Bonjour
a tout le monde!
Sono
tornata, contenti?
Be',
spero davvero di sì.
In
ogni caso, due piccole note prima di iniziare il capitolo. Per quello
che concerne il sacro Graal, mi sono ispirata al film
“Indiana
Jones e l'ultima crociata”.
Tutto
ciò che è scritto sulla coppa da qui in avanti
è tratto dal film e
da Wikipedia, con giusto qualche variazione da parte della mia
fantasia.
Chi
ha visto il film sa di cosa parlo, ma era giusto che tutti sapessero
che mi sono ispirata a fonti esterne.
Detto
questo, vi lascio alla storia
Eyes on the prize
Quasi
tutto il segreto delle anime grandi si
racchiude
in questa parola: perseverando.
Victor
Hugo
Una
settimana, cioè sette giorni, centosessantotto ore,
diecimilaottanta
minuti e seicentoquattro mila ottocento secondi – che poi,
lei non
li aveva certo contati a
uno a uno!- dopo la litigata al Grill, lei e Stefan ancora non si
parlavano e Julya sapeva che non era una di quelle volte in cui tutto
si risolveva con un bel bicchiere di whisky e tanti cari saluti.
A
dire la verità, neanche lei voleva che fosse così
facile. Le andava
bene essere accusata, disprezzata e ancora accusata, ma c'era un
limite a tutto e la sua pazienza non era infinita, anche se qualcuno
avrebbe potuto dire che lo fosse, visto che inseguiva lo stesso
obiettivo da quasi cento secoli.
Il
fatto era che con i reperti storici era più facile; le
persone,
invece, creavano un sacco di problemi: soffrivano, provavano
sentimenti e reagivano di conseguenza, spesso fraintendevano le
azioni altrui e non era sempre facile rimediare.
Insomma,
c'erano una serie di variabili che rendevano più difficile
perseverare.
E
Julya... be', lei non era brava a correggere i propri errori, troppo
orgogliosa per accettare di averne fatti. Anche
ora che Stefan la odiava, non riusciva a non provare rancore verso di
lui che, insomma!, era così cieco da non vedere la sua bugia
per ciò
che era.
E
non aveva nessun diritto di essere in collera con lui perché
razionalmente lei aveva torto, ma era un vampiro e, anche se oramai
non era più una novellina, le sue emozioni erano comunque
molto più
intense di quanto un essere umano potesse immaginare e gestire.
Comunque,
ciò che provava per Stefan non aveva alcuna importanza, non
in quel
momento. Così decise di dedicarsi al proprio lavoro.
Tirò
fuori un fascicolo pieno di documenti, appunti e fotografie e ne
estrasse alcune che ritraevano una tavola di arenaria che aveva
stimato risalire al XII secolo.
La
tavoletta aveva una storia travagliata e per trovarla Julya ci aveva
messo secoli. Aveva spremuto tutto il suo ingegno e tutta la sua non
trascurabile conoscenza della storia per trovare un manufatto,
qualcosa da cui partire.
Alla
fine, l'aveva scovata per caso in uno scavo in Turchia mentre fingeva
di essere una studentessa in vacanze e curiosava tra i reperti di
notte, quando nessuno poteva vederla.
Lei
era lì, semi-distrutta e incompleta, ma non era stato
possibilità
per Julya fraintendere ciò che c'era scritto.
Era
latino, non ci era voluto nulla per tradurlo: “dove
la coppa che contiene il Sangue di Gesù Cristo risiede per
sempre”
erano
le esatte parole che l'avevano fatta sobbalzare.
Se
fosse stata ancora viva, il suo cuore sarebbe partito al galoppo per
la scoperta. Avrebbe potuto rubarla, ma aveva preferito scattare foto
su foto e lasciare Ankara il giorno successivo.
Era
talmente elettrizzata!
Non
aveva ancora letto tutta l'iscrizione perciò si
apprestò a farlo in
quel momento.
Le
bastò leggere per intero ciò che aveva trovato
per capire di essere
a un punto morto. La tavoletta le confermava l'esistenza di un Graal
da cercare, ma a parte questo non diceva nulla.
Gole,
deserti, montagne, vallate... le venivano in mente migliaia, se non
milioni, di posti che potevano corrispondere a quella descrizione e
mancava più di metà della tavoletta.
