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Autore: Layla    08/03/2013    4 recensioni
Bound, legati. Tom e Anne sono legati da un filo che si è stretto tra loro per unirli fin da quando erano adolescenti. Un filo tenace, che non si spezza nonostante i tentativi di Tom di reciderlo e la sua decisione di sposare Jen. Un filo che inesorabilmente li attira di nuovo uno verso l'altra.
{"“Tu mi ami ancora, vero Anne?”
Io annuisco.
“Sì, lo sai. L’hai sempre saputo. Tu?”
“Ho bisogno di tempo per pensarci.”
Sul mio volto si dipinge un sorriso amaro.
“Tranquilla, non ci metterò anni.
Dammi una settimana.
Tra una settimana su questa panchina, ok?”}

[Tratto dal secondo capitolo.
Paring:Tom/Anne]
Genere: Romantico, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Tom DeLonge
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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2)  L'uragano è in arrivo.

 

Are you scared of the dark my friends?
What do you fear my love?
Hold on you're breaking up

Ci sono certe mattine in cui ti senti fisicamente riposata, ma emotivamente ridotta a uno straccio, questa è una di quelle mattine.
Le odio.
È per questo che odio i sonniferi: ti regalano otto ore di sonno filato senza sogni né incubi, ma non risolvono il problema della tua insonnia.
Il problema rimane lì, irremovibile e pesante come una roccia e non sai come smuoverlo.
Il mio problema si chiama Tom DeLonge, quello che me lo rende problematico è il fatto che non mi ami e che le conseguenze di un gesto folle di due ragazzini  che volevano avere salva la vita si stiano facendo sentire.
I due buchi lasciati da esseri a cui nemmeno credevo l’esistenza bruciano e pulsano e ogni tanto ho dei flash chiari di quello che sta facendo Tom in quel momento. La nostra connessione – chiusa da quando si è sposato con Jen – si sta riaprendo e io non so come interpretare questo né cosa fare. Sono anni che non ci parliamo – o meglio che lui mi evita, come se io avessi la peste – e non so come la prenderebbe una mia apparizione random.
Devo aspettare una sua mossa, solo che ora avverto chiaramente che il tempo che abbiamo a disposizione ci sfugge via come sabbia tra le dita.
Ho trentasette anni  e il mio orologio biologico ticchetta sempre più forte e sempre più minaccioso, mandandomi una serie di richieste.
Mi dice che sono nella zona limite per avere un figlio, se un piccoletto che mi somiglia e da amare più della mia vita non  lo voglio.
Io lo voglio, l’ho sempre voluto, ma con il verme non era mai stato possibile, non mi alletta l’idea di scoparmi uno sconosciuto e poi crescermi da sola mio figlio e Tom è lontano come un’utopia.
Quando eravamo molto giovani c’era stato un ritardo che temevamo si trasformasse in una gravidanza, ma era solo un semplice ritardo. Ora mi ritrovo a sperare con tutto il cuore che in realtà quella fosse una gravidanza e di avere un piccolo o una piccola DeLonge che mi aspetta a casa.
Sospiro.
Che gran casino c’è nella mia testa!
Mi guardo allo specchio e vedo una donna dai capelli neri e spettinati che mi guarda con due occhi azzurri confusi e quasi arrabbiati.

That day never came
That day
Never comes
I'm not letting go
I keep hangin on
Everybody says
That time heals the pain
I've been waiting forever, forever
That day never came
Forever
That day never came”(*)

Canticchio questa canzone di un gruppo tedesco per ragazzine – me l’ha fatta sentire Alabama – e penso che non ci siano parole migliori per descrivere la mia situazione: aspettare un giorno che non arriverà mai.
Alabama li ama alla follia questi tedeschi, come ama Justin Bieber e gli One direction, e Travis non si capacita di come la figlia di un punk come lui possa amare questa musica commerciale.
Vorrei avere anche io lo stesso problema con mia figlia, invece ho un eterno problema con me stessa e con un destino che mi lega a una persona che non mi vuole.
È inutile compiangersi addosso, decido di andare a trovare mia madre sfruttando il giorno libero.
Prendo la macchina, mi immetto sull’autostrada che porta a Poway e penso a tutte quelle volte che non l’ho percorsa da sola.

