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Autore: Tiger    19/09/2007    0 recensioni
...ed ecco un altro pezzo del puzzle: la Tigre Nera. (storia riveduta e corretta) buona lettura!
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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la battaglia - tigre
La battaglia


per Ever e tutti i lettori di "il torneo" : so che quella storia era particolarmente incomprensibile, in particolare le battute finali. Con questo racconto vi presento un'altra scena della storia dello stesso personaggio, una delle scene fondamentali. Nemmeno così vi sarà tutto chiaro, ma il personaggio dell' Ultima Tigre Nera, Guardiana dell'Ombra, è stato a lungo il mio alter ego fantastico, quindi per me è molto difficile liberarmene. Ne parlerò per quadri, ogni quadro arriverà quando sarò pronta per scriverlo.
Questo è il secondo.
Mi scuso per non aver risposto alle vostre recensioni, ma avevo un po' di problemi con l'editor html.
Ed ora, buona lettura agli intrepidi!

Dimenticavo. Ho fatto tre disegni riguardo questa storia, li trovate nella mia galleria in manga.it, utente valbal. Altri disegni saranno benvenuti!!!
E, c'è un riferimento a De Andrè.












Xumaq gioì. Finalmente, era pronto. Gliel'avrebbe fatta pagare, a quella piaga, e il suo nome sarebbe stato ricordato a lungo. La disonorevole sconfitta del suo migliore sottoposto, dimenticata. Ancora si rimproverava l'abbaglio che lo aveva convinto davanti a quello Spirito del Sole impazzito, facile preda ma inaspettata debolezza.
Ed era stata lei. Era venuta apposta per ostacolarlo, lo sapeva, lo sentiva. E non poteva tollerarlo.

Effettivamente, i Grandi Saggi avevano da tempo individuato segnali del pericolo imminente, ancor prima che lo Stregone si formasse. Avevano così cominciato la Ricerca, una volta ancora. Col passare dei secoli ed il procedere della Stirpe, il candidato era sempre più difficile da trovare. Infine, approdarono nella vita di una ragazza che, pur priva delle abilità guerriere che tante volte si erano rivelate determinanti, già rispettava e credeva nelle parole Coraggio, Lealtà e Onore. Come da usanza le presentarono la Scelta, e lei accettò quel ruolo di eroe scomodo e dimenticato che le veniva offerto. Le diedero allora il potere tutto:  il potere dei Nomi, degli Elementi, dello Spirito, della Conoscenza.
Ma nemmeno loro, i Saggi, erano preparati ad una simile svolta del Destino. Nessuno si aspettava ancora il Cambiamento, il passaggio di dinastia.
Che i tempi fossero maturi, tuttavia, fu chiaro quando ci si accorse del giovane Mago cui Cassandra si accompagnava, e divenne ovvio alla loro prima trasformazione: una Tigre dal manto d'Ombra, nero come la notte, affiancava elegantemente un nobile Drago dalle scaglie iridate. E così, il Potere immenso della Prima era tornato, dopo generazioni di degrado, addirittura più grande di allora. Assieme a questo, un altro enorme Potere, un altro Primogenito cominciava una nuova stirpe di Guardiani. Coloro che sapevano tremarono al pensiero di cosa li attendeva nel breve futuro, per necessitare di due Guardiani dell'Ombra di tal calibro. Colà dove si puote ciò che si vuole, come dice il poeta, la Tuche (Sorte) aveva convocato forze oltre l'immaginazione. Ma i due Guardiani, ed il sentimento indelebile che li legava, avrebbero reso possibile ricostruire il Confine, l'uno al di qua l'altro al di là della barriera, operando sulla stessa breccia.  

Lo Stregone era stato anch'esso un giovane Mago che, affascinato dal potere, aveva scoperto fortuitamente il modo per eguagliare gli Dei. Spinto dal miraggio del riscatto da una vita di miserie ed inganni, era infine caduto nell'inganno più grande di tutti, che lo aveva irretito, scaturendo dalla sua stessa mente e alimentato dalla sua pazzia. Con un rito oscuro, in un antro nascosto, aveva evocato l'Ombra. Ma l'Ombra è materia ingovernabile, è forza soverchiante e distruttrice, dotata quasi di volontà propria. L'Ombra è la materializzazione dei nostri sogni e dei nostri incubi, è l'illogicità nascosta da un'apparenza di ordine. L'Ombra, o l'Altro, o l'Immagine, aveva preso il sopravvento sul giovane Mago e aveva generato Xumaq, uno stregone dai poteri immensi ma ormai talmente soggiogato da questi da non provare più alcuna emozione umana.