Era
a un punto morto e trovare la tavoletta non era servito a niente.
Aveva sperato che fosse un gioco facile e dopo tanti anni non si
sarebbe arrabbiata se avesse trovato un'indicazione più
esplicita,
una cosa come “per
il sacro Graal da quella parte” o
“seconda stella
a destra e poi dritto fino al mattino”.
Invece
no: si trovava ancora
a
giocare alla caccia al tesoro e il colmo era che lei non aveva
neanche una cartina del posto in cui scavare.
Ebbe
un momento di abbattimento.
Se
davvero non aveva in mano altra che aria fritta, allora anche il suo
viaggio fino a Mystic Falls era stato una perdita di tempo.
Tutta
la tristezza, la rabbia e il dolore non erano serviti a nulla
più
che riaprire vecchie ferite.
Dovette
sopprimere il ringhio che le era salito alle labbra e la tentazione
di rompere qualcosa, come se mandare in frantumi un vaso o un mobile
potesse permettere a lei di tenere insieme tutti i pezzi.
Alla
fine chiuse gli occhi e strinse i pugni così forte da
ferirsi. Poi
si alzò e uscì dalla stanza a passo di marcia,
incurante del sangue
che le macchiava le unghie e i polpastrelli: sarebbe guarita da sola,
cosa le importava di cosa avrebbe pensato la gente vedendo il
sangue?
Incrociò Stefan. Lui stava salendo le scale proprio
mentre lei aveva messo il piede sul primo gradino e le
scoccò
un'occhiata di scherno quando vide i pugni serrati e sentì
l'odore
del sangue.
“Come
procedono i tuoi studi?”
Julya
assottigliò lo sguardo, indecisa se accettare anche quella
stoccata
o reagire. Francamente, credeva di aver sopportato fin troppo e non
era da lei subire passivamente, qualunque errore dovesse scontare.
Insomma,
aveva fatto cose ben peggiori
che
lasciare Stefan e mai aveva permesso a qualcuno di trattarla in quel
modo.
Ma
lui era Stefan e, per quanto si impegnasse, non riusciva a vedere in
lui che l'amico di un tempo.
Alla
fine, optò per la via diplomatica.
“Procedono”
proclamò con voce stentorea.
“Immagino
che sia per questo che sei così arrabbiata”
“Attento”
sibilò facendo un passo avanti e avvicinandosi
“non sono
esattamente dell'umore adatto a farmi prendere in giro”
Stefan
rise e si chinò su di lei per sussurrarle all'orecchio.
Sembrava un
momento così intimo, così dolce che Julya
sperò che potesse
perdonarla ed essere di nuovo suo amico, proprio quando aveva
più
bisogno di conforto.
Niente
nella sua vita stava andando come lo aveva programmato e, sotto
l'aria da dura, sentiva di andare alla deriva.
“Sei
patetica. Sono contento che le tue ricerche non procedano come
speravi”
Julya
sentì una marea di sensazioni contrastanti. Il cuore le
balzò in
gola e poi sprofondò sotto i piedi con un sussulto,
boccheggiò e
impallidì.
Poi
ringhiò, ma Stefan non sembrò per niente
impressionato. Sembrava
piuttosto divertito
e
Julya si chiese dove diavolo fosse finito il suo amico.
Perché, poco
ma sicuro, lui non lo era.
Tremò
da capo a piedi per la rabbia, la delusione, la frustrazione e tutte
quelle sensazioni che la facevano soffocare, annaspando alla ricerca
di aria come se stesse annegando.
Fu
sul punto di dire qualcosa, ma la voce la tradì e non le
restò
altro da fare che schiaffeggiarlo con tutta la forza che aveva.
“Nonostante
tutti i tuoi tentativi” annunciò con voce tremula
“non riuscirai
a tenermi lontana e io non mi arrenderò”
Stefan
non si aspettava le sue parole né lo schiaffo;
barcollò, ma Julya
non vide quale fu la reazione successiva perché era
già scivolata
giù dalle scale ed era uscita di casa sbattendo la porta.
*
“E
poi se n'è andata”
Stefan
finì di raccontare e si accasciò sullo schienale
del letto di
Elena. Non avrebbe voluto parlarne, ma lei aveva visto che era
turbato da qualcosa e lo aveva sommerso di domande fino a quando,
stremato, non aveva iniziato a raccontare.
