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Autore: moira78    03/03/2013    4 recensioni
[Maison Ikkoku]
E vissero per sempre felici e contenti... ma sarà stato proprio così? Nella quotidianità della vita familiare ci sono sempre mille problemi da affrontare e Kyoko e Godai non fanno eccezione: per loro convolare a giuste nozze è solo l'inizio di un'avventura costellata da novità, problemi, sorprese e, tanto per cambiare, vicini invadenti!
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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STAGIONI - PARTE SECONDA

AUTUNNO

"Dammi un altro figlio". Ecco cosa aveva chiesto quella notte di quasi tre mesi prima a suo marito, in un momento di debolezza.

Era un desiderio che coltivava da sempre, quello di avere un maschio e una femmina; la sua meravigliosa Haruka andava per i tre anni, il periodo era perfetto. C'era solo un problema...

"Kyoko! Il rubinetto del bagno al piano di sopra perde!". Ichinose gridava, come suo solito, dalla cima delle scale.

"Tesoro, farai la brava mentre salgo su a vedere che succede?", domandò alla bimba impegnata a colorare un album di disegni.

"Mh-mh". Rispose lei annuendo e facendo dondolare i codini, senza staccare lo sguardo dal suo complicato lavoro con i pastelli colorati. La stanza era colma di cose: armadi di vestiti e giocattoli, per non parlare dei pannolini che a breve avrebbe dovuto imparare a smettere... Non sarebbe entrato un altro lettino, né un altro guardaroba nella numero due e neanche aveva intenzione di occuparne un'altra troppo lontana da quella sua e di Godai.

Alzò lo sguardo e valutò per un istante se far spostare Ichinose con la sua famiglia per utilizzare la uno. "Ehi, ti sei incantata?".

"Smettila di strillare, ho capito. Ma a te cosa importa del bagno di sopra, Ichinose?".

"Da quando Akemi si è trasferita le nostre feste le facciamo da Yotsuya, o te lo sei scordata? Per cui deve esserci un bagno funzionante anche qui!". Già, ormai il piano inferiore era off limits: con una bambina piccola non si poteva fare baccano di notte, senza contare che lei e Yusaku dovevano poter passare dalla stanza dell'amministratore a quella di Haruka senza rischiare di inciampare in lattine e bottiglie vuote. Il risultato era che ogni mattina, a Kyoko toccava ripulire il corridoio del primo piano da cima a fondo, neanche ci passasse una mandria di bufali; con le visite di Akemi sempre più rare, a causa della gravidanza ormai in stato avanzato, pareva che i due inquilini rimasti facessero ancora più caos del solito per compensarne l'assenza.

Un giorno o l'altro dovrò farli ricoverare d'urgenza per coma etilico...

"Ecco, vedi? È così da ieri sera, ma visto che eri impegnata con Haruka non ti ho chiamato". Guardò la donna e capì che doveva costarle molto sacrificare quella specie di amicizia di comodo perché l'amministratrice aveva una figlia a cui badare; e capì anche che Hanae Ichinose aveva bisogno di compagnia: ormai le gite al club del tennis erano un ricordo lontano e Yotsuya aveva da fare con un nuovo, misterioso lavoro; tornava quasi all'imbrunire e spesso aveva sentito la donna prenderlo in giro e dire che si vedeva con una signora di bell'aspetto. Non che non fosse ora, anche per lui! Kentaro si era fatto dei nuovi amici e studiava fuori quasi ogni giorno e il signor Ichinose si assentava sempre più spesso per motivi di lavoro.

Ma per lei cominciava a essere davvero dura badare a casa Ikkoku e contemporaneamente a una figlia: Yusaku si era offerto di portarla all'asilo con sé, quando fosse stata più grandicella, per farla socializzare con altri bambini, ma per il momento voleva accudirla e crescerla lei. Almeno fino a che non avesse compiuto quattro o cinque anni.

"Che ti prende? Hai un'aria così strana...". Si era accorta a malapena di star cercando di avvitare il rubinetto malfunzionante con un martello.

"Oh... ah, no, è che sono soprappensiero. Devo ancora andare a fare la spesa e cercare di convincere Haruka a seguirmi!". Rise in imbarazzo, prendendo l'attrezzo adatto e cercando di non far trapelare la sua preoccupazione.

Desiderare una cosa è un conto. Averla nel momento meno opportuno è un altro. Nella vita bisogna proprio programmarsi tutto...

"Sei di nuovo incinta". La pinza le cadde dalle mani e sbatté nel lavandino con un rumore assordante, rompendo la ceramica. Se non ci fosse stato il lavabo si sarebbe fracassata un piede.

Come diavolo aveva fatto a capirlo?! Sapeva che, quando era sobria e si impegnava, Ichinose era una donna astuta e osservatrice, ma quello era troppo!

"Ah, ah ah! Avevo ragione, non mi sfugge nulla!". Si era portata le mani dietro la nuca, con aria soddisfatta.

"Ma... ma come hai fatto a...?".

"Come l'ho capito? Beh, bisogna essere davvero ciechi per non accorgersene! In questi ultimi giorni sei sempre stata pensierosa: hai cominciato a mangiarti le unghie e a guardare il calendario. L'altra mattina sei uscita di nascosto mentre Haruka dormiva e sei rientrata di soppiatto, come una ladra, con un sacchetto della farmacia tra le mani. Bastava fare due più due!".

Doveva avere una faccia alquanto ebete, in quel momento, stupita com'era. E lei che pensava di averlo nascosto così bene!

"Di' la verità, ti è venuto il desiderio di un altro figlio quando hai saputo che Akemi era incinta, non è vero?", le domandò accendendosi una sigaretta.

"Ecco, io veramente... era già da un po' che ci pensavo. Ma ora... devo badare alla Maison Ikkoku e non abbiamo abbastanza soldi per pagare una baby sitter a tempo pieno; anche se Yagami viene qui occasionalmente senza pretendere nulla non vogliamo approfittarne e io non voglio lasciare Haruka...". Si fermò appena in tempo: stava per dire che non voleva lasciare sua figlia in casa col rischio che si trovasse incustodita mentre lei e Yotsuya si ubriacavano al piano di sopra, senza contare che uno spettacolo del genere non era affatto educativo per una bambina.

"Capisco che tu non voglia mandarla all'asilo perché vuoi che cresca con sua madre, ma potresti lasciarla a noi qui al piano di sopra, qualche volta, si divertirebbe da matti!".

Colta in fallo, raccolse le pinze dal lavandino e aprì un armadietto in cerca dello smalto per coprire lo squarcio che aveva prodotto lasciandole cadere. Fortunatamente Ichinose passò velocemente a un altro discorso, anche se non era certo più semplice: "Lo hai detto a Godai?".

