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Autore: n u m b    03/03/2013    3 recensioni
Capelli tinti. Jeans larghi e strappati. Maglie di gruppi rock. Converse nere di pelle. Sigarette. Lettore mp3 e cuffiette sempre in tasca. In queste semplici parole si riassume la vita di Moon, 15enne ribelle.
16 invece sono gli anni del ragazzo tutto sorriso.
17, il numero sfortunato, sono gli anni del ragazzo che profuma di fumo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Perdersi

 Moon:

Cammino battendo i denti verso il distributore automatico, con le mani infilate in tasca. Gesù, si vede proprio che siamo a Dicembre, anzi, si sente. Fa un freddo dannato, tanto che ora non mi sento più né le dita dei piedi né quelle delle mani. Rimango a fissare il distributore e medito su che sigarette prendere, poi opto per le solite, amate, Lucky Strike rosse. Sì lo so che sbagliato, fa venire il tumore e blablabla ma cazzo ,non mi serve un'altra predica. Ho 15 anni, fatemi vivere la mia cazzo di adolescenza! Odio questi pregiudizi comuni. Non lo faccio per sentirmi più grande, non lo faccio per atteggiarmi, lo faccio tanto per farlo, lo faccio perché è una cosa sbagliata. Lo faccio perché è una cosa proibita, lo faccio per saziare la mia voglia di ribellione. Punto.
Inserisco le monetine e, con la paura che le dita mi si spezzino come bastoncini di ghiaccio per quanto sono rigide, premo i pulsanti come farei con un distributore di merendine. Il pacchetto atterra e io lo ritiro. Do un ultimo sguardo alla saracinesca abbassata della tabaccheria chiusa e ritorno verso la macchina accesa, infilandomi il pacchetto nella tasca del felpone di Mike. Apro lo sportello:
- Ti dà fastidio se fumo lì dentro o mi dai il permesso? - chiedo senza entrare.
- No, non ti preoccupare, basta che apri un po' il finestrino. Poi fuori ti beccheresti una polmonite con i controcazzi.
Gli sorrido ed entro, riposizionandomi con le gambe incrociate sul sedile, prelevo una sigaretta e me la accendo, ispirando a fondo.
Ragazzo figo + birra + pancia piena + sigarette . What else? Cosa si può volere di più? È il mio ideale di serata perfetta. Porgo il pacchetto a Mike:
- Ne vuoi una?
- No, io non fumo. O perlomeno solo ogni tanto.
Mi guarda buttare fuori quel veleno e trarne un'altra boccata.
- Non vuoi fare nemmeno un tiro? - provo di nuovo a domandargli, allungando la mano verso di lui.
- D'accordo, solo apri il finestrino a metà che non mi va che qua dentro puzzi.
Annuisco e lui, dopo aver cambiato marcia, mi toglie la sigaretta di mano. Le nostre dita si sfiorano, un brivido lungo la schiena. Le sue dita sottili, lunghe e affusolate, che si muovono armoniosamente contro le mie. Quelle dita che vorrei mi carezzassero il viso, che levigassero gli spigoli del mio corpo, quelle dita che tanto bramo strette intorno alle mie. Rimango a fissarlo mentre si porta alla bocca la sigaretta. Rimango a fissarlo ipnotizzata. Mi rendo conto solo adesso di come Mike si muova più lentamente degli altri, in modo fluido. Anche il più piccolo gesto lo fa in modo armonioso. Poggia le labbra rosa e invitanti nello stesso punto dove le ho poggiate anch'io. Inspira. Mi salta all'occhio il fatto che lui ha appena avuto un bacio indiretto con me. Un bacio. Indiretto. E già che ci siamo, potremmo averne anche uno diretto adesso, perché no? Probabilmente ora mi vedrete come una pervertita ma queste cose saltano all'occhio di una ragazza.
