Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: CleaCassandra    17/09/2007    5 recensioni
Frances, una vita fuori dall'ordinario, e una persona speciale, reincontrata dopo anni.
Diciamo pure che non sono brava a fare riassunti, spero solo vi piaccia.
attention please: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone di cui parlo (ma magari li conoscessi di persona ;O;), nè offenderle in alcun modo...beh, insomma, era una precisazione necessaria u_ù
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
uahhhhh, che belli i commenti *_* grazie mille, mi fa piacere che quello che scrivo piaccia a voi che leggete !
e, sì, martù, pandistelle will save us all u_ù/

Cap. 18 – Love Steals Us From Loneliness

Ma dove volevo andare, da sola.
Mi sono accorta di non avere praticamente un dollaro, in tasca. Pochissimi, a dire la verità.
Nel mio mondo meraviglioso sognavo di prendere un taxi per arrivare all’aeroporto, e prendere l’aereo così, senza biglietto.
Meno male che mi ha fermato. E che mi sta accompagnando. E che mi pagherà il biglietto.
Non li rivuole indietro, i soldi.
“È fuori discussione!” sbotta, indispettito. Mi metto a ridere, vedendo il broncetto che mette su, quasi fosse offeso da tanta formalità.
“Ah, allora…beh, grazie” rispondo, imbarazzata.
Adesso sono in macchina con lui, più o meno a metà del tragitto, e i Black Flag che urlano dalle casse dell’impianto radio.
È diversa. Rispetto a quella di Mikey, dico. Oltre a essere più piccola, e di un rosso fiammante, è piena di cose sue. Oggetti che hanno qualcosa da raccontare.
Cd sparsi sui sedili posteriori. Bottigliette d’acqua e lattine di Coca Cola vuote a giro. Un ombrello. Un paio di occhiali da sole addormentati sul cruscotto.
La Mercedes nera di Mikey è asettica, ordinata, elegante.
La Mini di Frank è allegra, incasinata, vissuta.
È Frank. Ed è incredibile come qualsiasi cosa gli appartenga parli a voce alta di lui.
“Scusami, avrei dovuto darle una pulita…” mormora, a disagio, mentre mi vede posare lo sguardo, curiosa e avida di sapere, su ogni angolo, anche il più nascosto e insignificante, di quel microcosmo.
“Tu non hai visto la mia. Altro che dischi e lattine!” replico, mettendomi di nuovo a ridere, e contagiandolo. Così inizia a farmi un sacco di domande sulla mia macchina, un maggiolone originale degli anni ’70 rimesso a nuovo e, che, purtroppo, ho sempre un po’ trascurato: il posacenere sempre pieno, accendini ovunque, giornali dimenticati nei vani portaoggetti, la radio, che appena viene accesa gracchia come un corvo. Il motore, che ha provato ad abbandonarmi plurime volte, e che sembra lavorare quasi controvoglia, facendo per di più un rumore infernale, quando giro la chiave nel quadrante.
“Eppure non riesco ad abbandonarla. Sai quante volte mi sono detta ‘adesso basta, devo comprarmi una macchina nuova’? Però, ormai, è parte di me” confido, sospirante, mentre lui ascolta divertito.
Qualche attimo di silenzio, poi mi dice: “Ma dove la ritrovo una come te?”
Rimango interdetta.
“Eh?”
Nel silenzio, sorride, e spegne la radio. Sono un po’ irritata da questo gesto, perché odio i lunghi silenzi in macchina. Mi piace quando c’è la musica a creare un sottofondo piacevole, e adesso non c’è più nemmeno lei, invece.
Storco la bocca in una smorfia di disappunto, e al tempo stesso curiosità.
Voglio sapere.
Quindi ribadisco la domanda.
“Una come me IN CHE SENSO?” chiedo, scandendo ben bene le ultime parole, distillando in ogni singola sillaba la profonda sensazione di disagio che sta prendendo a poco a poco possesso di me. Lui, incurante, continua a guidare con quel ghigno beffardo piantato in faccia, finché non si inizia a scorgere la sagoma dell’aeroporto farsi sempre più vicina.
Entriamo nel parcheggio, sempre in silenzio, alla ricerca di un posto.
Sto cercando di trattenermi, ma la curiosità mi ha sempre fregato. Però so che non è uno stupido (sebbene alla luce degli ultimi fatti qualcosa mi abbia portato a pensare l’esatto contrario), e so che non è nemmeno sordo, per cui ha sentito benissimo la mia domanda, e ha sentito anche il tono piccato. E forse è per questo che tace. Per farmi innervosire ancora di più.
