La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<
Ci sono. CI
SONO,DECISAMENTE. Giornatina faticosa e non siamo nemmeno alla fine, ma
avevo
detto che avrei aggiornato. Innanzitutto grazie per
l’accoglienza. Siete della
meraviglie. E’ sempre un piacere vedere con quanto amore e
pazienza mi
seguiate, non scriverò mai abbastanza bene per ringraziarvi
in modo adeguato.
Sono felice che il primo capitolo vi sia piaciuto, spero di continuare
su
questa linea. RISPONDO A TUTTE LE RECENSIONI, GIURO! Le adoro, come
chiunque
immagino, e se ci impiego molto per rispondere è
perché sono una perditempo
disorganizzata. Ma è FANTASTICO leggervi e rispondervi.
Nuovo
capitolo, finalmente i nuovi personaggi. Spero possiate affezionarvi
anche a
voi, siete stati dolcissimi con Ellie e Dominc, mi auguro facciate lo
stesso
con Andrèe e Paul.
Notare il banner
del primo capitolo: E’
BELLISSIMO E
OPERA DI THAD. Quel gatto, oltre ad essere
un’autrice meravigliosa, sa
fare anche queste cose. Mppppff!
Un grazie
alle ragazze della Thadastian Week. Non vedo l’ora che sia
Aprile per poter
letteralmente impazzire e sciogliermi a causa della week. Grazie per la fiducia ed
il sostegno, non
credo di meritare davvero tutti quei complimenti. Grazie a chi
condivide post
su Facebook (Meli.
) e mi tagga. Grazie a chi mi da la possibilità di
aiutarlo, scrivendo o ascoltando.
Un abbraccio
forte a Valeria
e la speranza di farla sorridere ancora.
Un grazie
alla mia beta, Lady_Thalia ,
precisa
e essenziale. Grazie a Valentina,
per le comunicazioni autore-beta: mi hai salvata da una noiosissima
lezione di
Anatomia Patologica. E’ sempre confortante leggere parole di
volti amici.
Innumerevoli
grazie al mio Thad, perché,
beh, è il mio Thad.
Al mio Thad:
è
stato un lungo inverno,
ma tra due soli
giorni
tornerà
la mia Primavera.
So
excuse me forgetting but these things I do
You
see I've forgotten if they're green or they're blue
Anyway
the thing is what I really mean
Yours
are the sweetest eyes I've ever seen
(
“Your Song”, Elton John)
Capitolo
II
Smythe.
*
-Allora ci
vediamo tra tre giorni.- mormorò Andrèe,
accennando un sorriso contro la
cornetta del telefono.
Paul la
osservò, una mano appoggiata allo stipite della porta e il
viso parzialmente
coperto dalle ciocche bionde.
In silenzio,
senza annunciarsi, studiò quel sorriso, timido e quasi
infantile.
Andrèe
sembrava tornare bambina quando parlava con i propri papà.
Paul non vedeva
l’ora di conoscere i genitori della propria fidanzata. Ne
aveva sentito
parlare, erano degli amici di vecchia data della sua famiglia, ma non
aveva mai
avuto occasione di vederli di persona. Aveva trovato qualche foto, veri
e
propri cimeli dell’epoca della Dalton. Era incredibile la
somiglianza tra Andrèe
e il signor Smythe. Erano identici, la
figlia era la variante femminile del
padre.
Osservò
la
ragazza emettere un leggero sbuffo: era
preoccupata. Si portò una mano alla fronte e la
fece scorrere tra i lunghi
capelli castani, lasciando, inavvertitamente ed involontariamente, che
il
proprio profumo invadesse la stanza in cui si trovava. Socchiuse gli
occhi e
appoggiò le spalle alla parete.
Paul si
spostò la frangia dagli occhi e sorrise ad
Andrèe, tentando di rassicurarla.
Ce
l’avrebbero fatta, insieme.
-Ti voglio bene
anche io, papà.- rispose,
imbarazzata.
Fece una
smorfia ed alzò lo sguardo al cielo, una
ragazzina insofferente.
Il ragazzo
scosse la testa e abbozzò un sorriso, sollevando
l’angolo destro della bocca.
Andrèe
era involontariamente bella.
Era elegante. Entrava in una
stanza e, sebbene
avesse un passo silenzioso e l’abitudine di non annunciarsi,
tutti si
voltavano, non potendo fare altro che non fosse osservarla.
C’era
qualcosa nel modo in cui si muoveva, nel modo in cui arricciava il naso
se
divertita, nel modo di scostarsi i capelli, leggero e rapido, e nel
modo di
studiare qualsiasi cosa, quasi a volerne capire il segreto.
