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Autore: blackmiranda    03/03/2013    8 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fortunatamente per Pena e Panico, Ade dormì per quasi ventiquattro ore, il che diede ai due demonietti la possibilità di liberarsi di tutta la spazzatura residua.

Dopo otto sudatissime ore di lavoro, la sala del trono splendeva come mai prima di allora, e anche le restanti numerose stanze in cui si articolava il centro dell'Oltretomba erano tornate ad essere in buone condizioni.

I due si accasciarono a terra senza troppe cerimonie.

Erano esausti. Si auguravano che il boss si svegliasse di buon umore.

Panico si guardò intorno, sospettoso. Le parole della profezia parevano ancora risuonare nella grande sala, come vibrazioni di un'eco lontana.

Quasi in risposta ai suoi pensieri, lo Stige prese a gorgogliare insistentemente. Scambiò con Pena un'occhiata dubbiosa.

Non era normale che il fiume infernale facesse quel genere di rumori, e lo sapevano entrambi.



***


Non molto lontano dalla sala del trono, Ade si svegliò, digrignando i denti, con più mal di testa di quando era andato a dormire.

Profondamente irritato, scese dall'ampio letto - decorato da ben trecentosessantacinque crani umani: un vanto, in tutto l'Oltretomba - e, dopo essersi rinfrescato con un po' d'acqua gelida, si guardò allo specchio.

Due occhi gialli iniettati di sangue ricambiarono il suo sguardo.

Si sentiva uno straccio. Trascorrere gli ultimi cinque mesi nello Stige l'aveva proprio sfiancato.

Tutte quelle anime che gli si avvinghiavano addosso... Il solo pensarci lo faceva rabbrividire, suo malgrado.

Uscì frettolosamente dalla lussuosa camera da letto, giurando a se stesso che si sarebbe vendicato per tutto quello che Ercole gli aveva fatto passare.

Lo odiava quasi quanto odiava Zeus.

Degno figlio di degno padre, pensò furente mentre si sedeva sul proprio trono e faceva comparire dal nulla un bicchiere colmo d'ambrosia corretta.

Finse di non notare gli sguardi preoccupati dei suoi due tirapiedi, dedicando le proprie attenzioni al drink, che ingollò tutto d'un fiato.

Tentò di rilassarsi, ma non era per niente facile con l'emicrania che si ritrovava.

Socchiuse gli occhi. Era in una situazione pessima e lo sapeva benissimo.

Ciò che gli avevano detto le Parche era vero, come sempre. Si era indebolito. Faceva fatica a controllare il suo regno e le anime nello Stige ne erano perfettamente consce.

Represse una smorfia di puro disgusto. Come si era ridotto? La rabbia rischiava di lasciare il posto all'autocommiserazione.

Doveva sforzarsi di pensare a come uscire da quella a dir poco spiacevole situazione. Non c'era tempo da perdere. Ne aveva sprecato già in abbondanza, durante i precedenti cinque mesi, per colpa di quel...

Non voleva nemmeno ripensarci, o sarebbe esploso.

Il bicchiere che teneva in mano si frantumò in mille pezzi.

Pena deglutì, avanzando timidamente di un passo. “Ehm, Signore...” esordì, non sapendo bene come continuare.

Ade parve letteralmente sbuffare fumo dalle narici. Lentamente, abbassò lo sguardo a terra, fino ad incontrare quello del diavoletto, rimasto perfettamente immobile.

La scena parve congelarsi per qualche momento, mentre nessuno dei due emetteva alcun suono. Dopodiché, Pena arretrò, tornando dove si trovava prima, sempre in assoluto silenzio.

Il dio si sporse in avanti, osservando i suoi movimenti con un'espressione omicida stampata sul volto, e rimase a fissarlo in cagnesco per un tempo che parve infinito, senza battere ciglio.

Infine, tornò rigidamente ad appoggiarsi allo schienale del trono, non prestando più attenzione ai due, il che parve loro un'ottima occasione per filarsela a gambe levate - cosa che fecero, sgusciando via ad una velocità insospettabile.