Trova il posto agognato.
Vi si sistema con perizia. Non avrei saputo fare meglio.
Tutto sommato guida bene, più prudentemente di Mikey, il che mi fa stranissimo. All'inizio avrei detto completamente l'opposto.
Mikey, così calmo e posato.
Frank, così allegro e spigliato.
Entrambi dotati di un modo di guidare che superficialmente non li rispecchia.
Ma, mi azzardo a elucubrare, nel profondo li identifica senza alcun margine di sbaglio.
Spegne il motore.
E si volta a guardarmi, sempre sorridendo.
Spero solo non sia una cazzata colossale delle sue, penso.
“Sei speciale."
Prego?
Questo pare dire la mia faccia.
Incredulità, stupore, sorpresa? Il mio sopracciglio alzato la pensa diversamente.
Non c'è incanto sul mio viso. C'è solo un grosso punto interrogativo, e una scritta che parte dalla fronte e, riga dopo riga, arriva al mento.
Mi stai prendendo per il culo?
Sembra capire, per un momento. E solo dopo che ha parlato, mi accorgo che ha davvero afferrato il senso della mia espressione.
"Nessun’altra è come te, e sono felice che tu sia mia.” chiosa. Niente sguardo sognante, né voce melensa. É sicuro di quel che sta dicendo, e la determinazione gli si legge negli occhi, si sente nella sua voce, ferma, eppure piena di calore.
A questo punto spalanco gli occhi, e anche la bocca.
Effettivamente, no, non è affatto una cazzata.
Indovinate un po’?
Arrossisco.
Sento il fuoco sulle guance, e lui si mette a ridere, vedendomi.
Poi si avvicina, e mi tira un pizzicotto.
“Ma quanto sei carina quando arrossisci!”
Non trovo niente di meglio, come risposta, che fargli una sonora pernacchia, con strafottenza. Ma non se la prende a male, anzi, ride ancora di più.
“Vedi cosa intendo? Nessuna mi avrebbe risposto a pernacchie, tranne te!”
“Non ti piace? Guarda che ne so fare di meglio eh…”
“Naaaaaaaaaah, non intendevo quello. Mi piaci così come sei, a improvvisazione, senza copioni definiti. Tu sei bella perché sei spontanea, sei capace di cominciare a ridere a crepapelle per un’infima cazzata, o di scoppiare a piangere come una bambina se c’è qualcosa che ti turba, e vai bene così, non devi controllarti! Sei…sei…oh, cavolo, adesso inizierò ad incartarmi e non sapere più cosa dire, dannato me!” conclude, strizzando gli occhi, le dita che scorrono frenetiche e nervose tra i capelli, scompigliandoglieli tutti.
Il mio dito si posa tranquillo sulle sue labbra.
“E allora taci, o rovinerai tutto” mormoro, ancora imbarazzata da quell’esternazione così sincera.
Grazie. Se prima avevo tutti i motivi di questo mondo per pensare che mi stessi dicendo una cazzata, adesso ne ho altrettanti per partire sempre più controvoglia.
Perché vorrei stare con te, e godere appieno di tutto l'amore che ti ribolle nel petto, e che non riesci nemmeno a comunicare a parole, tanto è grande.
Ma non ti sto lasciando per senso del dovere. Quello mi è sempre mancato.
Se mi sono decisa a partire è perchè non voglio perdere la mia prima, vera, ragione di vita. L'unica a farmi sopravvivere, prima che arrivassi tu.
É grazie al mio sogno e alla mia passione se ti ho incontrato. Ed è per colpa loro, se adesso devo abbandonarti un'altra volta.
Perché mi stanno sfuggendo di mano, stanno scappando via da me, e devo correre a riprenderli, se non voglio maledire il mio egoismo fino alla fine dei miei giorni.
Se non voglio mandare alla malora anche il sogno e la passione di due ragazzi che mi hanno aiutato, senza chiedere mai nulla in cambio. Sarei veramente una stronza.
Ma almeno, mi consola lasciarti qui con la nostra scaramuccia finalmente conclusa, con un bel cartello gigante, che reca la parola 'FINE', davanti.
Lasciarti qui sapendo che sei finalmente mio, e che non c'è più nulla a turbarti, a sconvolgere il tuo sonno.
Un bacio fugace, quello che ci unisce adesso.
Altrimenti perderò l’aereo.
“Dai, muoviamoci!” mi esorta, uscendo dalla macchina.
"Cos'è, ti vuoi liberare di me?" rispondo, ridendo.
“Hai avvisato qualcuno?”