Julya
si stava rivelando più problematica di quel che avesse
pensato. In
quella settimana era rimasta per lo più nella sua stanza e
non aveva
disturbato, questo era vero, ma Stefan sentiva la sua presenza in
ogni momento della giornata.
Sentiva
il suo respiro al piano di sopra, il fruscio delle pagine che
sfogliava con tanta ostinazione di continuo e gli veniva spontaneo
immaginare la sua espressione in quel momento.
Immaginava
fosse un mix di disappunto e rabbia silenziosa, con le labbra serrate
e un sopracciglio inarcato a riprova della sua insoddisfazione.
“E
tu non pensi di esserti un po' meritato quello schiaffo?” gli
domandò Elena esitante.
Si
era detta che sarebbe stata dalla parte di Stefan in quella
questione, perché lui era il suo ragazzo e lei una perfetta
estranea, ma provava dispiacere per Julya, immaginando il muro di
silenzio e rancore con cui doveva trovarsi a combattere ogni giorni a
casa Salvatore.
Certo,
aveva sbagliato, ma non meritava per questo di essere perdonata?
Segretamente,
era stupita dal comportamento di Stefan. Lui non era un santo, aveva
commesso molti errori e ne aveva visti commettere agli altri.
Nonostante
ciò, aveva trovato la forza di perdonarli o, comunque, di
iniziare a
farlo. Damon era un ottimo esempio.
Loro
si erano uccisi a vicenda, la questione era molto delicata, ma vedeva
i passi avanti che facevano l'uno in direzione dell'altro sulla via
del perdono.
Ci
sarebbe voluto ancora del tempo per riuscire a passare oltre a un
gesto così grave, ma era sicura che il tempo avrebbe sanato
del
tutto le ferite del passato.
Dunque,
perché Stefan non riusciva a perdonare un gesto
così blando al
confronto come quello di Julya?
A
volte si chiedeva se non ci fosse di più di quel che Stefan
le aveva
raccontato.
Rimasero
un po' in silenzio, fino a quando Stefan non le fece cenno di andare
a sistemarsi tra le sue braccia ed Elena lo fece.
Quando
Stefan la strinse a sé, si accorse che nonostante tutto le
preoccupazioni non erano scomparse.
Continuava
a pensare a Julya, allo schiaffo, a ciò che aveva visto nei
suoi
occhi e a chiedersi cosa fare con lei.
Ma
non era il momento, non ora che Elena era tra le sue braccia e lui
avrebbe dovuto pensare solo a lei.
Eppure
l'immagine di Julya lo tormentava e forse, dopotutto, lo schiaffo se
lo era meritato davvero.
La
voce di Elena interruppe i suoi pensieri.
“Come
vi siete conosciuti?”
“E'
una lunga storia” ammise con un sorriso nostalgico
“c'era un
locale a Philadelphia e lei cantava mentre io ero in pista
e...”
“Tu
ballavi?”
“Più
o meno”
Stefan
rise ed Elena si tirò su, guardandolo con gli occhi scuri
ridenti
“Voglio sapere tutto. Tu che balli senza essere obbligato...
questa
sì che è una scoperta!”
Rise
anche lei e Stefan le fu grato per aver alleggerito l'atmosfera.
Passarono il pomeriggio così, Elena a ridere e Stefan
raccontando il
proprio passato.
*
Non
sapeva neanche lei come avesse fatto a trovare quel locale
così
carino, ma era contenta di averlo fatto.
Era
piuttosto isolato, in una via secondaria, e lei ci era entrata per
caso mentre vagava senza una meta.
Aveva
sperato di trovare una libreria: i libri la calmavano sempre quando
sentiva di essere un groviglio indistinto di sensazioni e non
riusciva a capire da dove iniziare per mettere ordine.
Invece
aveva scovato quella piccola caffetteria che si era rivelata una
cioccolateria e una pasticceria.
E
be', lei aveva un debole per il cioccolato e per i dolci,
così si
era accomodata a un tavolino di legno chiaro in un angolo e aveva
ordinato.
