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Autore: isachan    21/09/2007    13 recensioni
Semplicemente una ff ispirata all'ottavo volume di Kodocha...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wecome To PageBreeze

Ciao a tutti!! Sono tornata con una nuova storia…

Rileggendo l’ottavo volume di “Kodocha” mi è venuta in mente questa storia che, in realtà, proprio una storia non è… direi piuttosto delle riflessioni della nostra protagonista… J ho cercato di non volare troppo con la fantasia, ma di immedesimarmi il più possibile in quella che poi è la vera Sana… spero di esserci riuscita…

Lascio a voi la sentenza…!

Buona lettura e, come sempre, … commentate!

 

 

SMILE IN THE SNOW

 

 

In silenzio, si sedette piano sulla panca gelida dell’ospedale, con le mani chiuse a pugno poggiate forte sulle ginocchia, quasi come a cercare di farle smettere di tremare furiosamente.

La lunga e ordinata frangetta rossa le ricadeva morbida sugli occhi, nascondendoli da qualunque sguardo.

Tanto non serviva a nulla poterli vedere.

Quegli occhi, si sapeva già, stavano piangendo.

Di lacrime amare, di lacrime che, opache oscuravano le particolari e bellissime sfaccettature di quel nocciola intenso e perennemente vivo.

Sempre vivo, tranne che in quel momento.

 

“Come siamo arrivati qui?

… che cosa è successo…?...”

 

Erano domande che le scorrevano confuse nella mente. Le pareva di ricordare che Hayama era tornato con Komori, appena qualche minuto prima… che le aveva sorriso e che si era sentita sollevata di vederli tornare insieme…

Poi non ricordava bene che cosa fosse successo.

Ma Hayama l’aveva guardata con gli occhi impauriti e sofferenti e poi… poi era caduto.

Il suo corpo sul freddo asfalto aveva prodotto un tonfo sordo... straziante, quasi.

E poi dal suo braccio era uscito tanto, troppo sangue.

Quasi come guidata da una forza potentissima, gli si era avvicinato terrorizzata e gli aveva sfiorato il viso.

Subito era indietreggiata, nel sentirlo gelato, ed era stata avvolta in un caldo abbraccio di Rey. Ma quel calore non le era bastato.

Perché il gelo degli occhi chiusi di Hayama e di quel sangue a fargli da giaciglio le era già entrato nel petto e le si era insidiato dentro, lentamente ma inesorabilmente, come una malattia.

L’ultima cosa che ricordava era il suono lontano di un’ambulanza che, veloce, correva verso di loro, portando con sé il tanto essenziale spiraglio di una speranza.

 

 

                                                                       ***

 

 

Ora era lì, immobile… era uno sforzo perfino respirare.

Ne avrebbe fatto volentieri a meno se soltanto il respiro non fosse stato vitale.

Ad ogni soffio d’aria che inspirava il cuore le doleva, lo stomaco si contorceva e il petto le scoppiava.

Non aveva mai, davvero mai provato una sensazione così devastante.

Ogni parte del suo corpo era immobile e non sarebbe bastata tutta la sua forza neanche per muovere una sola mano.

La paura era più forte di ogni altra cosa.

Sentiva le voci dei medici che si avvicinavano insieme a quelle del padre e della sorella di Hayama.

Era abbastanza distante e non riusciva a sentire bene quello che dicevano, ma, ne era sicura, erano voci tristi e impaurite.

Un pensiero le balenò in testa. Un pensiero che, in attimo, per quanto lontano fosse, bastò a fermarle i battiti del cuore.

 

“ E se Hayama dovesse… morire…?”

 

Hayama. La morte.

Due concetti totalmente opposti, diversi.

E  Hayama e la morte non dovevano ancora avere niente a che fare l’uno con l’altra. Non ancora. Non adesso.

 

Le voci intorno si erano spente e il padre di Hayama le andava incontro, affiancato da una Natsumi in lacrime.

 

“Ecco…

Pensò.

…. È arrivato il momento….”

 

Non volle alzare lo sguardo né quando il signor Hayama la chiamò piano, né quando lo fece Natsumi. Aveva una paura straziante di trovare negli occhi dei due la realizzazione di ciò che temeva.

