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Autore: Yuki Delleran    03/03/2013    0 recensioni
"C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
[Cardverse AU]
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Royalty of Spades
Fandom: Axis Powers Hetalia / Cardverse AU
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred (America), Yao (Cina)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Un doveroso grazie a Hina che ha messo insieme il mio caos informe di idee creando una trama che avesse un senso. Questa storia è sua quanto mia.
Beta: MystOfTheStars
Word count: 2191 (fdp)



Capitolo 3


Il dolore era giunto all’improvviso e del tutto inaspettato. Arthur si trovava nella biblioteca del palazzo, in piedi di fronte allo scaffale, intento a riporre un libro, quando il suo braccio destro era stato percorso da una scia infuocata. Il volume era precipitato a terra e la Regina aveva stretto il braccio al petto con un gemito.
«Alfred…» ansimò, fissando la mano sana e aspettandosi quasi di vederla coperta di sangue.
Nulla invece macchiava il prezioso velluto blu della sua giacca e quella sofferenza altro non era che il frutto del suo potere. Grazie alla connessione che aveva stabilito con il Re, poteva sentire quando veniva ferito e fare in modo che il suo recupero fosse più rapido.
Tentando di riflettere lucidamente nonostante le lacrime che gli pungevano gli angoli degli occhi, stabilì che quella non doveva essere una ferita particolarmente grave, ma era anche vero che quello era il braccio che reggeva la spada e non poterlo utilizzare in battaglia era molto pericoloso. Con mano tremante recuperò dalla tasca il proprio orologio, quello che gli era stato consegnato al momento dell’incoronazione, e constatò che segnava ancora le prime ore. Era molto probabile che anche quello di Alfred fosse nelle stesse condizioni, altrimenti se ne sarebbe reso conto.
Quella coppia di orologi, come Arthur aveva spiegato ad Alfred poco prima che venisse incoronato, non segnavano l’ora del giorno ma rappresentavano il loro ciclo vitale. Le prime ore segnate dalle lancette erano indice della loro attuale giovinezza e sarebbero man mano trascorse con il passare degli anni. L’utilizzo del loro potere, però, accelerava questo processo. Finora non era successo nulla perché nessuno dei due aveva messo in atto il proprio reale potenziale, ma in presenza di un conflitto tutto era possibile. Al di là dello scambio di energie, il potere di manipolare il tempo, proprio dei sovrani di Picche, era tra i più temuti: opposte e complementari, le due forze congiunte avrebbero potuto scatenare il caos. La fonte del potere curativo della Regina era in realtà la facoltà di riportare indietro il tempo, mentre quella della forza ad alto potenziale distruttivo del Re era la capacità di accelerarlo. Solo desiderandolo, colui che governava il Regno di Picche, poteva veder sbocciare un fiore davanti ai suoi occhi e pochi secondi dopo assistere al suo appassire. Che si trattasse di una semplice pianta o di una vita umana non faceva differenza.
Arthur aveva impiegato tutta la delicatezza possibile per spiegare questo concetto ad Alfred e gli aveva raccomandato di non usare mai un potere tanto devastante: a prescindere dalle motivazioni, la vita di ogni creatura andava sempre rispettata.
Le sue erano state belle parole, pronunciate in un momento di pace. Ora, egoisticamente, si augurava che usasse ogni mezzo per proteggere sé stesso se la situazione si fosse fatta disperata. Per il momento non lo era, ma lui non era un medico, quindi non poteva dirlo con tutta certezza: tutto quello che poteva fare era concentrarsi per inviare al suo Re più energia possibile ed aiutarne la guarigione. Si sedette quindi su una delle poltrone della biblioteca, intrecciando le mani in grembo e chiudendo gli occhi. Attuare il procedimento di riportare indietro il tempo su un soggetto a distanza richiedeva molto impegno e attenzione, poiché doveva riguardare solo la zona della ferita, un piccolo errore di calibrazione e si sarebbe trovato come consorte un bambino. Solo quando fu certo di essere riuscito nel suo intento, si azzardò a rilasciare la stretta delle dita e ad abbandonare la testa all’indietro.
A destarlo dal torpore che lo aveva avvolto fu una cameriera giunta a controllare perché le luci della biblioteca fossero ancora accese a quell’ora tarda, e fu la stessa ragazza ad accompagnarlo nella sua stanza.