Il barattolo di smalto era semi aperto e lo aveva afferrato con una mano tremante; bastò quella domanda a farlo cadere a terra spargendone il contenuto sul pavimento. Per un attimo credette che sarebbe scoppiata a ridere. O a piangere.

"Devi trovare al più presto una soluzione a questa storia e raccontarlo a tuo marito, o questa casa andrà in pezzi", commentò allontanandosi e scuotendo la testa.

E, in effetti, aveva ragione lei.

***


Era stata bravissima a colorare tutto l'album in così poco tempo! Non vedeva l'ora di farlo vedere alla mamma, ma quando aveva provato a chiamarla le aveva risposto che sarebbe scesa non appena avesse sistemato il lavandino. Aveva udito il rumore dell'acqua che riempiva il secchio e si chiese se non si fosse messa ad aggiustarlo usando lo straccio per i pavimenti.

Da qualche giorno la mamma era così distratta! Si era persino scordata di comprarle i suoi dolcetti di riso preferiti per la colazione ed era dovuto uscire il papà prima di andare al lavoro per andare a prenderglieli. Guardò l'album e decise di lasciarlo aperto sulla scrivania perché lo vedesse quando fosse scesa e si mise a girare per la stanza alla ricerca di un giocattolo nuovo. Le bambole le aveva pettinate tutte e i cubi colorati l'avevano stufata. Neanche le costruzioni l'allettavano; ma cosa c'era là in alto? Il nuovo puzzle che le aveva portato papà la sera prima! Ma perché l'avevano messo su quello scaffale dove lei non arrivava?

Sbatté i piedi a terra e protestò, chiamò di nuovo sua madre ma lei chiedeva di aspettare ancora un attimo e cominciò a sentire un rumore metallico seguito da alcune di quelle parole che le avevano sempre proibito di ripetere.

La mamma era nervosa e aveva da fare e lei si annoiava a morte! Pensò che avrebbe potuto far entrare Soichiro e giocare un po' con lui, così corse alla porta d'ingresso e fece per aprirla. Si fermò nel mezzo dell'azione, ricordandosi i genitori che l'ammonivano di non uscire mai, MAI da sola in cortile, per nessun motivo. Sbuffò, lei non stava uscendo, avrebbe chiamato il cagnone dalla soglia inducendolo ad entrare e così sarebbe andato bene, no?

Si aspettava di trovarlo raggomitolato nella cuccia, invece quel giorno era particolarmente giocherellone: si stava divertendo a inseguire le foglie colorate che cadevano dagli alberi e si muovevano nel vento.

"'Chiro, vieni qui!", gridò mettendosi le mani ai lati della bocca per farsi sentire: sua madre stava facendo un gran baccano al piano di sopra.

Il cagnone la guardò, abbaiò brevemente e ricominciò a giocare con le foglie. Gonfiò le guance, accalorata dal disappunto e lo chiamò più forte: "So! Chiroooooo!", articolò sperando che dire bene il suo nome e gridare lo richiamasse.

Invece lui non si voltò neanche e Haruka decise che sarebbe andata da lui. Scese gli scalini e si aspettò di sentire sua madre rimproverarla, ma i rumori continuavano e non si vedeva neanche Ichinose in giro.

"Socchiro!", trillò abbracciandolo e ridendo felice. Il suo nuovo compagno di giochi le leccò il viso e lei pensò che sarebbe stato bellissimo poter salire a cavalluccio su di lui mentre rincorreva le foglie colorate. Si aggrappò al folto pelo e il cane si limitò a guardarla mentre eseguiva la complicata operazione di scalarlo fin sulla groppa. Dopo qualche caduta e alcuni tentativi vani, riuscì nell'intento e alzò le braccia al cielo.

"Galoppa, Socchiro, galoppa!", lo incitò saltellandogli sul dorso.

"Bau". Rispose il cagnone uscendo in strada e galoppando come un vero destriero.

***


La birra era fredda al punto giusto e la gravidanza di Kyoko era un ottimo pretesto per festeggiare. Peccato che dovesse aspettare la sera per dirlo a Yotsuya! Intanto però poteva mettere al corrente la piccola Haruka che presto sarebbe arrivato un fratellino.

L'aveva vista poco prima guardare in alto sullo scaffale dei giocattoli e pensava che, dopotutto, un compagno di giochi era proprio quello di cui aveva bisogno, vivace com'era. Scolò una birra d'un fiato e si domandò dove si fosse cacciato quell'ingrato di suo figlio, che la lasciava sola per giorni interi.

"Li cresci con tanto amore per poi sentirti così abbandonata!", borbottò aprendo un'altra lattina. Con Akemi a fare la brava moglie e la futura mamma, e Yotsuya ad amoreggiare con quella signora attempata del circolo del tennis, aveva ben poco da fare. Se non bere da sola.

Alla terza birra si ricordò della sua missione giornaliera e barcollò in direzione della stanza numero due per parlare ad Haruka. Ma la stanza era vuota. "Che strano, deve averla portata Kyoko su con sé per controllarla meglio. Bah!".

Non aveva di meglio da fare che uscire per comprare altre birre e magari anche un dolce per cena: se quello scellerato di Kentaro non si fosse fatto vedere, con la scusa di dormire dal suo compagno di scuola, se lo sarebbe mangiato da sola! Prese la borsa e tornò in corridoio: la porta d'ingresso era socchiusa. "Non si usa chiudere le porte, da queste parti?", domandò ad alta voce uscendo e, naturalmente, non ricevette risposta. Richiuse la porta dietro le spalle e notò che non c'era nei paraggi neanche Soichiro.

Stupido cane...

Sperava di incontrare qualche signora di sua conoscenza, giù al negozio, almeno avrebbe potuto spettegolare un po' e passare il tempo.

***


Conosceva il parco, ma in quel momento Soichiro si era addentrato nella boscaglia e lei non si orientava più; il suo cavallo improvvisato non si era fermato neanche per farla scendere il tempo di un giro sull'altalena e sullo scivolo. Cominciò a battere le manine aperte sulla pelliccia del cane, pensando che forse con la sola voce non attirava abbastanza la sua attenzione. Solo quando afferrò un ciuffo tirandolo con tutte le sue forze, Soichiro emise un guaito di disappunto facendola cadere a terra con un movimento inconsulto.

Haruka cominciò a piangere sbattendo pugni e gambe sull'erba, arrabbiata e dolorante. "Cattivo, cattivo 'Cchiro!".

Dal canto suo, il cane si stava leccando accuratamente la parte offesa e solo dopo aver terminato l'operazione si degnò di avvicinarsi a lei lambendola sul viso finché, invece che lacrime, cominciò a grondare bava.

