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Autore: FairyQueen_Titania    10/03/2013    5 recensioni
In un appartamento al centro di Stoccolma tre ragazzi uniti da un' incrollabile amicizia devono fare i conti con la vita quotidiana. Tra strani vicini, amori, imprevisti e piccole incomprensioni loro sono il Bad Trio e abitano nell' appartamento numero 3.
FrUk
RuPr
OlandaxSpagnaxSud Italia
Accenni pairing vari.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bad Friends Trio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Diamo il benvenuto ai fratelli Kirkland



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Arthur si rigirò inquieto nel letto. Benchè vivesse da solo, quando aveva affittato il bilocale già arredato, era stata l' unica cosa che avesse comprato sostituendo il lettino singolo che c' era prima con uno decisamente più comodo a una piazza e mezza.
Quando era arrivato a Stoccolma -ormai erano quasi tre anni- assieme all' ebbrezza di avere una casa sua e alle promesse allettanti di una vita da scapolo, finalmente indipendente, nel suo cuore si era fatta largo una certa tristezza e una buona dose di nostalgia. Da quel momento in poi sarebbe stato veramente solo e la sua casa desolatamente vuota. Nessuno con cui litigare, nessuno a cui scompigliare affettuosamente i capelli, nessuno di cui lamentarsi.
Aveva ritenuto inutile affittare un appartamento più grande o addirittura comprare casa. Prima di tutto non sapeva per quanto tempo sarebbe rimasto in Svezia -si sentivo così British dalla testa fino ai piedi- e poi era da solo. Una segreta speranza gli sussurrava quanto sarebbe stato bello conoscere una bella e dolce ragazza, innamorarsi e mettere su famiglia.
Riempire finalmente tutto quel vuoto che esisteva da tempo dentro di lui, ancor prima di lasciare l' Inghilterra.
Eppure in tre anni non aveva legato veramente con nessuno. In effetti non aveva mai avuto chissà quanti amici.
 Alfred, arrivato qualche mese prima, era stato una ventata d' aria fresca che però così come era arrivata se ne era anche andata.
Arthur fissò il soffitto, l' americano doveva essere a New York da almeno una settimana. Aveva deciso di partire e ritornare indietro alle sue radici, dalle persone che amava e che lo aspettavano pronte ad accoglierlo a braccia aperte nella sua caotica città. Arthur anche volendo, obiettivamente, non avrebbe potuto fare nulla per fermarlo. In effetti non sapeva neppure se il ragazzo fosse ritornato realmente a New York. Prima di partire gli aveva confidato in gran segreto che anche gli eroi a volte sbagliano, che si scusava e che lo vedeva più come un amico, un fratello che altro.
-C' è una persona- aveva iniziato durante un' uscita di servizio mentre fissava assorto la strada affollata di fronte a lui- c' è una persona che ho fatto soffrire tanto. Davvero, davvero tanto.- aveva fatto un mezzo sorriso- non è molto eroico vero?  Ho pensato che avrei potuto stare lontano da lei ma in realtà credo che ci siano persone da cui sia impossibile staccarsi, che ci attirano come calamite. Per me questa persona è così. E' la mia calamita. Non voglio che passino gli anni e poi un giorno chiedermi cosa stia facendo, avere dei rimpianti insomma. Arthur capisci cosa intendo?
L' inglese aveva annuito, poi, dopo interminabili minuti di silenzio, l' americano era ritornato a ridere come uno scemo dicendogli quanto quell' atmosfera così seriosa poco si adattasse allo spirito di un eroe.
Arthur ripensando a quel giorno allungò il braccio verso l' alto aprendo di fronte al viso la mano sinistra, l' anello dorato scintillava al suo dito fiero dell' amore che in teoria avrebbe dovuto rappresentare.
 L' inglese sorrise, sarebbe stato bello se quell' anello avesse rappresentato qualcosa di reale, un matrimonio vero, un amore vero... magari con una ragazza, ecco. Riabbassò il braccio sul letto infastidito e sospirò.
-Dannato francese- sibilò aggrottando le folte sopracciglia.
Francis era ciò che di più lontano potesse assomigliare a una ragazza. Si era mai vista una ragazza col pizzetto?
-Tch... ma tu guarda...
Francis era un grosso problema.
Francis poteva diventare il suo rimpianto più grande.
Francis, fondamentalmente, lo confondeva e Arthur non era abituato ad essere così confuso. Non che non lo fosse mai stato, ma era ua confusione di tipo diverso e solitamente era da imputare ai suoi fratelli. Con loro non sapeva mai come comportarsi, si sentiva sempre a disagio, a volte temeva di sbagliare qualcosa.
