Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Solo_Aurora    05/03/2013    1 recensioni
Arianna e Giacomo sono troppo diversi. E' chiaro fin dall'inizio, dal sorriso ironico di lui e dalla rabbia di lei. Uno va all'università, guida una macchina di lusso, è sempre apparentemente perfetto, mentre l'altra vive in modo caotico, in una casetta di campagna, lavora come commessa, carica di impegni che non dovrebbero spettare a lei.
Sono troppo diversi, eppure una serie di circostanze li costringerà ad incontrarsi più volte e le loro vite rimarranno intrecciate.
Quando la distaccata ironia diventerà reale interesse e la rabbia desiderio, riusciranno a mettere da parte le differenze? Saranno capaci di tentare una storia tra due mondi apparentemente paralleli?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Pessima idea 
 

Guardavo il telefono da ormai dieci minuti. Edoardo, seduto sulla poltrona di fronte al divano mi fissava con la testa piegata da un lato, come osservasse uno strano uccello in gabbia o uno scimpanzé con un comportamento molto anomalo.
 

Invitare Luca o no? Alla fine, premetti il testo verde di chiamata. Mi domandai di sfuggita se non lo stessi facendo per dimostrare a Giacomo di non essere la ragazza superficiale che aveva creduto.
 

Sperai non rispondesse. Sollevò il ricevitore al secondo squillo.
 

“Ehi, ciao!” Quella voce non mi ricordava assolutamente niente. Balbettai un saluto di risposta. Inizio brillante, complimenti!

“Senti, io… grazie per avermi riaccompagnata a casa ieri sera.” Edoardo fece un cenno col capo che intendeva dire qualcosa come “non stai andando male come pensi”. Sentii il bisogno disperato di credere al giudizio di un dodicenne.

“Figurati! Mi ha fatto molto piacere.” Sembrava sollevato lo avessi chiamato, anche se c’era qualcosa di un po’ artificioso nella sua voce. Era evidente che non si era limitato a riportarmi a casa.

“Una mia amica, Valeria, che era al locale con me l’altra sera…” Persi il filo; Edoardo mi incoraggiava con lo sguardo. “C’è un aperitivo, una festa, a casa di un ragazzo che conosce… conosciamo. Insomma, mi chiedevo che mi vorresti accompagnare.”

Non stavo più respirando. Stai calma. Luca rispose che gli avrebbe fatto molto piacere: ma conosceva altre frasi? Sembrava un po’ sorpreso. Probabilmente non capitava spesso che una ragazza lo invitasse dopo una notte… Gli dissi che sarebbe stato il giorno dopo. Concordammo che sarebbe passato a prendermi alle otto; mi richiese l’indirizzo perché non ricordava bene dove fosse la strada.

Quando riattaccai, Edoardo mi sorrise, rassicurante. Gli domandai per l’ennesima volta se per lui andasse bene rimanere un altro giorno da solo a cena.
“Ari, hai una vita!” Escalmò come fosse stata la cosa più naturale del mondo.
 


La giornata di lunedì passò lentamente. I clienti del negozio sembravano più esigenti del solito, le tacchette dell’orologio più lente e tutto molto faticoso. Saltai la pausa pranzo per fare l’inventario delle cose da mettere in saldo per evitare di rimanere oltre l’orario di chiusura.

Alle sette ringraziavo la mia collega, Maria, e le lasciavo le chiavi del negozio perché risistemasse e chiudesse lei.

“Ti devo un favore!” Esclamai mentre correvo verso la macchina.

Entrai in casa arrancando negli stivali sformati. Edoardo alzò la testa dal tavolo della cucina, dove stava facendo i compiti. Come riusciva ad essere sempre così disciplinato? Quasi lo invidiavo.

Infilai un paio di pantaloni di velluto nero, una canottiera verde e un golf grigio, un po’ troppo largo. Mi sarei dovuta lavare i capelli ma non avevo tempo, quindi li legai in un alta crocchia e passai il mascara sulle ciglia. Mi rimisi gli stivali.

“Dovresti prendere i tacchi.” Disse Edoardo con aria critica, osservando i miei piedi e la suola ormai mangianta dall’usura.

