MONOTONIA
Questo è un giorno come un altro.
Tutti i giorni sono uguali, non c’è una novità, un evento… c’è sempre la solita
monotonia.
Vorrei qualcosa di nuovo, per un
attimo, solo un attimo, qualcosa che possa farmi sorridere davvero. Qualcosa
che possa far sorridere anche l’anima e non solo le labbra.
Ci si abitua alle giornate, ai minuti
che passano e che scorrono sempre uguali; come acqua in un torrente scorrono
velocemente senza fermarsi. Ci si abitua alle stesse persone di tutti i giorni:
quelle che quando ti vedono fanno finta di non conoscerti, quelle che ti
ammirano da lontano ma ti disprezzano da vicino, quelle che ti vogliono bene
fin quando fa comodo a loro.
Ci si abitua a tutto questo, ma non
ci si abitua alla monotonia.
Prima o poi si ha sempre voglia di
cambiare, sperimentare cose nuove.
Io ho voglio di cambiare, un’altra
volta.
Perché mettere un punto e
ricominciare è l’unica cosa che so fare bene.
Vorrei andare via da questa città.
Immagino di trovarmi in un altro
paese, con altre usanze, con altra gente, altre abitudini, che so già che
cambierò. Mi allontano, e se non lo faccio fisicamente, porto via la mente, la
annebbio. E ricomincio.
“E c’è poi qualcuno che fa finta di
non sentire quello che dico.”
Mi sento chiamata all’attenzione e mi
volto verso di lui.
“Certo che ti sento” cerco di
giustificarmi.
“Ma cos’hai?”
Sembra preoccupato davvero e questo
mi fa uno strano effetto.
Non voglio rispondere alla sua
domanda perché la risposta non la so nemmeno io.
Mi volto abbassando lo sguardo e poso
gli occhi sulla distesa di erba davanti la scuola; dovrebbero costruirci
qualcosa in quel parco, mi sembra così vuoto; eppure, adesso, vorrei stare proprio lì, se
solo sapessi come ci si arriva. Sembra un luogo perso nel nulla.
Io vorrei essere persa nel vuoto,
persa nel nulla.
“Allora?”
Lui è ancora li. Mi fissa con gli
occhi spalancati.
“Basta! Sto bene non ho nulla.”
“Si ha sempre qualcosa perché il
nulla non esiste.”
“Sto bene.” Dico scocciata.
Alzo gli occhi al cielo perché non
riesce mai a non recitare la parte del sapientone.
Mi giro e cammino a passo sostenuto verso
il cancello.
“Charlie!”
Mi sento poggiare una mano sulla spalla
e mi volto di scatto.
Dalle sue labbra esce quella voce un
po’ sottile e tremolante che dice: “vieni con me”.
Sono confusa, non voglio andare da
nessuna parte, ma lui non mi lascia il tempo né di pensare né di rispondere e mi
trascina via correndo verso il retro della scuola, proprio in quei campi che
tanto desideravo.
Corriamo insieme mano nella mano tra
erba alta e girasoli mentre il sole di mezzogiorno risplende nel cielo.
Si ferma di punto in bianco in mezzo
alle alte foglie d’erba e rimane a guardarmi. Mi stringe ancora la mano come se
volesse trasmettermi i suoi pensieri.
Questo momento mi è alquanto
imbarazzante così volto lo sguardo da un’altra parte e mi soffermo sulle
colline che fanno da sfondo sulla scena. In fondo, ora ho quello che voglio:
sono qui, in questo parco, lontana da tutta la solita monotonia, lontana da
palazzi e solite costruzioni, ma non lontana da lui.
“Non puoi fare sempre finta di
niente.” Mi accusa con aria confusa tra superbia e provocazione.
“E tu non puoi sempre fingerti
sapiente! Tu non sai nulla!” Ribatto.
“Il nulla non esiste.” Sorride
abbassando lo sguardo e arrossendo perché sa quanto odio quella risposta.
Dal suo sorriso noto un improvviso
cambiamento in un’espressione seria e intimidita. Probabilmente teme la mia
ostilità.
Perfino lui è diventato monotonia,
qualcosa a cui penso tutti i giorni, qualcosa che vedo ovunque anche solo per
immaginazione.
“Credevo che tu volessi questo.”
“Credevi di sapere cosa volevo.”
Rispondo amara ma la mia acidità lo fa arrossire.
“Credevo di farti felice.”
“Credevi che volessi essere felice
con te?”
“Non è cosi?”
“Credevi davvero che fosse cosi?”
Lo guardo seriamente negli occhi
percependo la sua insicurezza.
Inarca le sopracciglia e mi scruta
dalla coda dell’occhio per paura delle mie parole.
Le mie parole non fanno male. Non
colpiscono perché sono parole senza senso. Sono parole dietro altre messe lì
solo per riempire gli spazi.
Non ricevo alcuna risposta, solo uno
sguardo deluso.
Aspetto qualche secondo e poi: “Grazie.”
Gli dico sorridendo.
Inarca ancora le sopracciglia ma
questa volta perché è confuso. Parecchio confuso.
“La tua solita, fastidiosa e monotona
sapienza ci ha portati qui.”
Improvvisamente sorride. Sorride
davvero.
Io sorrido davvero.
Apro gli occhi e mi sveglio
rannicchiata nel mio letto tra le tante coperte.
Ho ancora la sua immagine impressa,
ho il suo viso e il suo sorriso impresso.
Lui è monotonia.
I sogni, i ricordi sono monotonia.
Ricomincerò, lasciando una parte di
me ancorata al passato, lasciando che mi scorra addosso solo questo tipo di monotonia.
L’unica monotonia che mi fa sorridere davvero.