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Autore: Morwen_Eledhwen    02/03/2013    6 recensioni
E se le cose fossero andate diversamente?
Storia ambientata durante e dopo la battaglia alla barricata, con un nuovo personaggio (che, diciamolo, ha una pesante cotta per Enjolras): Angèle, che si reca alla barricata in cerca di Éponine.
Gli si avvicinò e quella fastidiosa sensazione di inferiorità si impossessò di lei come tutte le volte in cui aveva assistito ai suoi pedanti comizi: si sentiva inutile in quella rivoluzione, inutile per il popolo francese, inutile per il povero Gavroche. Enjolras, invece, pareva un angelo portatore di salvezza.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV. There Are Dreams That Cannot Be




La stanza di Angèle era piccola e spoglia: l’unico arredamento presente era costituito dal letto, addossato alla parete opposta alla porta, ed un piccolo tavolino di legno in un angolo, a fianco del quale si trovava una sedia. Su di essa erano ammassati dei vestiti, poiché non vi era alcun armadio per contenerli.
Lo sguardo di Grantaire si posò su alcuni libri malconci e ingialliti che giacevano ai piedi del letto, ma un gemito lo distolse dalla curiosità di leggerne i titoli.
«Enjolras?».
Non ottenne alcuna risposta, ma notò che la mascella dell’amico disteso sul letto era contratta in una smorfia di dolore. Gli occhi erano serrati.
Grantaire si sedette sul bordo del letto e posò delicatamente la propria mano su quella di Enjolras, osservando il volto dell’altro con aria preoccupata. Poi spostò lo sguardo sulla spalla fasciata e notò che il brandello di stoffa che Angèle aveva posto sulla ferita era visibilmente impregnato di sangue, nonostante fosse quasi dello stesso colore.
«Enjolras, mi senti?».
Ancora nessuna risposta.
Grantaire deglutì.
«Arriverà presto un dottore e sistemerà tutto, te lo prometto».
Strinse ancora di più la mano di colui che rappresentava per lui l’unico ideale in cui avesse mai creduto, ma questi non ricambiò la presa.
L’etereo Apollo stava scivolando nell’abisso.
Grantaire avvicinò il proprio viso all’orecchio di Enjolras, per sussurrare: «Non andartene».
Nella stanza regnava il silenzio, rotto solamente dai suoi mormorii.
«Chi sono io senza di te? Un ubriacone, come mi avevi sempre detto tu».
Sorrise, ripensando a tutte le volte in cui Enjolras l’aveva rimproverato.
Non avrebbe potuto sopportare la sua mancanza. Non sarebbe stato capace nemmeno di immaginare un futuro senza quella che era stata per lui una vera e propria guida, una luce nelle tenebre dell’esistenza.
E ora che gli amici dell’ABC non esistevano più, si sarebbe sentito tremendamente solo.
Grantaire chiuse gli occhi e si ritrovò a pensare che sarebbe stato meglio morire alla barricata.
Quando li riaprì, vide che il petto dell’amico, nascosto sotto la bianca camicia sporca di sangue e incorniciato dalla giacca rossa su cui spiccava la coccarda francese, si alzava e riabbassava in maniera irregolare e quasi impercettibile. Per alcuni interminabili momenti pareva non si muovesse per nulla.
 