"Va bene, basta, ti perdono! Che schifo, 'Chiro!". Ora le veniva da ridere perché la lingua le faceva il solletico. Si alzò in piedi, passandosi la manica sulla faccia nel vano tentativo di asciugarsi e si guardò intorno: non sapeva dove si trovasse e non aveva la minima idea di come tornare a casa. Le tremavano le labbra ed era sicura che si sarebbe messa di nuovo a piangere; però sapeva anche che se si fosse lasciata andare alla disperazione si sarebbe sentita ancora più spaventata, quindi decise di fare la bambina grande.

"Socchiro andiamo a casa!", disse risoluta, tirando su col naso e incamminandosi dove le sembrava più giusto.

"Bau?", fece lui inclinando la testa di lato come se non avesse capito. Haruka si mise dietro a lui e cominciò a spingerlo con tutte le sue forze. "Andiamo!", esclamò sforzandosi inutilmente di farlo camminare. "Tu fai come ti pare, io vado a casa!".

In lontananza vedeva i tetti di alcune abitazioni e decise che la direzione giusta era quella; fu contenta di vedere che il cagnone la seguiva e sperò di riuscire ad arrivare prima che la mamma si accorgesse che si era allontanata: rischiava una punizione coi fiocchi!

***


Si asciugò il sudore dalla fronte con l'avambraccio; stringeva ancora in mano la pinza e fece attenzione a rimetterla al suo posto prima di combinare altri danni. Non aveva le nausee devastanti della prima gravidanza ma si sentiva stanca oltre ogni dire: adesso si sarebbe messa beatamente a dormire.

E perché no? Aveva bisogno di riposare e di riordinare le idee, tentando di trovare il modo migliore per dare a suo marito la notizia che era incinta. Avrebbe preso Haruka con sé e avrebbero dormito insieme nella sua stanza per un'oretta o forse due, poi sarebbero uscite per la spesa; le avrebbe promesso un gelato, così l'avrebbe seguita per negozi senza fare troppi capricci.

Si complimentò con se stessa per quei pensieri mentre scendeva le scale e chiamava Ichinose per dirle che il rubinetto era a posto. Strano, non rispondeva nessuno; bussò alla porta della sua stanza accostando l'orecchio ma sembrava che non fosse neanche lì. Forse è uscita, si disse dirigendosi alla numero due per avvisare sua figlia dei piani che aveva in mente.

Haruka non c'era.

Deglutì, sentendo la gola improvvisamente secca e imponendosi la calma. "Tesoro? Dove sei? La mamma è troppo stanca per giocare a nascondino, vieni fuori". Aveva parlato con tono conciliante ma nella stanza tutto taceva. Decise allora di cercarla nei corridoi.

"Haruka vieni fuori o mi arrabbio sul serio!". Era difficile che la sgridasse perché, nonostante fosse una bambina vivace, diventava giudiziosa quando lei o Yusaku assumevano un tono fermo. Ma non la trovò neanche lì. Tornò nella sua stanza quasi di corsa e vide l'album di disegni spalancato e completamente colorato; rifece i gradini per il piano di sopra.

"Haruka!". Odiò sentire il panico vibrarle nella voce e odiò maggiormente avvertire una stretta sempre più prepotente allo stomaco.

Non può essere uscita, la porta è chiusa, sa che non deve uscire!

Ma in nessun angolo di casa Ikkoku pareva esserci traccia della sua bambina e Kyoko aprì la porta principale ormai con il fiato corto e in preda alla disperazione: non era nemmeno fuori in giardino e, quando gridò il suo nome con voce strozzata, le lacrime avevano già cominciato ad accecarla. Tentò di controllare il respiro, guardandosi intorno freneticamente e gettandosi in strada.

Fece la discesa che portava ai primi negozi ma si trattenne dal chiedere notizie nel timore che potessero bollarla come una madre disattenta e irresponsabile. Trasalì quando qualcuno le diede una pacca sulla schiena: "Ehi, Kyoko, anche tu in città?". Ichinose aveva una busta in mano, probabilmente colma di birre; si disse che anche lei doveva esserne colma, perché aveva il naso arrossato e la voce strascicata.

"Hai visto mia figlia?", le sibilò in maniera quasi aggressiva.

Ichinose parve colpita dal suo tono e indietreggiò un poco. "Ma che ti prende? Stai bene?".

"L'hai vista sì o no?!". Si chinò su di lei e per un istante orribile pensò che avrebbe potuto prenderla per i capelli pur di farla parlare.

La donna scosse la testa: "No che non l'ho vista, in camera sua non c'era quando sono passata".

Fece un gesto di frustrazione, sentendo nuove lacrime arroventarle gli occhi.

Dannazione!

Si portò le mani tra i capelli, scrutando in ogni angolo, divorata da un tormento simile a quello che si deve provare quando ci si trova sul bordo di un precipizio senza imbragature di sicurezza.

"Dovresti stare più attenta a chiudere la porta principale, prima l'ho trovata socchiusa. Potrebbe essere uscita".

Il mondo si fermò, mentre artigli di ghiaccio le afferravano il cuore in una morsa implacabile; avvertì chiaramente il sangue defluirle dal viso e poi tornare in gran quantità, alimentando una furia animale che non aveva mai provato in vita sua. "Che cosa hai detto?", ringhiò voltandosi verso l'inquilina.

Ichinose la guardava con aria ottusa, rinnovando in lei una nuova, terribile ondata d'odio; tutta la comprensione che aveva provato poco prima nei suoi confronti era svanita, sostituita da un'ira cieca che la portò ad artigliarle le spalle e a fissarla con gli occhi fuori dalle orbite.

"La... la porta di casa... era aperta ma io l'ho richiusa subito dopo essere uscita e...". Sembrava spaventata, si accorse la sua parte razionale, e qualcuno si era fermato a guardare. Stava praticamente aggredendo Ichinose in mezzo alla strada ma non gliene importava un fico secco; anzi, aumentò la stretta sulle sue spalle.

"Tu, hai visto che mia figlia non era in camera sua, hai notato la porta aperta e non mi sei venuta a dire niente?" Aveva alzato la voce e stretto i denti, perdendo ogni parvenza di controllo: si sentiva come una tigre cui avessero rapito i piccoli, pronta a graffiare e a sbranare.

"Kyoko, mi stai facendo male!", sbottò la donna liberandosi con uno strattone e guardandola con un'espressione sconvolta, come se non la riconoscesse. "E poi eri al piano di sopra ad aggiustare il rubinetto!".

