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Autore: Kim WinterNight    04/03/2013    1 recensioni
Grace riuscirà a recuperare un rapporto che sembra ormai concluso per sempre?
Tra una figuraccia e l'altra, la protagonista andrà alla ricerca di un modo per riconquistare la fiducia di un vecchio compagno di giochi.
Leggete e ditemi che ne pensate, mi farebbe piacere.
Grazie!
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Jemy'
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Grace e Jeremy rientrarono al paese il giorno dopo il concerto.

Era stato un evento indimenticabile, eppure le cose belle, si sa, sono sempre destinate a durare poco.

Jeremy, infatti, doveva ripartire quella sera stessa e pensò bene di informare Grace mentre si trovavano all’ingresso di casa Andrews.

“Grace, ascolta… non ho avuto modo di dirtelo prima, ma io stasera…”

Grace, che fino a pochi secondi prima stava sorridendo, si rabbuiò e gli lanciò un’occhiataccia. “Non dirmi che te ne vai.”

“Ecco… io… sì. Devo, mi dispiace” mormorò il ragazzo, stringendole una mano tra le sue.

“Dispiace anche a me, ma… è dura da accettare.”

“Lo so, Gracie, lo so. Lo è anche per me.”

Grace sospirò, scuotendo il capo. “Ancora non ho capito come hai fatto a liberarti.”

“Ho chiesto un giorno di permesso a lavoro. Domani non so come farò a trascinarmi in cantiere, però…” Jeremy sorrise, per poi accarezzarle una guancia. “Non mi pento di fare tutto questo trambusto se posso stare un po’ con te.”

Grace gli si gettò tra le braccia, sentendosi quasi morire all’idea di un nuovo e doloroso addio.

“Tranquilla, sai che sono con te” la rassicurò il ragazzo, cullandola tra le sue braccia.

“Sì, lo so.”

Grace era triste, non si aspettava di doverlo lasciare così presto; ma, del resto, non si era aspettata di poterlo riabbracciare prima di Natale, quindi impose a se stessa di non disperare. Quello che avevano condiviso in quei due giorni era stato stupendo, sicuramente al di sopra di ogni sua speranza. Aveva creduto fino all’ultimo di non riuscire ad assistere al concerto di Alborosie, eppure era successo e Jeremy le era stato vicino. Quando lei ne aveva bisogno, lui non mancava mai. E Grace cercava di convincersi che anche lui la sentisse vicino, anche se lei non aveva ancora fatto niente di eclatante per lui.

Mise da parte quei pensieri e si scostò da lui, per poi invitarlo ad entrare. Era quasi mezzogiorno e Jeremy le disse che, purtroppo, non si sarebbe potuto trattenere a lungo quanto avrebbe voluto.

Mentre Grace gettava lo zaino sul suo letto, il suo cellulare prese a squillare. Pensò che si trattasse di sua madre, così rispose senza controllare sul display.

“Sì?” fece, distrattamente, mentre raggiungeva Jeremy in cucina.

“Grace…”

Elizabeth.

Elizabeth?!

Grace per poco non gridò per la sorpresa, ma fece in modo di stare calma e si limitò a grugnire qualcosa di incomprensibile.

“Quel grugnito è già qualcosa, ti ringrazio. Pensavo che non avresti risposto.”

“Non ho letto il mittente. Pensavo fosse mia madre” rispose Grace, irritata.

Jeremy le lanciò un’occhiata interrogativa che lei non colse, così le si avvicinò e le sussurrò: “Chi è?”

“Elizabeth!” sibilò Grace, perdendosi la maggior parte di ciò che la sua interlocutrice le stava comunicando.

“Grace, mi ascolti?!”

“Ah, eh? Sì, sì! Scusa… dicevi?”

Stavolta fece in modo di prestarle la dovuta attenzione.

“Ti ho chiesto se ci possiamo vedere” ripeté Elizabeth, con tono acido.

“Vederci?” Grace sbuffò. “E perché, scusa?”

“Ho bisogno di parlarti” le spiegò l’altra.

“Hai bisogno di parlarmi.” Fece una pausa, guardando Jeremy. “Capisco.”

“E… quindi?” Elizabeth cominciava a spazientirsi, non sopportava di essere tenuta sulle spine in quella maniera.

“Calmati. Ne parlo con Jeremy e ti avviso con un messaggio.”

“Con Je…”

Grace riattaccò, seccata. Ma come si permetteva, quella, di parlarle con quel tono? Ragionava come se lei fosse il sole e tutti dovevano ruotarle attorno. Ma chi si credeva di essere? Lei era in torto, lei aveva sbagliato, e ora pretendeva di avere l’esculsiva sul suo tempo e su di lei?

“Ma pensa te questa!” sbottò Grace, lanciando il cellulare sul tavolo. L’apparecchio per poco non cadde sul pavimento.

“Grace…”

“Ma cosa crede, eh? Pensa forse che io sia libera a seconda di come fa comodo a lei?”

“Grace!” Jeremy la afferrò per le spalle. “Sta’ calma! Elizabeth vuole parlarti?”

“Sì, ma credeva che sarei corsa immediatamente da lei!”

“E vacci, no? Tanto io tra poco devo andare. Ti accompagno a casa sua.” Jeremy sorrise.

“Ma… non so se voglio parlarci, ecco.”

Il ragazzo scosse il capo e le lasciò un bacio a fior di labbra. “Sì che lo vuoi, non essere così orgogliosa. So che ti ha ferito il suo comportamento, ma se ti ha chiamato magari vuole chiederti scusa. Forse ha capito di aver sbagliato.”

