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Autore: Grey Sandcastle    09/03/2013    1 recensioni
Ho un modo tutto mio per affrontare la vita, o meglio, per non affrontarla. Non sono una di quelli che vanno incontro alla loro sorte a braccia aperte, piuttosto mi siedo su una poltrona ad aspettare che il destino mi venga addosso come uno tsunami, sommergendomi di voglia di vivere, voglia di divertirmi e voglia di scoprire cose nuove. E in realtà sto ancora aspettando anche quello.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spazio dell'autrice

E così, questa è la mia primissima storia originale. In realtà la progettavo già da un po', ma avevo paura di fare un salto nel vuoto, avevo paura di essere banale e scontata. Spero di non esserlo stata.
Ho buttato giù la prima bozza di questa storia in un pomeriggio povoso di qualche tempo fa, e ora le idee mi frullano inesorabili nella testa. I bozzetti però sono pochi e fatti male, tanto so che non rispetterò mai quello che ho scritto.
Mentre scrivevo al computer la bella, ascoltavo Bowie e i Muse, e diciamo che mi hanno influenzata a cambiare qualche aspetto, la diversità di Meg, la voglia di non arrendersi... Tutte cose che si leggeranno con il procedere della storia.
Buona lettura, quindi!

- Grey

*** *** ***

Waiting
capitolo 1 - Adios, mi corazon



Eccomi qua, relegata in una Peugeot vecchia di anni, sporca, che puzza di cavolo, in attesa di incontrare la mia famiglia.
Ormai mi sono abituata a quest'odore nauseabondo, tutte le volte che cambio casa c'è sempre lei a venirmi a prendere e a scarrozzarmi in giro per la nazione, qualsiasi sia la meta. E' una mia fedele compagna di viaggio, quasi quanto lo sono le cuffiette del mio iPod, anche lui vecchio di anni. Nemmmeno loro sono mai cambiate... Forse, assieme la macchina sono le uniche costanti nella mia vita, il resto è un macello perenne.
Per sradicare qualche dubbio che credo vi sarà sorto, sì, sto andando ad incontrare la mia nuova mamma ed il mio nuovo papà. I servizi sociali si augurano che sia l'ultima volta che faccio fare cento e più chilometri al loro ferrovecchio per trasferirmi, sperano che da stasera in poi riconosca in quei due sconosciuti l'autorità dei miei genitori.
Non sono orfana... Non credo, almeno. Mia madre se n'è andata quando avevo 11 mesi, è scappata con il suo amante in Polonia, terra natale di lui. Mio padre invece se l'è data a gambe quattro anni fa, il giorno di Santo Stefano. Mi ha detto di svegliarlo all'alba, ed io da brava undicenne in cerca di attenzioni alle 5 e mezzo sono andata da in camera sua a tirarlo giù dal letto, e lui mi ha rivolto un sorriso stanco, ha aperto un cassetto e mi ha dato una lettera. "Leggila quando vedrai la mia macchina sparire all'orizzonte. Non seguirmi. Rendimi fiero di te, tornerò quando avrò fatto fortuna." mi ha raccomandato, "Sei una brava bambina." ha aggiunto, poi ha preso i bagagli che aveva lasciato all'entrata e, senza guardarsi indietro a salutare per l'ultima volta la sua casa, senza salutare me per l'ultima volta, è uscito, ha sbattuto la portiera della macchina ed è andato via.
L'ho seguito in strada, poi mi sono ricordata di quello che mi aveva detto di fare e mi sono fermata, stringendo al petto la sua lettera, guardandolo mentre girava la curva alla fine della via. Sono poi rientrata in casa e, sedendomi sul tavolo della cucina come facevo quando aspettavo la cena con papà, ho aperto quel foglio di carta ingiallito con sopra la sua disordinata grafia sbilenca.
Figlia mia,
mi dispiace enormemente per come ti sto abbandonando in questo preciso momento, ma è stata una decisione pensata, quindi non ho rimpianti.
Sono partito per cercare la fortuna, sai meglio di me che siamo in una situazione finanziaria del cazzo in questo momento, e, beh, ho intenzione di dare una svolta alle nostre vite.
Tornerò quando sarò riuscito a mettere assieme un bel gruzzolo, fino ad allora non cercarmi, vivi la tua vita. Quando ci ricongiungeremo, ti giuro, finiremo di vivere assieme, come abbiamo fatto fin'ora.
I servizi sociali arriveranno entro mezzogiorno, li ho già contattati.
Ti voglio bene,
            Papà.