Mi sedetti accanto a lui, mentre aspettavo l’arrivo di Luca.
Qualche minuto dopo il campanello suonò, stampai un bacio sulla fronte di Edoardo e mi infialai il cappotto.

“Con quel piumino sembri un omino michelin.” Commentò la peste, ma ormai stavo aprendo la porta.
Luca era un bel ragazzo: alto, biondo, con gli occhi verdi e un po’ di lentiggini. Non avevo alcun dubbio di non essere riuscita a resistere alle sue avances o di essere stata io a fargliene. Aveva il naso piccolo, un po’ a patata e le orecchie leggermente spogenti.
Rimanemmo a guardarci sulla soglia, in uno di quei momenti imbarazzanti in cui non si ha idea di come comportarsi. Alla fine, mi stampò un maldestro bacio sulla guancia; gli sorrisi con un misto di vergogna e compassione.

Guidava una macchina per famiglie, che, intuii, non era la sua, ma quella della madre. Valutai avesse la mia età, ventun anni al massimo. Sprofondai nel sedile del passeggero. Il silenzio era imbarazzante; soprattutto non ricordavo assolutamente niente di lui né di quello di cui avevamo parlato né se avevamo parlato di qualcosa.

“Senti, ti sarai accorto che io non ero esattamente in me quella sera…” Mi interruppi, pentendomi quasi immediatamente di aver iniziato quel discorso, ma lui sorrise.

“Ricominciamo da capo, ok?” Disse, visibilmente rilassato. Sospirai di sollievo.

Parlammo del più e del meno: frequentava il terzo anno di università, facoltà di ingegneria, suo padre era architetto, avrebbe voluto avere un cane ma sua madre era allergica al pelo, una volta era andato a Parigi, ma era troppo piccolo e non ricordava quasi nulla. Immagazzinai quelle informazioni, come fossero gli appunti di una lezione su cui sarei presto stata interrogata.
Era un ragazzo piacevole, di conversazione garbata, anche se piuttosto monocorde.

Suonammo il campanello della casa di Mirco mezz’ora più tardi. Era un attico di un bel palazzo, costruito da poco. Le scale erano ampie, in pietra, il corrimano verniciato da poco. Per fortuna Valeria era già arrivata e aspettava sulla porta insieme ad un ragazzo che doveva essere Mirco.
Ci presentammo e mi vergognai di non ricordare minimamente la sua faccia, mentre lui sembrava riconoscere perfettamente sia me che Luca.

“Ci siamo visti anche noi al locale, vero?” chiese Mirco; l’altro distolse lo sguardo. Sembrava vagamente imbarazzato: probabilmente non lo aveva notato tra la gente.

Valeria era euforica, mentre ci mostrava la casa come fosse la sua: il grande soggiorno, la cucina, i due bagni e la spettacolare terrazza panoramica con tanto di piante in grandi vasi di terracotta. La mia amica era raggiante, nel suo abito borgogna, i capelli ricci e vaporosi che le ricadevano sulle spalle scoperte.
Sbagliò il nome di Luca le prime due o tre volte, poi parve abituarsi all’idea che non si chiamasse Lucio.
La casa era piena di gente. Non sembrava una “festicciola”, ma un vero e proprio party, con tanto di grandi vassoi con aperitivi e piatti freddi e vasta scelta di bevande. Mirco lasciò che fosse Valeria ad occuparsi di noi e continuò a spostarsi per tutta la sera da un gruppo all’altro di amici. Ogni tanto tornava da lei e le stampava un casto bacio sulla guancia, le sussurrava qualcosa all’orecchio e la mia amica sorrideva imbambolata.
Venni presentata ad una grande quantità di persone di cui non mi sforzai di imparare i nomi. Mi sentivo vagamente a disagio e continuavo a domandarmi perché mi fossi lasciata convincere così facilmente ad accettare l’invito. Luca sembrava divertirsi molto più di me.
Nonostante avessi saltato il pranzo, non avevo fame e in un’altra occasione mi sarei buttata sugli alcolici, ma dopo l’esperienza di sabato preferivo non fare eccessivo affidamento sulla mia capacità di rimanere sobria.

Lasciai Luca che stava parlando di pesca, di cui avevo scoperto era un grande appassionato, e mi avviai svogliatamente verso il tavolo del buffet.