Neanche lei si riconosceva, era come preda di un demonio. "Tu", articolò con una voce che non era la sua, "tu e i tuoi amici, schiavi di questa maledetta birra!". Ne afferrò una lattina direttamente dal sacchetto della donna e la scagliò a terra con tutte le sue forze: esplose, praticamente, spargendo schiuma ovunque. Avvertiva distintamente gli sguardi dei passanti e notò lo sgomento incredulo sulla faccia di Ichinose, ma neanche questo bastò a fermarla. Era colma, colma di una rabbia repressa da tempo.

"Se per colpa delle vostre maledette feste e dei vostri maledetti rubinetti è successo qualcosa a mia figlia, giuro che vi uccido con le mie stesse mani!". Parlava a vanvera, non connettendo bene situazioni e parole: nella sua mente arroventata dalla disperazione la colpa era tutta sua e di Yotsuya; se ci fosse stata Akemi, quel giorno, non avrebbe esitato ad addossare la responsabilità anche a lei.

Ma la cosa peggiore era che in quel momento aveva veramente l'istinto di fare del male; no, non era corretto, la cosa peggiore era che se ne sentiva soddisfatta, come lo era della paura che vedeva chiaramente comparire sul volto della donna di fronte a sé.

"Kyoko...". Qualcosa scattò in lei al suono della voce tremante di Ichinose.

Già, quello è il mio nome, solo che per il momento sono fuori di me. Kyoko è fuori servizio...

Se aveva toccato il fondo, ora stava finalmente rendendosene conto. Sbatté le palpebre nel tentativo di snebbiarsi la vista e vide chiaramente la faccia sconvolta della sua inquilina, udì distintamente il mormorio delle persone intorno a lei e fissò incredula la birra che spumeggiava in un rivolo ai suoi piedi.

"Io.. io...".

Mi dispiace, voleva dire, ho perso la testa. Voglio solo ritrovare Haruka, adesso.

Ma non riuscì a dire nulla. Si voltò e cominciò a correre verso l'asilo dove lavorava Yusaku, per chiedergli aiuto.

***


La piccola padroncina umana chiamata Haruka camminava da tanto tempo e lui cominciava a sentirsi stanco. Abbaiò per farla fermare ma lei continuava testardamente per la sua strada. Eppure quando aveva sentito pronunciare la parola 'casa', aveva chiaramente capito che dovevano tornare indietro, alla sua cuccia e dalla sua padrona più grande! Quest'ultima utilizzava sempre quella parola alla fine delle loro passeggiate.

Haruka invece stava andando dalla parte opposta, in una zona della città che lui non conosceva; inclinò il testone, fissando la schiena della bambina in modo interrogativo, confuso: possibile che avesse perso il fiuto e non ritrovasse la strada?

Improvvisamente lei si fermò ed emise uno strano verso; sentì quasi subito l'odore delle lacrime, poi la piccola umana si lasciò cadere a terra e cominciò a guaire. Alcuni umani adulti le si fecero intorno, dicendole qualcosa, ma lui distinse solo la parola 'casa', nuovamente pronunciata dalla padroncina. A quel punto capì che la sua sofferenza dipendeva dal fatto che aveva perso la strada: si guardò un po' intorno, annusando l'aria e individuò quella che doveva essere la direzione giusta. Abbaiò verso la bambina per avvisarla che doveva seguirlo se aveva intenzione di tornare indietro ma lei continuava a lamentarsi e qualcuno gli si avvicinò per accarezzarlo.

"Bau-uuu!". Era quasi un ululato quello che aveva emesso: possibile che nessuno lo stesse a sentire? Doveva agire subito! Si avvicinò alla bimba e la indusse a rialzarsi, poi, con un movimento della testa, se la caricò sul dorso. Abbaiò ancora una volta e cominciò a correre verso casa, ignorando le proteste della sua padroncina, sperando solo che si tenesse ben salda fino all'arrivo.

***


Aveva visto sua moglie arrabbiata un mucchio di volte, anche prima che diventasse sua consorte; l'aveva bollata come testarda, dolce e gelosa.

Ma non avrebbe mai pensato che potesse perdere la ragione.

Eppure era stata quella la sua prima impressione non appena si era presentata , rossa e affannata, al giardino d'infanzia farfugliando frasi senza senso; aveva biascicato qualcosa come: "Haruka è scomparsa!", ed era stato quello a farlo scattare in piedi, chiedere velocemente alle colleghe di occuparsi dei bambini e seguirla in una corsa frenetica.

L'aveva assecondata per un po', non capendo esattamente cosa fosse accaduto, ma alle sue richieste Kyoko farfugliava parole che si perdevano nel vento; aveva colto solo 'rubinetto', 'Ichinose' e 'sparita'. Allora l'aveva afferrata per un polso e costretta a guardarlo in viso, imponendole di calmarsi. Ciò che le aveva visto negli occhi era molto simile allo spettro dell'insanità mentale e questo lo spaventò oltre ogni dire.

"Kyoko, guardami. Ora calmati, prendi fiato; ho capito che è successo qualcosa ad Haruka ma se non mi spieghi per bene cosa è accaduto non la troveremo mai, capisci? Per cui adesso parlami senza piangere, va bene?". Si era imposto un autocontrollo che non possedeva, preoccupato com'era, ma era necessario prendere in mano la situazione e razionalizzare l'accaduto.

Sua moglie boccheggiò per qualche istante, prese dei respiri tremanti, espirando lentamente. Si ritrovò ad emularla come se questo potesse indurla a calmarsi più in fretta e gli sembrò di essere tornato ai corsi di respirazione pre-parto a cui partecipavano anche i mariti delle future madri.

"Stamattina Ichinose si è lamentata per un rubinetto che perdeva al piano di sopra, così ho lasciato Haruka nella sua stanza per andare a vedere di cosa si trattasse". La voce non era ferma e aveva ancora il fiatone per la corsa e l'ansia, ma perlomeno aveva messo insieme una frase sensata.

"Quando... quando sono scesa Haruka era scomparsa dalla sua stanza. Ho cominciato a cercarla per tutta la Maison Ikkoku e persino in giardino, ma non c'era da nessuna parte...". Altre lacrime le si gonfiarono negli occhi e Godai s'impose nuovamente la calma.

"E cosa c'entra Ichinose in tutto questo?", domandò con la mente che già galoppava verso i più terribili scenari in cui la figlia era persa per la città o addirittura rapita.

Kyoko deglutì nervosamente, guardandosi intorno come in cerca di un appiglio, poi finalmente parlò: "Lei... è uscita di casa per comprare della birra". Calcò su quest'ultima parola come se si trattasse di qualcosa di rivoltante: improvvisamente capì dove stava per andare a parare sua moglie e sentì a sua volta montare la rabbia. "Quando sono arrivata giù in città lei era lì, già ubriaca come al solito, e mi ha candidamente detto che non aveva visto Haruka nella sua stanza, quando era uscita di casa, ma che la porta principale era aperta".