“Beh, no, vorrei prima sapere a che ore partirò, sai com’è…” replico, saccente.
“…giusta osservazione. Su, su, una mossa!” esclama, spingendomi verso l’ingresso.
Mentre cammino la mia testa si fa teatro di una ridda incontrollabile di pensieri.
Mi chiedo se Keith sia sempre alterato come stanotte. Mi ha fatto paura, devo ammetterlo. E chissà se anche Dave ce l'ha con me perché li ho piantati in asso così, all'improvviso, senza un motivo apparente.
Frank mi vede soprappensiero, ed è così gentile e premuroso da lasciarmi travolgere dalle mie cavalcate mentali per chiedere quale sia il primo volo per Boston, e se ci siano ancora posti liberi.
A un certo punto è come se mi risvegliassi nel mezzo di un sogno. Mi sento intontita, ma una cosa scorre lucida nei miei neuroni, e gliela grido, perché voglio che mi senta, che mi assecondi, che mi dica di sì.
"FRANK! PARTI CON ME!"
Non mi dire no, ti prego, non mi mostrare la verità così schiettamente. Non voglio più stare senza di te.
Si volta, e mi osserva sconsolato, anche un po' triste.
"Lo farei anche subito, ma non posso. Devo riprendermi, abbiamo anche noi dei concerti da fare...mi dispiace. E poi, sei fortunata. È rimasto un solo posto libero."
No, non dispiacerti. Hai soltanto ragione, non è colpa tua, né mia, né di nessun'altro. Sono solo stata egoista a chiedertelo, a pensare, anche solo per un fuggevole attimo, di essere per te più importante della tua band.
Sorrido, triste ma consapevole.
Il peggio è passato per tutti e due. Adesso dobbiamo soltanto raccogliere i cocci e incollarli pazientemente, cercando di non sbagliare a sistemare i pezzi e aspettando con flemma che la colla si asciughi e lasci che stiano insieme senza essere tenuti dalle nostre mani maldestre.
Mi accompagni al gate, e ti congedi da me con un bacio che ha il sapore della malinconia e che sembra rassicurarmi, senza soluzione di continuità, che ci rivedremo presto, e che riusciremo ad avere un po' di tempo per stare veramente insieme, come due persone qualsiasi che si amano.
Prima di salire sull'aereo però chiamo Dave, e gli chiedo se può venirmi a prendere alle quattro e mezzo.
Risponde di sì, ma ha un tono che mi preoccupa: è come se volesse camuffare un qualcosa di negativo con l'euforia e la felicità di risentirmi. Mi chiama persino per nome. Erano anni, tanti anni, che non lo faceva. Io per lui sono sempre stata ‘stellina’, e nessuno, a parte lui, doveva, e deve, permettersi di chiamarmi così. Quindi ho tutte le ragioni del mondo per crucciarmi.
"...Dave, stai bene?"
"Massì, massì! É tutto a posto! Dai, allora ti aspetto all'aeroporto alle quattro e mezzo!"
"Ok...grazie" concludo, meditabonda. Spengo il telefono e mi giro indietro, per vedere se c'è sempre. Ed è lì, dietro un vetro, che mi guarda e, imbarazzato, come uno scolaro delle elementari, fa per alzare la mano e salutarmi, indugiando per lunghi istanti, finché non ci riesce, sorridendo timidamente. Ricambio il sorriso e il saluto, poi salgo sull'aereo e prendo posto.
Appena mi siedo, frugo convulsamente nella tasca del giaccone, alla ricerca del lettore mp3. No, niente iPod per me, va troppo di moda. È un ragionamento che ha fatto storcere la bocca a molti, in primis a Alice, che mi ha regalato questo, e invece avrebbe voluto prendermi un iPod fucsia. Ma sono più contenta così, con le mie convinzioni del cazzo, che mi aiutano ad andare avanti senza troppi intoppi. Ma stavolta, la convinzione che ascoltare la musica riduca al minimo l’attività paranoide del mio cervello è del tutto errata e fuori posto.
Mi rode averlo sentito così giù di morale. In realtà non ho smesso di pensarci un attimo, perché non è da lui. Dave è sempre quello che porta una ventata di buonumore nella band, quello che suscita un sorriso anche solo dicendo la più immane delle stronzate, quello che, se attacca a ridere, contagia tutti gli altri.
Non l’ho mai sentito con quel tono di voce, e nemmeno ridere così nervosamente, così stizzosamente.
Così fintamente.
Perché non ho chiamato Keith? Almeno mi sarei risparmiata tutta questa fila di seghe mentali. È incazzato, e lo so sin troppo bene. Magari mi avrebbe sorpreso in positivo, mostrandosi tranquillo. Magari.