 

“ Il medico dice che le sue condizioni sono gravissime… non si è ancora svegliato….

 

Neppure ora alzò lo sguardo.

Perché ancora non era finita.

Perché a pochi passi da lei, in quella maledetta sala, dietro quella dannata porta di un bianco intenso e assoluto, c’era il suo migliore amico a combattere tra la vita e la morte.

E lei non sapeva neppure il perché.

 

Guardò le chiazze bagnate che le sue lacrime avevano creato sui pantaloni nuovi di seta pregiatissima, che si era comprata come regalo personale per la fine delle riprese del suo ultimo film.

Li guardava e riguardava.

E davvero non riusciva a trovarci nulla di così pregiato da far spendere tutti quei soldi che, invece, aveva speso lei.

I soldi. Quelli non le mancavano di certo.

Ma quanti soldi sarebbero serviti per alleviare quel tormento…?

A quanti pantaloni di seta, a quante magliette firmate, a quanti telefoni di ultima generazione sarebbe servito rinunciare….?

Qualsiasi fosse stata la cifra, non le sarebbe importato nulla.

La miseria, piuttosto che continuare a sentire quella morsa nello stomaco.

 

La stanza intorno a lei smise di girare e solo allora si accorse che stava tremando come una foglia.

Una foglia strappata dal vento.

Si… ora era così che immaginava Hayama.

Strano. Ma lo vedeva così….

Una foglia strappata prepotentemente dal suo albero. Ma non in autunno… in primavera.

Perché la foglia d’autunno lo sa, che presto il vento arriverà a prenderla.

Un po’ come un uomo al tramonto dei suoi anni.

Ma una foglia di primavera non se l’aspetta, quella bufera.

Viene strappata così, senza avere avuto neppure il tempo di vedere il sole d’estate.

 

 

 

 

                                                                       ***

 

“… Tsuyoshi… come credi che andrà a finire….?

 

Domanda stupida. Ma Aya poneva spesso domande stupide. Forse solo per far parlare il suo ragazzo che, da quando aveva messo piede in quel dannato ospedale, non aveva detto una parola.

 

“… Non lo so… ma spero solo che finisca presto…”

 

La fine. La fine di quell’agonia. Cominciava a non ricordare da quanto tempo fosse in quella posizione.

Per quanto ne ricordava potevano essere minuti, ore o anche giorni.

La percezione del tempo le era sfuggita di mano, così come molte, moltissime altre cose.

Pensava. Pensava a tutto, ma non pensava a nulla.

Pensava al tempo che aveva trascorso con Hayama, al loro primo incontro e al loro primo bacio… alle loro litigate furiose e alla sua inguaribile ed insopportabile testardaggine.

Pensava agli anni felici trascorsi con lui alle elementari e a quanto tutto si fosse complicato dal loro ingresso alle scuole medie.

Pensava al dolore che aveva provato quando lui si era messo con Fuka.

E pensava al tempo che aveva perso cercando di fuggire da lui e dal suo ricordo così vivo.

Se avesse potuto tornare indietro, di certo, non si sarebbe persa neppure un istante. Neppure un suo sguardo o un suo movimento.

Nulla.

E che diamine importava se Fuka era la sua ragazza.

Ora no. Ora non le importava più.

 

“… Sanachan… come ti senti? Vedrai che se la caverà… “

 

Piangeva. Fuka stava piangendo mentre le parlava.

Bel modo di consolare qualcuno.

Ecco. Era stata come al solito egoista.

Non era solo lei ad aver bisogno di consolazione.

Anche Fuka e Aya e Tsuyoshi ne avevano bisogno.

Perché il ragazzo che se ne stava sdraiato su quel lettino, sotto le mani attente dei medici, faceva parte delle loro vite.

E chi più, chi meno faceva parte della sua.

Ma non le importava, in realtà.

Perché quel dolore, lo sentiva così chiaramente e così distintamente da credere impossibile che qualsiasi altro potesse provarne anche solo una minima senza sentirsi morire come lei.

Magari era proprio questo il punto.

Che tutti coloro che erano lì, in attesa, da ormai qualche ora, si stavano sentendo morire.

Magari erano semplicemente più bravi a nasconderlo.

Perché non tremavano, non avevano quel vuoto negli occhi che aveva lei.