Grawain, o meglio Pendragon, testa-di-drago, era quindi scomparso in un Portale lungo il Confine con l'Ombra, rincorrendo il proprio Destino.
 
Cassandra Mallory, a sua volta, aveva letto i segnali.Sapeva che Lui era pronto.Non si sorprese quindi quando fu trascinata fuori casa, la cena appena sbocconcellata sul tavolo, e si trovò davanti una compagnia bizzarra, come uscita da un gioco di ruolo. Pur sapendo fin troppo bene che non si trattava di un gioco.
Lì, nel giardino, la attendevano due guerrieri dalle armature lucenti in groppa a Lipizzani neri, ed un vecchio Saggio che teneva le briglie di un rovano e del suo fido pezzato.
Il vecchio la salutò con un inchino accennato, porgendole le redini. Si mossero in silenzio, il galoppo lento attutito dall'erba umida. Ormai passato il crepuscolo, giunsero in una grande piana, della cui esistenza era certa nessuna carta facesse menzione. Un esercito enorme e brulicante li accolse con reverenza, gli stendardi ancora chiusi. Già si saggiavano gli archi, si affilavano le lame, gli scudi approntati sul braccio. La massa si aprì, liberandole il passaggio verso una piccola altura laterale, da cui si dominava la piana. Smontò, lasciando la cavalcatura ad uno scudiero, e si avvicinò al gruppo riunito alla sommità. Scrutavano tutti nella direzione opposta, dove l'oscurità era maggiore. Appena sentirono i suoi passi sull'erba, si voltarono verso di lei, ed il cuore di Cassandra perse un battito. Lì davanti a lei stavano i più famosi uomini d'arme della Storia e delle leggende, Re, Principi, Cavalieri e avventurieri, tutti riuniti sotto il suo stendardo. S'inchinarono, ed un gesto secco del Mago sciolse i lacci dello stendardo più grande, cui seguirono a ruota, nella piana, le insegne di compagnia. Il Capitano era arrivato.
Solo quando un valletto si fece avanti con una ricca cotta di maglia, Cassandra si rese conto di indossare ancora jeans e maglietta. In un momento fu pronta: stivali, pantaloni e casacca. Il valletto l'aiutò ad infilare la cotta, che risultò leggerissima e flessibile più di una camicia. Richiamò quindi mantello e spada, che le fu cinta da uno dei cavalieri della scorta. Infine, il Mago le porse le insegne del suo rango: un ciondolo d'oro a testa di tigre e un diadema sottile, quasi invisibile, che le fermava sulla fronte una scheggia dai bagliori accecanti.
Alla luce di quella gemma riconobbe finalmente l'uomo: Merlino, uscito infine dalla sua dolce prigione di vento. Sorrise, quale onore più grande potevano tributarle?
Fu messa quindi al corrente della situazione dei due eserciti, e si ritrovò anch'ella a scrutare verso il campo nemico. Nell'oscurità distinse esseri mostruosi, dalle forme ambigue, che si muovevano a caso sotto gli stendardi più diversi. Non c'era unità, non c'era logica. L'unico punto comune era il Comandante, Xumaq lo Stregone, dalla cui mente era nato quell'esercito, come materializzazione del caos che ormai la governava.
Sotto ai suoi occhi, invece, attorno a quella altura, una armata di uomini coraggiosi, usciti dai libri più vari, attendeva con ordine frenetico ai preparativi per lo scontro. Ogni compagnia, un vessillo, ogni vessillo, una tigre dorata in campo nero. Erano i Comandanti, la differenza, ed erano tutti lì intorno a lei. Esperti nell'arte della guerra e nei suoi infiniti trucchi, avevano discusso a lungo di strategia. Li guardò, uno ad uno. Non era mai stata una grande stratega, e si fidava di loro. Conosceva le gesta di ognuno a memoria, vere o fasulle che fossero. Eppure li distolse dai loro ragionamenti, e arrotolò la carta attorno a cui si animavano. Il campo era una piana rettangolare, una sorta di bacino senza vie d'uscita che non fossero quella di accesso, dietro ai due schieramenti, e gli eserciti erano in parità numerica. Non servivano strategie troppo argute.