Anche
se come vampira non aveva bisogno di cibo, lei si era aggrappato con
forza al suo lato umano. Non aveva mai pensato di spegnere i
sentimenti, anche se forse sarebbe stato molto più semplice,
né
aveva mai abbandonato le abitudini che aveva quando era ancora viva e
il cuore le pulsava nel petto.
Forse
sarebbe stato tutto più facile se avesse dimenticato
ciò che era
stata un tempo, glielo avevano detto in molti, ma lei non li aveva
ascoltati.
Smettere
di aggrapparsi a ciò che le restava della propria
umanità avrebbe
voluto dire privarsi anche di momenti come quello, rari sprazzi di
serenità che le ricordavano che lei non era solo un abominio
della
natura.
Aprì
un libro e si portò la tazza di cioccolata alla bocca,
sospirando
poi di piacere. Era tutto ovattato, anche la canzone che usciva dalla
radio vintage sulla mensola dall'altro lato della stanza. Persino la
musica era vintage in quel posto.
Si
immerse nella lettura e Hemingway la cullò con le sue
parole. Aveva
un modo di scrivere travolgente, asciutto, conciso, ironico, ma non
avrebbe potuto essere altrimenti visto che Hemingway era stato un
uomo spavaldo e malinconico, a volte un po' spaccone.
“Addio
alle armi?
Davvero?”
La
voce di Caroline Forbes la riportò con i piedi per terra e
riemerse
da quel mix di lettura e ricordo mentre la vampira si sedeva di
fronte a lei.
“Già.
E' un bel libro e Hemingway era un uomo affascinante”
“Lo
hai conosciuto?”
Caroline
era così genuinamente sorpresa che Julya rise. Poi si chiese
se
fosse mai stata così piena di luce: la invidiava per quello.
Sembrava
accettare la realtà così com'era, buttandosela
alle spalle con un
sorriso ottimista... era mai stata così lei?
Non
credeva.
"Sì,
prima che cominciasse a scrivere tutti quei meravigliosi
libri”
“Devi
aver avuto una vita davvero eccitante”
“Non
è stata male” le concesse chiudendo il libro e
sorridendole.
Caroline le piaceva, non solo per quell'ottimismo innato che sembrava
renderla impermeabile a ogni tentativo di distruggerla. Lei era luce
pura, bianca, accecante.
E
Julya, che non era mai stata luce ma neanche tenebra, ne era
affascinata e non capiva come l'altra potesse trovare qualcosa di
ammaliante in lei.
“A
dire la verità” continuò
“è stata più di questo. E' stata
bella.
Sono nata nel 1872, a San Pietroburgo, ma quando sono stata
trasformata ero al Cairo e avevo diciotto anni”
“E
cosa ci facevi in Egitto?”
Julya
sorrise della curiosità di Caroline e continuò
con la propria
storia. Era così tanto tempo che non la raccontava e le
faceva uno
strano effetto risentirla.
“Ero
l'assistente di un intellettuale, una sorta di archeologo. Vedi, dopo
la traduzione della stele di Rosetta, l'egittologia era diventata
materia di enorme interesse e non sai quanti studiosi di storia
antica scelsero di unirsi agli scavi.
L'Europa
era in fermento: Bismark con la sua Germania era l'ago della
bilancia, ma era la belle époque e la
vita nelle capitali
europee era brillante, c'era speranza ovunque, fiducia nel progresso
e l'arte conobbe un periodo di enorme splendore in molti campi.
C'erano
scavi in tantissimi luoghi del Egitto. Il mio maestro, Gregory
Lewitt, era appassionato di antichità e un esperto di
civiltà
egizia: una rarità in un impero arretrato come la
Russia” si
interruppe un momento, ricordando il volto grassoccio di Gregory e il
suo sorriso allegro, il naso arrossato per qualche bicchierino di
vodka di troppo e lo sguardo penetrante, ma bonario.
Quando
era piccola pensava che lui fosse Babbo Natale e non solo
perché
arrivava puntuale la mattina del sette gennaio (*) per portare
qualche piccolo dono a tutti i contadini del suo latifondo.