{“Tom, tieni giù le mani! Sto guidando, non vorrai farci fare un incidente!”
Lo sento mugugnare qualcosa sul mio collo.
Siamo di ritorno da un concerto dei blink al Soma e lui è ancora tutto eccitato per il pienone che la band ha raccolto al dungeon, il primo piano del locale, quello per le band emergenti.
Senza darmi particolarmente retta infila una mano sotto la mia maglia e riesce a intrufolarsi sotto il mio reggiseno e a cominciare a giocare con un mio capezzolo. Lo accarezza, lo tira, lo schiaccia, lo accarezza di nuovo accompagnato dai miei gemiti.
Ok, qui urge fermarsi.
Alla prima piazzola accosto e abbassiamo i sedili, iniziamo a spogliarci a vicenda con impazienza e in men che non si dica lui è dentro di me e spinge, mentre io lo assecondo stringendogli sempre più forte le gambe intorno al bacino.
Quando finalmente veniamo mi sembra di toccare il cielo con un dito e mentre lo stringo a me, ancora sudato e ansante, mi dico che non lo lascerò mai e poi mai andare via da me. }

Ho dovuto lasciarlo andare invece, mi dico mentre scendo dalla mia macchina e mi avvio lungo il vialetto della casa di mia madre nella vecchia Poway. È cambiato poco da quando ero adolescente io e suppongo non cambierà mai.
Suono e quando lei vede che sono io mi abbraccia calorosamente.
“Che bella sorpresa, Anne!
Vieni!”
Mi fa accomodare in salotto e mette sul gas la moka del caffè.
“Come mai qui, tesoro?”
“Il capo mi ha concesso un giorno libero e io ho deciso di venirti a trovare.”
Lei mi sorride  e inizia a raccontarmi le vite di persone che conosco appena e di molti miei ex compagni e compagne di scuola.
“Stanno organizzando anche una riunione della tua classe, perché non ci vai?”
“è passato tanto tempo, non saprei cosa dire loro.”
“Potresti incontrare qualcuno di interessante, sposarti e darmi un nipotino più vicino di Jack.”
Il trasferimento di Mark a Londra non è mai stato digerito da mia madre.
“Mamma…”
Lei mi scruta a lungo negli occhi.
“C’è ancora di mezzo lui, vero?”
“Lui chi?”
Chiedo cauta.
“Tom.”
Io abbozzo un “sì” a malapena udibile.
“Eravate fatti l’uno per l’altra, non ho mai capito perché vi siate lasciati.”
“è una cosa complicata, mamma.”
Lei sospira.
“Mi ricordo di quando stavate al tavolo della cucina per fare i compiti e finivate per baciarvi sempre.”
Anche io me lo ricordo, quasi ogni giorno insieme a mille piccoli altri episodi della nostra storia.
“Lo stai ancora aspettando…
Quel ragazzo ha rovinato la vita dei miei figli, dovrei odiarlo e non ci riesco.”
Io la guardo sorpresa.
“Mark se ne è andato tra gli inglesi e a fare l’inglese per staccarsi dai posti in cui era stato felice con Tom, credi che non me ne sia accorta?
Gli fa male stare in una città che gli ricorda sempre il suo migliore amico. Per colpa di Tom ho perso un figlio e un nipote e tu vivrai per sempre imprigionata nel suo ricordo.”
“Non essere tragica, mamma. Londra non è poi così lontana e poi sai che a Mark fa piacere pagarti il viaggio, ti vuole bene e anche Jack te ne vuole.”
“Lo so so, ma io li vorrei più vicini.”
Il silenzio cala nella stanza.
In un tacito accordo decidiamo di abbandonare l’argomento Tom DeLonge e riprendiamo a parlare di cose più leggere come il mio lavoro.
Si complimenta con me per la riuscita della trattativa con i giapponesi e dice di essere soddisfatta di una figlia come me, poi riprende a parlarmi della gente di Poway.
Arriva l’ora di pranzo e lo cuciniamo insieme come ai vecchi tempi, ridendo e ricordando i miei primi maldestri tentativi come cuoca.
Ricordo che Mark diceva sempre che erano buoni anche quando la sua faccia diceva palesemente il contrario: è un amore di uomo e di fratello
Mangiamo insieme, la aiuto a rigovernare e verso le due me ne vado.
Siamo sul portico di casa sua e lei mi abbraccia.
“Torna a trovarmi ogni tanto, mi mancate tu e Mark.
Continuo a vedervi piccoli sempre intenti a combinare guai e io a correre come una matta per risolverli e ora non c’è più nessuno.”
Io le sorrido amara e la abbraccio di nuovo, poi vado in macchina.
Incontrare mia madre mi ha fatto capire che non sono l’unica che soffre di solitudine, che sente la mancanza di qualcuno: quasi quasi la prossima volta che vengo le porto in dono un cane su cui potrà riversare il suo affetto.
Sono arrivata al bivio appena fuori Poway da cui si può andare o verso l’autostrada o verso il deserto. Io vado  verso il deserto spinta da un impulso incontrollabile, ho bisogno di stare da sola e di stare il più vicino a possibile al posto che mi ha cambiato la vita.
Percorro pochi chilometri di una strada piena di buche e polverosa e poi mi fermo in una piazzola per sedermi sul cofano della macchina.
Il mio sguardi spazia per tutto l’orizzonte: sabbia, un cielo azzurro e terso in cui corrono veloci nubi bianche che a tratti coprono il sole e – appena visibili – dei ruderi di quella che sembra un’innocua ghost town abbandonata dopo la corsa all’oro.
Innocua non lo è per niente e abbandonata nemmeno, solo che la “gente” che ci vive è quel tipo di esseri da cui stare alla larga se si tiene alla propria vita.
Solo a due incoscienti come me e Tom poteva venire in mente di farci una gita di notte, ma noi siamo sempre stati diversi dagli altri.
Siamo sempre stati un po’ più fuori di testa degli altri.