Forse, però erano solo le lacrime che le impedivano di vedere oltre il suo dolore.

 

                                                                       ***

 

 

“Adesso esco con Fuka….”

 

Era ancora così chiaro e ben distinto il senso di vuoto che aveva provato quando Hayama le aveva detto piano quelle poche parole.

In meno di un secondo ogni sua certezza era crollata. E il sentimento per il suo perenne rivale, per il suo nemico amatissimo, si era rivelato un sentimento completamente diverso dalla semplice amicizia.

Era stato doloroso, aveva fatto un male terribile, venirlo a scoprire in quel modo.

Non sapeva neppure per quante notti non aveva dormito, per quante notti aveva pianto in silenzio, soffocando i singhiozzi sotto il cuscino.

Non sapeva neppure quante volte aveva maledetto quel nome, quante volte, piangendo, aveva urlato: “Perché?”

Aveva cercato riparo tra le braccia protettive e i sorrisi caldi di Naozumi, ma non era bastato.

Anche quando lo negava al mondo, a Naozumi, a se stessa, i battiti del suo cuore non erano che per una sola persona.

Nonostante il tempo, nonostante tutto, lei lo amava da impazzire.

E non aveva neppure avuto il coraggio di lottare per riprenderselo.

 

“Non voglio fare questo a Fuka…”

 

Si ripeteva sempre la stessa frase.

Se la ripeteva cercando di convincersi che la buona, dolce, perfetta Sana Kurata, ad un’amica non l’avrebbe mai fatto.

Ma le cose stavano in un modo solo.

Sana Kurata amava il ragazzo della sua migliore amica.

E per quante frasi potesse ripetersi nella sua testa per cercare di alleggerire la situazione, niente poteva cambiare.

Quel sentimento non poteva svanire.

 

E solo adesso capiva che a Fuka del male lo aveva già fatto.

Nascondendole la verità, amando segretamente il suo ragazzo.

E si pentiva del tempo perso a cercare di nasconderlo per evitare di ferirla.

Perché Fuka era troppo brava a leggerle dentro per non capire, per non vedere una cosa tanto grande.

Ricordava quando quel giorno, a scuola, Fuka aveva pianto perché tra la sua migliore ed il suo ragazzo aveva visto qualcosa di troppo devastante da poter controllare o, meno ancora, ignorare.

Ma lei aveva portato avanti quella farsa, convincendo Fuka che era solo uno sbaglio, che tra lei e Hayama non c’era più nulla.

Ancora adesso non sapeva bene se Fuka aveva creduto davvero alle sue parole o se era rimasta con Hayama solo per non farla sentire in colpa.

O per non far sentire in colpa lui, che poi era la stessa cosa.

 

 

                                                                       ***

 

 

“Sana… perché non vai a riposarti un po’…? Ti chiamo se ci sono novità…”

 

Le pareva la voce di Tsuyoshi quella che le aveva appena parlato. Perché era calma, dolce e rassicurante. E le aveva parlato piano. Quasi come la voce di un padre.

Alzò appena lo sguardo, scuotendo leggermente il capo, come a dire che mai, mai al mondo, si sarebbe mossa da lì, mai sarebbe uscita da quel maledetto ospedale senza aver prima rivisto gli occhi di Hayama.

E se, per disgrazia, questo non sarebbe più successo, allora sarebbe rimasta lì per tutto il tempo necessario. Per sempre, magari.

Lo sapeva, lo sapeva benissimo che se quell’eventualità si fosse avverata l’avrebbero portata via di peso, pur di risparmiarle quel dolore.

E, probabilmente, lei non avrebbe neppure opposto resistenza perché non sarebbe servito.

Perché non ne avrebbe avuto la forza.

E allora sarebbe andata avanti a vivere così… semplicemente perché il suo cuore avrebbe continuato a battere, nonostante tutto.

Semplicemente per questo.

 

“Ok Sana… sapevo che non mi avresti ascoltato…”

 

Vide Tsuyoshi sedersi piano vicino a lei, mentre, poco più in là, Aya e Fuka piangevano in silenzio.

