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Autore: Wooghy    07/03/2013    0 recensioni
Il racconto dell'esperienza di una bambina, dallo spettro di un'infanzia allegra e spensierata, a quello buio degli abusi e soprusi subiti da piccola; un esperienza che riflette costantemente il prezioso libro della sua infanzia, "La Regina delle Bave", in cui si identifica come uno dei personaggi della storia, anche lei insieme a orchi assassini, fate bulimiche e uomini posseduti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno un uomo mi disse, che da soli non eravamo nulla, che non avevamo la possibilità di confrontarci con gli altri e di capire se ciò che facevamo era giusto.
Raccontava che finche una persona è sola accetterà se stesso e tutto quello che fa, perché è solo lui a giudicarla, ma una volta mostrata ad altri questi possono distruggere la tua opera come se niente fosse, di qualunque cosa si tratti.

Io amavo rifugiarmi nel mio mondo e stare sola… intendo dire che capivo che poteva esserci di meglio, ma l’esserlo sempre stata limitava il mio mondo al punto che a me andava bene così.
Sulla scrivania vicino al letto nella mia stanza c’erano sempre pile di libri di storie, miti e leggende, sapevo di dover continuare a sognare finché ero in tempo.

Era strano aver tante concezioni del mondo da così piccola, mi sentivo talmente più matura rispetto agli altri, sentivo cose e ne apprendevo come nessun’altro sapeva fare…. O almeno credo, in fondo ero comunque una bambina sola, che non si era mai confrontata con gli altri. Credevo di poter far tutto, cantare, suonare, disegnare… la scuola era il mio tallone d’Achille. Prendevo almeno una nota a settimana, mio Dio quanto mi terrorizzavano le mie maestre, ero fortemente convinta che venissero dall’Inferno, il che converge con la mia affermazione di prima nel dire di essere più intelligente degli altri, ma la speranza è pur sempre l’ultima a morire.
A proposito dell’Inferno, immaginavo così anche la mia famiglia, specialmente quando mi sgridavano, mi immaginavo rinchiudersi in una stanza e mutarsi nelle loro vere sembianze di demoni rossi che sparlavano di me e mi prendevano in giro… già, i miei genitori e mio fratello non mi avevano fatto una gran che impressione, dopo tutto ero ancora piccola, avremmo dovuto conoscerci meglio, perché essere tanto crudeli con una bambina.

Spesso e volentieri mi toglievano i libri e mi trascinavano fuori a giocare con gli altri bambini, o mi abbandonavano sola in balia di me stessa davanti alla TV; “Dovrai pur avere un argomento di conversazione con i tuoi amici Anna” sosteneva sempre mia madre, ma io stavo molto più in compagnia con quelle pagine profumate e ruvide che con molti altri.
In effetti, la mia migliore amica era il personaggio di una storia, “La regina delle Bave”, scattavo foto alle pagine illustrate con la vecchia macchina digitale di mio padre, una delle prime, che non si accendeva quasi mai, in questo modo avrei potuto dire ai miei di avere un’amica e mostrargli le foto se non ci avessero creduto, che stupida, iniziai a farlo anche alla televisione.
Non ricordo di avergli mai mostrato foto o se avessero detto qualcosa in proposito, e non intendo saperlo, alla fine era più importante per me stessa credere di avere un’amica che per la questione dei miei genitori.

Da piccina amavo anche suonare il pianoforte, la sensazione di poter controllare una meravigliosa melodia con le mie sole dita mi trasmetteva una sensazione inebriante, e sapere poi che quella cosa usciva da me e da dei semplici tasti bianchi e neri che producevano suoni ad ogni mia mossa, era da un certo punto di vista accattivante, avrei potuto fare di tutto; ma i miei mi tolsero anche il piacere degli strumenti quando iniziarono a portarmi a lezioni private… maturai il concetto che se una cosa ti costringono a farla, perde tutto il suo meraviglioso sapore, alla fine l’uomo desidera la libertà, come un adolescente che inizia ad assaporarne e ne vuole sempre di più.
Persi quindi anche la voglia di pigiare quei bellissimi tasti lucidi, al punto che mia madre mi costringeva ogni sera a fare almeno mezz’ora di prove; mi sarebbe dovuta stare così vicina anche nello studio. Ricordo che una volta, a costo di non suonare, mi chiusi in bagno fingendo un attacco di diarrea e dei penosi muggiti che si sentivano in tutta casa. Abitando in un condominio non potevo suonare dopo una certa ora, e dopo che questa passò, uscii, vedendo la mamma che in quel momento passò di li e mi fulminò con uno sguardo.
Rido ancora all’idea di mio fratello che mi raggiunse dicendomi che i miei versi arrivarono fino a camera sua, e io, che non avevo neppure il coraggio di dirgli che quella sera non avevo semplicemente voglia di provare al piano.

Per mio padre invece avevo un amore sconsiderato, mi hanno sempre raccontato che appena nata la sua presenza era l’unica cosa a farmi smettere di piangere, e gli feci perdere il lavoro costringendolo a restare a casa a calmarmi e consolarmi…
Lui faceva il pittore, beh, almeno da ragazzo. Restaurò anche degli affreschi in basiliche su in Romania. Aveva un animo così profondo e sensibile, che in certi momenti mi sembrava di poterlo sfiorare, quello spirito.
Anche lui amava me, investì talmente tante energie nelle potenzialità di mio fratello, che quando decise di abbandonare il conservatorio, la poesia e ad un certo punto anche la scuola, per lui fu un colpo al cuore. Sì, mio fratello sì che era speciale: intelligentissimo, suonava il violino e il pianoforte al conservatorio, e pubblicò una raccolta di poesie a 10 o 11 anni… non ricordo neanch’io. Pure per lui come per me la scuola era davvero una delle uniche cose in cui non riusciva, la considerava una cosa superflua, e bocciò 3 volte; arrivò in 5° superiore che io facevo la 1° della stessa scuola, e avevamo 7 anni di differenza.
Insomma Daniel, considerato la futura promessa della scrittura in questo paese, smise, probabilmente con la mente annebbiata da alcol e droghe, lasciando a me il fardello della responsabilità di non deludere nostro padre, come un corridore che passa il testimone al compagno di squadra; non era quello il modo di trattare la speranza che nutriva papà in noi e nel nostro futuro.
Ora anche questo peso gravava sulle mie piccole e magre spalle, troppo deboli per sopportare tutte quelle responsabilità.

La sola cosa che alleviava le mie pene, tra campionati di scacchi, concerti di pianoforte, serate al coro con mia madre a quant’altro, la mia infanzia si riduceva a leggere libri di orchi assassini, fate bulimiche e uomini posseduti, come nella Regina delle Bave. Forse fu semplicemente quel libro a rendere la mia gioventù così fuori dal normale, ma cos’è alla fine la normalità se non il riflesso della società? Io non avevo alcuna società a cui fare riferimento, se non lo spettro surreale di quello che vedevo nei telegiornali… stesse storie del mio libro, ma molto meno interessanti senza quelle piante carnivore, le scarpette gialle che ti permettevano di volare o il mago della terra delle Bave.
  
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