"E non ti ha avvisata?". La sua voce si alzò di un tono e la calma raggiunta cominciò a dissiparsi.

"È esattamente quello che le ho chiesto io!", gridò esasperata. "In quel momento io... io ho perso il controllo".

Godai si accigliò. "L'avrebbe perso chiunque al posto tuo, anche io..." .

Kyoko scosse la testa con vigore e lo interruppe: "No, tu non capisci! Mi sono trasformata in una bestia, l'ho presa per le spalle, ho gridato, ho persino scagliato una delle sue stramaledette lattine per terra davanti a tutti! Oh, Yusaku, in quel momento... le ho giurato che se fosse accaduto qualcosa ad Haruka li avrei uccisi tutti quanti! Loro e le maledette fe... feste!". Prese a singhiozzare, a corto di fiato e Godai dovette stringersela al petto per farla tornare in sé. Mentre cercava di concentrarsi nel tentativo di mantenere i nervi saldi per entrambi, cercando di capire come dovessero agire a quel punto, si scoprì a pensare che anche lui li avrebbe uccisi volentieri, in quel preciso istante.

***


La stanza girava, girava, girava... conosceva bene quella sensazione meravigliosa che induceva la birra, eppure c'era qualcosa di storto che la turbava, mentre schiacciava tra le mani l'ennesima lattina e la lasciava rotolare nel corridoio dove sedeva da sola.

Kyoko era andata fuori di testa. VERAMENTE fuori di testa; non come quando si era sbronzata al locale dove lavorava Godai tanti anni prima e insisteva perché smettessero di bere a sue spese: quella volta il poveretto se l'era dovuta caricare sulle spalle per riportarla a casa!

No, stavolta sembrava una belva ferita, e lei ne aveva avuto paura per la prima volta in vita sua. Aveva ancora i segni sulle spalle, là dove le aveva conficcato le unghie con tutta la sua forza.

"Pazza scatenata, lei e i suoi ormoni impazziti!", disse al corridoio vuoto. Suo marito sarebbe stato fuori un altro mese e Yotsuya non sarebbe rientrato che dopo qualche ora. Cercò di ricordarsi quando dovesse tornare Kentaro, ma si rese conto che aveva perso la nozione del tempo.

Si accese una sigaretta, aspirandola profondamente come se così potesse trovare delle risposte. Quando era nato Kentaro aveva avvertito un senso di protezione materna che le faceva storcere il naso persino quando qualcuno le chiedeva di prenderlo semplicemente in braccio: una sensazione di possesso irrazionale, che è propria degli ormoni di una puerpera. Ma non aveva mai perso la bussola come la sua amministratrice!

O no?

Stappò l'ennesima birra, andando indietro con i ricordi, e scovò nella memoria un episodio che aveva rimosso da tempo.

Kentaro aveva poco più di due anni, come Haruka, e suo marito era come al solito lontano per lavoro. Lei si stava sbronzando con Yotsuya e Akemi mentre il figlio scorazzava per casa Ikkoku, disturbando la loro festa.

"Insomma, vai a giocare fuori!". Stava attraversando un momento di frustrazione, nel quale l'amore materno era stato momentaneamente soffocato dal desiderio di evadere dalla monotonia e non si era preoccupata che il bambino potesse uscire in strada: gli aveva ripetuto tante di quelle volte che non doveva mai allontanarsi che ormai era certa che avesse recepito il messaggio.

Invece quel giorno era sparito esattamente come la figlia di Kyoko e Godai e lei si era sentita pronta a tutto, anche a smettere di bere o a menare le mani se fosse stato necessario a ritrovarlo. Era un sentimento che prescindeva da tutto, puro istinto animale: la priorità era rimettere al sicuro suo figlio, non contava nient'altro.

"Oh, al diavolo!", sbottò accartocciando l'ultima lattina. Sarebbe uscita a cercare Haruka lei stessa e se non l'avesse ritrovata avrebbe chiamato la polizia. Sì, avrebbe fatto così! Se solo la stanza avesse smesso di girare... magari avrebbe chiuso gli occhi per un minuto; un minutino soltanto, giusto per riprendersi dalla sbronza e poi sarebbe andata e avrebbe chiesto a chiunque se avesse visto una bambina di circa tre anni con i capelli castani raccolti in due codini.

***


Il sole era ormai alto e stava per cominciare la sua veloce discesa verso ovest, nel fresco pomeriggio e poi nella sera autunnale. Kyoko non voleva che la sua bambina rimanesse fuori vestita solo con una salopette, senza neanche una giacca.

"A questo punto dobbiamo andare alla polizia", sospirò Yusaku distogliendola dai suoi pensieri. Ormai la fase di panico crescente aveva raggiunto il suo apice ed era precipitata in una sorta di torpore che somigliava al pulsare sordo ma doloroso di un dente cariato. Sempre presente, ma appannato man mano che la ragione si capacitava di non poterne sopportare oltre e si ritirava come una marea pur di non provare sofferenza.

No, devo rimanere lucida, smetterla di immaginare tragedie e fare qualcosa di concreto!

Annuì. Al diavolo il timore di essere bollata come cattiva madre: se lo meritava, visto che aveva lasciato sua figlia incustodita al piano di sotto. Si sarebbe presa la sua responsabilità come la donna adulta che era. Prese la mano che suo marito le porgeva e arrivarono velocemente alla prima stazione di polizia della zona. "Vorremmo denunciare la scomparsa di nostra figlia". Il tono usato da Yusaku era grave ma fermo, e si rese conto che stava facendo uno sforzo atroce per non perdere il controllo. Istintivamente gli strinse più forte la mano.

Il poliziotto afferrò una penna e un bloc notes, chiedendo le loro generalità e la descrizione di Haruka; Kyoko si sforzò di mantenere la calma ma gli occhi le si riempirono di lacrime mentre descriveva i capelli, gli occhi e gli abiti di sua figlia: poteva ancora sentirne la stoffa morbida mentre la vestiva quella mattina e le sue risatine al solletico quando le aveva infilato la maglietta.

"Come è successo? L'avete persa di vista?", stava domandando l'uomo, prendendo appunti.

"Ecco, noi...".

"Mio marito era al lavoro e io ero sola in casa con un'inquilina", lo interruppe, pronta a prendersi le proprie responsabilità. "Sono salita al piano di sopra per aggiustare un rubinetto che perdeva e ho lasciato mia figlia incustodita nella sua cameretta".