Grace annuì, poco convinta. Jeremy non conosceva Elizabeth, non sapeva quanto fosse orgogliosa dieci volte più di lei. C’era qualcosa sotto, sicuramente Elizabeth voleva far in modo che fosse lei a scusarsi.

Tuttavia, non poteva saperlo, così decise di dar ascolto al suo ragazzo, una volta tanto.

“Va bene, va bene, le dico che passo da lei tra…”

“Mezzora” sussurrò lui, per poi avventarsi sul suo collo e baciarlo. “Mi mancherai, cazzo” gemette sulla sua pelle, facendola rabbrividire da capo a piedi.

“Anche tu” riuscì a dire lei, prima di lasciarsi trasportare da quelle sensazioni che solo Jeremy Pherson era in grado di trasmetterle.

 

Il tragitto fino a casa Pherson trascorse in religioso silenzio.

Grace era stretta al fianco di Jeremy e faceva di tutto per non scoppiare a piangere in mezzo alla strada. Lui, con una faccia da funerale, le avvolgeva la vita e guardava dritto davanti a sé, imponendosi di non pensare a quando non sarebbero più stati insieme.

Arrivati a destinazione, sciolsero quell’intreccio e si guardarono negli occhi, illuminati dai raggi del primo pomeriggio.

“Gracie… dovresti mangiare qualcosa. È da stamattina che non tocchi cibo.”

Lei scosse il capo. “Non mi va, adesso. Più tardi.”

Rimasero ancora in silenzio, non sapendo più che parole usare. Erano entrambi consapevoli di doversi lasciare senza tante storie, poiché Jeremy doveva partire e far in modo di trascinarsi in cantiere la mattina seguente, mentre Grace avrebbe iniziato il suo tirocinio. Tuttavia, era tutto fottutamente difficile e ogni volta che dovevano salutarsi, pareva che tutto divenisse impossibile da sostenere e affrontare.

“Grace…”

“Non voglio piangere. Odio gli addii!”

Jeremy la strinse a sé. “Non è un addio, lo sai” sussurrò, affondando il viso tra i suoi capelli.

“Sì, lo so. Però odio doverti lasciare, ancora.” Grace stava facendo di tutto per evitare che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi e, stranamente, ci stava riuscendo.

“Lo detesto anche io, ma per ora è cosi.”

A fatica, furono costretti a sciogliere l’abbraccio. Si scambiarono un ultimo, lungo bacio, poi Grace si voltò e prese a camminare febbrilmente verso casa Carlsson.

L’ultima volta che Jeremy era partito, Elizabeth era stata al suo fianco e l’aveva sostenuta.

Ma ora, cosa sarebbe successo?

Avrebbe potuto chiamare Jane, ma sapeva di dover, prima di tutto, risolvere la situazione con Elizabeth. Erano rimaste per tanti giorni senza rivolgersi la parola ed era arrivato il momento di dire basta.

Probabilmente, se non fosse stata l’altra ragazza a prendere l’iniziativa, Grace avrebbe lasciato trascorrere chissà quanto tempo prima di accorgersi che la situazione le stava sfuggendo di mano.

Raggiunse la sua meta e, non appena suonò il campanello, Elizabeth corse fuori come una furia e la raggiunse.

“COSA DIAMINE SIGNIFICA CHE DEVI CHIEDERE IL PERMESSO A JEREMY PER POTERMI VEDERE?” gridò, imbufalita e fuori controllo come mai a Grace era capitato di vederla.

L’altra, nervosa e irritata dal suo atteggiamento, le rispose a tono, senza permetterle di calpestarla: “Ehi, deficiente! Guarda che Jeremy era a casa con me! È arrivato venerdì perché, a differenza tua, ci teneva che io a quel fottuto concerto non mancassi! Mi ci ha accompagnato e ci siamo divertiti tantissimo, alla faccia tua, che sei una bigotta rincoglionita! E, sai che c’è? Mi sono pentita di essere venuta.” Prese fiato, mentre avvertiva il sangue pulsarle nelle tempie. “È una perdita di tempo.”

“Cosa? Grace, come… Jeremy era… COSA?”

“Sì, hai capito bene!” Grace fece per andarsene, ma fu richiamata.

“Aspetta! Okay, lo so che ho sbagliato, ma io non sono il tipo da andare in posti del genere, lo sai. Mi conosci, eppure hai ancora il coraggio di prendertela con me per queste stronzate.”

“Per te sono stronzate, ma non per me! Potresti fare uno sforzo, data la mia situazione. Ma tu no, te ne fotti! Sei egoista, punto.” Grace si strinse nelle spalle.

“No, Grace, ascolta…”

“Lascia stare.”

“Mi dispiace, okay?”

“Se ti dispiace davvero, dimostramelo!”

Elizabeth sospirò, esasperata. “Ci proverò.”

Rimasero un attimo in silenzio.

“Posso andarmene?” domandò Grace, sarcastica.

“No, aspetta.”

“Che c’è, ancora?”

L’altra prese un lungo respiro, poi si decise a rispondere: “C’è qualcos’altro che devo dirti.”

“E cosa?”

“Io… preferisco che ci sediamo, è una storia lunga” spiegò Elizabeth, prendendo a tremare di paura.

Grace spalancò gli occhi. “Ah.”

“Possiamo andare al parco. Ti va?”

“Okay.”                

Le due si avviarono e Grace si domandò per tutto il tempo cosa ci fosse di così eclatante nella noiosa vita della sua amica, di così importante da portarla ad assumere quel tono serio e preoccupato che in genere riservava soltanto ai suoi monologhi sullo studio o ai ‘no’ che voleva fossero categorici, come quello che aveva detto a Grace giorni prima.

Quando poi Elizabeth prese a parlare, Grace comprese il perché di tutte quelle storie.

  
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