Con il drappello di comandanti al seguito, fece il giro delle compagnie per conoscerne armamenti e composizione, e fermandosi qua e là a parlare con personaggi noti o curiosi, che le venivano di volta in volta indicati.
La cavalleria era possente, rigorosa. Gli uomini erano seduti a piccoli gruppi, avvolti nei mantelli, parlavano sommessamente tra di loro o controllavano un'ultima volta l'armatura. I cavalli, ognuno accanto al suo padrone, erano quanto di più meraviglioso esistesse: mantelli di ogni colore, pesanti destrieri in mezzo ad altri più scattanti, tutti silenziosi e fermi sugli appiombi, ad aspettare il furore della mischia con la compostezza di veterani.
La fanteria era più movimentata, gli scudi ostacolavano qua e là il cammino, e niente sarebbe mai stato perfettamente pronto per la battaglia. Ma un buco in uno stivale o dei pugnali decisamente vissuti non avrebbero impedito a quegli uomini di scatenare la loro forza, di imbrigliare la loro paura. Tra di essi, qualche amazzone si affaccendava, aiutando a sistemare archi e spade, a distribuire frecce agli arcieri.
Tornarono al punto di partenza, dove li attendevano i loro destrieri finemente bardati. Salutò il Mago, che avrebbe seguito lo scontro dall'altura, e montò in sella. Si tolse il cappuccio del mantello, lasciandolo ricadere mollemente sulle spalle, e liberando la Gemma alla vista di tutti. Non portava elmo. Aspettò che i due Comandanti portassero i loro Lipizzani alla retroguardia, assicurandosi che fossero in posizione e che le dessero il segnale. Tutto era tranquillo.
Spronò il cavallo, che si mosse al passò tra le Compagnie, su verso il fronte dell'esercito, dove la cavalleria attendeva, appena schierata. Uscirono al centro, ed il passaggio si chiuse. I Comandanti raggiunsero ognuno il proprio stendardo, e lì stettero, volti verso la piana. Non ci furono discorsi o grida di incitamento, non ce n'era bisogno. Tutti sapevano cosa li attendeva, e l'importanza di quella battaglia. Rimasero, frementi, ad attendere per un tempo indefinito, ma che non fu lungo.
Eppure, conoscere la propria sorte non li aveva preparati a ciò che si trovarono di fronte, quando finalmente poterono vedere l'armata nemica schierarsi. Un tremito percorse le schiere, mentre sussurri spezzati riferivano lo spettacolo a chi non poteva scorgere, ma solo sentire quelle presenze oscure. Non era paura di morire, non avrebbe avuto senso tra personaggi, come loro, già morti o mai esistiti. Era piuttosto paura della dannazione, della corruzione che quegli esseri portavano con sè e che si spandeva viscosa tutto intorno a loro. Fu chiaro infatti che quella non sarebbe stata una battaglia di conquista, o uno scontro per la vita, ma uno scontro spirituale tra opposti, per tentare di ricostruire un equilibrio. La sconfitta dello Stregone sarebbe potuta avvenire solo grazie alla loro forza d'animo, e avrebbe permesso a Pendragon, testa di drago, di ricostruire la Barriera e chiudere la breccia.
Si volsero al loro Capitano. Non aveva mosso un muscolo, continuava a scrutare l'esercito avversario analizzandone la composizione, in realtà alla ricerca del suo unico obiettivo, Xumaq stesso. Non era in prima linea , questo era certo. Non era nemmeno mescolato tra i suoi soldati. Riuscì poi a identificarne l'aura, ancora trattenuta, nelle retrovie. Proprio quello che si aspettava. Concentrata sulle sue percezioni, rimandava un'apparenza calma e decisa che rinfrancò gli animi dei commilitoni meglio di qualsiasi parola. Tutti loro conoscevano il suo Potere, e questo da solo bastava per avere fiducia.

