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Autore: Windter    19/09/2007    1 recensioni
[Maria-Sama Ga Miteru - Youko x Sei]
Attenzione: spoiler su "La Foresta di Spine", Shoujo-Ai.
C'è una ragazza che si aggira, annoiata da tutto e tutti, nei giardini dell'Istituto Lillian.
Il suo nome è Satou Sei. Ed anche se nessuno se lo potrebbe attendere, è il demone biondo destinato a sconvolgere l'esistenza dell'integerrima Mizuno Youko.
Rosa Chinensis en Bouton, per la prima volta nella vita, si ritrova a dover far fronte ad un sentimento che sembra capace di schiacciare la sua razionalità ed il suo senso del dovere. Costretta fra nuove ossessioni e desideri repressi, fra i doveri e i "no" del suo cuore, dovrà imparare a convivere con gli strani ritmi della vita di Sei. Oppure arrendersi e lasciarla volare via, lontano da sè.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Riflessi - Ai Margini Della Foresta
[ Riflessi - Youko x Sei ]


VII

Planate Solitarie



Quando gli istanti sereni si susseguono uno dopo l'altro, nessuno si attende che un giorno venga a piovere. Invece, dopo tanti momenti di sole un pomeriggio il cielo lentamente s'ingrigisce, mentre le nuvole si ammassano, vorticando su sé stesse ed offuscando il sole.
Poi, cade la prima goccia di pioggia. E da lì in poi si scatena il temporale.


Attraverso la finestra della Casa delle Rose fissavo in silenzio le sagome degli alberi rachitici, che si stagliavano sul grigio plumbeo del cielo spogli delle loro foglie, cadute agli albori dell'autunno. Pioveva ininterrottamente da tre giorni, ma a me sembravano passate settimane intere dall'ultima volta che avevo visto il sole, tanto che ormai sentivo di essere vicina al limite; stavo arrivando a non sopportare più i rivoli d'acqua che scivolavano lungo le finestre. Pioveva ininterrottamente da tre giorni, da quando avevo infranto l'ultima volta la rigida etichetta del Lillian; "Qui è gradito camminare lentamente". Me l'ero ripetuto nella mente così tante volte, mentre fuggivo come una codarda, che ero arrivata alla nausea al solo pensarci.
Ma in realtà, ne ero consapevole, non era quello a nausearmi.

Fra le mani reggevo una tazza di the ancora fumante, che avevo preparato per impiegare il tempo in qualcosa e che sapevo sin dall'inizio che non avrei bevuto. Da tre giorni avevo lo stomaco contratto in un pugno di ferro, in una stretta tremenda, che mi ero dimostrata incapace di smorzare in alcun modo. Avevo bevuto, avevo respirato profondamente, avevo cercato persino di cantare per alleviare quel peso, ma nulla era riuscito a liberarmi dalla rabbia che covavo nel ventre, che mi stringeva le viscere nascosta dietro la maschera di un'austera neutralità. Avevo proseguito le mie attività come di consueto. Gli stessi gesti precisi, le stesse identiche espressioni. Ma dentro me covava lo spirito di una tigre ferita, di una fiera oltraggiata e sanguinante che si augurava solo di non trovarsi di fronte il fuoco che l'aveva bruciata.
Perché allora ti avrei cancellata, oh, se l'avei fatto. A costo di ardere con te sino all'ultimo brandello del mio essere.

Quel che mi tormentava maggiormente, l'idea che non riuscivo a scacciare dalla mente in alcun modo era il tuo atteggiamento, che era rimasto impresso in me con folle lucidità. Pensavo alla calma con cui mi avevi evitata, all'assoluta noncuranza dei tuoi movimenti. Ripassavo nella mente con freddezza suicida la scena che si era presentata ai miei occhi, davanti alla palestra. Avevi agito con una tale naturalezza! Era come se avessi disarmato la mia difesa e mi avessi colpita nel centro del petto senza nemmeno guardarmi, come se per te non valessi nemmeno l'attenzione necessaria per prendere bene la mira e farmi deflagrare il cuore con un proiettile.
E tutto questo per il mio orgoglio era oltre il limite dell'inaccettabile.

Inaccettabile che mi fossi esposta sino a quel punto verso di te, inaccettabili la mia avventatezza e la mia stupidità. Inaccettabile il modo in cui mi ero data da fare, facendo troppo caso ad una piccola ribelle che non meritava nemmeno il posto che occupava all'interno dello Yamayurikai. Una sporca usurpatrice di attenzioni, un'egoista che in tutto quel tempo non aveva fatto nemmeno un passo verso il cambiamento che avevo creduto di vedere in te.
Ma la cosa che, su tutte, non riuscivo a perdonarmi era che io avevo voluto darti fiducia. Ed affondando dentro me una lama di spine, che mi aveva sventrata sino agli ultimi recessi dell'anima, tu quella fiducia l'avevi tradita sino all'ultima goccia.

Dopo averti tanto a lungo cercata e inseguita, dopo aver tentato di giustificare con me stessa ogni tua sparizione, ogni tuo silenzio ed ogni tua misteriosa occhiata, eri riuscita in un solo gesto a raggiungere e travalicare il margine che nemmeno io credevo esistere, e a risvegliare la mia rabbia. Davanti alla terribile trasparenza di quel vetro mi ero sentita spogliata, Sei, aperta nel punto più vicino al mio cuore ed esposta al pubblico ludibrio, depredata di qualcosa che per me era importantissimo, di qualcosa che era mio di diritto.
Mi ero sentita umiliata, battuta, scagliata nel fango e calpestata. E faceva male da non avere parole per descriverlo, faceva male da non riuscire a respirare. Faceva male da stringere i pugni sino a farmi sbiancare le nocche, sino a lasciare i solchi delle unghie nei palmi.