Mike butta fuori il fumo e distoglie lo sguardo dalla strada per posarlo su di me, che gli fisso le labbra dischiuse senza battere ciglio. Labbra rosee e dischiuse...
- ...Moon? Ehi? Stai per caso contemplando un'apparizione divina? -
sì le tue labbra sono divine quanto quelle di un angelo.
Io non rispondo, lui porta la mano sinistra, quella con la sigaretta, sullo sterzo. Aggiunge:
- Ah, ho qualcosa sulla bocca? Maionese? Ah emh, scusa, quando mangio mi sporco peggio di un bambino... - continua a farfugliare parole di scusa senza senso. Si porta la stessa mano di prima alla bocca, e fa strisciare l'avambraccio su di essa, tentando di pulirsi inesistenti residui di maionese.
- Mike, non è che hai qualcosa sulla bocca, hai una bocca... - biascico sommessamente a bassa voce, spezzando bruscamente la frase per paura di aggiungere qualcosa di...
sconveniente.
Mi risveglio, torno sul pianeta Terra, rincoglionita come se mi fossi appena fumata un'oncia di marijuana. Mi giro bruscamente verso il finestrino e lo apro.
- Moon, che stavi dicendo prima? Non sono riuscito a sentirti... - mormora Mike, io sempre girata gli dico di rimando:
- Ah niente d'importante, scusa, il mio cervello si è fatto un viaggetto per un po' – lo guardo e sorrido impacciatamente, riprendo la sigaretta quasi finita, con la saliva di Mike sopra. La fisso, cercando di visualizzare un'impronta, una traccia della bocca di Mike sul filtro arancione. Poggio a mia volta la bocca e mi viene l'immagine delle sue labbra sulle mie.
PERVERTITA! urlano i campanelli di allarme nella mia testa; scaccio l'immagine maledicendomi con il pensiero.
Che cretina, rincoglionita, deficiente e non si sa cos'altro. Sono rimasta a fissare Mike la sua splend...emh, Mike e la sua bocca. Mi è sembrato di vivere tutto al rallentatore. Che cretina.
Pervertita e cretina, yeah.
Getto la sigaretta ormai finita e spenta fuori dal finestrino, lo richiudo e Mike accende la radio, ad un volume basso. Mi accoccolo sul sedile a cui ho abbassato lo schienale e fisso la Luna attraverso il finestrino, luminosa e così stranamente vicina, con solo una nuvola grigio fumo sul cielo blu profondo, trapuntato di stelle qua e là.
Vorrei poterci volare sopra, perdermi tra i suoi crateri e afferrare la mano di Mike e portarlo con me. Tra me e Mike c'è il silenzio, ma non un silenzio imbarazzato, il silenzio e basta. Gradevole. Inizio anche a sentire un lieve tepore per via del riscaldamento.
Così, cullata dai movimenti dell'auto e fissando la Luna, chiudo gli occhi e mi abbandono all'oblio.
L'ultima cosa che ricordo è il respiro di Mike,
armonioso anche quello.