I due schieramenti si fronteggiavano, l'uno silenzioso e composto, l'altro risuonante di grida di guerra, il cui significato si perdeva nel fragore di lance e scudi.
Ma ecco che, a poco a poco, quegli esseri spiccavano la corsa, brandendo le spade e roteando le alabarde. Gli animi si riscossero, i piedi furono in moto ancor prima che la coscienza potesse formulare un pensiero.
E allora furono solo grida, lamenti e violenza.
Forza bruta governò il primo impatto, mentre i dardi delle due parti si incrociavano, si scontravano, senza più quartiere. Gli spiriti, per l'occasione nuovamente dotati di emozioni, riscoprirono il dolore delle ferite e il sapore del sangue sulla lingua. Non avevano corpo, nè fluidi, ma mai il lezzo delle battaglie era stato sì vivido. O forse, semplicemente, ormai lo avevano dimenticato, preferendo ricordare le proprie gesta così come erano state scritte, scevre da ogni tormento o fatica.
Alla fisicità dell'impatto si sostituì ben presto una violenza tutta mentale. L'Ombra, nel suo dilagare, forzava gli animi, bucava quei corpi immateriali nel tentativo di appropriarsene. Molti cedettero, incapaci di contrastare le vertigini. Sentirono di nuovo la voce impastarsi, il sangue gorgogliare in gola; ne pensarono il sapore metallico, immaginarono il rivolo sul mento, i vestiti. Nuovamente, i muscoli parvero inutili, pesanti. Nuovamente morirono, accasciandosi scomposti sul terreno.
Cavalcature scosse si aggiravano senza meta, cercando di fuggire quella pazzia. I più, ricondotti al loro padrone, venivano incitati ancora contro i nemici, poca la compassione per i loro occhi scavati, le orecchie appiattite, le nari dilatate. Paura sui loro corpi, nel loro sudore, paura soprattutto nel vedere negli occhi delle bestie del nemico la stessa follia dei loro cavalieri.
Il combattimento procedeva corpo a corpo, in una gigantesca melée senza regole, inciampando tra tronconi di lancia e borchie di scudi, o foderi strappati che ancora gridavano gloria, dai fili spezzati dei ricami.
Il Capitano ed il suo destriero si affannavano su tutta la piana, portavano con sè forza e potere capaci di riscuotere le anime dall' Illusione.
Il nemico veniva decimato allo stesso ritmo con cui avanzava, ma ancora le sue schiere erano troppo fitte, e Lui troppo nascosto.
Come fossero stati d'accordo, i trombettieri suonarono la ritirata, dalle due parti del campo, era tregua. Un momento per leccarsi le ferite, prima dell'assalto finale.

