Quella sera al WhellCome c’era qualcosa di diverso.
Un’atmosfera strana....non sgradevole assolutamente, ma mentre la gente seduta
sui comodi divanetti rossi chiacchierava, beveva e fumava in pace era come se
mancasse qualcosa. E tutti sembravano in trepidante attesa. Era come se i
divani del locale volessero dare agli habitué e ai nuovi avventori quella privacy
e quella pace tanto ricercata dopo una dura giornata di lavoro, e ai giovani
l’intimità adatta a divertirsi. E la musica era tutt’altro che invadente, anche
se il rock imperava su tutto. Quella sera in particolare la scaletta delle
canzoni era decisamente piena. Nonostante bisognasse alzare la voce per farsi
sentire nessuno si lamentava. Anzi, molti si lasciavano andare al ritmo
picchiettando le unghie e i tacchi. Tutti guardavano spesso verso la porta. Lampade
rosse diffondevano tenue luce per tutto il locale e la penombra e l’ombra
birichina e mascalzona la facevano da padroni, e la folla ciarlava e urlava,
parlava e ballava in quella mezza pista da ballo al centro del locale; era una
serata strana.
Fin dalla sua apertura, un paio di mesi prima, il locale aveva
riscosso un immediato successo. Di norma era ormai li che parecchi passavano le
proprie serate.
Ma quella sera....era come se dovesse accadere qualcosa di
diverso. Di particolare.
Tutto era surreale, sognante. Le coppiette erano più audaci
del solito dietro i separé, e fra quelli che si sfioravano solamente le labbra
e quelli che erano sul punto di darsi alla pazza gioia sui tavolini bassi buttando
per terra i bicchieri e il posacenere veniva da sorridere e lasciarli fare, ed
anzi da seguire il loro esempio. C’era una sottile nebbiolina, una via di mezzo
fra il fumo delle sigarette e i fumi dell’alcool, che appanava la vista e dava
alla testa.
In quei due mesi, e nessuno sembrava essersene reso conto, il
padrone del locale non si era visto nemmeno una volta. E nessuno sapeva chi
fosse. Ma aveva portato una ventata di novità non indifferente.
Anche l’alcool era strano quella sera. Era più buono e se n’era accorto anche il barman, che nel suo completo nero di camicia elegante e jeans serviva allegramente gli avventori, intrattenendoli facendo volteggiare le bottiglie e i bicchieri dove shakerava i cocktails. Lo chiamavano l’Egizio. Affabile, simpatico, con la faccia da tossico e la sigaretta in bocca. Era tutto tranne che tossico. In quel momento era più che altro mezzo ubriaco. Ubriaco come il chitarrista sul palco, che inondato di luce rossa ingaggiava col bassista una lotta all’ultima nota, e dove assoli erano temi e controtemi, in un botta e risposta degno di Bach. Così suonavano Vash, che andava perdendosi nell’oceano della psichedelia fulminante di flash e rilucente come diamanti nel cielo; Frederick, detto Freddie, che tempestava il basso e oscurava la luna; Era strana quella sera. Si sentiva anche in cucina, da dove ogni tanto faceva capolino il mastro capocuoco, confabulava col barista e tornava dentro sorridente e fatto come una zucchina, il Flaxio, che guardava divertito gli avventori come a cercare l’illuminazione per un piatto nuovo o uno stuzzichino. Quando l’aveva trovata ne eri certo. Perchè sorridendo soddisfatto afferrava l’accendino squagliava tritava girava e appicciava. E dopo poco sentiva pervaderlo quella strana aria che c’era nel locale surreale e la nebbia che gli sfilava placidamente davanti agli occhi, mentre il fuoco bruciava al rallentatore.
E al rallentatore vedevi arrivare la cameriera preferita del
locale, gli occhi ammaliatori e un fisico da urlo. Quello stesso urlo che tiravano
i signori per le gomitate delle fidanzate gelose, mentre lei in corpetto e
minigonna corvini come i suoi capelli ti serviva sorridente e un po’ brilla. Varin
ti serviva e poi andava sotto ai cubi a baciare la sua amica ballerina. Un
bacio appassionato e sempre gradito, il sentire le labbra saporite umide di
alcool sfiorarsi e cercarsi per poi sorridere, mentre l’amica Charlotte tornava
a ballare e un'altra, Julia, dolce come il peccato e bollente come il fuoco di
gelosia fermava la bella cameriera per baciarla a sua volta. E non contenta
cercava poi anche le labbra di Charlotte. Baciare e ballare,guardare ma non toccare.
La porte trillava incessante e sempre nuova gente entrava nel
locale in quella serata dall’atmosfera strana.
Ma nessuno sembrava essere la persona giusta, e così tutti
continuavano a lanciare sguardi verso la porta.
Nella migliore tradizione Dantesca, su quella porta erano
state incise le ultime parole della Porta dell’Inferno.
“Dinanzi a me non fuor cose create se non eterne, ed io
eterna sono. Lasciate ogni speranza voi ch’intrate.”
Sembrava un invito, più che un ammonimento.
Lascia perdere le tue speranze deluse, i tuoi sogni infranti, gli amori non corrisposti e i problemi irrisolti.
Anche solo per una notte, poi torna alla tua realtà.
Per te quella porta sarà sempre aperta, da qui alla fine.
Ma pensaci bene, perchè se è così facile entrare, non è
altrettanto facile uscire.
E se ti perdi, nessuno sarà così magnanimo da venirti a
cercare.
Sei all’Inferno, dopotutto.