“D'altronde,
lui era un inglese. Aveva ereditato la proprietà da sua
madre o
qualcosa del genere: alcuni dettagli della mia vita passata sono un
po' sfuocati. Comunque, aveva un modo di trattare coloro che
lavoravano alle sue dipendenze che lasciava intendere che non fosse
russo. Era gentile, soprattutto con noi bambini e aveva aperto per
noi una scuola dove potessimo ricevere un'educazione rudimentale. Non
so bene perché scelse di essere il mio
istruttore
privato, non
so cosa vide in me, ma mi prese sotto la sua ala e mi
insegnò tutto
ciò che sapeva. Poi, a diciotto anni, mi chiese di seguirlo
in
Egitto. Sono morta lì, per una febbre”
“E
poi cosa hai fatto?”
“Ho
viaggiato. Mi ci è voluto un po' prima di riuscire a
controllarmi
del tutto, ma alla fine ce l'ho fatta. Nel frattempo, ho visitato
l'Europa e ho conosciuto personaggi di cui tu hai letto solo nei
libri di storia. Ho conosciuto Lev Tolstoj e ho letto il manoscritto
di Guerra e Pace quando era ancora solo una bozza,
ho visto la
costruzione della Torre Eiffel, ho ascoltato Emily Dickinson leggere
le sue poesie e ho assistito alla prima esposizione di un sacco di
quadri di Monet, Degas e quanti altri”
“Hai
conosciuto Emily Dickinson?”
La
voce di Caroline e il sussulto con cui si era avvicinata le fecero
capire che doveva essere una fan della grande poetessa che anche lei
aveva tanto apprezzato. Annuì e sorrise.
“E
quando hai conosciuto Stefan?”
Quella
era una nota dolente.
Julya
non era sicura di volerne parlare, ma ricordava quella notte e la
faceva sempre sorridere, a volte con nostalgia.
Caroline
se ne rese conto.
“Scusa,
non dovevo chiedertelo”
“No,
non preoccuparti. E' solo che dopo gli avvenimenti recenti mi chiedo
se torneremo mai a essere le due persone che eravamo una
volta”
Caroline
si fece seria in volto e avvicinò la sedia a lei.
“Sai,
forse dovresti parlarne con qualcuno. Quando è stata
l'ultima volta
che ti sei confidata con qualcuno?
“Uhm,
era il 1910 e me n'ero andata da poco da New Orleans. Ero ubriaca e
credo di aver parlato con un venditore di tappeti, a Nairobi”
Caroline
scoppiò a ridere e alla fine Julya la imitò
“In effetti” ammise
tra una risata e l'altra “ho questo vago ricordo e credo che
alla
fine mi abbia anche convinta a comprarlo, uno dei suoi
tappeti”
Allora
risero di più e fino ad avere le lacrime agli occhi, poi
ripresero a
parlare e lentamente il discorso si fece sempre più
personale.
Julya
aveva avuto delle amiche, ma non aveva mai approfondito nessun
legame, un po' perché troppo impegnata a studiare -quando
era umana,
per avere un futuro migliore di quello che le sarebbe spettato se
fosse rimasta a San Pietroburgo- un po' perché troppo presa
dalla
propria ricerca – dopo, quando era stata trasformata.
Perciò
era una sensazione insolita quella che provava in quel momento, con
Caroline. Si sentiva libera, compresa e accettata per quello che
era, importante.
“Che
cosa stai cercando così disperatamente, Julya?” le
chiese a
tradimento. Non si aspettava una domanda così diretta, ma
avrebbe
risposto.
Probabilmente
le sue ricerche si sarebbero bloccate a quel punto morto,
perciò
cosa aveva da nascondere? Foto di una tavoletta e fogli pieni di
favole della buonanotte?
“Sai
cos'è il sacro Graal, Caroline?”
La
ragazza scosse la testa e Julya continuò la sua spiegazione
“E',
secondo la leggenda, la coppa in cui venne versato il sangue di
Cristo. Ha poteri enormi, tra cui anche quello di riportare in vita i
morti. E questo che cerco”
“Ma
se è una leggenda cosa ti fa credere che esista?”
“Anche
i vampiri sono leggende, in teoria, ma io non mi sento molto
leggendaria, non so tu”
“Ma
perché ha tanto valore per te?”
Le
sorrise appena, misteriosa ed enigmatica “Questo è
un segreto,
Care. Ma oramai sono a un punto morto e, detto sinceramente, non so
più dove andare a sbattere la testa”
“Qual
è il problema? Posso aiutarti?”