Cassandra passò tra i soldati, controllando le perdite e assicurandosi delle condizioni dei vivi.
Sull'altura, il Mago attendeva e temeva. Spettatore impotente, era stato travolto dall'eco della mischia, che scorreva sotto allo stridio del metallo. Un pulsare sordo, basso, che ti attraversava le viscere, costringendo il sangue ad adattarsi al suo stesso ritmo. Insidioso, lento. La visione gli si era fatta sfuocata, i corpi nella piana ondeggiavano come steli in un campo, senza più possibilità di distinguere i nemici gli uni dagli altri. Non ebbe bisogno di concentrarsi, il battito lo trascinò con sè fino alle sue origini.
E ciò che vide, allora, fu un globo rosso, trattenuto da mani nodose, la pelle come corrosa dall'interno. Il raccapriccio per quella visione aveva stentato ad emergere, spingendolo a trarsi indietro. Fascinazione era stata la sua prima emozione, ed una tendenza spasmodica verso quel nucleo di forza. L'Anima della battaglia non era libera, le sorti dello scontro non in mano all'arbitrio del Fato, ma imprigionate e governate dall'immane forza del Caos. Era quello il motivo della parità di perdite e di sopravvissuti. Non si poteva arrestare lo Stregone colpendo solo il suo esercito, e non si poteva fermare l'esercito senza colpire lo Stregone.
Lo disse al Capitano, guardandola negli occhi per trasmetterle l'orrore che le sue stesse reazioni ancora gli suscitavano.
Le armi, gli scudi, la forza fisica e la fermezza d'animo non avrebbero più aiutato; lo scontro si era ingigantito. L'esercito diventava un accessorio, il finale era nelle mani dei due titani.
Ma come battere un simile, formidabile avversario? Anche ammettendo di riuscire a fendere l'esercito nemico con danni minimi, Xumaq rimaneva uno stregone potentissimo, intriso del contagio del Caos. Non sarebbero bastati, lo aveva compreso nella mischia, la sua volontà e il suo ruolo, e nemmeno il supposto destino di vittoria.
Ricambiò lo sguardo del Mago e Maestro con un altro, altrettanto consapevole. Silenziosamente, dovettero riconoscere l'unica soluzione possibile, che avevano sperato fino all'ultimo di poter evitare. Le voci concitate dei Comandanti tessevano, attorno a loro, strategie azzardate, spostando le imboscate come spilli e scambiandosi le compagnie dentro e fuori tra la trama e l'ordito.
Lentamente, si accorsero che il Capitano non aveva seguito i loro discorsi. Le voci si placarono, cedendo ad un silenzio attonito. Venne loro spiegata la sola alternativa, e dovettero ammettere che sì, era molto più sensata dei loro intessuti, sebbene per nulla auspicabile. Il piano fu definito in un lampo, i compiti impartiti con poche parole. Il ruolo dell'armata diventava, a questo punto, di solo contorno: impegnare le armi del nemico e consentire alla giovane suicida di raggiungere la grande bandiera rossa e la figura che la attendeva ai suoi piedi.
In uno scontro tra i due titani che fosse condotto, come i precedenti, basandosi sulla sola forza spirituale, Cassandra non avrebbe avuto scampo: una parte del suo Potere derivava dall'Ombra, una parte del suo animo era governata dal Caos ingannevole, e sarebbe stata facile appiglio per trascinare anche lei al di là della Barriera. Così, come l'inettissimo e deficitario Felipe II di Spagna aveva conservato il regno grazie all'oro del suo scettro e alla preziosità della sua corona, allo stesso modo occorreva rafforzare l'identità del suo potere con i suoi simboli, che fossero riconosciuti e comprensibili.
I Capitani lasciarono rispettosamente l'altura, ordinando le compagnie in assetto per la battaglia.
Rimasta sola, accanto a lei la figura del Maestro pesantemente appoggiata al vecchio bastone, lentamente si spogliò della propria immagine e ne piegò i relitti su di una pietra spruzzata di licheni aranciati. Gli stivali si afflosciarono nell'erba, carezzati da una foglia d'alchemilla. La cotta tintinnò un poco, a contatto con la roccia, e su di essa la manica della tunica scivolò in modo scomposto.
Un paggio aveva tolto le bardature al suo destriero, sulla cui groppa poggiava ora un leggero drappo nero, i bordi appena spruzzati di fili dorati. Libero dalle briglie, l'animale risalì al lento trotto il pendio fino a lei, che gli salì in groppa con ansia malcelata. Perfino il cavallo aveva capito. Mosse appena la testa, e il cappuccio che aveva tenuto sulla fronte le ricadde sulle spalle, rivelando ancora una volta la magnitudine della scheggia di luce resale dal Mago. Un cenno del capo, intrecciò le dita nella criniera, concentrandosi per un attimo sulla sensazione dei crini sulla sua pelle. La cinta della spada le premeva un poco sulle anche, rassicurante. Non aveva perso tutte le protezioni.