C’era
qualcosa in quella giovane donna che aveva spinto Paul, quel giorno
nella
biblioteca dell’Università, a sedersi accanto a
lei. Sebbene i posti a sedere
fossero per la maggior parte liberi, lui si era fatto imprigionare
iniziando a
ruotare intorno a quell’orbita di bellezza e silenzio.
Il biondo
venne riportato al presente dal sorriso che Andrèe gli
riservò e dal “Vieni qui”
appena sussurrato.
Mosse un
passo dopo l’altro e si ritrovò di fronte a lei in
pochi secondi.
La ragazza
piegò leggermente il collo e appoggiò la testa
contro la sua spalla.
Andrèe
era maledettamente alta per
essere una donna.
-Certo,
papà.- continuò lei, al telefono.
Paul si
chiedeva per quale motivo quella telefonata andasse avanti, sembrava
essersi
conclusa diversi minuti prima.
Un metro e
ottantacinque.
Paul le
cinse la vita, dondolando sul posto, come
se volesse far addormentare una bambina.
-A presto,
allora.-
Era comunque piccola, tra le braccia di Paul.
La strinse
delicatamente a sé, non lasciandole il tempo di riporre la
cornetta sul
ricevitore.
Non solo i
capelli biondi, ma anche l’altezza
era
una caratteristica inconfondibile degli Sterling.
*
Thad
attraversò il salotto di casa propria e notò un
particolare strano ed
inquietante: il camice di Sebastian era
ancora appeso all’ appendiabiti.
Erano le
nove passate e il camice da laboratorio era ancora lì.
Quella
mattina presto, aveva fatto un salto al proprio studio fotografico per
ritirare
alcune carte : avrebbe concluso il proprio lavoro da casa.
In totale
discordanza con le proprie abitudini, si era svegliato presto, sperando
di
tornare a un orario decente per poter preparare la colazione al marito.
Non
aveva tenuto conto,
però, di quanto
caotica e infernale potesse essere quella città.
Notò
una
tazzina da caffè appoggiata sul tavolino di ingresso, dove
solitamente
Sebastian lasciava le chiavi.
Salì
le
scale che portavano alle stanze da letto e al bagno, seguendo una scia
di
indumenti.
Sebastian,
eccezion fatta per il lavoro dove diveniva un maniaco per
l’ordine, era un
disordinato cronico. Aveva il vizio di lasciare in giro qualsiasi
cosa. E’ per questo motivo che, in fondo, Thad non
si
stupì, raccattando sul quarto scalino un paio di pantaloni
grigi e, qualche
scalino più su, dei boxer neri.
Era nudo.
Harwood
socchiuse
gli occhi, giungendo in cima alla scala. Quel pensiero lo mandava
ancora a
fuoco. Quel corpo non conosceva il
concetto di invecchiare.
Era sempre
dannatamente bello. Sempre
forte, alto, solido, non si arrendeva al tempo che passava.
I capelli
erano gli stessi che aveva a vent’anni, gli occhi
sottintendevano sempre una
certa malizia e, quando rifletteva, la solita ruga
d’espressione gli solcava la
fronte.
Thad si
affacciò sulla porta della propria camera da letto, sperando
che Sebastian
fosse lì, ad aspettarlo magari.
Ma si diede
mentalmente dello stupido, come notò il grande letto
matrimoniale vuoto: Sebastian sarebbe venuto
a prenderselo, non
avrebbe atteso.
Fece una
mezza giravolta e si diresse verso il bagno: dove altro sarebbe potuto
andare
suo marito, nudo? Sperava vivamente
non in terrazza.
Aprì
la
porta e venne investito da una nube calda di vapore e bagnoschiuma.
Tana per
Sebastian.
Un grosso
tappeto di peli rossi occupava lo
spazio adiacente alla vasca e Smythe, continuando a guardare il
soffitto e a
fumare, passava le dita sul dorso del grosso animale.
-Sebastian.-
lo ammonì Thad, avvicinandosi. -Il cane non deve entrare in
bagno.-
Harwood si
tenne a una certa distanza di sicurezza: lui e Audrey convivevano, ma
non si
amavano spassionatamente, in realtà tentavano di ignorarsi.
-Mandala
via.- lo sfidò Smythe, portandosi la sigaretta alla bocca e
lanciandogli una
rapida occhiata.
-Cane, vai
via.- si parò di fronte all’animale Thad, cercando
di assumere un tono e una
postura autoritaria.
