Grace e Jeremy rientrarono al paese il giorno dopo il concerto.
Era stato un evento indimenticabile, eppure le cose belle, si sa,
sono sempre destinate a durare poco.
Jeremy, infatti, doveva ripartire quella sera stessa e pensò bene
di informare Grace mentre si trovavano all’ingresso di casa Andrews.
“Grace, ascolta… non ho avuto modo di dirtelo prima, ma io
stasera…”
Grace, che fino a pochi secondi prima stava sorridendo, si rabbuiò
e gli lanciò un’occhiataccia. “Non dirmi che te ne vai.”
“Ecco… io… sì. Devo, mi dispiace” mormorò il ragazzo, stringendole
una mano tra le sue.
“Dispiace anche a me, ma… è dura da accettare.”
“Lo so, Gracie, lo so. Lo è anche per me.”
Grace sospirò, scuotendo il capo. “Ancora non ho capito come hai
fatto a liberarti.”
“Ho chiesto un giorno di permesso a lavoro. Domani non so come farò
a trascinarmi in cantiere, però…” Jeremy sorrise, per poi accarezzarle una
guancia. “Non mi pento di fare tutto questo trambusto se posso stare un po’ con
te.”
Grace gli si gettò tra le braccia, sentendosi quasi morire all’idea
di un nuovo e doloroso addio.
“Tranquilla, sai che sono con te” la rassicurò il ragazzo,
cullandola tra le sue braccia.
“Sì, lo so.”
Grace era triste, non si aspettava di doverlo lasciare così presto;
ma, del resto, non si era aspettata di poterlo riabbracciare prima di Natale,
quindi impose a se stessa di non disperare. Quello che avevano condiviso in
quei due giorni era stato stupendo, sicuramente al di sopra di ogni sua
speranza. Aveva creduto fino all’ultimo di non riuscire ad assistere al
concerto di Alborosie, eppure era successo e Jeremy le era stato vicino. Quando
lei ne aveva bisogno, lui non mancava mai. E Grace cercava di convincersi che
anche lui la sentisse vicino, anche se lei non aveva ancora fatto niente di
eclatante per lui.
Mise da parte quei pensieri e si scostò da lui, per poi invitarlo
ad entrare. Era quasi mezzogiorno e Jeremy le disse che, purtroppo, non si
sarebbe potuto trattenere a lungo quanto avrebbe voluto.
Mentre Grace gettava lo zaino sul suo letto, il suo cellulare prese
a squillare. Pensò che si trattasse di sua madre, così rispose senza
controllare sul display.
“Sì?” fece, distrattamente, mentre raggiungeva Jeremy in cucina.
“Grace…”
Elizabeth.
Elizabeth?!
Grace per poco non gridò per la sorpresa, ma fece in modo di stare
calma e si limitò a grugnire qualcosa di incomprensibile.
“Quel grugnito è già qualcosa, ti ringrazio. Pensavo che non
avresti risposto.”
“Non ho letto il mittente. Pensavo fosse mia madre” rispose Grace,
irritata.
Jeremy le lanciò un’occhiata interrogativa che lei non colse, così
le si avvicinò e le sussurrò: “Chi è?”
“Elizabeth!” sibilò Grace, perdendosi la maggior parte di ciò che
la sua interlocutrice le stava comunicando.
“Grace, mi ascolti?!”
“Ah, eh? Sì, sì! Scusa… dicevi?”
Stavolta fece in modo di prestarle la dovuta attenzione.
“Ti ho chiesto se ci possiamo vedere” ripeté Elizabeth, con tono
acido.
“Vederci?” Grace sbuffò. “E perché, scusa?”
“Ho bisogno di parlarti” le spiegò l’altra.
“Hai bisogno di parlarmi.” Fece una pausa, guardando Jeremy.
“Capisco.”
“E… quindi?” Elizabeth cominciava a spazientirsi, non sopportava di
essere tenuta sulle spine in quella maniera.
“Calmati. Ne parlo con Jeremy e ti avviso con un messaggio.”
“Con Je…”
Grace riattaccò, seccata. Ma come si permetteva, quella, di
parlarle con quel tono? Ragionava come se lei fosse il sole e tutti dovevano
ruotarle attorno. Ma chi si credeva di essere? Lei era in torto, lei aveva
sbagliato, e ora pretendeva di avere l’esculsiva sul suo tempo e su di lei?
“Ma pensa te questa!” sbottò Grace, lanciando il cellulare sul
tavolo. L’apparecchio per poco non cadde sul pavimento.
“Grace…”
“Ma cosa crede, eh? Pensa forse che io sia libera a seconda di come
fa comodo a lei?”
“Grace!” Jeremy la afferrò per le spalle. “Sta’ calma! Elizabeth
vuole parlarti?”
“Sì, ma credeva che sarei corsa immediatamente da lei!”
“E vacci, no? Tanto io tra poco devo andare. Ti accompagno a casa
sua.” Jeremy sorrise.
“Ma… non so se voglio parlarci, ecco.”
Il ragazzo scosse il capo e le lasciò un bacio a fior di labbra.
“Sì che lo vuoi, non essere così orgogliosa. So che ti ha ferito il suo
comportamento, ma se ti ha chiamato magari vuole chiederti scusa. Forse ha
capito di aver sbagliato.”
Grace annuì, poco convinta. Jeremy non conosceva Elizabeth, non
sapeva quanto fosse orgogliosa dieci volte più di lei. C’era qualcosa sotto,
sicuramente Elizabeth voleva far in modo che fosse lei a scusarsi.