Mike:

Tremo. Tremo. Mi sento il terremoto dentro. Sì perché non tremo solo all'esterno, tremo anche all'interno di me. I miei reni stanno ballando la samba, delle colombe mi stanno addobbando le costole e il cuore da un momento all'altro potrebbe saltarmi in gola e uscirsene dagli occhi. Ho persino caldo. Fuori ci sono – 2°, dentro la macchina 7°, e io sto sudando sotto la felpa. Adesso ringrazio l'entità superiore che mi ha suggerito di spruzzarmi litri di deodorante prima di uscire di casa.
Moon è fuori, a 50 metri da me, a scegliere le sigarette, di schiena. Tamburello sullo sterzo aspettando che torni; mi tremano le mani e ho pure quelle sudate. Tremano proprio a me che, quando ho dovuto suonare il piano di fronte ai professori del conservatorio, non hanno fatto un movimento fuori posto. Sì perché ho studiato piano e ho pure provato ad entrare al conservatorio. Ed ero pure bravo. E mi avevano preso. Solo che quando ho capito che lì ti fanno suonare a macchinetta, seguendo un fottuto spartito, e non ti permettono di dare voce agli accordi che raccontano di te, ho lasciato. E ho continuato per la
mia strada. A comporre e adare voce alle melodie che sentivo dentro di me, che da tempo chiedevano di essere scritte.
Provo anche a rappare qualcosa, ma le rime non mi escono. Di cantare non se ne parla, non sono capace. Anche se più volte mi hanno detto che ho una bella voce. Però no, non se ne parla. Io non canto. Stano, vero? Sono l'MC di una band ma ho paura persino della mi voce. E, ancora più strano, ho paura persino di uscire con una ragazza. Ragazza che per giunta, sta venendo verso di me con le sue sigarette e l'accendino in una mano e delle monetine nell'altra. Ha indosso la mia felpa. Quella larga
larga e pesante pesante. Quella comprata ad una bancarella lungo la strada, mentre stavo andando ad esibirmi per la prima volta in un locale. È una semplice felpa nera, con una scritta in giapponese: "Lavora duro, sogna in grande", in rosso. Ricordo che era sera, io stavo guidando verso il locale, ero a maniche corte perché avevo lasciato la felpa nella "sala prove", ovvero la soffitta di Mark, il cantante. Allora avvistai questa bancarella per strada, accostai, scesi e comprai la felpa. 7 dollari. E questo è successo tre mesi fa.
Quante cose sono successe in tre mesi. Abbiamo pubblicato il primo EP. Adesso al cantante è pure calato in mente che vuole lasciarci. Ma questa è un altra cosa.
Moon è di nuovo dentro la macchina, è successo tutto così velocemente, le ho pure parlato prima ma non me ne sono reso conto. Ora mi porge la Lucky Strike accesa. Un po' spaesato la prendo e la pelle diafana di Luna delle sue dita sfiora la mia olivastra. Faccio qualche tiro, assaggiando il suo DNA, che ha posato sul filtro arancione della sigaretta.
Guardo la strada, cerco di ricordare dove sono, chi sono e che ci faccio lì, butto fuori il fumo e tendo la mano verso Moon per ridarle la sigaretta. La guardo. Ha gli occhi persi, semichiusi, come se stesse sul punto di addormentarsi. Tutto mi sembra calmo, fermo, statico. Sto vivendo al rallentatore.
Lei mi fissa un punto sotto gli occhi, forse ho qualcosa sulla bocca. Farfuglio parole di scusa e imbarazzato mi passo la manica sulle labbra, ma lei rimane in quello stato; la sigaretta che continua a consumarsi tra il mio indice e il medio.
- Mike non è che hai qualcosa sulla bocca, hai una bocca... - farfuglia e si stoppa. Resto in attesa. Sembra persa, è persa. Sembra in estasi, ipnotizzata. Guardo di sfuggita il mio riflesso nello specchietto retrovisore, non ho nulla in faccia, sono sempre il solito coglione. Che ha detto?
Che ho una bocca. Una bocca. Che intendeva? Non reagisce.
- Moon che stavi dicendo prima? Non sono riuscito a sentirti... - si è girata verso il finestrino.
Tutto ritorna alla velocità normale, l'attimo termina, la realtà ritorna a colori. Io che guido, gli alberi che mi passano accanto fuori dal finestrino, lei che è accucciata sul sedile accanto al mio. Le orecchie tornano a percepire il suo ritmico respirare. Abbiamo vissuto un momento al di fuori dell'afferrabile, al di fuori dello spazio, più su del tempo, siamo passati oltre la linea, è un attimo su cui il ticchettio degli orologi non ha potuto posare i suoi artigli.
L'ho vissuto davvero?
Ha gettato la sigaretta.
E' stato come la collisione, il meteorite che tocca il suolo, è stato quell'attimo eterno, quello prima dello schianto, abbiamo vissuto quello anche se non è accaduto nulla di speciale.
Accendo la radio e la metto a un volume basso, in modo che diventi un sottofondo.
Torno a respirare normalmente. Sì perché stavo trattenendo il fiato da non so quanto tempo. Inspira, espira. Ripeti. Ancora e ancora.
Fisso la strada e scorgo le cime degli abeti e il riflesso della Luna sull'acqua del lago.
Nero.

  
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