Per un attimo, anche se solo per un attimo, ebbe l’istinto di alzarsi e di prendere le sue due migliori amiche a schiaffi e di urlarle che non c’era proprio niente da piangere, che Hayama si sarebbe ripreso presto e che, prima ancora di quanto potessero immaginare, se lo sarebbero ritrovato lì, in mezzo a loro, come al solito, con quell’aria imbronciata e quel suo sottile, sottilissimo senso dell’umorismo.

Si. L’avrebbe fatto. Voleva farlo davvero.

Ma il punto era che già sapeva che sarebbe scoppiata a piangere e che, tra i singhiozzi, non sarebbe riuscita a finire neppure una parola.

Perché non ci credeva. Non ci credeva nemmeno lei a quello che continuava a ripetersi.

E più il tempo passava, più i minuti avanzavano su quel maledetto orologio appeso al muro, più la sua speranza si affievoliva.

E lei no, non aveva più la forza di tenerla accesa.

 

 

                                                                       ***

 

 

 

“ È fuori pericolo… è salvo…”

 

Non riusciva ancora a capire bene se quelle parole, in realtà, le avesse solo immaginate o se quell’infermiera che, poco più in là, la guardava sorridendo le avesse pronunciate davvero.

Ma comunque rimase immobile qualche istante ancora, almeno fino a quando non sentì le braccia calde di Fuka stringerla forte e la sua voce singhiozzare tra le lacrime di un pianto liberatorio.

Era finita.

Non riuscì a fare altro che alzare gli occhi umidi al soffitto bianco dell’ospedale e ringraziare.

Ringraziare..

Chi non aveva importanza. L’importante era che qualcuno, lassù, le aveva restituito il suo Hayama.

Che ci aveva rinunciato per far si che lui potesse ancora far parte della sua vita.

 

Scostando leggermente Fuka, si alzò piano, camminando leggera, quasi come sulla più bella delle nuvole e si diresse verso la stanza in cui si trovava Hayama, seguita in silenzio da tutti gli altri.

Poggiò appena le mani delicate, ancora tremanti, sulla lastra in vetro che la separava dal ragazzo e pianse.

Ma pianse lacrime felici, lacrime con un buon sapore.

Lo vide fare un piccolo movimento con il capo, mentre ancora riposava tranquillo.

Sorrise, poggiando meglio le mani sul vetro. Quasi come per cercare di toccarlo, di accarezzare quel viso e di sentire ancora quel calore che, qualche ora prima, le era così tanto mancato.

Poi si voltò e si incamminò verso l’uscita, seguita da Rey.

 

Lungo la strada che portava agli studi televisivi guardò per tutto il tempo il limpido cielo stellato di fine Novembre e si sentì leggera… incredibilmente leggera.

E fu come guardare il cielo per la prima volta.

Fu come trovare in ogni singola stella un motivo per sorridere.

E sorrise. Da sola, forse come una stupida.

E pensando al viso di Hayama, sentì un calore infinito entrarle nel cuore.

In quel cuore che, fino a poco tempo prima, pareva stesse… morendo.

Capì che era per Hayama, proprio per lui, che riusciva a trovare divertente e interessante ogni cosa che faceva… tutto ciò che la circondava.

E non, come pensavano tutti, per il suo carattere allegro e spensierato.

Non solo, perlomeno.

La sua forza era Hayama. E senza di lui, prima, si era sentita terribilmente… spenta.

Vuota. Quasi come in un’altra dimensione..

Era stato come se il mondo intorno a lei ruotasse vorticosamente, mentre lei rimaneva palesemente… ferma. Immobile.

Ma quella sensazione era sparita nell’istante in cui Hayama aveva ripreso a respirare.

 

Abbassò piano lo sguardo e guardò l’orologio da polso che indossava..

Ben 40 minuti di ritardo.

L’avrebbero rimproverata… avrebbero montato uno scandalo su quel ritardo…

E magari non l’avrebbero chiamata in nessun programma per un bel po’ di tempo.

Ma che importanza poteva avere… infondo?

 

Guardò fuori dal finestrino e sorrise, mentre gli occhi le brillavano. Ed ebbe voglia di piangere. Piangere di gioia.

E lo fece. In silenzio.

E pensò che il Natale alle porte sarebbe stato il più bel Natale di tutta la sua vita.

In fondo, stava già nevicando.

   
 
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