Appena posata la testa sul cuscino, invece di piombare in un ristoratore sonno senza sogni, Arthur si sentì avvolgere da immagini angosciose. Si trovava sul campo di battaglia e lo scontro infuriava ancora nonostante fossero ormai calate le ombre della notte. Nel buio era impossibile distinguere amici e nemici e anche il cavallo su cui si trovava si muoveva con difficoltà. La lama della spada che impugnava era rossa e stillava gocce di sangue, ma il braccio che la reggeva era debole ed intorpidito. Ogni movimento gli costava uno sforzo sempre maggiore e anche il solo parare gli assalti dell’avversario era estenuante. Per contro il nemico sembrava instancabile e non metteva un attimo di incalzarlo, facendo di tutto per metterlo alle strette e tentare di disarmarlo. Era consapevole di non potersi arrendere per nessun motivo, ma l’avversario che aveva di fronte gli trasmetteva un innegabile senso di inquietudine che rallentava i suoi movimenti. Come in un’oscura visione fuori dal tempo, poteva percepire le sue mani su di sé, che colpivano, graffiavano, strappavano e il desiderio di chiedere una tregua si faceva disperatamente largo dentro di lui. Il colpo giunse all’improvviso, portando con sé un’ondata di dolore che s’irradiava dal petto in tutto il corpo.
Arthur si svegliò di soprassalto, balzando a sedere sul letto. Allontanò dalla fronte i ciuffi madidi di sudore mentre tentava di regolarizzare il respiro affannoso, ma la paura non si placò. Era successo qualcosa, ne era assolutamente certo: quel sogno doveva essere il frutto del suo legame con Alfred e se quella sorta di empatia aveva provocato quel genere di visioni significava che…
Non attese oltre e gettò via le coperte, afferrando il cordone che avrebbe fatto sopraggiungere un domestico. Nel giro di pochi minuti uno scarmigliato servitore si presentò alla porta con l’aria di essere appena stato buttato giù dal letto, ma Arthur non si fece il minimo scrupolo.
«Fai preparare immediatamente il cavallo più veloce che abbiamo e una scorta armata, parto per il fronte! » esclamò rivolto al poveretto che lo fissava stralunato. «No, non voglio una carrozza, dobbiamo muoverci velocemente. E no, non voglio aiuto per vestirmi, faccio da me. Sbrigati! »
Mentre quello schizzava via, Arthur si gettò addosso i primi vestiti che trovò: il dolore al petto non accennava a placarsi, segno che non si era trattato affatto di un sogno. Era successo qualcosa, qualcosa che aveva impedito ad Alfred di difendersi, procurandogli una ferita talmente seria da non poter essere curata a distanza. Ricordava distintamente il terrore provato e il disgusto di quelle mani che non riusciva a respingere. Non era una semplice scena di battaglia, c’era qualcosa…
Improvvisamente realizzò, mentre le dita tremanti incespicavano sui bottoni della camicia. Ivan! Alfred doveva essersi scontrato con Re Ivan, riportando alla luce il suo trauma, per questo non era riuscito ad affrontarlo a dovere e ora…
Arthur si gettò un mantello sulle spalle e si precipitò fuori, per la prima volta incurante del proprio aspetto trasandato. Il fronte distava almeno due giorni di viaggio, avrebbe spinto i cavalli al loro limite se fosse stato necessario, ma doveva essere sul posto il giorno successivo: il suo Re non poteva aspettare.

L’andirivieni fuori dalla tenda reale si faceva sempre più concitato, mentre all’interno regnava il silenzio assoluto. L’odore acre del sangue permeava ogni cosa e l’unica fonte di luce era costituita dalla fiamma tremula di una candela. Yao, Fante di Picche, sedeva in un angolo con la testa bassa: a dispetto del continuo cambio di guardie e medici, non aveva voluto allontanarsi dal capezzale del suo Re. La ferita che gli era stata inferta il giorno prima si era immediatamente rivelata grave e, con il passare delle ore, la situazione si era fatta disperata. Ormai per l’accampamento serpeggiava la voce che fosse solo questione di tempo, ma Yao non poteva credere che sarebbe finito tutto così. Lui era sempre stato al fianco della Regina fin dalla sua incoronazione e quando era finalmente stato trovato un Re aveva gioito per il risollevarsi del Paese. Sulle prime aveva dubitato delle capacità di Alfred, troppo esuberante, a suo dire, per essere alla guida di un regno. A convincerlo era stata la luce nuova negli occhi di Arthur: la Regina provava fiducia e affetto nei confronti del suo Re e quei sentimenti si erano rivelati ben riposti. Ora Yao non poteva accettare che fosse la fine: se il Re fosse morto, il regno sarebbe caduto. Arthur non sarebbe stato in grado di far fronte al conflitto, e non per mancanza di forza, bensì perché un colpo del genere lo avrebbe stroncato.
Colui che giaceva immobile in quella branda era la loro unica speranza.
La preghiera di un miracolo che Yao si apprestava a pronunciare venne interrotta sul nascere da un crescendo di volume del trambusto esterno. Mentre si chiedeva se il nemico avesse spezzato la tregua, un’esclamazione lo sbalordì.
«Altezza! Altezza, per favore, fermatevi! Sarete stanco per il viaggio, non…»
«Fate largo! »
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Perché Arthur si trovava lì? Com’era possibile? Il dispaccio spedito a palazzo avrebbe dovuto essere ancora in viaggio…
Immediatamente balzò in piedi e scostò la tenda d’ingresso giusto un istante prima che lo facesse la Regina stessa.