Ade riuscì a controllare la rabbia solo grazie al mal di testa pulsante, che era, se possibile, ulteriormente aumentato a mano a mano che cresceva la sua furia.

Si prese la testa fra la mani, strizzando gli occhi. Non doveva farsi distrarre.

Cosa diamine gli avevano detto le Parche? Doveva trovare un dio dotato dei suoi poteri...

Aprì gli occhi, chiedendosi cosa mai volesse significare. A quanto ne sapeva, il posto di dio dell'Oltretomba era unico e, soprattutto, già occupato.

Corrugò la fronte, domandandosi quanto davvero il suo regno fosse minacciato, e da chi.

Si alzò in piedi di scatto, cercando di ignorare le ondate di emicrania che gli rimbombavano prepotentemente nella testa.

Non avrebbe concluso niente standosene lì a rimuginare. Doveva risolvere quel rompicapo e agire di conseguenza, e c'era un solo modo per farlo.

“Pena! Panico!” abbaiò, scrutando nella penombra in cerca dei due demoni, che spuntarono da dietro una roccia appuntita.

“S-sì, Vostra Morbosità?” se ne uscì Panico in un fil di voce.

Ade fece loro segno di avvicinarsi. “Seguitemi. Abbiamo del lavoro da fare.” ringhiò, dirigendosi senza aspettarli verso una ripida scala a chiocciola, seminascosta tra gli intricati ghirigori in basalto che spuntavano dalle pareti.

I due lo seguirono frettolosamente fino ad una massiccia porta di legno grigio, i cui cardini scricchiolarono penosamente sotto lo sguardo furente del dio.

Entrarono in quello che aveva tutta l'aria di essere uno studio: le alte pareti erano quasi totalmente nascoste da scaffali di legno putrido, mentre il centro della stanza era interamente occupato da un tavolo in pietra scura.

Sul soffitto volteggiavano pigramente pallide fiammelle cerulee.

Ade passò velocemente in rassegna una serie di scaffali polverosi, evidentemente alla ricerca di un tomo in particolare.

“Voi due, non statevene lì impalati.” sbottò il dio, lanciando verso di loro un paio di grossi volumi dalle copertine lacere.

“Che cosa dovremmo farci..?” domandò perplesso Pena, barcollando sotto il peso del libro.

Ade si girò a guardarlo. “Oh, questa è un'ottima domanda. Verrebbe da chiedersi cosa esattamente si faccia, di solito, con un libro. Lo so, è difficile rispondere, ma sono fiducioso che riuscireste a risolvere il dilemma, se solo vi spremeste un po' le meningi. Qualcuno ha qualche idea?”

Panico deglutì, seminascosto da una gamba del tavolo. “... Si legge?” tentò.

“Ma bene, abbiamo un vincitore!” esclamò il dio, sarcastico. “E adesso, signori, se non vi è di troppo disturbo, vorreste cortesemente METTERVI AL LAVORO?!” disse infiammandosi.

I due non se lo fecero ripetere due volte. Prendendo posto all'estremità del tavolo più lontana da Ade, iniziarono a sfogliare cautamente le pagine consunte, che minacciavano di sgretolarsi da un momento all'altro.

“Tu ci capisci qualcosa?” bisbigliò Pena a Panico, assicurandosi che Ade fosse troppo occupato a frugare tra gli scaffali per prestar loro attenzione.

Panico corrugò la fronte. Era evidente che stava dando il meglio di sé nel tentare di dare un senso alle parole e agli strani simboli che si trovava davanti.

Ade scaricò sul tavolo una pila di libri ed un fascio di rotoli di pergamena. “Sono rituali dell'Oltretomba.” disse sedendosi a sua volta. “Ovvero, informazioni che bisogna spulciare per cercare di dare un senso alla nuova filastrocca delle Parche, che a quanto pare hanno deciso di fare le criptiche.”

I servi non commentarono, limitandosi a chinare nuovamente il capo sui volumi che avevano di fronte.