Audrey
socchiuse gli occhi e sistemò meglio la propria posizione
sul tappetino del
bagno, completamente nascosto dalla mole del cane.
Thad si
accigliò. -Orso?-
provò, valutando
che le dimensioni potessero creargli una qualche crisi di
identità. -Mostro?-
provò e, non ricevendo alcun
segnale da parte dell’animale, sbuffò. -Qualunque
cosa tu sia, vattene.-
Audrey
sollevò il capo e osservò l’uomo.
-Sebastian.-
Harwood fece qualche passo indietro. -Che vuole?-
Smythe
voltò
la testa ed osservò il cane. -Temo non abbia gradito. -Si
mise a sedere e si
sporse. Le passò una mano sulla schiena e mormorò
le solite paroline dolci e
francesi che era solito riservarle.
Audrey si
alzò con un piccolo sbuffò e, non degnando di
un’occhiata Thad, uscì dal bagno.
-Quel cane
è
inquietante.- affermò Harwood, inginocchiandosi accanto alla
vasca.
-E’
incredibilmente intelligente.- rispose Smythe, baciando delicatamente
il
marito.
-Come mai
non sei in laboratorio?- domandò Thad, allontanandolo
delicatamente da sé.
-Settimana
di ferie.- annunciò, rimmergendosi parzialmente
nell’acqua.
Sebastian, se
avesse potuto, sarebbe
andato in laboratorio anche la notte di Natale. Amava il proprio lavoro.
Harwood si
sporse e gli riavviò i capelli, bagnati e disordinati a
causa dell’acqua. -Che
succede?-
La mano del
morò scivolò di lato, accarezzandogli lo zigomo e
l’angolo della bocca. Smythe
schiuse la bocca e gli baciò la punta delle dita, sospirando.
-Non ci
provare, demonio.- sorrise Thad.
-Dimmi
che cos’hai, non distrarmi con promesse di sesso.- ma non
spostò la mano. -Che
succede?- domandò dolcemente.
Sebastian
strofinò la guancia, non rasata da qualche giorno, contro il
palmo del marito.
Socchiuse gli occhi ed emise un verso basso e di gola, maledettamente
simile alle fusa di un gatto.
-E’
per Andrèe, vero?-
-Forse.-
borbottò, ad occhi chiusi.
-Cosa ti
preoccupa?- continuò Thad, tirandosi su le maniche della
camicia ed immergendo
le braccia fino ai gomiti, cingendogli le spalle.
-Perché
tutta questa fretta di sposarsi?- domandò l’altro.
-Si è laureata da qualche
mese. Ha trovato subito un ottimo lavoro in uno studio legale. Da dove
salta
fuori questo matrimonio?- continuò, lasciando scorrere tutti
i propri dubbi. -Non sarà mica
incinta?- chiese,
mettendosi a sedere e facendo uscire
dell’acqua dalla vasca, colma quasi fino all’orlo.
-Non credo.-
lo rassicurò Thad, accarezzandogli la spalla per
rassicurarlo. -La faccenda ha
sorpreso anche me.- ammise il moro. -Ma attendiamo che lei torni a
casa, niente
congetture strane.- lo ammonì, come se si stesse rivolgendo
ad un bambino
capriccioso e testardo. -Avremo tutte le risposte che vogliamo da lei.-
Sebastian
arricciò il naso, rendendosi conto del fatto che il marito
avesse ragione.
-Con
l’età
migliori, però.- disse Harwood, sorridendo.
-Come?-
domandò, perplesso, Sebastian.
-Hai solo rotto
qualche piatto alla notizia del matrimonio, mi aspettavo che devastassi
casa.-
il sorriso si trasformò in un ghigno. -Sarà la
vecchiaia che ti sta calmando?-
Tasto
dolente: Sebastian era un gran narcisista.
-Harwood.-
Smythe si voltò, posizionandosi di fronte a lui. -Hai per
caso soldi o carte
importanti nelle tasche?- chiese, con tono profondo e strascicato.
-No.-
rispose, confuso, Thad.
-Cellulare?-
continuò Sebastian, disegnando con le dita il profilo del
colletto aperto della
camicia del marito.
-Neanche.-
rispose, sempre più stranito da
quell’atteggiamento.
-Oh, bene.-
portò le mani sulle spalle dell’altro e fece leva,
trascinandolo dentro la
vasca.
-Sebasti_AH-
Gli anni,
probabilmente, passavano, ma Sebastian
rimaneva comunque un soggetto estremamente permaloso.