Questa storia è dedicata alla mia nonna materna. Si chiamava Margherita.
Capitolo
1° : LEI… LEI SA’!
Scotland Yard.
Rumore.
Rumore di fascicoli
sfogliati e di tasti di computer schiacciati.
Rumore di telefonate
continue all’ 1212 per emergenze vere o false che fossero.
Rumore di chiacchierate
tra colleghe sui figli o sulla casa o sui mariti.
Rumore di conversazioni
tra colleghi sul lavoro o sulle mogli o sulla prossima partita di poker da fare
il giovedì, accompagnato da della buona birra.
Rumore di tacchi, che…
Tacchi?
La porta si aprì di
scatto e un ragazzo con i capelli color miele disse trafelato
“Hei! Sta
arrivando!”
E detto questo prese un
carrello ed incominciò a distribuire la posta come se niente fosse successo.
Molti altri lo presero
d’esempio. Un fremito di passi agitati e di sospiri scocciati si diffuse per
la stanza. Donne e uomini in giacca da lavoro e in camicia incominciarono a fare
finta di sfogliare fascicoli o di completare alcuni identikit.
Altri prendevano caffé
o acqua aspettando… Aspettando lei. Solo per vederla o semplicemente per
respirarne l’essenza.
“Non vi conviene stare
li a far niente. Lei ricorda, lei annota sull’agenda, lai scocca occhiatacce,
lei riferisce, lei sente tutto, lei… Lei sa.” disse una donna dai capelli
neri e gli occhi gialli.
“Ma smettila di dire
stupidaggini Simone. Ha talmente tante cose per la testa che non si ricorda
quasi come si chiama. Non succederà niente. E smettila di fumarti le canne. Lo
sai che fa male alla salute.” le disse un uomo. Era molto bello, castano con
gli occhi azzurri dalle fattezze celestiali. Alto, muscoloso e con il distintivo
tirato a lucido ben visibile.
“Fai quello che vuoi
Scott. Ma.. non ti conviene dire quelle cose. E… io non fumo un bel niente. Al
contrario di te. E a quanto vedo non fai solo quello. Quante prostitute ti sei
fatto ieri notte? Quattro? Cinque? Oh, non mi dire che sono addirittura sei?! Ma
sei un mandrillo!”
“Senti stronzetta,
io…”
La porta a vetri si aprì
di scatto.
Un rumore di tacchi si
propagò per la stanza, seguiti subito dalla figura di una donna.
Era alta e magra. I
lineamenti del suo viso erano dolci e morbidi, smorzati però dalla decisione e
ira che i suoi occhi, color cioccolato, esprimevano.
I capelli erano castani
ricci. Alcuni boccoli ribelli le accarezzavano il viso, dondolando al ritmo
sostenuto dei passi. Avvolta da una tenue nuvola di profumo egiziano, faceva
voltare le teste di molti, affascinati dalla sua bellezza e allo stesso tempo
terrorizzati dalla sua autorevolezza.
Aveva una giacca di lino
blu aperta, da cui si poteva chiaramente vedere una camicia bianca che le
avvolgeva il petto.
Aveva un paio di
pantaloni a imbuto blu notte di cotone che coprivano le scarpe, nere lucide di
tacco medio alto, fino sotto il tallone.
Con una mano reggeva
alcuni fascicoli strettamente riservati e l’altra era libera, vicino alla
borsa di cotone rigido, dal manico lungo, che le strusciava contro la coscia.
Le sue labbra serrate
erano coperte da una passata di rossetto rosso scuro. I suoi occhi erano
risaltati da una linea di matita e un ombretto color ambra scura. Con fierezza
camminava vero il suo ufficio mentre alcuni colleghi la guardavano aspettando un
ordine o anche solo un cenno: erano pronti a seguirla.
Lei, Hermione Granger,
era la numero uno.
Scoccò un occhiataccia
a Scott che deglutì vistosamente. Fece dei cenni ad alcuni che erano alle
proprie scrivanie a lavorare seriamente, che ricambiarono il saluto con brevi
sorrisi.
La Granger aprì la
porta dell’ufficio, gettando lo sguardo sul tavolo vuoto della sua segretaria.
Chiuse la porta con uno
scatto rabbioso. Scostò la tendina e vide la donna dai capelli rosso scuro,
Manny, sghignazzare come un oca verso Scott, che le sorrideva mandandole dei
baci con la mano.