{È una sera d’estate come tante in California, calda e con un leggero venticello a dare sollievo ogni tanto. È una festa come tante: un po’ di musica, qualche bibita e un gruppo di adolescenti intorno alla piscina.
Io e Tom siamo seduti sul tetto con due bottiglie di coca vuote vicino a noi, poco prima da questo stesso tetto mio fratello si è lanciato in piscina.
Lui e un altro paio di incoscienti che si dilettano in questo strano sport e sono l’attrazione della serata: se lo sapessero i miei ci rimarrebbero stecchiti per lo shock.
Io mi sento più carina del solito, qualche giorno prima con della tinta verde avanzata a Mark mi sono fatta qualche ciocca verde che non ha mancato di suscitare il solito sospiro rassegnato di mia madre.
Io e Tom abbiamo appena finito di fare una gara di rutti e lui sorride beato sdraiato sulle tegole.
“Ehi, Anne!”
Mi sdraio anche io.
“Sì, Tom’”
“Vuoi diventare la mia ragazza?”
Io mi alzo di scatto subito e lo guardo come se avesse ricevuto una botta in testa.
“Scusa?”
“Anne, vuoi diventare la mia ragazza?”
È da un po’ che mi sono accorta che la mia non è solo amicizia nei suoi confronti, ma amore e da un po’ cerco di farmela passare, non ho mai pensato che IO potessi interessargli.
“Io? Sei sicuro?
Non ti piacerebbe più una come quella?”
Con il dito indico una ragazza alta e bella che balla a bordo piscina, lui segue con lo sguardo il mio dito e ride per poi tornare serio.
“Ho detto che voglio una ragazza, non una puttana.”
“Perché io?”
“Perché sei carina, amo parlare con te, amo il fatto che tu condivida i miei stessi interessi. Posso essere me stesso con te, non ho bisogno di fingere di essere un figo, con te posso essere un perdente.
E poi da tantissimo tempo ho una voglia matta di baciarti perché per me non sei più solo un’amica, sei diventata speciale.
So che non sono il tipo che ispira più fiducia al mondo, ma ti va di provare a darmene un po’?
Vuoi stare con me?”
Per tutta risposta mi alzo e lo bacio. Sa di buono e le nostra labbra sembrano perfette insieme, non fatichiamo molto a trovare un ritmo che fa piacere a entrambi nel baciarci.
“Sì, lo voglio!
Guai a te se me ne fai pentire, però!”
“Non ti farò pentire!”
Sussurra prima di baciarmi di nuovo.}

Io sospiro e scendo dalla macchina.
Alla fine mi ha fatto pentire di avergli dato fiducia, alla fine non abbiamo retto.
Rientro in macchina e guido fino a casa mia sentendo un gusto amaro in bocca.
Il passato è un frutto marcio che non andrebbe mai assaggiato troppo a lungo.

