Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Clockwise    09/03/2013    1 recensioni
Questa storia mi è venuta in mente ascoltando la bellissima Shiver dei Coldplay, anche se il risultato finale ha poco a che fare con la canzone.
Parla di un ragazzo e di una ragazza, di amore, di freddo, di tanto tempo fa.
Leggete e lasciate qualche recensione, mi piacerebbe sapere come posso migliorare!
E.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Peter… Peter fermati, non correre!» Il bambino rallentò un poco la sua corsa spensierata e si volse indietro a guardare la madre. Helen affrettò il passo fino a raggiungerlo, poi gli prese la mano con forza e camminarono insieme.
«Mamma, non sono un bambino piccolo, posso camminare da solo!» protestò contrariato.
«Hai sei anni, Peter, sei ancora piccolo. E poi questa è una città che non conosco, non posso lasciarti camminare da solo… guarda che folla.»
La piazza della cattedrale era gremita di gente che andava alla messa della mattina, ad eccezione di Helen e suo figlio. Helen cercava una casa. Una casa in una viuzza nei pressi della cattedrale. Anzi, la persona che abitava in quella casa. Rilesse l’indirizzo sul biglietto sgualcito che teneva nella mano infreddolita. Si gelava, lì ad Edimburgo. Arrivarono in una via laterale alla piazza, piuttosto spaziosa, costeggiata da eleganti casette a due piani. Avanzarono fino al numero nove. Helen salì i tre gradini, tenendo il figlio davanti a sé, poi bussò. Il cuore batteva a più non posso. La porta si aprì.
«Desiderate?»
Dieci inverni e dieci estati erano passati, eppure non era cambiato molto. I capelli erano meno folti e meno rossi, e leggere rughe cominciavano a delinearsi sulla fronte e intorno agli occhi, eppure  questi erano come li ricordava l’ultima volta, sofferenti per una ferita del cuore che il tempo non aveva guarito ma con una tenue scintilla che rifulgeva in loro, e gli dava vita.
Peter non la riconobbe subito. Era diversa, gli occhi spenti, la fronte solcata da rughe.
Il nome di lei gli morì sulle labbra mentre gli occhi si riempivano di lacrime.
«Venite.» disse solo, dopo un momento, e li fece entrare. Si accomodarono nel grazioso salotto.
«Vi… vi porto del the, qualcosa…» chiese, ancora frastornato.
«No, grazie.» rispose Helen. Lui si sedette su una poltrona accanto al divano dov’erano lei e il figlio.
«Lui è…» cominciò Peter.
«Sì, è mio figlio. Tesoro, presentati, da bravo.»
Il bambino si alzò e avanzò impettito fino alla poltrona di Peter, si tolse il berretto e tese la mano.
«Sono lieto di conoscerla signore, io mi chiamo Peter.» declamò scandendo bene le parole. Peter spalancò gli occhi, incredulo. Quasi dimenticò di stringere la mano al bambino che aspettava.
«A-anch’io mi chiamo Peter, sai.» disse, la voce tremante, guardando Helen. Lei non batté ciglio.
«Davvero?» disse estasiato il bambino. Non aveva mai incontrato nessuno con il suo stesso nome.
«Sai, la mamma mi ha detto che il nonno voleva chiamarmi Andrew, come lui, ma la mamma ha insistito tanto per chiamarmi Peter, anche se nessun altro voleva. Vero, mamma?»
Lei annuì, senza staccare gli occhi da quelli dell’uomo davanti a lei. Era sconvolto, glielo si leggeva in fronte. Non credeva a quello che aveva appena visto. Quel bambino… suo figlio. In effetti le assomigliava. Avevano gli stessi occhi.
«Cosa… Come mai sei qui, Helen?» chiese, facendo vagare lo sguardo, irrequieto.
«È passato tanto tempo, io… Devo raccontarti tante cose. Vogliamo fare… una passeggiata?» domandò Helen, esitante. Anche dieci anni prima avevano passeggiato, e non erano più stati gli stessi da allora.
«Certo, certo. È una bella giornata, anche se fa freddo. E Edimburgo è proprio bella. Sì, andiamo, andiamo.»
Uscirono nella gelida aria scozzese. Peter si incamminò verso il centro, dalla parte opposta rispetto alla cattedrale. Helen era al suo fianco, il piccolo Peter saltellava davanti a loro. Pensò che sembravano davvero una famiglia. Gli si strinse il cuore. Lui non aveva una famiglia, né una moglie; non si era mai sposato. Era diventato un giornalista – lui, che un tempo era solo un impiegato da quattro soldi nell’ufficio di un notaio! – e si era comprato una bella casetta e molti libri. Ma non l’aveva mai condivisa con una donna. Era solo.
Senza che glielo chiedesse, Helen iniziò a parlare.
«Ti ricordi, Peter, l’ultima volta che ci siamo visti? E abbiamo litigato. Ricordi che mi dicesti che avevo un cuore di ghiaccio? Sai, avevi ragione. Ho davvero un cuore di ghiaccio.»
Mentre camminavano nella splendente mattina attraverso le linde strade della città, Helen gli raccontò di come, quel giorno di Capodanno di dieci anni fa, si fosse accorta di essere innamorata di lui, di come avesse cercato di raggiungerlo. I suoi genitori, però, l’avevano scoperta mentre preparava la borsa e gliel’avevano impedito. Aveva pianto, urlato, implorato. Le avevano dato uno schiaffo. Aveva passato un periodo terribile, chiusa per giorni nella sua camera, con sua sorella Alyssa che le portava da mangiare.
Qualche tempo dopo, forse un paio di mesi, suo padre le aveva detto che un giovane era venuto a chiedergli la sua mano, e lui l’aveva accettato. Erik. Stavolta non aveva pianto. Era troppo inorridita per piangere: come avrebbe passato tutta la vita accanto ad un uomo che non amava? Aveva cercato di opporsi; suo padre aveva minacciato di diseredarla. Cosa avrebbe fatto allora, senza un soldo, senza dote, senza famiglia? Accettò. Si sottomise. Non aveva scelta. Inoltre, pensieri spiacevoli si erano insidiati nella sua mente: se anche fosse scappata, cosa le garantiva che Peter l’amasse ancora, o fosse disposto a perdonarla? Se così non fosse stato?
L’aveva sposato. Quante notti aveva pianto, silenziosamente. Aveva sentito anche lui piangere, un paio di volte, quando pensava che lei dormisse; si sentiva in colpa, si odiava per averla resa tanto infelice, ma lui le aveva chiesto di sposarlo semplicemente perché credeva di amarla. Eppure, Helen non lo biasimava per averla sposata, perché gli voleva bene, in fondo.
Quattro anni dopo il matrimonio, nacque Peter. Rimasero tutti sbigottiti quando Helen disse che voleva chiamarlo così. Ricordava i loro volti come se fosse successo il giorno prima: sua madre con le lacrime agli occhi, suo padre infuriato, Alyssa commossa ed Erik addolorato. In quel momento aveva capito che Helen non aveva mai smesso di amare Peter, il suo vecchio amico, e mai l’avrebbe fatto. Poco tempo dopo, Erik ed Helen iniziarono a dormire in stanze separate.
Peter era stato la luce nella sua vita, il Sole intorno a cui ruotava, il fulcro della sua esistenza. Quando lo stringeva fra le braccia, era felice. Anche Erik amava quel bambino. Forse proprio lui riuscì a riavvicinarli, a far riscoprire loro l’affetto che provavano l’uno per l’altra. Non si amarono mai, ma si sostennero e si rispettarono. Helen stava finalmente bene.
Tre anni dopo, dovette dire addio a sua madre. Fu devastante.
Aveva appena ritrovato una parvenza di equilibrio che anche Erik si ammalò, un anno dopo. Vide quel ragazzo forte, quel compagno prezioso, il padre di suo figlio, scomparire giorno dopo giorno, consumarsi lentamente. Anche lei si sentiva morire poco a poco. Non era giusto, perché lui? Cosa aveva fatto di male lui, nella sua vita? Era lei, lei quella da punire. Ma Erik seppe darle forza, di nuovo, anche se la vita stava per abbandonarlo.
Trovalo, le aveva sussurrato un giorno, mentre sedevano accanto al fuoco, ritrovalo, non buttare la tua vita. Digli che lo ami. Helen lo aveva guardato, incredula. Era serio, e incredibilmente sereno, mentre guardava placido il fuoco. Si era girato e aveva sorriso. Ti voglio bene, Helen.
Pochi giorni dopo, era rimasta sola, con l’eco delle sue parole che la tormentava. Doveva davvero farlo? Aveva rispettato l’anno di lutto, atteso un anno ancora e poi si era messa in cammino e aveva fatto quel viaggio che avrebbe voluto fare tanti anni prima.
 