Tuttavia, non poteva saperlo, così decise di dar ascolto al suo
ragazzo, una volta tanto.
“Va bene, va bene, le dico che passo da lei tra…”
“Mezzora” sussurrò lui, per poi avventarsi sul suo collo e
baciarlo. “Mi mancherai, cazzo” gemette sulla sua pelle, facendola rabbrividire
da capo a piedi.
“Anche tu” riuscì a dire lei, prima di lasciarsi trasportare da
quelle sensazioni che solo Jeremy Pherson era in grado di trasmetterle.
Il tragitto fino a casa Pherson trascorse in religioso silenzio.
Grace era stretta al fianco di Jeremy e faceva di tutto per non
scoppiare a piangere in mezzo alla strada. Lui, con una faccia da funerale, le
avvolgeva la vita e guardava dritto davanti a sé, imponendosi di non pensare a
quando non sarebbero più stati insieme.
Arrivati a destinazione, sciolsero quell’intreccio e si guardarono
negli occhi, illuminati dai raggi del primo pomeriggio.
“Gracie… dovresti mangiare qualcosa. È da stamattina che non tocchi
cibo.”
Lei scosse il capo. “Non mi va, adesso. Più tardi.”
Rimasero ancora in silenzio, non sapendo più che parole usare.
Erano entrambi consapevoli di doversi lasciare senza tante storie, poiché
Jeremy doveva partire e far in modo di trascinarsi in cantiere la mattina
seguente, mentre Grace avrebbe iniziato il suo tirocinio. Tuttavia, era tutto
fottutamente difficile e ogni volta che dovevano salutarsi, pareva che tutto
divenisse impossibile da sostenere e affrontare.
“Grace…”
“Non voglio piangere. Odio gli addii!”
Jeremy la strinse a sé. “Non è un addio, lo sai” sussurrò,
affondando il viso tra i suoi capelli.
“Sì, lo so. Però odio doverti lasciare, ancora.” Grace stava
facendo di tutto per evitare che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi e,
stranamente, ci stava riuscendo.
“Lo detesto anche io, ma per ora è cosi.”
A fatica, furono costretti a sciogliere l’abbraccio. Si scambiarono
un ultimo, lungo bacio, poi Grace si voltò e prese a camminare febbrilmente
verso casa Carlsson.
L’ultima volta che Jeremy era partito, Elizabeth era stata al suo
fianco e l’aveva sostenuta.
Ma ora, cosa sarebbe successo?
Avrebbe potuto chiamare Jane, ma sapeva di dover, prima di tutto,
risolvere la situazione con Elizabeth. Erano rimaste per tanti giorni senza
rivolgersi la parola ed era arrivato il momento di dire basta.
Probabilmente, se non fosse stata l’altra ragazza a prendere
l’iniziativa, Grace avrebbe lasciato trascorrere chissà quanto tempo prima di
accorgersi che la situazione le stava sfuggendo di mano.
Raggiunse la sua meta e, non appena suonò il campanello, Elizabeth
corse fuori come una furia e la raggiunse.
“COSA DIAMINE SIGNIFICA CHE DEVI CHIEDERE IL PERMESSO A JEREMY PER
POTERMI VEDERE?” gridò, imbufalita e fuori controllo come mai a Grace era
capitato di vederla.
L’altra, nervosa e irritata dal suo atteggiamento, le rispose a
tono, senza permetterle di calpestarla: “Ehi, deficiente! Guarda che Jeremy era
a casa con me! È arrivato venerdì perché, a differenza tua, ci teneva che io a
quel fottuto concerto non mancassi! Mi ci ha accompagnato e ci siamo divertiti
tantissimo, alla faccia tua, che sei una bigotta rincoglionita! E, sai che c’è?
Mi sono pentita di essere venuta.” Prese fiato, mentre avvertiva il sangue
pulsarle nelle tempie. “È una perdita di tempo.”
“Cosa? Grace, come… Jeremy era… COSA?”
“Sì, hai capito bene!” Grace fece per andarsene, ma fu richiamata.
“Aspetta! Okay, lo so che ho sbagliato, ma io non sono il tipo da
andare in posti del genere, lo sai. Mi conosci, eppure hai ancora il coraggio
di prendertela con me per queste stronzate.”
“Per te sono stronzate, ma non per me! Potresti fare uno sforzo,
data la mia situazione. Ma tu no, te ne fotti! Sei egoista, punto.” Grace si
strinse nelle spalle.
“No, Grace, ascolta…”
“Lascia stare.”
“Mi dispiace, okay?”
“Se ti dispiace davvero, dimostramelo!”
Elizabeth sospirò, esasperata. “Ci proverò.”
Rimasero un attimo in silenzio.
“Posso andarmene?” domandò Grace, sarcastica.
“No, aspetta.”
“Che c’è, ancora?”
L’altra prese un lungo respiro, poi si decise a rispondere: “C’è
qualcos’altro che devo dirti.”
“E cosa?”
“Io… preferisco che ci sediamo, è una storia lunga” spiegò
Elizabeth, prendendo a tremare di paura.
Grace spalancò gli occhi. “Ah.”
“Possiamo andare al parco. Ti va?”
“Okay.”
Le due si avviarono e Grace si domandò per tutto il tempo cosa ci
fosse di così eclatante nella noiosa vita della sua amica, di così importante
da portarla ad assumere quel tono serio e preoccupato che in genere riservava
soltanto ai suoi monologhi sullo studio o ai ‘no’ che voleva fossero
categorici, come quello che aveva detto a Grace giorni prima.
Quando poi Elizabeth prese a parlare, Grace comprese il perché di
tutte quelle storie.