Il poliziotto si grattò la fronte con la penna. "Se era in casa con lei e per di più c'era un'altra persona, non direi che fosse proprio incustodita".

Scosse la testa, rabbiosa. "Lei non capisce! La persona in questione è solita bere già dalla mattina presto e non è affidabile. Mia figlia mi ha chiamata più volte chiedendomi di scendere, ma io ho continuato col mio lavoro su quel maledetto rubinetto e... e quando sono scesa lei non c'era più!".

Tentò disperatamente di asciugarsi le lacrime, tirando su col naso fin quando Yusaku non le passò un fazzoletto e le mormorò un tremante 'coraggio'.

"Sono scesa in città", continuò, "sperando di trovarla lì, ma ho incontrato la mia inquilina che mi ha detto solo allora di aver trovato la porta di casa aperta prima di uscire. Io... io l'ho aggredita, ho fatto una scenata ma... lei non aveva idea di dove fosse andata la mia bambina!". Nascose la faccia in un fazzoletto, singhiozzando violentemente, tanto che udì a stento la domanda dell'agente.

"Mi scusi signora, ma se sa che la sua vicina è inaffidabile, come mai non assume una baby sitter?" Il braccio di Yusaku si era irrigidito sulla sua spalla e lei lottò per ricomporsi.

"Perché il mio lavoro non mi permette di assumere una baby sitter a tempo pieno". La voce di suo marito era gelida eppure colma di un rammarico che le provocò una fitta di senso di colpa.

"Agente, non lo ascolti. In realtà lui potrebbe portare Haruka al nido d'infanzia dove lavora ma io non ho mai voluto. Ero sicura che avrei potuto continuare a fare il mio lavoro di amministratrice e nello stesso tempo crescerla, ma evidentemente sono troppo disattenta...".

"Non le dia retta! Sono solo io il responsabile! Se fossi riuscito ad avere una promozione ora lei non dovrebbe lavorare e potrebbe stare a casa con nostra figlia!". Yusaku le si era parato davanti a braccia allargate come per difenderla da una minaccia, anche se non credeva che quella loro gara a prendersi la colpa avrebbe fruttato una denuncia.

Guardò l'uomo dietro la scrivania fissarli perplesso e indusse suo marito a scostarsi e ad abbassare le braccia: "Se c'è una responsabile quella sono io. Era a casa con me quando è successo", ribadì.

Il poliziotto si grattò di nuovo con la penna, evidentemente a disagio. "Insomma, da quanto è sparita vostra figlia?".

Kyoko guardò l'orologio: "Direi circa tre ore".

"Allora non mi preoccuperei più di tanto".

Pensò di aver capito male, sbatté le palpebre un paio di volte e chiese: "Come, scusi?".

"La vostra bambina potrebbe essere andata al parco o a trovare un amichetto, io comincerei a preoccuparmi se stasera non torna per cena". Alzò le spalle e lasciò cadere la penna con un lieve rumore che a lei parve un frastuono insopportabile.

Incapace di controllarsi oltre, Kyoko sbatté le mani sul tavolo, sporgendosi per guardarlo dritto negli occhi. "Mia figlia ha solo due anni e mezzo!", sbottò udendo appena la frase di disappunto di Yusaku alle sue spalle.

L'agente la guardò stralunato. "Cosa? E perché non me l'ha detto subito?! E lei lascia una bambina così piccola insieme a una donna che si ubriaca già dalla mattina?".

"Non gliel'ho lasciata!". Stava di nuovo avendo istinti omicidi, quell'uomo era addirittura più ottuso di Ichinose.

"Mia moglie le ha detto di averla lasciata per un attimo sola al piano inferiore, non di averla affidata alla sua inquilina!", intervenne Godai con tono spazientito.

"Quindi l'ha lasciata sola. Perché non l'ha portata di sopra con sé?". Quella era la domanda che più temeva. La rabbia si sgonfiò di nuovo, precipitandola ancora nella disperazione più cupa. Tutte quelle emozioni avrebbero fatto male anche al bambino che aveva in grembo, se non si dava una regolata. E doveva ancora dirlo a Yusaku.

"Io... io... sono una pessima madre!", riuscì a dire prima di scoppiare di nuovo a piangere.

***


Era stata dura calmare Kyoko e indurla a seguirlo fuori dalla centrale di polizia: nonostante l'agente che avevano incontrato non fosse particolarmente sveglio, aveva fatto il suo dovere e una volante era già in giro alla ricerca di Haruka.

Non potevano fare altro che aspettare e cercarla a loro volta; Kyoko era pallida e probabilmente aveva anche saltato il pranzo, ma camminava al suo fianco senza mai fermarsi, guardandosi attorno e interrogando le persone che incontravano. Quando giunsero al parco giochi lei si irrigidì e corse verso un cespuglio.

"Kyoko...?".

Stava raccogliendo qualcosa dalle fronde e lo stava esaminando. "Ma questo è...".

"Cosa? Cosa hai trovato?". Corse da lei, fissando l'oggetto che aveva tra le mani. "Il collare di Soichiro! Pensi che possa essersi allontanato con lei?".

Negli occhi sgranati di sua moglie, vide farsi strada la consapevolezza: si era ricordata qualcosa. "Adesso che ci penso... Soichiro non era più in giardino quando sono uscita a cercare Haruka! Non ci ho dato troppo peso perché avevo altro per la testa, ma in effetti potrebbero essersi allontanati insieme!".

"Se veramente Soichiro è con lei allora non abbiamo nulla di cui preoccuparci!", esclamò prima che un brivido gli attraversasse la schiena; nonostante ormai fossero passati tanti anni, quel nome continuava a tormentarlo. Si augurò, nonostante tutto, che anche quel Soichiro vegliasse davvero sulla loro bambina.

Si stava facendo buio ma si inoltrarono comunque nella boscaglia, sperando di trovare altre tracce o, magari, Haruka in compagnia del cagnone bianco.

"Dovrò scusarmi con Ichinose non appena avremo risolto tutto". La guardò e per un attimo non capì cosa volesse dire. Quando realizzò montò in lui una nuova ondata di rabbia.

"Mi hai detto che è stata lei a notare la porta aperta e a non avvisarti, no? Si è ubriacata dopo averti mandata a lavorare al piano di sopra e non ha neanche controllato che Haruka stesse bene, di cosa ti devi scusare?! Semmai è lei a doverlo fare, hai fatto bene a rimproverarla!".

"Non l'ho solo rimproverata", rispose tristemente guardando in basso. "L'ho aggredita, l'ho afferrata per le spalle. E ho minacciato persino di ucciderla".

