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Autore: Philotea    07/03/2013    2 recensioni
L'arte era la sua vita. Ma la vita, non era arte. Strano concetto, vero? Eppure è così. Almeno, era così. Fino a che non la conobbe, fino a che il suo sguardo l'abbagliò.
Life is art.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Addio ricordi.





Lunedì, notte.
 



 Ron non faceva altro che rigirarsi nel letto, quella notte. Qualcosa lo turbava. Un incubo, sempre il solito incubo che lo torturava da anni. In ogni suo sonno, tutte le notti. Un incubo, che quando aveva 7 anni, era realtà.
 

Papà è ubriaco, non ci vede più. Sbatte la porta di casa, è furibondo. Lui non vuole la mia sorellina, lui dice che è inutile, dice che deve morire, dice che mia madre è un’incapace. La mamma è seduta sul pavimento, papà le ha dato uno schiaffo. Io osservo tutto dalla mia cameretta, anche se vedo solo ombre, provocate dalla luce fioca della lampada della sala. La mamma piange, papà urla. Sento il rumore della sirena della polizia, i vicini l’hanno chiamata. Ho paura, tremo. Prendo il mio orso di peluche, il mio preferito.
Vado in camera di Lucy. Lei piange, è fredda. La prendo dalla culla e la metto nel mio letto. Sento la mamma urlare, urlare spaventata. La polizia bussa alla porta, urlando minacciosa. Un caos generale, mi avvicino alla sala, spaventato e insicuro. Vedo mamma. Ha gli occhi rossi, mi dice di dormire, mi dice che quando mi sarò svegliato sarà tutto finito.




Delle urla.

Una bottiglia di vino in frantumi per terra.

Uno sparo.

Silenzio.

Il rumore di un corpo che cade a terra.

E ancora silenzio.


 
 
Mi addormento, abbraccio la mia sorellina. E’ piccola, fragile. Mi chiedo se riuscirò mai a proteggerla, come merita. Passo la notte tenendola stretta, la mattina vengo svegliato da un uomo. Dice di essere un dottore, mi tende una mano, sembra gentile. Io la afferro e scendo dal letto.
Avrei passato la mia vita nel peggiore dei modi, senza una madre, senza un padre, solo con una sorellina, la luce della mia vita. Contando sulle poche persone di cui avrei potuto fidarmi, rimanendo circondato da pregiudizi e odio.
Non era il risveglio che avrei voluto avere, dopo quella notte. Mamma si sbagliava.


 
Ron si svegliò. Un risveglio improvviso, con le lacrime agli occhi. Si alzò, si vestì e andò davanti allo specchio.
 Guardava il suo riflesso, come se guardasse un'altra persona. Una persona sfortunata, a cui erano successe sventure, gli erano capitate cattiverie, era stato giudicato male, poiché non aveva una mamma, un papà, un punto di felicità. Aveva esclusivamente contato su se stesso, senza chiedere aiuto a nessuno, come se ci fosse qualcosa di sbagliato.
Osservò i suoi capelli neri disordinati sulla fronte, i suoi occhi verdi, la sua carnagione chiara, debole.
Si stropicciò gli occhi e andò in bagno.
Si tolse i vestiti e li lasciò sul pavimento in piastrelle del bagno, poi andò sotto la doccia.
Aprì l’acqua e sentì il getto freddo bagnargli il corpo.
Come se tutti i problemi gli scivolassero via e andassero chissà dove, ma lontani da lui. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella sensazione. Poi tornò alla vita reale.



 
 
Giovedì, fuori dalla casa di Ron.



“Dannazione Ron, mi dici dove andiamo?”
Lui caricava tele e colori sul bagagliaio dell’auto, furtivamente.
“In un posto speciale.” Disse lui, mantenendo il suo solito mistero.
Alexa sbuffò, poi entrò in auto.

Ron aveva una macchina grigia, di seconda mano, con le ruote sporche di fango. Forse perché aveva appena piovuto.
Lei incrociò le braccia al petto, impaziente.

Lui andò al volante.
“Eccomi eccomi, sei maledettamente impaziente.” Disse, mettendo in moto l’auto.

Lei guardò fuori, senza parlare, per tutto il tragitto.

Chissà dove l’avrebbe portata, forse in un giardino, forse in un parco, o una foresta, o una casa, un negozio. Qualunque luogo sia, per lui era un posto speciale e per questo ad Alexa incuriosiva.
Osservò il cielo cupo. Non prometteva nulla di buono, era triste, stava per piangere. Stava per piovere. Grossi nuvoloni grigi si spostavano, lentamente, ricordandogli il lento movimento dei corpi celesti, lento ma profondo. Le nuvole si muovevano, andavano avanti come la vita e questo gli ricordò Ron, gli ricordò il suo presente, il suo modo di fare attuale e le fece immaginare il suo futuro, un pittore famoso, che guidava i suoi ammiratori lungo una galleria dedicata a lui. Non riusciva però ad immaginarsi il suo passato, che nascondeva così bene, fingendo un sorriso, quel sorriso solo lei aveva avuto solo l’occasione di vedere.