In realtà il motivo per cui mi sono buttata a pesce sul numero di Dave, senza pensarci nemmeno un attimo, è stato proprio questo.
Non volevo sentire mio fratello ancora alterato con me. Che ci crediate o no, fa male più di una rasoiata maldestra. Quelle in cui ti tagli senza cognizione di causa, per sbaglio, e quindi non c’è precisione nel colpo, e il dolore diventa un affare dispersivo, bruciante, il sangue esce e vorresti che si fermasse, e invece no, non ti ascolta e prosegue nella sua corsa verso l’infinito e oltre.
Confidavo nella consueta allegria del nostro bassista, e invece ci sono rimasta fregata. Perché adesso è solo affabilità, e nient’altro. Una cordialità affettata che mette profondamente a disagio chiunque abbia a che fare con colui che la usa.
Frank è passato in secondo piano rispetto a tutto questo. È tutto a posto con lui, per fortuna. Ma anche questo non faccio che ripetermelo come un mantra, quasi dovessi convincermene, quasi non fosse vero.
Probabilmente l’unica cosa che non va in tutto questo sono io.
Io che non riesco a gestire a dovere la mia vita, che per inseguire un amore perduto metto da parte senza troppi complimenti chi, di affetto, me ne ha dato da sempre, che risolvo costantemente problemi che fondamentalmente mi creo da sola, e soprattutto che mi faccio delle paranoie assurde, finendo per pensare troppo a tutto quel che mi riguarda.
Dovrei spegnere il cervello e agire d’istinto, qualche volta. La sa lunga al riguardo.
Adesso sia lui che la ragione mi stanno guardando e ridono. Uno ride perché ha pietà di me e dei miei cavilli, l’altra perché è isterica, nervosa, abusata, e mai con buoni esiti. Perché, diciamolo, la verità è che sono ridicola. Non ho capito proprio niente della vita, e lo dimostra il fatto che sono qui, seduta in un aereo che sta per atterrare, con le cinture slacciate e il bambino vicino a me che mi dice, esitante per la paura di disturbarmi (questa dannata paura andrebbe abolita. Non può pietrificare anche i bambini.): “Signorina, devi allacciarti le cinture…”, per il fatto che non lo sento, perché adesso Iggy Pop urla come un cretino nelle mie orecchie che vuole essere il mio cane, e io gli rispondo, e tutto questo si svolge nel mini-mondo idilliaco che ho costruito nel mio cervello, che non ho bisogno di animali da portare fuori a pisciare, ma solo di un po’ di sana, fottuta, tranquillità, e finisco per mandarlo a fanculo, e poco ci manca che ci mando anche la hostess che viene a picchiettarmi gentilmente, ma con odio, visto che sono un grumo nell’impasto perfetto del suo lavoro qua sopra per oggi, sulla spalla, invitandomi a togliere le cuffiette e ad ascoltarla, e io vorrei dirglielo, che preferisco Iggy, ma non credo che capirebbe, e allora mi tocca assecondarla, a questa schifosa vacca rompicoglioni. Comincio a stancarmi di tutto questo, comincio a diventare insofferente verso tutto e tutti e non vorrei, vorrei che la vita fosse davvero un idillio, un pensare solo alle stronzate, a suonare, a sfondarmi di gelato e birra, che sì, è un accostamento osceno, ma ha il suo perché, ai regali da fare agli amici e a…oh, cazzo.
Ho giustappunto un regalo in sospeso. E mi sono dimenticata di parlargliene. Chissà quando lo rivedo…io voglio dirglielo ora, subito, immediatamente! Ma naturalmente non siamo ancora atterrati, non posso ancora accendere il cellulare e soprattutto adesso che scendo devo subito cercare Dave, che è talmente di aspetto ordinario, e io sono così rincoglionita da tutto quello che mi è successo nelle ultime ventiquattr’ore, che già so che farò una fatica immane per trovarlo.
Per fortuna lui trova me. E ovviamente ha su un muso che mi spaventa. Mi saluta cordiale, ma freddo.
“Cos’hai?”
“Eh…ero preoccupato per te…e anche per Keith. è da ieri sera che si comporta come un orso.”
”Non faccio fatica a indovinarne il motivo…” concludo lapidaria, con una feroce ironia che non mi appartiene.
Ma d’altronde, mi sembra di non essere l’unica a prestarmi a questa buffonata. E allora facciamo le cose per bene.
E, per favore, andiamocene da qui.
Odio gli aeroporti.
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: CleaCassandra