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Autore: shadowsymphony    06/03/2013    1 recensioni
"Adesso mi odierai ogni volta che ti dirò 'va bene'?" chiese lei, sorridendo, appoggiando la testa al suo petto. "Potrei farlo" rispose lui, ridendo. "Ti odio" rise anche lei. "Capisco. Sfoga pure la tua rabbia su di me". "Allora preparati alla tortura" ridacchiò, e si alzò in punta di piedi per baciarlo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un mese prima
“non è assolutamente colpa tua, credimi. Non preoccuparti”.
“come non è colpa mia? 10 minuti fa mi hai detto il contrario!” pensò, confusa e irritata. Scrisse “ok”, non voleva ribattere oltre. Messaggio inviato. Consegnato. Letto 8.37. aveva paura di quello che avrebbe potuto rispondere, ma voleva metterla finita a quella stupida conversazione una volta per tutte. Comparve la nuvoletta ‘digitazione’ e iniziò ad agitarsi. Poche decine di secondi dopo comparve il messaggio “non voglio continuare ancora con questa storia, spero che tu mi abbia capito. Non sentiamoci più, allora”. Il suo cuore quasi si fermò per un tempo che sembrava lunghissimo. Scrisse “va bene” senza neanche pensarci. Messaggio inviato. Consegnato. Letto 8.41.


Il primo volo disponibile per New York partiva fra un’ora e mezza. Appena Judy tornò a casa sua con Matthew, afferrò la giacca, il telefono e l’anello e uscì da nuovo. Prese la macchina e sfrecciò verso l’aeroporto.

Il taxi era lentissimo. Doveva andare dall’altra parte della città, ma non avrebbe dovuto metterci così tanto. Gaga prese il telefono e lo accese, ritrovandosi 15 messaggi e 6 chiamate senza risposta. Eliminò tutto. Mentre il taxi passava pere le strade trafficate del centro di Lancaster, provò ad ammazzare il tempo giocando a Ruzzle. C’erano ancora tutte le partite che aveva fatto contro di lui, quasi tutte vinte da lei. Sorrise, ricordando le serate passate a giocare, lei sul divano e lui sulla poltrona, a trovare più parole possibili sulla tabella, e urlandosi addosso quelle più strane quando uno o l’altra vinceva o perdeva. All’improvviso le venne un’idea. Uscì dal suo account e ne creò uno nuovo con un altro nome, poi cercò il suo nickname e gli inviò una richiesta di partita. Aspettò che accettasse, ma dopo 10 minuti non aveva ancora ricevuto nessuna notifica. Spense il telefono e lo mise nella borsa. Stavano raggiungendo la periferia est, con le sue stradine costeggiate da case in stile coloniale. Finalmente arrivarono alla casa dei genitori di Taylor. “può aspettare un attimo?” chiese a tassista, e scese da taxi.  Non era più così sicura che fosse lì, ma appena suonò il citofono iniziò a batterle forte il cuore. “rispondi, rispondi” mormorò, attaccandosi alle sbarre del cancello. Aspettò un minuto, ma non rispondeva nessuno. Suonò di nuovo. Il tassista incominciava a spazientirsi. All’improvviso vide una donna che arrivava dal giardino sul retro. “signora!” esclamò, cercando di farsi vedere. La donna la vide e la salutò con la mano. “oh ciao Stefani! Che cosa ci fai qui?” corse verso il cancello. “c’è Taylor?” chiese, senza rispondere alla sua domanda. “no, è a Chicago, mi dispiace” rispose. “merda” sbuffò, appoggiando la testa al cancello. “mi dispiace tanto. Vuoi entrare un attimo, così chiamiamo mio figlio e gli diciamo che sei qui?”. “no no, non si preoccupi. Vado a Chicago, non è un problema. Grazie ancora, scusi il disturbo” mormorò, e ritornò sul taxi. “lo sapevo, lo sapevo” borbottò, e telefonò al pilota per dirgli di prepararsi per Chicago.

Arrivò all’aeroporto alle 4 e mezza, mezz’ora prima della partenza. Non avendo bagagli, passò velocemente i controlli e il check in e salì subito sull’aereo. Ci avrebbe messo 3 ore e mezza ad arrivare a New York, sarebbe atterrato alle 8. Forse avrebbe fatto in tempo a vederla, prima che andasse a qualche festa o altro. Fra 4 ore l’avrebbe rivista, dopo tutto quel tempo. Non gli importava se l’avrebbe rifiutato, voleva solo vederla con i suoi occhi.