La Granger fece un
ghigno e tirò giù la veneziana.
Appese la borsa
sull’attaccapanni di legno scuro. Si sedette sulla sedia girevole
e sprofondò nella sua morbidezza. Si spinse con i piedi e fece due o tre
giri, chiudendo gli occhi.
Qualcuno bussò.
Aprì gli occhi e con
uno scatto si fermò. Si ricompose, aprì un cassetto tirando fuori una agenda
abbastanza grande, foderata di pelle opaca arancione. Prese una penna dal porta
oggetti, schiacciò il pulsante e disse “Avanti.”
La porta si aprì e
Simone fece capolino con un sorriso largo e felice.
“Salve signorina
Wilson. Cosa desidera?”
“Bè, volevo solo
dirle che il signor Scott, non la smette di chiamarmi cannata.”
“Non preoccuparti
Simone. Ho già preso provvedimenti. Dunque… Oggi alla macchina del caffè
c’erano: Baxter, Atkins, Norton e … Longfellow. Ah, e ovviamente Scott. Devi
dirmi altro Simone?” le chiese mentre segnava con la penna i nomi
sull’agenda.
“No capo. Grazie ed
arrivederci.” disse la donna. Si voltò e si richiuse la porta alle spalle.
La riccia posò la penna
sul tavolo e si adagiò comodamente nella poltrona. Quella Simone era proprio
strana. Una bella ragazza con alcune caratteristiche alquanto… lunatiche. Se
si poteva dire quella ragazza era come una sua fan sfegatata e alquanto strana.
La seguiva ovunque e
teneva sempre il suo lungo naso in mezzo ai vecchi fascicoli di casi risolti
brillantemente da lei e dai suoi colleghi più fedeli. All’inizio era sempre
timorosa, sempre a tremare come una foglia… Poi alla morte di Iris, era come
rinata. Non le rovesciava più il caffé addosso o non le metteva la mostarda al
posto della salsa verde italiana, il pesto,
sulla pasta.
Iris…
Già, Iris.
L’amica, anzi,
l’unica persona che si fosse avvicinata così tanto alla sua persona e che
potesse veramente chiamare amica. Iris si era sposata con Aubrey Sterne, suo
stimato collega e amico pochi mesi
prima di quella notte.
Quella notte…
FLASHBACK
Avevamo appena chiuso un
caso di omicidio, quello della maestra d’asilo Sandra Vickers uccisa dal padre
di un bambino, perché non accettava i soldi per assicurare il figlio ad una
buona scuola elementare… Un pazzo.
Ci salutammo in fretta.
Lei doveva andare al Europa Restaurante, per festeggiare il suo compleanno.
Mi ricordo di averle
regalato una spilla con una rosa.
Le scrissi nel
biglietto: L’amicizia
è l’unico cemento capace di tenere assieme il mondo.
Mi
aveva abbracciato. Ed io ero felice.
Io
andai a casa, prendendo la macchina. Mi offri di accompagnarla davanti al
ristorante ma lei rifiutò, dicendomi che ci saremmo riviste presto. Disse che
mi avrebbe telefonato.
Io
le sorrisi e fuggii via, sulla mia potente macchina: una Panda, della Fiat,
marca italiana.
Arrivai
a casa poco dopo e mi svaccai sul divano in tuta e con una scatola di gelato
alla nocciola, il mio preferito… Mi addormentai in poco tempo con il cucchiaio
a mezz’aria.
Ricevetti
una telefonata in piena notte.
“Pronto?”
risposi assonnata
“Herm…
Sono Rupert” mi rispose un uomo dall’altra parte del telefono
“Oh,
dimmi capo.” dissi alzandomi preoccupata
“Herm…
mi dispiace così tanto” mi sussurrò. Aggrottai le sopracciglia. Non mi aveva
detto ‘non chiamarmi capo.’ La faccenda si faceva complicata. Anzi, paurosa
“Herm…
Iris… è….” disse il capo tristemente. Lo interruppi. Non volevo sapere.
Volevo essere lì.
“Dove
siete.” gli chiesi con voce dura.
“Di
fronte al Europa Restaurante. C’è anche Aubrey”
“Arrivo
subito. Aspettatemi.”e riagganciai il telefono
Non
mi vestii neanche. Mi misi una giacca pesante, infilai le un paio di scarpe da
ginnastica e mi scapicollai in garage.