Ancora una volta, le fu ceduto il passo, attorno a lei teste chine in reverenza, un omaggio al suo compito e rispetto per il suo corpo, appena visibile tra i drappeggi del mantello, che si sarebbe aperto solo poi, durante il galoppo inarrestabile che l'avrebbe condotta all'altro Capitano, sotto il suo stendardo del "senza quartiere".
E lì, nell'assalto, fu una nuova Lady Godiva, ma assai più temibile.
Non si curò degli altri, non si volse ai suoi soldati. La spada sguainata roteava senza sosta, non risparmiava nessuno. Affondava e tagliava senza pietà, e il sangue ora sì, reale, si abbandonava in schizzi, zampilli di saluto attorno a lei, dietro di lei, un tributo di violenza cui avrebbe risposto, l'indomani, il colore saturo di miriadi di papaveri.
La furia del suo avanzare lasciò i nemici interdetti, qualcuno addirittura si faceva in là, sperando di essere risparmiato. Ma lei non li vedeva, non sentiva l'odore dei corpi, la resistenza contro la lama. I suoi occhi puntavano un drappo che ondeggiava pigramente in un cielo senza vento, la sua volontà concentrata a schermare il richiamo del globo di fuoco. Finalmente, dopo un percorso che sembrò eterno, un gesto veloce di quelle dita mangiate spazzò via gli ultimi esseri, e l'aura dello Stregone fu liberata appieno.
Il cavallo si impennò bruscamente, nel tentativo di arrestare la propria corsa, e Cassandra sciolse la presa sulla criniera. La spada sguainata nella destra, scese agilmente dalla groppa, una mano che ancora indugiava sul manto sudato dell'animale. Lo allontanò un poco, battendogli appena sul fianco.

Finalmente, L'Ultima era lì, di fronte a lui. Il vento inesistente fece schioccare la bandiera un po' più forte, e il mantello di lei si mosse. Sogghignò, sarebbe stato anche più facile del previsto. La sciocca non portava nulla.
Non si chiese perchè, ma nella sua follia vide solo una ragazzina indifesa, nuda, con in mano una lama troppo pesante per lei. Una preda facile. Non si accorse di ripetere l'errore passato.  
D'altronde, come biasimarlo? Non aveva occhi per vedere la potenza di lei, al di là della Gemma, nè sensi per indovinarla. La avvolse con la propria aura, lasciando le spire lasse: perchè finire tutto così in fretta? Si sarebbe insinuato tra i suoi pensieri, avrebbe scavato i ricordi più nascosti, per ridere del suo vissuto più vergognoso prima di schiacciarla.
Testardamente, si scontrò più volte contro il muro della mente di lei, prima di capire che era davvero impenetrabile. Pazienza, avrebbe sempre potuto umiliarne il cadavere.
Strinse ancora di più le sue spire, fissando quell'insolente che se ne stava lì, davanti a lui, lo sguardo perso nel buio oltre lo stendardo. Fece forza verso di lei, ma incontrò un'altra barriera. Il contatto così profondo con l'incantesimo avversario rimandò al suo corpo una pulsazione dolorosa. La sfera gli cadde dalle mani, le dita si contrassero un istante. Seguì il rotolare della sfera per un tratto, confuso. Stava pensando di raccoglierla, quando si fermò contro una pietra che spuntava poco dietro di lui. Un debole stridio indicò la prima crepa. Non c'era più tempo. Si voltò, per trovarsi una lama affilata vicina, troppo vicina. La bloccò appena prima che squarciasse il suo volto, ma la forza del colpo oltrepassò lo scudo, e sangue vermiglio cominciò a colare dalla sua mano. Rabbioso, cercò di respingerla con una scarica di incantesimi e maledizioni impietosa. Le difese vacillarono un poco, cominciò a sanguinare da una gamba. La ferita non la rallentò, tuttavia. Anzi, gli affondi triplicarono, in forza e velocità. Restituiva al nemico ogni incantesimo come ferita, pur sapendo che quei tagli superficiali non significavano nulla, per lo Stregone, e che doveva mirare al petto.
Lo scontro diventava via via più feroce, gli incantesimi si sovrapponevano l'uno all'altro, creando effetti imprevisti e terribili. La loro magia si sommava, e le due aure erano finalmente visibili: i due titani lottavano, avvolti da un gigantesco alone accecante. Nessuno osava avvicinarsi, e nel campo la battaglia, talvolta, languiva.
Finalmente, l'energia fu sufficiente a rompere la sfera. Un fascio di luce la colpì, allargando la crepa. Lo scricchiolio cedette al boato, e mille pezzi di cristallo brunito furono scagliati nel buio. Dove prima c'era il globo, restava un agglomerato di fumo denso, vorticante, che pigramente si alzò e si espanse verso la piana, fino a disperdersi nella notte. Il tempo si era come fermato: dimenticarono tutti il proprio avversario, gli sguardi attirati da quella forza che impallidiva sopra le loro teste.
Il fumo scomparve.
La mischia riprese, subitanea, con rinnovato ardore. Lame spezzate, scudi squarciati, tutto avveniva nella penombra, unica fonte di luce la lotta sotto lo stendardo rosso. I volti parevano scavati, le membra scheletriche. Bagliori metallici accanto ad ombre nere come l'abisso. In quel chiaroscuro violento, il nemico diventava una maschera inquietante, rassomigliante a quella vicina e ad un'altra ancora, finchè tutti i volti, tutti i corpi, non divennero uguali rappresentazioni della Morte. Nessuna distinzione, solo stoccate e affondi fatali.
Le nuvole si addensarono, minacciose, portate da un vento rapido. I mantelli si agitavano scomposti, le cavalcature avanzavano con più fatica, se volte incontro al vento.