La lettera la tengo ancora nascosta in uno scomparto del porafogli, assieme alla nostra ultima foto assieme, lontano dagli sguardi indiscreti. Sto ancora aspettando che mi arrivi una chiamata, una lettera, un piccione viaggiatore, qualsiasi cosa, che mi porti notizie sue notizie, per questo lascio il telefono ventiquattr'ore su ventiquattro acceso con la suoneria. Ma il telefono deve ancora squillare, ma a costo di vagabondare su questo catorcio per tutta la vita sperando che mi chiami, l'aspetterò.
Tanto, cosa mi resta? Un paio di vestiti, un iPod, una lettera e qualche soldo. Nessuno a cui volere bene. Nessuno a cui sono sentimentalmente legata. Non un'anima.

Mentre percorriamo le vaste e aride pianure del Nevada ripenso a come me la sono cavata fino a questo punto: a 11 anni sono andata nella mia prima famiglia adottiva, nell'Idaho. Era brava gente, ma dopo tre settimane mi hanno mandata via. Stessa cosa con la famiglia seguente, nel Winsconsin: un mese dopo ero di nuovo sulla Peugeot., e così si è ripetuto nel Wyoming, New Jersey e Manhattan. Con la mia ultima famiglia, nel Minnesota mi trovavo davvero bene, loro mi lasciavano fare quello che volevo e io non davo loro problemi. Siamo durati quasi un anno, poi il loro figlio maggiore è stato beccato mentre aveva dell'erba nello zaino, e loro per tenermi lontana da pasticci giudiziari mi hanno allontanata; è stato uno degli addii più tristi della mia vita.
E così ora sono di nuovo in viaggio, diretta verso uno dei quartieri periferici di Los Angeles.
Non che mi dispiaccia, no, però so già che la pacchia durerà poco: varcherò la soglia di casa, i miei nuovi genitori faranno gli sdolcinati per un po', poi appena vedranno che non mi adeguo ai loro standard famigliari mi ripudieranno. Non che io fumi o mi droghi, anzi. E' solo che ho un modo tutto mio per affrontare la vita, o meglio, per non affrontarla. Non sono una di quelli che vanno incontro alla loro sorte a braccia aperte, piuttosto mi siedo su una poltrona ad aspettare che il destino mi venga addosso come uno tsunami, sommergendomi di voglia di vivere, voglia di divertirmi e voglia di scoprire cose nuove. E in realtà sto ancora aspettando anche quello.

Scendo dalla macchina, consapevole che quella non sarà l'ultima volta che la vedrò, e cammino a passi incerti verso l'uscio. E' una casa grande, strano ma vero, con un bel colonnato che da su un giardino sul davanti. Suono al campanello e mi apre la porta una donna con i capelli biondi lunghi fino alle spalle, sui quaranta, in forma smagliante. La sua bocca si apre in un sorriso, un sorriso perfetto che scopre 32 denti bianchissimi. "Sei tu Megan?" mi chiede, "Sei Megan Pritchard?"
"Basta un Meg" rispondo, sforzandomi di sorridere. Mi porge una mano, e, sempre sorridendo, mi fa entrare in una stanza color panna, ordinatissima. Un delicato aroma di fiori mi accoglie, quasi più amichevolmente di lei. Nel momento in cui chiude la porta, con un leggero sospiro penso: si comincia.
  
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