“Be',
a meno che tu non abbia a disposizione qualcuno che sia su questa
terra da almeno un migliaio di anni e possa darmi alcune
informazioni, non credo che tu possa fare molto”
Poi
accadde qualcosa che non si era aspettata. L'espressione di Caroline
fu attraversata da un lampo di comprensione e mutò fino a
diventare
radiosa.
“Oggi
è la tua giornata fortunata”
*
Mezz'ora
e tante chiacchiere dopo erano davanti alla porta di una bella villa
che, a occhio e croce, risaliva ai primi anni dell'ottocento.
Una
bella casa in stile coloniale che rivelò un arredo sapiente
ed
elegante all'interno: fu una bella sorpresa perché i colori
si
sposavano alla perfezione l'uno con l'altro e decorazioni e ambiente
erano chiaramente frutto di un occhio esperto.
“Ora
mi puoi spiegare dove siamo e cosa stiamo facendo qui?”
Julya
era, come lei, una vera e propria maniaca del controllo e non
sopportava di non sapere di non avere in mano la situazione, anche se
a guidarla era Caroline e di lei si fidava.
“Sappi
solo che sto facendo un enorme sacrificio a portarti qui: non sono
contenta neanche io, ma Klaus è un originale e potrebbe
avere le
risposte che cerchi”
“Aspetta,
Klaus Mikaelson?”
Caroline
annuì e suonò il campanello senza far caso al
volto di Julya. Una
mezza dozzina di sensazioni diverse fecero capolino per poi
scomparire nell'arco di un millesimo di secondo, tanto che mezzo
minuto dopo il suo volto era di nuovo una maschera indecifrabile.
Venne
ad aprire proprio Klaus e Julya si chiese se l'avrebbe riconosciuta:
dopotutto, erano passati tanti anni.
Lo
sguardo di Klaus si concentrò solo su Caroline e
sembrò escludere
tutto il resto anche quando le fece entrare.
Con
sollievo si accorse che Caroline gli piaceva: Klaus
non faceva
mai favori a qualcuno per nulla, ma forse se glielo avesse chiesto
lei, Julya avrebbe ottenuto ciò che voleva.
A
dire il vero, si sentiva un'approfittatrice a pensare di agire il
quel modo, tuttavia non vedeva altre vie d'uscita dalla situazione
ingarbugliata in cui si era ritrovata.
Prese
il coraggio a due mani – per un attimo si sentì
come una bambina
che ha combinato una marachella e teme di essere sgridata- poi si
disse che non aveva affrontato una rivoluzione e due guerre mondiali
per indietreggiare di fronte a Klaus.
“Ciao
Klaus, ti ricordi di me?”
Si
impresse sul viso un sorriso pieno di supponenza; lui le sorrise e
Julya seppe che sì, non l'aveva dimenticata.
“Certo.
Julya, una delle vampire create da Kol”
“Già,
quella che era presente la volta in cui gli hai infilato un pugnale nel
cuore” gli fece presente con voce pacata, come se il ricordo
di
quella violenza non le facesse venire i brividi ogni volta che ci
pensava.
Ricordava
con nostalgia Kol: lui l'aveva trasformata e si era preso cura di lei
quando si era risvegliata.
La
guardava sempre con un sorriso e gli occhi languidi di passione e
sentimento. Non aveva dimenticato come la stringeva a sé e i
suoi
baci... oh, i suoi baci erano afrodisiaci almeno tanto quanto il suo
sangue.
Avevano
vissuto insieme per quasi vent'anni prima che Klaus lo pugnalasse.
O
meglio, avrebbe voluto ricordarlo, ma la verità era che non
aveva
mai osato pensare a lui da quando Klaus glielo aveva portato via
perché ogni volta che ci provava si sentiva straziata e con
un
enorme buco nel petto.
Per
un po' aveva preferito credere di aver scambiato la gratitudine per
amore, ma sapeva che aveva solo tentato di ingannare se stessa per
non ammettere che Kol era stato davvero il suo primo amore e che le
mancava da morire ogni giorno, anche quando non pensava a lui. Una
perdita non può essere cancellata dal cuore e lei non era
andata
oltre.
In
fondo, poteva anche essere diventata una vampira, ma restava sempre
quella ragazza piena di speranza che non riusciva a dire addio e, in
profondità, che mai si era rassegnata, che lo aspettava
ancora.