I fuochi fatui calarono dal soffitto, prendendo a galleggiare attorno al tavolo, proiettando una pallida luce sulle pagine dei vetusti tomi.

Ade pareva spazientirsi sempre più, minuto dopo minuto. Non staccava gli occhi dai libri che aveva sottomano, borbottando di tanto in tanto parole incomprensibili.

D'un tratto, chiuse di scatto un enorme volume, sollevando un bel po' di polvere e facendo sobbalzare Panico sulla sedia.

“Maledetti siano Zeus e tutta la sua progenie!” sibilò in preda alla frustrazione, assumendo un colorito aranciato.

Pena si ritrovò distrattamente a chiedersi se il dio avrebbe incenerito i libri in un eccesso d'ira, cosa che, da parte sua, avrebbe apprezzato immensamente.  

“E' solo colpa sua se mi ritrovo in questa situazione! Sua e di Megafesso, che se la spassano ai piani alti mentre io sono bloccato qui a studiare con due microcefali del vostro calibro!” sbraitò scattando in piedi.

Si mise a camminare affannosamente su e giù per la stanza, tenendosi la testa tra le mani.

Panico balzò giù dalla sedia. “Forse dovreste andare a riposare un po', Signore... Magari con un bell'infuso di locuste sul comodino...” balbettò tentando di placare la sua rabbia.

“Oh, certo, ottima idea! Nel mentre, immagino ci penserete voi due a decifrare la stramaledetta profezia!” sbottò lui, tagliente.

“Non ha tutti i torti...” ammise Pena, guardando per terra.

“E' un rompicapo!” riprese Ade. “Non può esistere un altro dio come me! Io sono il sovrano dell'Oltretomba, nessun altro! Un dio dai tuoi poteri va presto trovato. Per farne cosa, lasciare che si impadronisca del mio regno?!” Si arrestò di colpo. “C'è qualcosa che non quadra. Perché le Parche mi avrebbero avvisato di autodistruggermi? Non avrebbe senso.”

Si sedette, poi si alzò di nuovo. “No, ci dev'essere un'altra spiegazione. Ma che dovrei farmene, dove potrei trovarlo e soprattutto chi è questo dio?”

A quelle parole, i fuochi fatui parvero ridestarsi e quasi mettersi a danzare. La cosa non sfuggì ad Ade, che prese ad osservarli con interesse.

Le fiammelle blu si avvicinarono ad uno scaffale, baldanzose, posandosi infine su di un rotolo grigiastro, dalla consistenza fumosa.

Ade afferrò prontamente il rotolo, scacciando i fuochi fatui come fossero fastidiose mosche. Le fiammelle crepitarono, apparentemente offese, ma il dio non ci fece caso.

Aperto il lungo rotolo, gli bastò qualche secondo per capire di cosa si trattasse.

“Guarda un po' cosa abbiamo qui.” esclamò sorpreso, stendendo la pergamena grigia sul tavolo. Pareva fosse fatta di fumo solido. Non appena la sfiorò, una serie di nomi comparvero uno dopo l'altro, fino in fondo al rotolo, che occupava tutto il tavolo per la sua lunghezza e buona parte del pavimento.  

Pena si sporse a dare un'occhiata, incuriosito. “Che cos'è?”

“Questa, ragazzi miei,” rispose Ade, improvvisamente compiaciuto, “è la Voce delle Moire. O meglio, la sua trascrizione.” Un sorriso assorto si formò sulle labbra bluastre del dio. “Era da un bel po' che non mettevo gli occhi su questa roba.” mormorò mentre leggeva rapidamente i nomi elencati sul rotolo.

Ne prese in mano la parte finale. “Ogni divinità mai esistita e la natura a cui appartiene sono presenti su questo rotolo.” Osservò il proprio nome, accanto al quale campeggiava l'aggettivo ctonio. “Tra l'altro, si aggiorna da solo a mano a mano che nascono nuovi dei.”

Si interruppe quando vide l'ultimo nome presente sulla pergamena.
 