 

Disaster disaster
Disaster disaster


Una settimana a regime di sonniferi è una settimana dura.
Sei riposato fisicamente e in coma psichico, avviluppata dai troppi pensieri che non puoi sbrogliare, solo al lavoro riesco a fingere di stare bene solo perché riesco in qualche modo a concentrarmi su quello che devo fare.
Quando arrivo a casa invece mi assale sempre una leggera angoscia e sento un sento di soffocamento che non è il mio: è quello di Tom, ne sono sicura.
I sonniferi non stanno risolvendo per niente questa situazione e non so più cosa fare.
Ogni sera guardo a lungo le pastiglie lilla – indecisa se prenderle o meno –  e alla fine mi deciso sempre a prenderle per avere almeno il fisico riposato.
Cosa diavolo sta succedendo nella mia vita?
Quindici anni dopo sta arrivando il treno DeLonge per raccogliermi definitivamente e darmi uno spazio nella sua di vita?
Non ne ho idea, ho solo – molto spesso –  un gran mal di testa.
Anche questa sera guardo la mia pillola della felicità, ma decido di non prenderla, sperando che non arrivi lo stesso fantasma a tormentarmi.

{Sono in una stanza che non conosco e il mio corpo è steso su un letto ignoto e avvolto in una coperta indiana. La cosa più strana è che io lo vedo staccato da me, come se stessi fluttuando nell’aria.
Forse sono morta, forse il fuoco che sentivo nelle vene mi ha bruciato.
Sento la voce di Tom e di uno sconosciuto nella stanza accanto e decido di raggiungerli.
Capisco che siamo in una delle case della riserva indiana di Poway perché l’uomo con cui sta parlando Tom è un vecchio indiano dai capelli grigio chiaro e dalla pelle scolpita e scura come il cuoio.
“L’unico modo per salvarla è bere questo intruglio e farti mordere da lei, ma questo vi legherà a vita, sei sicuro di riuscire a reggere, ragazzino?”
Lui sospira, ha gli occhi bassi e i segni delle lacrime sulle guance.
“Non lo so, ma io non voglio che lei muoia o diventi una di quelli. Rivoglio la mia Anne.”
“E sia, ma ricordati delle conseguenze. Non si stringono patti a caso.”
Lui annuisce e il vecchio si mette a rimestare in un calderone, l’odore è nauseante e mi rispedisce all’istante nel mio corpo.
Cosa mi è successo?
Sento il calore del fuoco, sotto la ceneri, nella mia anima.}

Mi sveglio urlando, sono finita di nuovo in uno dei miei ricordi.
Merda!
Mi ristendo – troppo stanca per fare qualsiasi cosa – e mi riaddormento.

{Sento dei rumori di molle che cigolano e percorro un corridoio che non è quello di casa mia, ma che – a giudicare dalle foto a tema alieno e spaziale – è quello della casa di Tom.
Mano a mano che mi avvicino a una porta il rumore delle molle si fa più forte e si sentono gemiti e urla di una donna: Jennifer.
Io o meglio Tom apre la porta e ci ritroviamo davanti all’indecoroso spettacolo di una Jen che si dimena su un David che non sembra né entusiasta né troppo partecipe a questa scopata.
“Ti ho già abbuonato Atom, ma David no.
Vattene, vacca!”
La voce di Tom è dura.
“Non sai stare senza di me, non vuoi togliere una madre ai tuoi figli, Tom DeLonge!”
Fa lei con un tono derisorio.
Sento il mio pugno stringersi, Tom si sta arrabbiando e questa volta non ha intenzione di cedere, si carica Jen sulle spalle e – nuda com’è – la butta sul vialetto di casa loro.
Lo vedo salire nella loro camera e trova un David imbarazzatissimo che si riallaccia i pantaloni.
“Io, non volevo. Scusa, Tom..”
“Non dire nient’altro. So benissimo di chi è la colpa!”
Con movimenti nervosi prendo, prende, tutte le cose di Jen e le lancia dalla finestra, insensibile alle sue urla.}


Mi sveglio di nuovo, credo di aver appena assistito al divorzio dei DeLonge e,  cazzo,  è stato scioccante.
Questa volta il sonnifero lo prendo senza esitazioni, ho bisogno di riposo sul serio.
La mattina  dopo mi sveglio più rintronata del solito e mentre faccio colazione ho un altro flash sulla famiglia DeLonge.
Tom ha annunciato ad Ava a JoJo che la mamma se ne è andata di casa, il bambino è scoppiato a piangere e se ne è andato in camera sua, Ava è rimasta seria a osservare il padre.
Somiglia molto a Tom ed era già entrata in conflitto con la madre, quindi credo che abbia già capito che Jen e Tom non sono molto compatibili.