Madame de Lamartine stava sbirciando la scena nascosta dietro lo stipite della porta. Osservava con compassione quel ragazzo chino sul moribondo e si chiedeva come potesse il buon Dio permettere tutto questo.
«Fate passare, fate passare!».
Qualcuno la scostò dalla porta con forza: era Monsieur Pauvert, un medico noto agli abitanti del quartiere, seguito da Angèle, che gli stava alle calcagna come un cane. Madame de Lamartine notò che la ragazza aveva la veste strappata e si chiese dove avrebbe trovato i soldi per pagare il medico ed un vestito nuovo. Sempre la solita, sempre in cerca di guai. Madame de Lamartine era costantemente in pensiero per lei: la considerava quasi come una figlia, da quando molti anni prima qualcuno aveva lasciato quella piccola creatura, avvolta in una coperta, dentro un piccolo cesto davanti alla porta dell’edificio che lei gestiva, in quanto affittacamere. Ma ora quella creaturina era cresciuta: leggeva e rileggeva i suoi libri, covando chissà quali pensieri in quella mente impenetrabile, e se ne andava in giro per la città come un gatto randagio, incurante dei pericoli che essa nascondeva, soprattutto in tempi come quelli.
L’uomo appoggiò sul pavimento la propria borsa e, allontanando Grantaire con un cenno della mano, si avvicinò al letto, tolse il pezzo di stoffa che avvolgeva la spalla di Enjolras ed esaminò la ferita, sistemandosi un paio di piccoli occhiali sul naso per vedere meglio.
«Mmm».
Grantaire ed Angèle trattennero il respiro.
«Devo estrarre la pallottola», disse con aria seria.
Frugò nella borsa e ne tirò fuori uno strano arnese di ferro. Angèle spalancò gli occhi, mentre Grantaire apriva la bocca per dire qualcosa, senza riuscire ad emettere alcun suono, e Madame de Lamartine, sconvolta, lasciava la stanza.
«Signorina, vi consiglio di allontanarvi e non guardare», disse il medico rivolgendosi ad Angèle, che in quel momento si trovava in piedi al suo fianco.
Notando che la giovane non accennava a spostarsi, ripeté in tono severo: «Non mi importa quanto voi siate coraggiosa, vi prego di allontanarvi per evitare svenimenti. Ho già un paziente da curare, non ne serve un altro».
Angèle gli lanciò un’occhiata ostile ed infine obbedì, posizionandosi in piedi vicino alla porta e dando le spalle al letto.
Pochi secondo dopo la sua mente fu costretta ad ammettere che il dottore aveva fatto bene ad allontanarla, poiché uno straziante urlo di dolore proveniente dalla bocca di Enjolras invase la stanza.
«Aiutami a tenerlo fermo, ragazzo».
Angèle non resistette e si voltò per sbirciare, notando Grantaire che si chinava sul corpo di Enjolras per tenergli ferme le braccia.
Il dottore, che le dava la schiena, continuava ad armeggiare con il suo strumento, anche lui chino sull’angelo caduto.
Un altro urlo. Pareva quello di un uomo sotto tortura.
Angèle si morse un labbro fino a farlo sanguinare, cercando di mantenersi salda sulle gambe. Per fortuna non riusciva a vedere cosa stesse facendo il medico.
Dall’ultima volta in cui lui le aveva parlato, ovvero nella taverna, Angèle aveva provato una certa nostalgia per la voce di Enjolras, ma ora quelle grida le stavano spremendo le viscere. Avrebbe voluto correre da lui, stringerlo forte a sè e rassicurarlo, ma si vergognò subito di un simile pensiero.
Sperava che il medico finisse in fretta.
Enjolras urlò ancora ed Angèle vide il suo corpo che si divincolava sotto la presa di Grantaire e del dottore.
 
Dopo quella che le parve un’eternità, le urla cessarono ed il medico avvolse lo strumento grondante di sangue in uno straccio, per appoggiarlo sul pavimento. Poi estrasse dalla borsa delle bende ed iniziò a fasciare la spalla di Enjolras, sotto lo sguardo vigile di Grantaire.
Angèle, nel frattempo, si era seduta per terra, con la schiena contro la parete e le braccia che premevano le gambe contro il petto. Quando il medico, riordinate le proprie cose, riprese in mano borsa e cappotto, lei intravide la figura immobile di Enjolras sul letto e si alzò in piedi, ma non ebbe il coraggio di avvicinarsi.
«Ascoltatemi bene», iniziò l’uomo, rivolto a lei e Grantaire.
«Passategli sul viso un panno bagnato e cercate di asciugare il sudore».
Grantaire annuì prontamente.
«E quando lo vedete agitarsi, dategli da bere. Tornerò domani per cambiare le bende».
«Monsieur...», iniziò Grantaire esitante, «ce la farà?».
Il medico si umettò le labbra con fare pensieroso, e poi rispose con calma: «Sì, potrebbe».
Ad Angèle quel “potrebbe” non piacque per nulla.
Fece del suo meglio per congedare il dottore con un’espressione che non tradisse emozioni, promettendo di pagarlo il prima possibile, mentre Madame de Lamartine compariva sulla soglia della stanza lanciando occhiate preoccupate in direzione di Enjolras e dichiarando che Angèle e Grantaire potevano utilizzare una stanza che in quel momento era sfitta per dormire la notte.
Angèle seguì la signora al piano di sopra per farsi dare un catino con dell’acqua e un panno pulito e, quando rientrò nella propria stanza, trovò Grantaire seduto per terra, appoggiato al letto su cui giaceva Enjolras, con la testa fra le ginocchia.
«Sei stanco morto, vai a dormire nell’altra stanza», gli disse con tono apprensivo.
«Non sono stanco, mi gira la testa».
«Ci credo, ma vai a stenderti lo stesso», gli rispose evitando di tirar fuori l’argomento che riguardava la sua bevuta.
«Riesci a cavartela da sola con lui?».
«Sì sì, non preoccuparti».

