lacerava. E la pelle bruciava, e il sangue scendeva, e il lupo lo leccava e gioiva. Sangue, solo il sangue voleva. Remus Lupin si odiava. Si odiava, perché ogni mese era sempre peggio, ad ogni alba era più malridotto. Si odiava, perché non riusciva a tenere a freno la bestia che era in lui e ne vedeva i segni sul proprio corpo. Si detestava, e quell'odio profondo rimase nel lupo un volta che l'astro sorse. Il lupo detestava l'umano che lo lasciava libero una sola volta ogni ventotto giorni, tanto quanto veniva detestato dal ragazzo. Un primo graffio solcò il muso, una volta giovane volto, ed un grido o un ululato squarciò il silenzio.