"Si dicono tante cose quando si è infuriati ," la liquidò con un gesto, chiedendosi quanto potesse cedere all'ira la sua docile moglie. L'aveva vista arrabbiata un mucchio di volte: in un'occasione aveva urlato contro lui e Mitaka lasciando cadere con noncuranza dei barattoli da un sacchetto; avevano rotolato per tutta la via ma lei non si era voltata a raccoglierne nemmeno uno. Un'altra volta aveva bruciato con un fiammifero i bigliettini da visita di una decina di locali in cui era andato a bere, per non parlare dello schiaffo che si era beccato quando...

"Io lo pensavo veramente". Si fermò, sbattendo le palpebre come per metterla a fuoco. Ogni ricordo s'interruppe. "In quel momento... davo a lei e a Yotsuya e perfino ad Akemi e alle loro feste la colpa di quanto era accaduto ad Haruka; pensavo che se loro fossero stati più responsabili avrei avuto qualcuno a cui lasciarla quando fossi stata impegnata nei lavori di casa, o che comunque mi avrebbero sempre avvisato di cose come una porta aperta".

La guardò, incapace di confortarla. L'unica cosa che provava in quel momento era una stretta al cuore: capiva fin troppo bene i motivi che l'avevano indotta a perdere il controllo e non riusciva a biasimarla per la sua reazione estrema.

"Ma per loro l'unica cosa importante è fare quelle stupide feste e avere i loro maledetti rubinetti funzionanti! In quel momento non ero in me, li odiavo tutti, dal primo all'ultimo; e avrei fatto loro del male se fosse servito a... a...". Persa nei singhiozzi, Kyoko sembrava a sua volta una bambina spaventata. L'avvicinò da tergo, circondandola con le braccia e cullandola con dolcezza.

Tutto questo non sarebbe accaduto se io avessi guadagnato di più.

Posò la guancia sul suo capo, respirando il profumo pulito dei suoi capelli.

Se ti avessi dato una vita migliore.

E sperò che non si accorgesse delle sue lacrime.

***


Dannazione, si era addormentata! E pensare che avrebbe voluto cercare Haruka! Aveva ragione Kyoko a perdere la calma, non era affidabile neanche quando prometteva le cose a se stessa. Perlomeno con la dormita aveva smaltito la sbronza: le rimanevano un forte mal di testa e il senso di solitudine derivato dalla mancanza che sentiva di amici e familiari.

Devo trovarmi un passatempo migliore della birra, almeno durante il giorno...

Magari sarebbe tornata al circolo di tennis, anche se Kyoko non ci andava più e Mitaka si vedeva ormai raramente. Un po' di moto le avrebbe fatto bene, magari sarebbe riuscita a smaltire persino qualche chilo, che diamine!

Un vociare nel giardino le fece alzare la testa, all'erta.

Possibile?!

No, non si sbagliava, era la voce di una bambina e quello che abbaiava era sicuramente Soichiro! Si precipitò alla porta e il sollievo la fece quasi cadere a terra, come se si fosse tolta un peso enorme dalla coscienza.

"Si può sapere dove diavolo sei stata? Tua madre stava per morire dalla preoccupazione!". Rimproverare la bimba non rientrava certo nei suoi compiti, tanto più che stava bene e rideva mentre si divertiva a scompigliare il pelo al cane. Ma aveva accumulato tensione, si sorprese ad accorgersi, e la stava scaricando in quel modo.

"'Cchiro mi ha fatto fare una passeggiata ma poi mi sono persa e lui mi ha riportato a casa!", spiegò abbracciando il testone bianco: le piccole braccia riuscivano a malapena a contenerlo tutto.

"Beh, non farlo mai più. Ho rischiato di essere uccisa dall'amministratrice per causa tua", borbottò cercando una sigaretta nelle tasche. La bambina la fissò per un istante, non capendo il senso della sua frase.

Soffiò fuori una voluta di fumo, come se così facendo potesse espellere dai polmoni anche quella mattinata assurda. "Una madre preoccupata e con gli ormoni sottosopra può diventare letale", disse voltandole le spalle per rientrare.

E lo so anche io, solo che l'avevo dimenticato.

Non ebbe il tempo di chiedersi se Haruka avesse anche solo vagamente capito cosa voleva dire perché un'esclamazione strozzata la fece voltare incuriosita.

"Ha... Haruka!". Kyoko era caduta in ginocchio e stava allargando le braccia tremanti, come temendo che sua figlia fosse un miraggio che potesse svanire da un momento all'altro. Dietro di lei Godai si appoggiò al muretto come se fosse in procinto di svenire.

"Mamma, mamma!", strillò la bambina volandole in grembo: doveva essersi spaventata anche lei trovandosi lontana da casa perché non sapeva chi, tra madre e figlia, piangesse più forte. Godai si accucciò accanto a loro e le cinse entrambe con un unico abbraccio.

"Ma che quadretto delizioso! Bah, tutto è bene quel che finisce bene!", dichiarò tirando su col naso e gettando via la sigaretta. Le era improvvisamente tornato in mente che anche lei aveva dei ricordi di una famiglia felice e unita: quando era nato Kentaro, ad esempio, o alla gara atletica dei genitori alla sua scuola. Se solo suo marito non fosse stato quasi sempre lontano!

Comunque non le andava di stare a guardare quei tre frignare nel giardino: dove diavolo aveva messo le birre?!

***


Si sentiva sfinita: quella che era cominciata come una giornata normale si era rivelata un'altalena di emozioni che l'aveva spossata, nel corpo e nella mente. Aveva chiesto scusa a Ichinose, che aveva fatto una grassa risata e si era persino presa parte della responsabilità, dando la colpa alla solitudine che soffriva a causa di suo marito e suo figlio: ci aveva visto giusto, dunque, quella donna non sapeva come ammazzare il tempo e adottava la soluzione più breve bevendo birra; si fece promettere che avrebbe trovato passatempi più sani, a prescindere da Haruka.

"Oh, non c'è bisogno che ti preoccupi per me, ci avevo già pensato!", aveva detto allegramente; poi era arrivato Yotsuya ed erano andati al piano di sopra a festeggiare la felice conclusione dell'avventura di Haruka.

Per l'appunto...

Prima di trascinare il suo vicino a bere con sé, la donna le aveva lanciato uno strano sguardo, quasi come... se le chiedesse il permesso! Era vero che fino a qualche ora prima era stata sopraffatta dall'ira, ma capiva che quelle feste, per rumorose e inopportune che fossero, erano la nota di allegria che caratterizzava Casa Ikkoku da sempre: e finché non avessero disturbato la sua bambina dovevano andare avanti. Aveva sorriso a Ichinose, facendosi promettere che non avrebbe parlato con nessuno della sua ultima gravidanza fino a che non l'avesse detto a Yusaku.