Camminando, avevano fatto il giro dell’isolato, ed erano di nuovo nella piazza. La cattedrale si stagliava imponente contro il cielo. C’era molta meno gente adesso.
Il piccolo Peter era stanco, aveva smesso da un pezzo di saltellare; ora camminava davanti a loro mettendo un piede davanti all’altro come un funambolo, con le braccia stese in fuori.
Peter sorrise vedendolo. Non aveva detto una parola durante tutto il racconto di Helen. Gli dispiaceva che Helen avesse patito tanto in quegli anni a causa sua e della sua vigliaccheria. Se avesse saputo quanto sarebbe stata dannosa per entrambi la sua partenza… Ma non poteva cambiare il passato. Fece un profondo respiro, cercando di calmarsi e di ricacciare le lacrime.
«E così… sono venuta. Volevo solo rivederti, Peter, ne sentivo il bisogno. Tutto qui. Io non… Volevo raccontarti tutto. Spiegarti. Come avrei dovuto fare dieci anni fa.»
«Helen…»la voce gli uscì roca dopo tutto quel tempo in silenzio. Lei lo interruppe.
«Sai, sarei potuta venire prima. Ne ho avuto l’occasione una volta, prima che nascesse Peter. Ero sola, Erik non ricordo dov’era, forse da sua madre, e io avevo i soldi. Ma ho avuto paura. Paura che tu… tu non mi avessi aspettato. Che ti fossi risposato, rifatto una vita, ricominciato a vivere. Che non mi avresti più amata. Io davvero…»
Un abbraccio caldo e avvolgente le spense le parole sulle labbra. Peter. Le sue forti braccia la tenevano stretta, la sostenevano, le arrestavano le lacrime. Respirò profondamente, ritrovando la calma. Sentì un soffio sui capelli e un mormorio indistinto. Alzò la testa.
«Come hai potuto pensarlo? Lena, io ti aspetterò sempre. Sempre.» sussurrò commosso Peter. Le posò un bacio sulla fronte, dolce, rassicurante. Tremò al contatto delle sue labbra e lacrime scesero copiose sulle guance, mentre lui la stringeva più forte.
Peter sentì qualcuno tirarlo per la gamba dei pantaloni. Sciolse delicatamente l’abbraccio, lasciandole un braccio intorno alla vita.
«Signore, perché la mamma piange?» chiese il piccolo Peter, preoccupato, sull’orlo delle lacrime anche lui.
«Sai, Peter, a volte le persone piangono quando sono tanto felici.» Vide un sorriso allargarsi sul piccolo viso. D’impeto, si abbassò e lo prese in braccio, mentre il bambino protestava ridendo «Sono grande, sono grande!» Helen si avvicinò. Circondò anche lei con l’altro braccio. Il bambino rideva.
 