Comunque
non doveva permettere a quel ricordo, per quanto doloroso, di
influenzarla in quella delicata conversazione.
“A
cosa devo questa piacevolissima visita?” domandò
mentre faceva
loro cenno di accomodarsi.
“Ho
bisogno un favore”
“Dritta
al punto: mi piace. Sentiamo, di cosa si tratta?”
“In
realtà, di niente di più che una spiegazione. O
notizie, chiamale
come vuoi”
“Su
cosa?”
“Ecco,
questa è la parte strana. Sono alla ricerca del sacro Graal.
E sì,
lo so che si pensa che sia un oggetto leggendario, ma possiamo
saltare tutta quella parte e passare alle domande?”
Klaus
non fece domande, si sistemò meglio sul divano e le fece
cenno di
continuare.
“La
settimana scorsa, ad Ankara, ho trovato una tavoletta in cui viene
descritto con dovizia di particolari il luogo dove riposa il santo
Graal. Purtroppo, la tavola è incompleta e ne manca
più di metà,
il che la rende praticamente inutile per il mio scopo. Si parla di
gole, vallate, deserti, ma è tutto molto vago”
Klaus
annuì e si sporse verso di lei “Capisco il punto.
Forse posso
aiutarti. Lascia che ti racconti una favola della buonanotte”
Si
alzò e andò verso una grande cassaforte. Quando
tornò a sedersi,
aveva con sé un libro dall'aria molto antica che
posò con cura sul
tavolo.
L'occhio
esperto di Julya stimò che doveva essere più o
meno coevo alla
tavoletta. Lo aprì e ne lesse le scritte in francese antico
mentre
Klaus continuava la sua storia.
“Ho
sentito questa storia durante uno dei miei viaggi in Oriente: negli
anni delle crociate giravano molti racconti di cavalieri che
avrebbero trovato il vero calice di Cristo. Erano tutte fandonie,
chiaramente, ma una di queste mi colpì. Il Graal, dopo
essere stato
affidato a Giuseppe di Arimatea, scomparve e non se ne seppe
più
nulla per un migliaio di anni, fino a quando non venne ritrovato da
tre cavalieri della prima crociata, tre fratelli”
Julya
annuì “La conosco” ammise “la
leggenda dice che due di questi
tre fratelli attraversarono il deserto diretti in Francia, ma solo
uno di questi la raggiunse. E si suppone che abbia raccontato la sua
storia a un frate francescano prima di morire di vecchiaia”
La
voce le tremò nel pronunciare le ultime parole e
abbassò di scatto
lo sguardo sul libro. Poi guardò di nuovo Klaus con tanto
d'occhi e
un'espressione di genuina sorpresa sul viso.
“Non
si suppone” la corresse l'ibrido “quello
è il racconto che il
frate francescano trascrisse in cui narra la vita del
cavaliere”
“E
rivela il luogo in cui si trova il Graal?”
Accarezzò
le pagine con dolcezza, guardandole con desiderio e speranze, come se
all'improvviso dovessero prendere vita e raccontarle tutto
ciò che
custodivano da tanti secoli. Non credeva che un giorno avrebbe mai
potuto toccare con mano quel libro -che per lei era sempre stato
inarrivabile- ma poterne sfiorare le pagine la faceva sentire un
passo più vicina al Graal, allo scopo di una vita intera.
Le
tremavano le dita per l'emozione e se avesse avuto ancora un cuore
vivo probabilmente avrebbe iniziato a battere furiosamente nel petto,
poteva quasi sentirlo.
“Non
lo so” ammise Klaus “Non l'ho mai letto con
attenzione. Suppongo
che possa farlo tu”
“Dov'è
la fregatura?”
Se
c'era una cosa che aveva imparato era proprio che nessuno faceva mai
niente per niente, figuriamoci Klaus: doveva solo sperare che non
fosse un prezzo troppo alto da pagare.
Si
sporse verso di lei, un mezzo sorriso a incurvargli le labbra piene.
“Consideralo
un pagamento anticipato”
“Per
cosa?”