La confusione che gli provocava il francese invece era ben altra cosa. Non sapeva se odiarlo o...no, amarlo era decisamente una parola troppo grossa. Ma non sapeva neppure se gli stesse antipatico o meno!
Con Francis dondolava sempre su un' altalena emotiva di alti e bassi, di emozioni costantemente travolgenti e spinte al massimo. E questo, paradossalmente, lo divertiva...
... e lo inquietava!
La rana in qualche modo sembrava veramente occupare il vuoto dentro la sua anima afferrando elegantemente e con fare sfacciato anche spazi che non gli appartenevano. Era qualcosa di diverso rispetto ad Alfred.
Con l' americano ci era andato decisamente con i piedi di piombo, forse troppo, ora capiva che nessuno dei due voleva realmente quella relazione. Con Francis una parte di lui sembrava volersi lasciare andate. Quel ragazzo risvegliava un pezzettino del suo carattere nascosto sotto spessi strati di britannico autocontrollo.
 Forse certe volte non sbagliava a chiamarlo teppista.
Francis lo coinvolgeva, gli metteva addosso un senso di sicurezza e di protezione mai sperimentato. Si sentiva meno solo, aveva l' impressione che il francese gli avrebbe sempre dato una mano ogni volta che avesse cercato il suo aiuto.
Era prematuro affermare cose del genere, tuttavia erano sensazioni fatte di pelle e di istinto più che di una vera e approfondita conoscenza.
Arthur nascose la testa sotto il cuscino, poi un rumore forte e delle voci concitate lo fecero saltare sull' attenti. Tese l' orecchio e si alzò avvicinandosi alla porta, la socchiuse ma non poteva vedere nulla. Sentiva ancora delle voci. Ebbe un brivido, erano quasi familiari ma non poteva essere, sarebbe stato assurdo.
Si guardò intorno alla ricerca di un' arma, la pistola d' ordinanza era bella che conservata in centrale nel suo ordinatissimo armadietto, quindi l' unica cosa che gli venne in mente di prendere fu una gruccia dall' armadio.
Fece dei respiri profondi, coprì la gruccia con una maglia. Poteva vagamente somigliare a una pistola così?
Era terrorizzato, tuttavia un poliziotto non si tirava mai indietro e lui personalmente si sentiva un degno rappresentante della categoria.
Attraversò il brevissimo corridoio fiondandosi nella stanza all' ingresso gridando:- Fermi tutti! Qui sotto c' è una pistola!
Arthur boccheggiò.
Ian, seduto al tavolo della cucina col sigaro tra le labbra e il giornale alla mano, alzò svogliatamente lo sguardo su di lui prima di proferire un indignato:- Cristo, quanto sei idiota.
Jack, il maggiore dei gemelli si alzò dal pavimento dal quale stava raccogliendo i cocci di un vaso rotto per corrergli incontro e abbracciarlo:- Cavolo Art, da quanto tempo!- l' inglese si fece stringere nell' abbraccio senza fare una piega, non riusciva a muoversi. Era troppo stordito e... confuso, dannazione! Adocchiò il più  piccolo dei gemelli guardarlo storto dalla parete di fronte a cui si era appoggiato.
-Eric- Jack si girò verso il fratello che aveva assunto l' espressione apatica che lo contraddistingueva un giorno e sì e l' altro pure- vieni a salutare Artie.
Il ragazzo dal canto suo girò la faccia dall' altro lato prima di raggiungere Ian e chinarsi all' altezza della sua spalla per sbirciare cosa stesse leggendo l' altro.
Il rosso, senza neppure guardare il padrone di casa disse:- Arthur, questo giornale è una merda- lo girò per guardare la data- è vecchio di una settimana. Ma che cazzo... non ti interessa sapere che succede su in questo mondo?
Arthur sorvolò sulla domanda di Ian, e poi certo che gli interessava cosa accadeva nel mondo ma normalmente dopo aver letto il giornale lo dimenticava puntualmente al lavoro. Invece il biondo aggrottò le sopracciglia guardandosi intorno e cercando di ignorare il braccio di Jack ancora intorno al collo e lo sguardo assassino di Eric.
Mancava qualcosa. Mancava decisamente qualcosa.
-I mobili!- gridò rendendosi conto che al centro della stanza vuota era rimasto solo il piccolo tavolo e una sola sedia, quella su cui appunto era seduto Ian.