La macchina si fermò, accostando ad un vialetto. Alexa scese e si guardò attorno. Dovevano essere fuori città, il posto le sembrava insolito. Anche Ron scese, chiuse la macchina e prese il materiale da disegno.

Le prese la mano e la condusse lungo un sentiero.

Dobbiamo sbrigarci” disse, camminando più veloce “inizierà a piovere.” Disse lui. Alexa annuì, guardando il cielo.

Stavano quasi correndo per un sentiero, stretto e cupo, Ron con in mano il materiale da disegno, che stava per cadere nel fango, Alexa con lo sguardo insicuro, senza una meta e una destinazione certa.

Il sentiero di sassi e foglie bagnate sembrava essere finito, poi Alexa vide Ron chinarsi e farle cenno di avvicinarsi.
C’era un piccolo passaggio, sotto il groviglio di edera e piante selvatiche. Alexa si chinò.

“E’ da anni che non vengo qui.” Disse Ron, spostando le foglie e facendo spazio. Cosa c’era dall’altra parte? Un posto segreto?

Ron si accovaccio e passò sotto, poi fece passare con molta attenzione il materiale da disegno, infine guardò Alexa.

“Vieni, sembra un piccolo spazio ma ci passerai con facilità.”
Alexa guardò incerta lo spazietto, poi si fece coraggio e ci passò, effettivamente con facilità.

Si alzò in piedi e osservò dove era finita.


Era un giardino, un bellissimo giardino con rose, tulipani fiori di tutti i tipi, bagnati dalla pioggia ma ben tenuti in delicate aiuole, fertilizzate e concimate con cura. Anche Ron sembrò stupito da quella visione, tutto era perfettamente in ordine. Gli alberi e i cespugli potati, le foglie raccolte da una parte, nonostante il vento le avesse sparpagliate un po’ ovunque e la pioggia le avesse ridotte uno straccio.
Alexa osservò le panchine in metallo, perfettamente verdi e verniciate da almeno un mese. Quel luogo metteva i brividi.
Quando i miei genitori litigavano, scappavo e mi rifugiavo qui.” Disse, avvicinandosi ad una pianta.
Prese una rosa tra le dita, osservandola come se fosse un diamante prezioso e lasciando brillare le goccioline di pioggia che si erano posate delicatamente sui petali.

“Una volta era di proprietà della chiesa qui vicina, adesso, proprio non ne ho idea.”


“Disegnavi spesso qui?” Lo interruppe Alexa.
Lui si girò e mise le mani in tasca.

“Oh, sempre. Disegnavo ogni particolare di questo giardino, era il mio luogo, il mio posticino, anche se scappavo per non farmi scoprire. Lo amavo più di me stesso.Disse, ricordando come fosse una volta.
Le panchine erano di legno, molto meno curate e non c’erano tutti questi alberi, c’era solo un ciliegio, un ciliegio che adesso è solo un tronco mozzato.

Guardò per qualche secondo il resto del ciliegio, guardò il bellissimo sfondo di rose e i colori scuri delle nuvole in cielo.

“Siediti lì.” Disse, indicando il posticino. Alexa ubbidì, alzando il vestito per non sporcarlo di fango.
Ron prese tela e colori, e sistemò velocemente il cavalletto. Prese il pennello e iniziò di getto, con l’ispirazione che gli scorreva nelle vene. La scena era perfetta, Ron era coinvolto e ad Alexa scappava un sorriso che tenne per se: sapeva che Ron non tollerava espressioni felici nei suoi disegni.

Una goccia cadde nelle tempere, precisamente nel blu. Forse cadeva dall’albero su cui era sotto, o probabilmente stava iniziando a piovere.
Ron muoveva velocemente il pennello sulla tela, riempendo ogni spazio vuoto, con cura ma anche molta sicurezza. In quasi un’ora, la tela era quasi finita, piena di colori ed emozioni. Intanto, qualche goccia iniziava a cadere.

Lui fece ad Alexa cenno di alzarsi e di iniziare ad andare verso alla macchina, lui sistemò tutto il materiale.
Guardò per alcuni secondi il ciliegio.

Ci veniva spesso con Roxanne, si sedevano lì sotto e lui la ritraeva sempre durante le belle giornate. Peccato che lei se andò, dopo aver saputo tutta la verità su di lui e averlo considerato ‘pazzo’.
Si accovacciò e passò sotto al groviglio di edera, dando prima un’ultima occhiata a quel luogo pieno di ricordi.
Poi prese un masso, lo spostò con fatica davanti al passaggio e lo fissò in modo permanente, incastrandolo nella terra, in modo che nessuno potesse più spostarlo.



Addio ricordi.

 
 
 
 
  
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