Dopo aver messo a letto Haruka, aveva deciso che avrebbe rimandato quella conversazione con suo marito al giorno successivo, specie dopo che si era preso la colpa per non aver assunto una baby sitter: parlargli di un altro bambino adesso l'avrebbe fatto andare nel panico più totale. Poi però, mentre si affacciava sulle scale per accertarsi che la festa non disturbasse il sonno di Haruka, aveva udito Ichinose esclamare: "Ehi, Yotsuya, ma la sai la novità?!".

Lo sapevo che non avrei potuto fidarmi di lei!

Si sbatté una mano sulla fronte, frustrata, intercettando suo marito appena in tempo, prima che potesse udire altro. A giudicare dal tono di voce della sua affittuaria sembrava che volesse farsi udire fino in Cina!

"Vieni con me!", gli aveva detto trascinandolo nella loro camera e chiudendo la porta velocemente.

"Che altro è successo?", chiese Yusaku con gli occhi sgranati.

Ecco, e ora come glielo diceva? Da dove doveva cominciare?

"Ti ricordi quest'estate? Quando ti ho chiesto...". Che diavolo stava dicendo?! Davvero voleva rinvangare quella notte brava? Oh, si erano divertiti, sicuro, e magari lo avrebbero anche rifatto, ma non le sembrava quello l'approccio giusto. Troppo imbarazzante.

"Cosa? Cosa mi hai chiesto?". Sembrava sempre più confuso e lei si affrettò a cambiare discorso.

"No, niente, niente. Mi sono sbagliata... Volevo dire, ecco... Mi sono scusata con Ichinose e lei mi ha promesso di essere più responsabile d'ora in poi".

Lui annuì: "Lo so, me l'hai già detto prima". Ora gli leggeva nello sguardo anche il sospetto e le sembrò evidente che avesse subodorato dell'altro.

"Io... in questi giorni sono stata nervosa e distratta e la storia di oggi mi ha fatto letteralmente esplodere". Gli aveva voltato le spalle, ma dal suo silenzio capì che aveva cominciato col piede giusto e che lui attendeva il resto.

"Voglio dire, abbiamo entrambi la responsabilità di una figlia. E per quanto sia meravigliosa mi rendo conto che devo cercare di gestire meglio le cose".

"Ma di cosa stai parlando? Sei una madre perfetta e quello che è successo oggi è stato solo un incidente!". Yusaku possedeva una dolcezza disarmante e il più delle volte si attribuiva più difetti di quanti non ne avesse. La verità era che non ne attribuiva quasi mai a lei.

E lei non era affatto perfetta.

"Tesoro, io ti ho nascosto qualcosa nell'ultimo periodo; anche per questo ero intrattabile e ansiosa: non sapevo come dirtelo, ma ho capito che è giunto il momento che tu lo sappia". Deglutì, cercando le parole e sentì un movimento ovattato alle sue spalle, come se si fosse alzato in piedi. "C'è... un altro...". No, non riusciva proprio a dirlo, Godai si sarebbe sentito schiacciato da un'ulteriore responsabilità e lei non voleva!

Udì un tonfo e quando si voltò era caduto a terra in ginocchio, proprio come lei quando aveva rivisto Haruka: ancora non aveva finito la frase e già reagiva così? Che avesse capito?

"Yusaku, perdonami!", gridò correndo ad abbracciarlo. "Ma lo desideravo così tanto e non ho potuto fare a meno di chiedertelo, l'estate scorsa! Te lo ricordi anche tu, vero? Sono stata davvero un'irresponsabile, lo so, in un momento come questo...".

Si bloccò: suo marito era rigido, stravolto e lo sguardo si perdeva nel vuoto. Gli passò una mano davanti agli occhi ma lui non reagiva. Lo chiamò per nome e finalmente la guardò.

"E quando... mi avresti chiesto se potevi vedere un altro?", biascicò con una vocina che non era la sua.

"No, cos'hai capito... volevo dire...". Non poté terminare, perché dalla porta entrarono Ichinose e Yotsuya come due furie.

"Un altro BAMBINO! Tua moglie è di nuovo incinta, non si vede con un altro uomo!", blaterò la donna gesticolando con enfasi. "Santa pazienza, Kyoko, rimproveri me per la mia disattenzione e poi dai adito a tuo marito di pensare male di te?!".

"In... in... in...", balbettava Yusaku mentre si lasciava andare a un sorriso di evidente sollievo.

"Ma sì, incinta! Congratulazioni papà! Toh, brindiamo tutti insieme!". Yotsuya si profondeva in pacche sulle spalle e aveva piazzato un bicchiere in mano a tutti cominciando a versare saké prima ancora che lei si rendesse conto di cosa stesse accadendo. Le girava un po' la testa per la velocità con cui stavano succedendo le cose.

I soliti spioni! Chissà per quanto si sono appostati fuori dalla porta!

"Che succede?". Bene, ci mancava solo quella! Haruka si era svegliata ed era comparsa sulla soglia strofinandosi gli occhi assonnati.

"Niente, tesoro, solo che...".

"Ah ah ah ah, bambina mia, avrai presto un fratellino o una sorellina, sei contenta?". L'inquilina le aveva appena bruciato la notizia per la seconda volta e le tornò il desiderio di strozzarla; sorrise di se stessa: in quel momento era un sentimento sano, anche se era davvero dispiaciuta di non averlo detto per prima.

"Mi dispiace che tu l'abbia saputo così...", mormorò rivolgendosi a suo marito, rilassando le spalle e prendendo un lungo respiro. Per tutta risposta, lui lasciò cadere il bicchiere e la travolse con un abbraccio che la fece quasi cadere a terra.

"Oh, Kyoko! Sono così felice! Ti giuro che farò del mio meglio per ottenere quella promozione e saremo la famiglia più bella del Giappone! Anzi, voglio un'altra decina di bambini, dopo!".

Una decina?! Oh, povera me...

Se avesse saputo che l'avrebbe presa così non si sarebbe fatta tanti problemi! Ricambiò l'abbraccio, mentre Godai continuava a farneticare frasi senza senso e a ridere come un invasato. Una manina le tirò la camicia da notte e gli occhioni di Haruka la guardarono interrogativi.

"Davvero avrò un fratellino, mamma?".

Annuì, carezzandole la testa. "Sì, spero che ti faccia piacere". Se l'avesse presa bene la metà di Yusaku era a cavallo.

"Sìììì! Avrò un fratellino per giocareee!", strillò saltandole al collo a sua volta.

Meno male...

"E allora, festeggiamo!", gridarono Ichinose e Yotsuya facendo tintinnare i bicchieri.
   
 
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