“Avrei dovuto immaginarlo che quello di Megafesso sarebbe risultato illeggibile...” disse poi. Il nome era nascosto da una patina grigiastra che Ade cercò di grattare via senza entusiasmo, non riuscendoci.

Sotto il nome cancellato comparve d'un tratto la scritta “Mortale”.

“F-forse,” intervenne Panico, “forse lì in mezzo potreste trovare il dio che fa al caso vostro...”

“Forse.” convenne Ade, accarezzandosi il mento.

In lontananza si udirono improvvisamente i feroci latrati di Cerbero. Ade parve non accorgersene, troppo occupato a rimirare la Voce delle Moire.

“Ehm, Signore...”

“Silenzio. Sto pensando.”

“Ma Signore, Cerbero...”

Il cane a tre teste ringhiava ed abbaiava a più non posso, innervosendo i due lacchè.

Ade parve riscuotersi. Era giunto ad una conclusione.

Lanciò un'occhiataccia in direzione dell'uscita, dopodiché si rivolse ai due demoni. “Voglio che stiliate una lista di divinità ctonie, ovvero sotterranee, profondamente legate alla terra. Ci siamo? Non dovrebbe essere troppo difficile nemmeno per due idioti come voi. Basta cercarle nell'elenco e copiarle.” sibilò subito prima di uscire dalla stanza.

“Una lista..?”

“Ma ce ne saranno centinaia!” si lamentò Pena, osservando preoccupato il rotolo che terminava sul pavimento.

Panico lo superò, correndo dietro al padrone.

Pena lo seguì a sua volta, sbuffando.

Raggiunsero il dio nella sala del trono. Avevano entrambi il fiatone.

Non fecero in tempo a protestare ulteriormente, perché qualche istante dopo Hermes entrò nella stanza.

Non aveva affatto un bell'aspetto: doveva aver avuto un incontro ravvicinato con il cane a tre teste.

“Dovresti tenere quel botolo al guinzaglio!” esclamò indignato il messaggero degli dei, raddrizzandosi gli occhiali sul naso aquilino.

Ade ridacchiò. “Devo ricordarmi di dargli una doppia razione di carne, stasera.” commentò.

Hermes lo fulminò con lo sguardo.

“Allora, che ci fa un bel damerino come te in un postaccio del genere?” gli chiese Ade sogghignando.

“Sai benissimo che ci faccio qui, caro mio.” rispose lui. “Per ordine di Zeus, sei tenuto a presentarti immediatamente sull'Olimpo per venire processato per i crimini commessi contro...”

“Bla bla bla, lo so, lo so.” lo interruppe Ade, alzando gli occhi al cielo.

Con uno schiocco di dita, il dio richiamò il proprio carro, che comparve in uno sbuffo di fumo nero come la pece. “Sai, non vi ucciderebbe tentare di prendere le cose con un po' di umorismo, una volta ogni tanto.” aggiunse poi.

Hermes non rispose, voltandogli le spalle e spiccando il volo verso l'uscita dell'Oltretomba.

Ade sospirò, salendo sul carro. “Bene ragazzi, non dovrei metterci tanto. Mi aspetto di trovare la lista stilata al mio ritorno. Intesi?” disse lanciando loro un'occhiata eloquente.

Detto ciò, partì alla volta dell'Olimpo, il luogo che odiava e che agognava di più nell'intero cosmo.







Salve, miei carissimi lettori! ;) Sono desolata, purtroppo non sono riuscita a pubblicare prima. :( Il fatto è che ho dovuto riscrivere gran parte di questo capitolo, sotto eminente consiglio della mia beta (che, a proposito, non ho ancora avuto modo di ringraziare - grazie Panda_chan, ti lovvo). Sono convinta che il risultato finale sia migliore di quello iniziale. ;)

FWI, Ctonio è un aggettivo che significa sotterraneo, riferito principalmente alle divinità legate ai culti della terra e di ciò che sta sotto di essa.
Per qualsiasi chiarimento, consiglio, critica non esitate a farvi sentire. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Piano piano stiamo arrivando al cuore della storia. Al prossimo capitolo! :D


   
 
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