Quel giorno seppellii le mie speranze. E gettando via il the ormai freddo, in nome della voragine che mi avevi aperto dentro giurai che non avresti avuto altre possibilità.




Allora, immersa nel momento e nello sdegno, mi convinsi che qualunque cosa avessi voluto dire, qualunque cosa avessi voluto fare, era ormai troppo tardi per portarlo a compimento. Fra noi era calato un vetro, spesso come una porta d'ingresso ed oscuro come un'ombra, che furtiva si allontana sperando di non essere colta. Un vetro che in realtà era sempre stato fra noi, mi dissi, e mi resi conto in quegli istanti che l'avevo sempre saputo. Che quel vetro non l'avrei mai oltrepassato, che quel vetro ci avrebbe separate sempre di più, con la sua lucida freddezza.
Il mio bell'incantesimo era infranto, la mia trama di aspettative disfatta. In quel momento, e per sempre.

Per sempre. Com'è strano, oggi, tornare a ripensare a quei sentimenti con così tanto distacco. Com'è strano utilizzare una simile espressione. Nulla dura per sempre, avrei dovuto appuntarmelo da qualche parte e ripeterlo come una preghiera ogni mattino perché mi rimanesse in mente. Ma allora ne ero veramente convinta, in quel momento davvero ogni stilla del mio essere gridava per sempre, ed ero certa, anima e corpo, che quel ruggito che mi scuoteva non si sarebbe mai placato. Ero troppo ferita, troppo arrabbiata, troppo angosciata perché potessi pensare che una cosa del genere potesse mai avere fine. Credevo sarebbe stato un sentimento eterno nella sua ribollente violenza, e che avrebbe accompagnato la mia smania di vendetta sino a quando non la sarei riuscita a soddisfare.
Ero così scioccamente coinvolta che, se allora mi avessero raccontato cosa sarebbe stato di quel rancore, beh, non l'avrei creduto possibile in alcun modo.


Trascorsi giorni interi a darmi della stupida, ad insultarmi con tutta la ferocia di cui fossi capace perché, mi dicevo, avrei dovuto immaginare che sarebbe finita così. Io più di tutti gli altri ero dolorosamente consapevole di come il tuo comportamento, dopo quella nostra notte, non fosse divenuto altro che una recita continua. Una mera mascherata tesa a proteggere il tuo dolore, ancora vivido e forte più che mai. Avevo condiviso la tua ferita ancora aperta, il tuo strazio in tutta la sua furibonda potenza, e per questo motivo mi ripetevo che avrei dovuto giungere prima alla tremenda conclusione che avevo voluto negare fino all'ultimo, sino alla secchiata d'acqua gelida dell'evidenza.

Io ti avevo trascinata sino a casa mia, io ti avevo tenuta stretta per tutta la notte, mentre tu piangevi e gridavi, e poi mormoravi con il rantolo della disperazione tutto il tuo dolore. Io ero stata l'ultima ad averti visto con i capelli lunghi, i tuoi bei capelli chiari che avevi ormai tagliato. Io mi ero spinta là dove nessun altro era arrivato, io avevo assaggiato il sapore del tuo cuore devastato, privo di qualunque difesa.

Io ero divenuta la più forte catena che ancora ti legava a Shiori.

Era logico che volessi cancellarmi.




Seguendo quell'angosciante flusso di emozioni arrivò anche il momento delle elezioni del Concilio Studentesco. L'Accademia era in subbuglio, e per quanto Sachiko e Rei tentassero di non darlo a vedere, l'una ostentando il consueto distacco e l'altra concentrandosi sugli allenamenti in palestra, anche allo Yamayurikai si respirava una qual certa tensione. La domanda che aleggiava inespressa nell'aria prendeva chiaramente vita nel silenzio dei nostri movimenti lenti: cosa sarebbe accaduto alla Famiglia della Rosa Bianca? I mormorii di apprezzamento su Satou Sei si rincorrevano incessantemente nei corridoi, ma dall'altro lato, se fosse davvero accaduta una rivoluzione, quale futuro si sarebbe aperto di fronte a noi?
Immaginarlo, nel bene o nel male, era impossibile. Attendemmo, silenziosamente fremendo, l'elezione.

Il giorno in cui le ragazze dell'Accademia furono chiamate a votare i tre nomi che avrebbero succeduto le Rose, sotto gli occhi orgogliosi delle nostre onee-sama Eriko ed io attraversammo lentamente l'Aula Magna per venir poi investite rispettivamente della carica di Rosa Foetida e Rosa Chinensis, riprendendo il nostro posto nello Yamayurikai. E naturalmente, sul palco ci raggiunsero le nostre Rei e Sachiko; i nuovi, splendidi Boutons.
Poi la voce al microfono fece rimbombare anche il tuo nome, anche tu venisti chiamata. Dopotutto era prevedibile, riflettei; nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di sfidare il volere di Rosa Gigantea, senza contare che in quell'ultimo periodo la "nuova Sei" aveva raggiunto davvero una popolarità mai vista prima.
Ma solo il silenzio rispose a quell'appello.
Anche quella volta, tu non c'eri.
  
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