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Autore: elyxyz    07/03/2013    15 recensioni
Anche quella notte, Arthur dormiva con un’espressione serena, in quel letto caldo.
Il buio non gli permetteva di distinguere i contorni del suo viso con precisione…
Ma lui era lì.
E questa certezza gli scaldava l’anima, gli dava pace.
Con gli occhi della mente, Merlin accarezzò il suo nobile profilo, poi lasciò acquietare anche il proprio potere.
Poco dopo, anche la sua magia ronfava quieta, accoccolata tra lo sterno e il cuore.
(...) Merlin sospirò, riprendendo a vegliare il corpo addormentato; se ne sarebbe andato da lì prima dell’alba. Prima che lui si fosse svegliato, si ripromise. Non l’avrebbe trovato così, pensò con convinzione, finché il sonno non lo colse, traditore, per pochi attimi.
Ma era così confortante lasciarsi cullare dal respiro del suo signore
Spoiler! Post 5x13 – “The Diamond of the Day (2)” Lieve angst+lieto fine.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'A new life - Merlin post!5x13'
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Vegliandoti

Ennesima giornata sfinente e incasinata, ma eccomi qui a condividere qualcosa, con la speranza che possa essere di vostro gradimento. ^^

 

Questa è la terza storia, di quelle famose bozze scritte sull’onda delle emozioni post-finale, rimasta ad ammuffire nel pc da dicembre.

Ad essere completamente onesta, però, l’idea di base è una mia original scritta (credo) nel 2003 e mai postata. Avendo capito che potrebbe essere esattamente ciò che sente ora Merlin, ho deciso di tramutarla in una merthur.

Fa anch’essa parte della serie “A new life - Merlin post!5x13

 

Spoiler! Post 5x13 “The Diamond of the Day (2)”.

Lieve angst, con lieto fine.

 

 

Storia dedicata ai miei preziosi, pazzi lettori, che mi seguono in ogni follia (detto con tanto amoreh!)
E agli amanti del merthur, ovviamente.

 

 

<>O<>O<>

 

 

Like a child

 

(Vegliandoti)

 

 

 

Un rumore sconosciuto lo districò dalle trame del suo sonno.

Nel buio della notte, ad occhi ancora chiusi, Merlin ingoiò il respiro e allungò una mano sul materasso, alla sua destra.

Non era la sua brandina a Camelot.

Non era il lettuccio della capanna sul lago.

Era il letto nuovo. Nella casa nuova.

 

Dio. Non era un sogno.

Non era stato tutto un sogno.

 

Quante volte succederà ancora?, pensò, avvolgendosi un leggero plaid sulle spalle, uscendo in silenzio dalla propria stanza.

 

Felix sollevò il musetto nella sua direzione, quando lo sentì vicino.

Lui sorrise, regalandogli una carezza e borbottandogli di riprendere a dormire.

L’animale fece le fusa, in risposta, riacciambellandosi su se stesso.

 

Merlin andò in cucina, camminando scalzo sul lucido parquet, prese un bicchiere d’acqua, senza realmente averne bisogno, e si diresse alla finestra: Londra ancora dormiva, in quel principio d’autunno.

 

Distolse gli occhi dal paesaggio assopito, intrappolato ancora in quel sogno fin troppo reale.

E sempre senza far rumore, socchiuse la porta della camera in fondo al corridoio.

 

S’accoccolò sulla poltrona ai piedi del letto, coprendosi con la coperta, con calma.

Raccolse le ginocchia al petto e vi posò sopra il mento, accomodandosi stanco.

 

L’unico rumore, in quella quiete assoluta: un leggero respiro.

 

~

 

Nel corso della propria esistenza – perché, chiamarla semplicemente vita, sarebbe stato riduttivo –, Merlin aveva paragonato spesso Arthur ad un bambino.

Un bambino viziato, anzitutto.

Un bambino prepotente, per ogni volta – delle infinite volte – in cui aveva battuto i piedi e aveva preteso le cose a modo suo, spuntandola.

Aveva visto in lui un bambino, nella sua ostinata convinzione di credere nella gente, nel tirar fuori da essa il meglio che poteva esserci nascosto.

In quell’ingenuità tipica dell’infanzia – dei cuori buoni, dei cuori puri – che forse era stata la sua rovina.

Come i bambini, Arthur si infilava le maglie a rovescio e non sapeva neppure pettinarsi decentemente da solo.

Come i bambini, Arthur si buttava anima e corpo in tutto, senza risparmiarsi mai. Senza conservare un’oncia di energia.

Come i bambini, credeva nell’amicizia più sincera, nel più sacro dei legami. Arthur era stato disposto a morire per i suoi uomini, per ciascuno di loro. E in cambio aveva ricevuto autentica devozione.

 

Anche adesso, Arthur sembrava ancora un bambino, quando – con occhi sgranati e bocca spalancata – imparava le cose di quel nuovo mondo così affascinante e spaventoso.

Benché il Re del Passato e del Futuro fosse grande e grosso, a volte Merlin aveva l’impulso di stringergli la mano, per rassicurarlo, per non farlo sentire sperso, per accompagnarlo passo dopo passo in quella loro nuova vita insieme.