Ritornò all’aeroporto alle 4.45. salì velocemente sul suo jet e il pilota partì per Chicago. Ci avrebbe messo 2 ore ad arrivare, sarebbe atterrata alle 7. Forse l’avrebbe rivisto. Sicuramente in quel momento era a Chicago, e per un attimo si rilassò, dimenticandosi della sua paura. Per un po’ rimase con gli occhi chiusi ad ascoltare la musica. Qualche decina di minuti dopo, si ricordò della partita a Ruzzle e sussultò. Aprì il gioco e pregò che avesse accettato. Un attimo dopo comparve la notifica di partita accettata, e le balzò il cuore in gola. Era in contatto con lui. Ignorando il gioco, aprì la chat e pensò a cosa scrivere. Non gli scriveva da un mese. Ma non sapeva che era lei, poteva scrivere qualsiasi cosa. Prese un respiro profondo e scrisse “ciao”. Aspettò, ma non rispondeva. Tornò al gioco e fece la partita, vincendo il round. Prima di iniziare il secondo, notò che era arrivato un messaggio in chat. “ciao :)”. Sorrise e scrisse “dovresti esercitarti di più, ti ho battuto :P”. Pochi secondi dopo comparve il messaggio “dovevo ancora scaldarmi, vedremo chi vincerà il prossimo round ;)”. Ridacchiò: lo diceva sempre quando giocavano insieme. “vedremo” rispose, e giocò il secondo round. Vinse di nuovo. “visto? Fidati, la vinco io la partita u.u” scrisse. “questa volta ti batto” rispose lui; diceva sempre anche quello, ma non succedeva mai. Rise. Prese coraggio e scrisse una cosa che, sperava, avrebbe attirato la sua attenzione. Se era abbastanza furbo. Poi tornò alla partita.

“questa volta ti batto” scrisse, un po’ annoiato perché non aveva ancora vinto. Non era bravissimo a giocare a Ruzzle, nonostante la sua ragazza glielo avesse insegnato. Lo batteva sempre, o quasi. Aveva sperato che quell’utente che gli aveva richiesto la partita fosse un novellino, ma lui/lei l’aveva battuto senza problemi. Mancavano ancora più di due ore all’atterraggio, e aveva deciso di giocare a Ruzzle per passare il tempo e rilassarsi; si era stupito di quella richiesta di gioco: la persona doveva conoscere il suo nickname, ma non aveva mai giocato con lui/lei. All’improvviso apparve un nuovo messaggio in chat. “Sicuro?” e poi una frase che lo fece quasi sussultare. La rilesse più volte. A parte alcune parole cambiate per dargli un altro significato, era una frase della canzone Sex Dreams, che non era ancora stata pubblicata. Com’era possibile? Ci pensò su, poi rispose con il verso successivo della canzone, cambiando le parole allo stesso modo dell’avversario, e ritornò alla partita.

Aveva vinto anche l’ultimo round, e ovviamente anche la partita. Sospirò e controllò la chat. Sussultò nel vedere scritto il verso di Sex Dreams seguente a quello che aveva scritto lei nel messaggio precedente. Aveva capito. Forse aveva intuito che era lei. Il cuore iniziò a batterle forte e scrisse “te l’ho detto che vincevo io ;)”. Aspettò un minuto e arrivò la risposta “mi ero sbagliato. Complimenti, miss (o sir?). Disputiamo un’altra partita?”. Miss. La chiamava sempre così quando scherzavano. Doveva farsi avanti e confermare? “miss, esatto. E certo, continuiamo”.
Alle 7 il jet di Gaga atterrò a Chicago. Eccitata, uscì e prese subito un taxi. Aveva giocato a Ruzzle con Taylor per 3 quarti d’ora, e avevano chattato come due sconosciuti. Mandando messaggi con un account falso, comunque, la rendeva molto più tranquilla. Era come se fosse un’altra ragazza a parlargli. Poteva dirgli di tutto, senza preoccuparsi, convincendosi inconsciamente che lui pensava di parlare con un’altra persona. Ma sapeva che lui aveva intuito che era lei l’avversario. Ma non l’aveva detto. Doveva stare al gioco, dopotutto.
Ci volevano 45 minuti per arrivare a casa sua, e così ricominciò a giocare e chattare. Gli aveva chiesto come si chiamava, e lui le aveva detto il suo vero nome. Poi le aveva fatto la stessa domanda e lei aveva risposto “Hope, come il mio nickname”. Dopotutto, la speranza era il motivo del suo viaggio.
“dove abiti?”
“Chicago. Tu?”
“New York”.
Poi la batteria del telefono si era scaricata del tutto e si era spento. Non aveva portato con sé neanche il caricatore. Furiosa, lo buttò nella borsa e aspettò. Il taxi arrivò a destinazione e la lasciò davanti al condomino. Uscì e si precipitò a suonare al citofono, in preda all’eccitazione. Non aveva più paura. Nessuno rispose. Controllò l’orologio, 7.54. dov’era, a quell’ora? Suonò di nuovo.
 
   
 
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