In realtà non era affatto vero. Dopo che Grantaire se ne fu andato, si mise ad osservare quel volto angelico placidamente addormentato e si rese conto di non avere il coraggio di avvicinarsi.
Rimase in profonda contemplazione per alcuni minuti, poi si fece coraggio, fece un respiro profondo ed afferrò il panno per immergerlo nell’acqua.
Si sedette sul bordo del letto e, con un gesto lentissimo, allungò la mano verso il volto di Enjolras. Gli posò il panno sulla fronte con delicatezza, sperando con tutto il cuore di non svegliarlo. Ma lui non si mosse.
Allora Angèle gli passò il panno sul volto e, mentre lo faceva, la sua mente si riempì di pensieri ed emozioni che non aveva mai provato in vita sua. Arrossì piena di vergogna, lieta che non vi fosse nessun altro nella stanza. Avrebbe voluto accarezzare quel volto marmoreo e perfetto, ma non lo fece e si limitò a farvi scivolare sopra il panno.
Quando ebbe finito, prese la sedia che si trovava vicino al tavolino nell’angolo e la trascinò vicino al letto per sedersi. Appoggiò la testa allo schienale ed una miriade di pensieri la trascinarono lontano, vorticandole nella testa come sciami d’insetti impazziti: si smarrì in quella fitta nebbia, in mezzo alla quale balenavano la figura di Enjolras ed i terribili momenti che aveva vissuto alla barricata.
Stava per essere sopraffatta dal sonno, quando un colpo di tosse ruppe il silenzio. Angèle aprì subito gli occhi e vide Enjolras che tossiva e spasimava, con l’espressione di chi sta soffrendo le pene dell’inferno.
Quasi cadde dalla sedia, mentre le tornavano in mente le parole del medico e si precipitava verso il tavolino a prendere il bicchiere d’acqua che Madame de Lamartine le aveva preparato prima.
Come avrebbe fatto a dargli da bere? Si sentiva molto a disagio, poiché era la prima volta che si ritrovava completamente sola alle prese con un ferito, e se questo era Enjolras, le cose si complicavano ancora di più.
Gli sollevò il capo con una mano e con l’altra gli avvicinò il bicchiere alle labbra, ma lui scosse la testa per liberarsi dalla presa.
«Lasciami stare», disse irritato e sofferente.
Ripiombò sul cuscino e voltò la testa dall’altra parte, riaddormentandosi poco dopo.
Angèle rimase come pietrificata e provò la stessa sensazione che si prova quando si ha appena ricevuto un pugno nello stomaco.
Ritornò con passo incerto a sedersi sulla sedia, dove, travolta da rabbia mista a sconforto, si mise a giocherellare nervosamente con l’umile collana fatta di spago che aveva al collo, tenendo gli occhi fissi sul pavimento.
Quando risollevò lo sguardo, notò che Enjolras era sveglio e la stava osservando, ma non appena lei se ne accorse, lui volse prontamente lo sguardo verso il soffitto e rimase a fissarlo immobile.



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Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito e/o messo questa storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche coloro che l'hanno semplicemente letta silenziosamente :) Ora aggiornerò più frequentemente perché avrò più tempo libero (mi sono appena laureata, evvai) :) A presto! Un abbraccio a tutte voi!

  
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