 

Anche mentre dormiva, Arthur sembrava un bambino.

Di tanto i
n tanto, aveva il sonno agitato e passava il tempo rotolandosi tra le lenzuola senza trovare requie. Più spesso, invece, l’Asino Reale crollava, esausto, non appena la sua nobile testaccia dura toccava il cuscino.

 

E Merlin, come il buon servo che era stato, gli rimboccava le coperte, gli accarezza i capelli. Gli augurava un buon riposo.

 

Eppure questo non era abbastanza. Non gli bastava.

Da che Arthur era tornato, qualcosa in Merlin era cambiato.

 

Ogni notte, si alzava un numero imprecisato di volte, socchiudeva l’uscio e ascoltava il ronfare di Arthur.

A volte, quando Sua Maestà russava, lo faceva sorridere e gli rasserenava il cuore.

Eppure… quando non udiva nulla, egli correva al suo capezzale, e gli controllava quell’essenziale soffio di vita, come avrebbe fatto un buon padre con un figlio neonato.

 

Forse perché aveva visto Arthur morire.

Forse perché il sonno, si dice, è una piccola morte.

Ma passava notti intere a vegliarlo. Cullato dal suo respiro quieto.

 

Solo il ritmo familiare del suo signore sembrava calmare il suo cuore tormentato e dare requie al suo animo, cosicché anche lui potesse riposare.

 

~

 

Anche quella notte, Arthur dormiva con un’espressione serena, in quel letto caldo.

Il buio non gli permetteva di distinguere i contorni del suo viso con precisione…

Ma lui era lì.

E questa certezza gli scaldava l’anima, gli dava pace.

 

Con gli occhi della mente, Merlin accarezzò il suo nobile profilo, poi lasciò acquietare anche il proprio potere.

Poco dopo, anche la sua magia ronfava quieta, accoccolata tra lo sterno e il cuore.

 

Ma le sue palpebre stanche, invece, si ostinavano a non volersi chiudere – come se, facendolo, avessero potuto rompere un fragile, essenziale equilibrio e qualcosa d’imprevisto, d’irreparabile sarebbe potuto accadere.  

 

Fra mille confuse domande, quella era quasi una certezza.

 

Ma l’unica cosa che importava era Arthur.

Avere nuovamente Arthur accanto.

 

Non importava perché fosse tornato adesso. Non importava quale nuova, vitale missione li attendesse nell’immediato.

Non avevano ancora chiarito neppure cosa erano. Cosa sentivano l’uno per l’altro.

Forse non erano più solo amici, ma non erano neppure amanti.

 

Dopo averlo ripescato dal lago, Merlin si era inventato una vita. E una casa. E aveva dato una stanza ad Arthur – una tutta sua, perché non voleva affrettare i tempi – perché non era affatto un risultato scontato.

Lui aveva sempre amato il suo re… ma sarebbe mai stato ricambiato, prima o poi?

 

E il suo vecchio cuore immortale non era pronto a soffrire ancora, di nuovo. Non così presto.

 

Merlin sospirò, riprendendo a vegliare il corpo addormentato; se ne sarebbe andato da lì prima dell’alba. Prima che lui si fosse svegliato, si ripromise. Non l’avrebbe trovato così, pensò con convinzione, finché il sonno non lo colse, traditore, per pochi attimi.

 

Ma era così confortante lasciarsi cullare dal respiro del suo signore…

 

Le sue stanche membra lo pregarono di essere distese e il mago assecondò distrattamente quel desiderio, stiracchiandosi e, involontariamente, andando a colpire un oggetto indefinito dimenticato accanto al letto.

 

Fu solo un piccolo, insignificante rumore perso nel caos della notte londinese.

 

“Merlin?” ansimò il giovane Pendragon, ugualmente, i sensi in allerta – da cavaliere addestrato – mai del tutto assopiti.

 

Shhdormi, Arthur. Non è neppure l’alba”, lo blandì, maledicendo la propria goffaggine.

 

“Un altro incubo?” chiese il re, con la voce impastata dal sonno, da cui traspariva comunque una punta di preoccupazione.

 

“È tutto a posto, Arthur, torna a dormire”, ripeté il mago, cercando di essere rassicurante e persuasivo.

 

Ma lo era molto di più la coperta che si spostava di lato. E l’offerta invitante che il nobile gli stava porgendo.

 

“Ho i piedi gelati, Merlin. Cosa aspetti a renderti utile?” ordinò Sua Maestà, dandogli il pretesto per accoccolarsi accanto a lui e Merlin, da bravo servo, non poteva deludere il suo padrone…

 

 

 

- Fine -

 

 

 

 

Disclaimers: I personaggi, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro da parte mia.

 

Ringraziamenti: Alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D


Note: Solo un appunto superfluo: “La petite mort”, per i Francesi, è anche un modo per definire l’orgasmo.

Comunemente, però, il sonno è considerato il fratello piccolo della morte.

Ci sono alcune ripetizioni nel testo, ma è una cosa voluta e non una svista. ^^’’

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie): Linette 71 arriverà fra qualche giorno.

 

 

 

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Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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