Improvviso, un tuono squarciò l'aria, e l'onda sì potente separò i combattenti, stordendoli. Appena il tempo di guardarsi attorno, stupiti, e i loro timpani furono attaccati nuovamente, da un urlo atroce e primordiale. L'aura dell'Ultima aveva raggiunto una potenza enorme, incoraggiata da quel rombo, segnale che la breccia poteva, ora, essere chiusa.
Il pensiero di Grawain la immobilizzò per un attimo, che sarebbe potuto rivelarsi fatale. In un ultimo disperato tentativo, lo Stregone riuscì a colpirla in pieno. Si piegò su se stessa, concentrandosi sul dolore fisico per riscuotersi. Davanti al ghigno di vittoria di quell'essere inumano, si rialzò lentamente, riacquistando sicurezza e freddezza ogni momento. Protese una mano davanti a sè, il braccio diritto, i muscoli contratti, il palmo verso il nemico. I suoi  occhi divennero quelli di una Furia, le pupille portali per l'Abisso. Come rispondendo ad una chiamata, il fumo vermiglio e denso liberatosi dal cristallo riprese consistenza, tornando verso il luogo dove era stato liberato. Si avviluppò attorno al suo braccio, si agglomerò in una massa pulsante nella sua mano.
Il vento girò, repentino, sovrastando il lezzo della battaglia.
Quella massa rossa lo colpì al petto, diritta contro il segno tatuato che sigillava i poteri dello Stregone.
Il corpo si arcuò all'indietro, esanime, cadendo sul suolo con un volo aggraziato. Dallo squarcio sul petto cercarono di fuoriuscire delle forme vaghe, urlanti, qua e là si riconosceva una mano affusolata che artigliava nel vuoto. Il percorso del corpo verso il terreno fu lungo, lento. L'energia rossa che lo aveva colpito pulsava, ricacciando indietro gli spettri informi, e risucchiando pazientemente nella stessa ferita gli esseri, i mostri, che avevano composto la sua armata.
Videro i nemici lasciare la presa sulle armi, abbandonare gli scudi. Gli si rovesciarono gli occhi, i copri persero consistenza, e rivoli grigiastri continuarono a scorrere verso il Mago caduto.
In un baleno, tutto finì. Lurlo cessò di colpo, lasciando timpani pulsanti a ricrearlo ancora, sebbene per poco.
L'Ultima abbassò la spada, inchinandosi leggermente davanti al corpo sfortunato che aveva generato un grande avversario. Il Maestro comparve accanto al cadavere, e gli chiuse gli occhi, ricordando un altro giovane, come questo sconfitto da se stesso. Si rialzò, portandosi a fianco di Cassandra, ed insieme lo avvolsero di fiamme.

Il corpo mortale di Xumaq, tornato ad essere solo un piccolo mago, arse, spargendo un odore acre che le sue nari non avrebbero dimenticato.
Quando il fuoco si spense, non rimanevano nemmeno le ceneri. L'Ultima annuì, soddisfatta. Il Confine era di nuovo intatto. Scacciò la preoccupazione per il Primogenito, e si volse dietro di sè, alla piana. Ora doveva la sua attenzione a chi l'aveva così tanto aiutata, il tempo per l'angoscia e la preoccupazione sarebbe venuto, poi.                                   










 
  
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