-Stavamo aspettando che ti svegliassi per prendere anche la stanza da letto- spiegò Jack sorridendo
-Do... dove sono i mobili?
Eric gli regalò uno sguardo compiaciuto e un mezzo ghigno, poi col pollice indicò la finestra alle proprie spalle. Arthr corse ad affacciarsi. Una ditta di traslochi si stava portando via i mobili.
-Che diavolo...? Perchè?!- chiese esasperato prima di urlare dalla finestra e precipitarsi giù per le scale a fermare quei tipi.

-Capo- fece uno degli operai dopo aver ascoltato le parole concitate di Arthur- qui c' è un tizio in mutande che dice che abbiamo sbagliato.
Arthur divenne rosso come un peperone mentre il capo dei traslocatori si avvicinava sghignazzando:- E allora?- domandò
-C' è un errore- ripetè l' inglese con tutto il contegno, poco a dire il vero, di cui era capace in quel momento- questi mobili non devono andare da nessuna parte. Non sono neppure miei!
-E ci credo! Se non può comprarsi nemmeno un paio di pantaloni da mettersi addosso, non vedo proprio come possa comprarsi quattro mobili.
Arthur sbuffò:- Sono dovuto scendere di corsa! Mi sono appena svegliato.
L' uomo guardò l' orologio che aveva al polso, poi Arthur:- A mezzogiorno?
-Sono stato a una festa! E poi mi scusi, e che diavolo, quando mai si lavora di 26?!
Il capo degli operai fece spallucce:- Soldi. Ci hanno pagato bene- poi indicò un ragazzo dai capelli rossicci affacciato alla finestra- ecco, quel tizio ci ha dato l' incarico.
Ian fece un cenno di saluto con la mano. Arthur scommetteva un piatto di scones che quel bastardo si stava godendo la scena ed Eric non doveva essere da meno.
-Mi scusi- l' inglese vide Jack avvicinarsi a loro a passo spedito- guardi, ci scusi veramente. Pensavamo di fare un favore a nostro fratello ma...- fece spallucce mostrando un sorriso dispiaciuto- potere scaricare di nuovo tutto?
L' uomo sbuffò:- E va bene ma i soldi non tornano indietro, noi la nostra parte l' abbiamo fatta.
Jack annuì ringraziando e scusandosi di nuovo.
Arthur si girò verso il ragazzo:- Grazie- sospirò. In qualche modo Jack trovava sempre le parole giuste per risolvere ogni situazione, a volte erano le più semplici. Forse era in generale il suo attegiamento e i suoi modi che ispiravano una fiducia istintiva.
Quando rientrarono in casa, trovarono Ian nella mdesima posizione in cui Arthur lo aveva lasciato, cioè seduto sulla sedia. Eric invece sembrava più interessato a guardare il lavoro dei traslocatori.
-Tch, in tre anni non sei nemmeno riuscito a comprarti quattro mobili- lo rimproverò il maggiore
-Evidentemente non ne sentivo il bisogno- rispse Arthur- saprò pur io che diamine fare della mia vita, no?
-Ragazzi smettetela. Ci siamo appena rivisti, non è il caso di litigare- si intromise Jack.
-Come no?- chiese Eric voltandosi verso il gemello- ad Arthur saranno mancate le liti tra fratelli.
Il silenzio cadde immediato nella stanza, poi il biondo chiese:- Che ci fate qui?
-Sembra che tu non sia contento di vederci- fece laconico Eric facendo sospirare esasperato il gemello.
-Io non avevo un cazzo da fare- iniziò Ian- e visto che per me un posto in cui vivere vale l' altro ho pensato di venire a trovare il mio caro fratellino. I marmocchi si sono voluti fare un anno di studio all' estero.
Arthur si convinse che il ragionamento non faceva una piega, era tipico di Ian e del resto suo fratello poteva permettersi certi capricci visto e considerato il suo tenore di vita. Era un ex calciatore di un' importante squadra nazionale, aveva fatto anche dei buoni investimenti quindi di soldi ne aveva.
-Non avete intenzione di stare qui, vero?- si informò il biondo.
-Certo che no, idiota. Non ci entreremmo. Ho comprato un appartamento per tutti e quattro.
-Ah, bene...
 ...
Cosa?!-


Arthur stava facendo la strada che lo separava da casa di Francis pigiando costantemente sull' accelleratore. E dire che di solito era così prudente! Forse scappare via come un coniglio mollando i suoi fratelli nel bel mezzo di una conversazione non era stato molto da gentleman, non educato, non eroico, non...