“Desidera qualcosa da bere, signorina?” Mi voltai lentamente, solo per non dare l’impressione di essere stata colta di sorpresa. Giacomo mi guardava con la sua solita aria di scherno e gli angoli della bocca che già cedevano verso un sorriso ironico.

“Non sono l’alcolizzata che pensi.” Finsi il mio sorriso migliore.

“Volevo solo essere galante.” Lo guardai scettica. Mi sentivo inappropriata, proprio come il giorno prima. Forse aveva ragione Edoardo e avrei dovuto indossare i tacchi o un vestito più carino. Lui aveva una camicia bianca e un bell’orologio costoso al polso, io degli stivali rovinati, un maglione troppo largo e i capelli sporchi.

Prendemmo insieme da mangiare e, senza dirci altro, cercammo con lo sguardo i nostri amici. Non riuscii a ritrovare Luca.

“Non so dove sia Valeria.” Commentò Giacomo; raddrizzai le spalle.

“Veramente sono qui con Luca.” Evitai di guardarlo negli occhi, ma sapevo che si era voltato verso di me con espressione sorpresa. Poi scoppiò a ridere; pensai che gli avrei volentieri sbattuto la testa sul tavolo o lo avrei affogato nella zuppa di legumi.

“Ti sei improvvisamente ricordata della splendida serata che hai trascorso con lui?” No, avrebbe meritato una lunga agonia prima della morte. Sorrisi con aria superiore e non risposi.

“Ti saranno di certo tornati alla mente i molto ameni argomenti di cui avete discorso, mentre cavallerescamente ti riaccompagnava a casa…” Ma cosa vuoi? Il suo lessico sarcasticamente forbito mi urtava il sistema nervoso.

“Certamente qualsiasi conversazione io abbia avuto con lui è stata migliore di quelle con te.” Mi mossi verso un punto imprecisato della sala e Giacomo mi seguì; sembrava pensieroso e questo avrebbe potuto offrirmi la possibilità di ritrovare Luca e liberarmi dalla sua presenza.

Andammo entrambi in terrazza, ma non vidi né Valeria né Luca. Guardai l’orologio: cominciava a farsi tardi.

“Se il tuo cavaliere è occupato, posso accompagnarti io.” Non capivo se stava scherzando.

“Non accetto passaggi da chiunque.” Risposi stringendo gli occhi in due fessure, lui rise.

“Solo quando sei sobria…” Preferii concentrarmi sul paesaggio della città illuminata. Giacomo mi osservava attento, senza preoccuparsi di celare il proprio sguardo divertito, anzi, quasi sfidandomi a volgermi verso di lui. Non avevo alcuna intenzione di giocare ad una prova di forza.

“Mi stavo dimenticando!” Esclamò all’improvviso e prese un biglietto dalla tasca dei pantaloni. Me lo porse ed io lo guardai con sospetto.

“Tranquilla, non è il mio numero di telefono.” I suoi denti bianchi brillarono ed io alzai gli occhi al cielo.

“Mia sorella, Marta, ha detto che vorrebbe allenarsi con tuo fratello.” Scoppiai in una fragorosa risata. Ma in quella famiglia erano tutti matti?

“Anche io ho reagito nello stesso modo.” Era un velato insulto? “Comunque, lei ha insistito… magari ha un cotta per lui!” Presi titubante il biglietto, ma non
potei impedirmi di lanciare a Giacomo uno sguardo altrettanto divertito.

Luca si materializzò accanto a me e mi prese la mano. Rimasi impacciata, le dita strette intorno alle sue, imbarazzata dalla consapevolezza che stava marcando il territorio.

Giacomo sorrise, come chi è il padrone del mondo; si strinsero la mano. Luca mostrava un’aggressività latente, ma Giacomo aveva l’atteggiamento del perenne vincitore. Un lampo di ironia, che ormai avevo imparato a riconoscere, si accese nei suoi occhi quando li distolse da lui a me.


Ero io la sua avversaria. 











 

*Angolo dell'autrice*
Scusate se ci ho messo tanto a postare questo capitolo... Ma mi sono fatta perdonare, vero?  *.*
Ringrazio moltissimo tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia!
Vi abbraccio,
Aurora
 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Solo_Aurora