“Se
prenderai quel libro, sarai in debito con me” la
avvisò, ma Julya
non lo ascoltava più. Non le importava il prezzo che avrebbe
pagato:
dannazione, avrebbe venduto la sua anima se fosse servito a portarla
al Graal perciò qualunque cosa le chiedesse non avrebbe
fatto alcune
differenza.
Prese
il libro con delicatezza e strinse al petto poi, sotto lo sguardo
preoccupato di Caroline, strinse la mano a Klaus.
Per
lei non valevano contratti scritti o firme: era una donna d'altri
tempi e una stretta di mano valeva più di qualunque altra
cosa.
Si
alzarono e Klaus le accompagnò alla porta. Con la coda
dell'occhio,
Julya vide che lo sguardo di Klaus era solo per Caroline e
accennò a
un mezzo sorriso.
Era
quasi certa che se era riuscita a farsi ascoltare e a ottenere un
favore da Klaus lo doveva alla presenza di Caroline perciò
si
appuntò di ringraziarla in qualche modo.
“Grazie,
Care” esalò quando furono fuori “Non hai
idea di quanto sia
importante per me”
“Su
questo hai ragione. Un giorno forse capirò perché
conta così
tanto”
“Un
giorno lo vedrai con i tuoi occhi” le promise e con il libro
in
mano le sembrò di potercela fare davvero.
Si
fermarono in piazza: da lì ognuna avrebbe preso la propria
strada
verso casa.
“Stai
cullando il libro” la prese in giro Caroline nel notare lo
sguardo
quasi adorante con cui Julya guardava il volume.
Rise
e Caroline notò come sembrasse diversa da prima. A volte
Julya
sembrava cupa e rigida, fredda come una stalattite di ghiaccio, ma
aveva un sorriso magico, così luminoso da sembrare fatto di
luce
pura.
E
capiva cosa avesse visto Stefan in lei perché Julya aveva un
fascino
sofisticato e indefinito che si propagava nell'aria insieme al suo
profumo e a quel sorriso, a volte sfacciato, a volte supponente,
altre radioso come le stelle, la luna e il sole.
Julya
le piaceva, anche se non capiva la sua ossessione per la ricerca di
qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi una favola. Per il resto, aveva
avuto una vita eccitante e splendida, proprio come la sognava
Caroline e la invidiava per questo.
“Credo
che andrò dritta a casa a studiare questo tesoro”
annunciò Julya.
“Aspetta,
aspetta, aspetta! Hai davvero intenzione di chiuderti per
chissà
quanto tempo in una stanza, da sola, a studiare?”
“Non
sarò sola” tentò Julya con un sorriso
“ci sarà il libro”
Caroline
le lanciò un'occhiataccia che Julya interpretò
come “cambia
risposta, o te lo brucio” o qualcosa del genere.
“Non
puoi farlo!”
“No?”
“No!
Senti, stasera fai pure quel che vuoi, ma domani ci sarà una
festa a
casa di Tyler e sarebbe una splendida occasione per rilassarti un
po'. Andiamo” aggiunse quando la vide tentennare
“il libro non
scapperà mica. Dopo potrai studiare tutto il tempo che
vorrai”
A
quel punto Julya non poté che abbassare la testa e le spalle
in
segno di resa mentre Caroline le sorrideva entusiasta.
Se
non altro, una delle due era felice.
“Bene,
sono contenta che tu venga”
“Ho
scelta?”
“No”
“Chiaramente”
“Va
bene. Dovrò solo trovare qualcosa da mettere; dopotutto,
credo che
mi farà bene partecipare a questa festa...”
“...
alla quale parteciperà anche Stefan” aggiunse
Caroline, pronta a
ricordarle che oramai aveva detto sì e non poteva
rimangiarsi la
parola data.
Ci
fu minuto di silenzio, poi Julya scrollò le spalle.
“Anche
una bevuta al Grill però sembra davvero
allettante” constatò
salvo ricevere una spinta poco delicata da parte di Caroline.
“Scherzavo!”
si affrettò allora ad aggiungere “Dai,
accompagnami a casa”
“Ehi,
sei tu la più vecchia: non dovresti essere tu ad
accompagnare me?”
si indignò la bionda e Julya rise con sprezzo.
“Mi
hai appena costretto a venire alla festa. Accompagnarmi a casa, Care,
è il minimo” e si incamminò.
Allora
Caroline rise più forte e la seguì.
Continua
**