{“Perché l’hai cacciata di casa?”
Ci chiede Ava, sospiro.
È assurdo vedere dal punto di vista di Tom e sentire i tuoi pensieri separati dai suoi.
“Perché ha fatto una cosa cattiva.”
“Anche io verrò cacciata di casa se farò delle cose cattive?”
Sorrido.
“No, piccola. Questa è e sarà sempre casa tua, io sarò sempre tuo padre e Jen la mamma.”
Prende una pausa, non gli fa piacere fare il discorso che deve fare tra poco.
“Amore, a volte i grandi smettono di volersi bene e si accorgono che non possono più vivere insieme perché non riescono più a sopportarsi, ma non è colpa vostra.
Voi non c’entrate niente, voi siete i nostri tesori e vi vogliamo sempre bene. siamo solo io e Jen a non volerci più bene.
Non avrei mai voluto farti questo discorso, perché so che soffrirai, anche io ho sofferto quando il nonno e la nonna hanno divorziato, ma devo.
Io ti voglio bene, Jen ti vuole bene.
Io però non voglio più bene alla mamma e lei non  ne vuole a me, capisci perché non possiamo vivere insieme?”
Lei annuisce e poi si butta tra le braccia di Tom piangendo.
“Ti voglio bene, papà. Ti voglio tanto bene, sono contenta che la mamma abbia smesso di farti soffrire.”
Lacrime silenziose scendono dalle guance di Tom.}

Quando torno in me mi accorgo che anche le mie guance sono solcate da lacrime, ho ricordato il divorzio dei miei e non è stato piacevole, Tom non se l’è cavata male dopotutto.
Finisco di mangiare, mi vesto e scendo in garage a prendere la macchina, appoggiata alla mia utilitaria c’è Jen: ha un’aria furiosa.
“Alla fine hai vinto, Anne, ma non pensare che ti renderò la vita facile.”
Detto questo se ne va e io penso che la mattinata è iniziata da schifo.
Anche le due settimane che mi separano dalle vacanze natalizie al lavoro sono un disastro, un manicomio. Quando esco dal lavoro l’ultimo sabato tiro un sospiro di sollievo, mi dirigo verso la marina per avere un po’ di pace.
Prendo un frappuccino da Starbucks e cammino tranquilla mentre me lo gusto, inconsciamente sto andando verso la nostra panchina. Sono certa che sarà vuota – per Tom quella panchina non ha mai significato molto – invece mi sbaglio perché la trovo occupata proprio da lui.
“Ciao Anne.”
“Ciao Tom.”
Silenzio.
“Non hai nulla da chiedermi?”
Fa lui.
“No, ho visto il tuo divorzio. La scena in cui ha buttato Jen nuda fuori casa è stata abbastanza epica.”
“Ti sento fredda.”
Io bevo un sorso del mio frappuccino.
“Sai com’è, Tom, sono anni che non ti fai sentire.
Dalla settimana dopo quella cosa.”
Lui sospira e si sposta i capelli davanti agli occhi.
“Avevo paura, la prospettiva di avere trovato quella con cui dividere la mia vita quando ero così giovane mi terrorizzava.”
“Lo posso capire, ma sei sparito anche come amico.”
Lui ride.
“Avrei avuto costantemente la tentazione di baciarti e avremmo finito solo per fare casino, Anne.”
Io guardo un gabbiano volare.
“Sei divorziata anche tu, comunque.”
“Sì, te l’ha detto Mark?”
Lui scoppia a ridere come un matto.
“No, ho visto la scena tramite la connessione. Eri talmente fuori di te che non ti sei accorta che si fosse aperta e io stavo cantando davanti a un bel po’ di persone con questa scena disgustosa davanti agli occhi.”
Io arrossisco fino alle orecchie.
“Tu mi ami ancora, vero Anne?”
Io annuisco.
“Sì, lo sai. L’hai sempre saputo. Tu?”
“Ho bisogno di tempo per pensarci.”
Sul mio volto si dipinge un sorriso amaro.
“Tranquilla, non ci metterò anni.
Dammi una settimana.
Tra una settimana su questa panchina, ok?”
“Ok.”
Si alza e mi saluta con un leggero bacio sulla guancia.
Dopo tutti questi anni ho ancora i brividi per questo contatto minimo, solo lui può farmeli provare.
Sono rovinata.
Di nuovo.

Angolo di Layla.

E adesso è entrato in scena Tom e si preannuncia un uragano. Spero che questi capitolo vi piaccia.

Ringrazio giulss182, eve182 e imperfectjosie per le recensioni. 

 

   
 
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