La finestra della sua stanza si affacciava sulla piazza. Le stelle illuminavano la cattedrale, che sembrava viva, magica. Immaginò che dalle guglie, dalle vetrate si sarebbero levati canti bassi e melodiosi, organi e violoncelli malinconici, per cantare una ninnananna alla luna. La cattedrale splendeva, maestosa eppure così elegante e delicata.
Helen e il bambino dormivano sereni nell’altra stanza. Un solo muro li divideva, non più centinaia di miglia. Peter sorrise alla luna. Non sono più solo, sai. Ho una famiglia, adesso.
Stentava a crederci. Appena si fossero entrambi abituati ad essersi ritrovati, l’avrebbe sposata. Subito. Aveva aspettato dieci anni per farlo, erano più che abbastanza; dieci anni di solitudine, di rimpianti, di lavoro, di libri. D’un tratto, però, guardando lo splendore delle stelle, si rese conto che per lei, ne avrebbe aspettati anche mille.
Chiuse gli occhi, le stelle vegliavano sul suo sonno.
 

And I'll always be waiting for you.
 
 
 
 
 

 
***
Eeee stop. Eccolo qui. Ce l’ho fatta. Ho finito. Fiuuu.
Da una parte mi dispiace, mi ero affezionata ai drammi di questi due; dall’altra non vedevo l’ora di dire ‘ho finito’. =)
Parlando del capitolo, è venuto fuori decisamente troppo lungo, ma non sapevo cosa tagliare né come dividerlo. Scusate se vi ho reso la lettura noiosa.
Capisco che ne abbiate fin sopra i capelli di me e delle scemenze che ho scritto, per cui taglio corto e passo ai ringraziamenti.
Grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui, e sono stati vicini ad Helen e Peter (anche se mi piacerebbe molto una recensioncina…); grazie a silvieritchiecobain che ha commentato tutti i capitoli; e una mega grazie a HeartSoul97 perché… perché sì e basta. =)
Beh, è l’ora dei saluti: ciao a tutti, è stato un piacere, forse prossimamente pubblicherò qualcos’altro, non lo so, può essere, dateci un’occhiatina se lo faccio, grazie ancora, ciao.
Vi prego recensite. Vi prego. Vi prego tanto. Vi costerà solo qualche minuto del vostro tempo e potrete fare felice una persona (=me) - anche se critica la recensione, sarei felice lo stesso. Pleaseee. Ok basta.
Goodnight everybody, thank you aaaall.
E.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Clockwise