“Moto
o macchina, moto o macchina, moto…”
Rifermai
di fronte alla mia moto. Una Honda bianca da corsa, bellissima. La misi in moto
e attesi l’apertura del garage. E partii a tutta birra.
Il
vento mi accarezzava la faccia e i capelli frustavano l’aria. Non avevo
nemmeno il casco.
Superai
Scotland Yard e girai a destra percorrendo tutta la via. In fondo alla strada
c’era il ristorante. Vidi luci e sentii il rumore delle sirene.
Frenaii
vicino al nastro giallo e lo attraversai.
Un
agente fece per fermarmi, ma cambiò idea: era Scott. Mi fece un sorriso falso e
pieno di rancore e ilarità. Si spostò e vidi ciò che mi fece rabbrividire. Un
corpo inerme di una donna in una pozza di sangue. Mi avvicinai spintonando tutte
le persone che tentavano di fermarmi.
Mi
inginocchiai vicino al corpo: era stato investito più volte e da varie
angolazioni. Le ossa erano tutte rotte e alcune formavano dei bozzi nella pelle.
Lo stomaco era stato perforato da un pugnale e la faccia era stata sfregiata da
qualcosa di appuntito, forse lo stesso arnese che era conficcato nella pancia.
Mi
voltai verso il capo e Aubrey, che
piangeva disperato.
Mi
chinai su Iris e le diedi un delicato bacio sulla guancia. Adagiai il suo corpo
su di me ed incominciai a dondolarla, come se fosse una neonata.
Aubrey
mi vide e si avvicinò. Piangendo mi disse
“Per
sempre insieme?” e in attesa di
una risposta si affiancò a me e prese la mano di Iris nella sua.
Aspettai.
Aspettai così tanto… Alcuni colleghi mi tolsero via il corpo di Iris dalle
braccia, e io rimasi lì con Aubrey, a fissare la pozza di sangue. Notai però
una cosa: un anello con un serpente. Negli occhi c’erano degli smeraldi ed il
corpo era argento. Lo presi e lo misi in tasca.
Mi
alzai, seguita da Aubrey.
“Per
sempre insieme” gli dissi. E in quel momento ebbi paura.
Tornai
a casa e piansi. Tutto il mio
dolore, tutta la frustrazione che il lavoro mi dava, tutte le delusioni
d’amore… tutto.
FINE
FLASHBACK
La
riccia prese una foto dalla cornice semplice, di ebano. Una donna dai capelli
color miele e gli occhi marroni, vestita da sposa, le sorrideva. Era affiancata
da un uomo dai capelli neri e gli occhi verdi, vestito da sposo. In basso a
destra c’era scritto “Aubrey e Iris. Se desideri essere accanto a qualcuno che ami, non ci sei forse già? ” Hermione
sorrise.
Con
uno scatto la segretaria aprì la porta.
La
castana la scrutò accigliata.
“Percaso
ti sei dimenticata che devi bussare prima di entrare?”
“Mi
scusi signorina, non sapevo che fosse qui.” sussurrò la ragazza spaventata.
“Ci
credo. Eri a spassartela con Scott. Che cosa vuoi?” chiese divertita alla
segretaria che era sbiancata di colpo.
“Le
volevo portare la posta” sussurrò appoggiando alcune lettere sulla scrivania.
“Mi
scuso ancora. Arrivederci.” e detto ciò chiuse la porta.
“Stupida
ragazzina”
Bussarono
nuovamente.
“Che
c’è!” urlò la donna
La
porta si aprì ed un uomo alto e grosso la scrutava con un sopracciglio alzato
“Oh,
capo! Scusami. La mia segretaria è una sciocca.”
“Herm,
non chiamarmi capo. Il tuo uomo ha colpito ancora”
“Ancora?
Dove?”chiesi scocciata. Le uccisioni di quell'uomo erano diventati di routine,
oramai
“A
casa di Helen Mithchel. È morta. Lei e la governante.”
La
riccia si alzò, prese a sua borsa e uscì dalla porta, seguita a ruota dal
capo.
Bene
bene… si prospetta una storia interessante, che ne dite? Questo è il mio
primo poliziesco thriller. Spero che vi piaccia.
Non
chiedetemi da dove mi sia uscita sta storia. Perché non lo so nemmeno io!!!
Recensite
Besi
a tutti.
BP