«Vostra Altezza. » mormorò inchinandosi, ma Arthur non lo degnò di uno sguardo, l’attenzione completamente concentrata sulla branda al centro della tenda.
Yao vide il suo volto impallidire mentre si avvicinava al capezzale del Re e posava una mano leggermente tremante sulle bende macchiate di sangue che ne fasciavano il petto.
«Com’è successo? » lo sentì chiedere in tono flebile.
Era una pena vedere la Regina in quello stato, ma non poteva esimersi dal rispondere.
«La battaglia di due notti fa, Maestà. Re Ivan guidava le truppe e Sua Altezza non ha potuto evitare il confronto. È stata una dura lotta…»
Arthur si portò le mani al petto, come se sentisse il medesimo dolore di Alfred, e annuì.
«Ho capito. Ti ringrazio di esserti preso cura di lui, Yao. » disse. «Ora va’ e non far entrare nessuno.»
Il Fante avrebbe voluto obiettare, offrire ancora il proprio aiuto, ma l’espressione di Arthur gli chiarì subito che sarebbe stato inutile, quindi s’inchinò e lasciò velocemente la tenda.
Una volta che fu rimasto solo, Arthur si concesse di crollare in ginocchio accanto al giaciglio dove Alfred era adagiato immobile e prenderne una mano tra le sue. Era fredda, troppo fredda, oppure erano le sue ad essere gelide e a tremare? Mentre prendeva un respiro stentato si rese conto che Alfred respirava a malapena. La ferita era davvero brutta e il sangue aveva superato la barriera delle bende imbrattando inesorabilmente le lenzuola. Poteva sentire la debolezza del suo corpo e sapeva che se non avesse agito tempestivamente sarebbe stato troppo tardi.
Si permise d’indugiare ancora solo un paio di minuti quando riconobbe il proprio nastro legato attorno al polso di Alfred. Da candido che era stato, ora era sporco di fango e di sangue, ma si trovava ancora là dove lui lo aveva annodato quella sera e questo lo riempì di commozione. Accanto al cuscino giaceva anche l’orologio di Alfred e Arthur si rese conto con sgomento che le lancette segnavano un’ora molto tarda: il tempo degli indugi era finito.
«Non ti permetterò di morire, scordatelo! » esclamò, sempre tenendo stretta quella mano fredda. «Ti devo una torta e una dichiarazione! Non mi piace avere dei debiti. »
Con la mano libera prese l’orologio del Re, dalla caratteristica forma a punta di picca, e si concentrò sulle lancette. Un vero incantesimo del tempo richiedeva un grande dispendio di energie, ma Arthur era disposto a qualunque sacrificio pur di riuscire a spostarle in senso contrario. Poteva sentire il potere fluire attraverso le sue dita al corpo di Alfred e all’orologio, e l’impressione generale era che l’aria stessa intorno a sé vibrasse, come sottoposta ad una torsione innaturale.
La prima fitta al petto giunse del tutto inaspettata, mozzandogli il respiro e rischiando di spezzare la sua concentrazione. Sul momento non capì a cosa fosse dovuta, ma alla successiva, mentre si piegava sofferente sul letto, vide la lancetta dell’orologio di Alfred scattare all’indietro. Contemporaneamente capì che, al contrario, il suo tempo stava accelerando. Ogni fitta di dolore corrispondeva ad uno scatto della sua lancetta e ad un consumarsi inesorabile della vita che gli rimaneva. Ne era consapevole ma non per questo intendeva desistere: non poteva accettare un mondo dove Alfred non esisteva ed era disposto ad annullare sé stesso per evitarlo.
«Devi vivere. Hai capito? Devi vivere! Ci sono ancora tante cose che devi fare. Il regno ha bisogno di te. Io ho bisogno di te! Quindi non pensarci nemmeno di piantarmi in asso! »
Ormai si rendeva conto che le gambe non riuscivano più a reggerlo e rinunciò all’idea, restando accasciato sul letto. Nonostante il suo intero corpo fosse scosso da tremiti di sofferenza, non abbandonò la mano che stringeva, unico mezzo che aveva per sentire che il suo incantesimo aveva effetto. Più il suo respiro si faceva affannoso, più sentiva quello di Alfred regolarizzarsi. Più i tremiti lo attraversavano, più sentiva la temperatura del Re che si normalizzava. Attraverso gli occhi verdi, ormai velati, poteva vedere il colorito roseo tornare su quelle guance tanto amate. Sotto le sue mani, il cuore aveva ripreso a battere regolarmente, il sangue scorreva fluido e della ferita non era rimasta traccia. Ce l’aveva fatta!
Con un ultimo sforzo, si sporse avanti per baciare le labbra di Alfred, appena dischiuse, ma a metà del gesto l’ultimo rintocco spezzò anche la sua volontà e Arthur crollò sul petto del suo Re, sprofondando nel buio.
   
 
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