-E chi cazzo se ne frega!- sbottò parcheggiando sotto casa del francese.
Entrò come una furia ignorando il tappeto rosa con coniglietti bianchi all' entrata, ignorando persino la canzoncina di Jingle Bells che risuonava nel piccolo ascensore e persino il polacco al suo fianco che guardava inorridito l' accostamento di colori - maglietta giallo fluo e giacca verde pisello- che aveva adotttato quella mattina.
-Ma tipo- lo sentì dire quasi arrivati al terzo piano- potevi usare un po' di rosa, no?
L' inglese suonò per un quarto d' ora buono prima che qualcuno si degnasse di aprirgli. Che quel qualcuno fosse Francis e che si toccasse lo stomaco borbottando di uno spagnolo viziato e dormiglione, gli parve un miracolo del cielo.
-Ah, meno male che sei tu- disse l' inglese entrando- abbiamo un problema!
Francis lo guardò sollevano le sopracciglia:- Abbiamo?- chiese scettico.
-Sì, idiot! Abbiamo!- sbottò Arthur
-Bien- sospirò il francese- andiamo in cucina e parliamone di fronte a un' abbondante colazione.
Arthur annuì cercando di calmarsi.
-In questa casa c' è uno schifo- borbottò facendosi largo tra bicchieri, mutande, piattini e chincaglierie di ogni genere.
-Scusa, mi sono appena svegliato. E non ho intenzione di ripulire tutto da solo- chiarì alzando la voce di qualche ottava e rivolgendo lo sguardo verso il corridoio anche se non sperava sinceramente che Gil e Antonio si svegliassero tanto facilmente.
-Parla mon cher- disse il biondo dopo aver messò caffè, biscotti e cornetti sul tavolo.
-Ma fai sempre colazione così?- domandò l' inglese fissando tutto quel ben di dio.
-Oh- Francis si alzò prendendo una torta dal ripiano della cucina- mancava la crostata. Comunques sì, qui facciamo sempre una colazione piuttosto abbondante. Non trovi che la tavola sia più allegra?
Arthur annuì pensando a come lui al massimo bevesse un caffè di corsa quando e se ne aveva il tempo.
-Arthur- lo richiamò Francis- dimmi che è successo.
Il britannico cercò di raccogliere le idee, tirò fuori dalla tasca della giacca il loro certificato di matrimonio. Ricordò che Eric lo aveva tirato fuori da uno dei cassetti della cucina mentre cercava un panno per asciugare i bicchieri che aveva lavato. Aveva aperto uno dei primi cassetti adocchiando l' unico foglio spiegazzato che vi giaceva. Eric non lo avrebbe mai, mai preso e infatti stava per richiudere il cassetto ma il gemello, curioso com' era, lo aveva afferrato aprendolo immediatamente.
-E' un certificato di matrimonio- aveva affermato stupito.
Arthur glielo aveva strappato dalle mani facendone una palla di carta e iniziando ad affermare con veemenza che non era assolutamente suo.
-E la fede al dito?- aveva buttato lì con noncuranza Ian.
A quel punto era scappato. Si era infilato le prime cose che aveva trovato e si era chiuso la porta alle spalle.
Arthur guardò Francis mettendogli sotto il naso il documento:- Questo per ora è meglio se lo tieni tu.
-Ma io ho già il mio
-Perfavore
Il francese fece tanto d' occhi:- Ti senti bene, Angleterre?
-Certo, idiot! Il fatto è che sono venuti i miei fratelli, dannati ficcanaso... e hanno scoperto che mi sono sposato. Non posso mica dirgli che sto con un uomo! O che mi sono sposato per sbaglio! Sai che prese per il culo da qui ai prossimi cent' anni!
Francis sorrise dispiaciuto accarezzando la mano dell' inglese con la propria:- Ho capito, mon Angleterre.
-E non chiamarmi...
-Oui, oui. Cosa pensi di fare?
-Io... non lo so- ammise l' altro
-Facciamo così. Adesso terminiamo di mangiare così ci addolciamo la giornata, i dolci tirano sempre su il morale va bene? E poi penseremo ad una soluzione. Vedrai che ci tiriamo d' impiccio- Francis gli fece un sorriso rassicurante.
Nonostante la rabbia, la tristezza e più in generale l' umore sotto le scarpe, Arthur non potè che ricambiare fermandosi ad osservare più attentamente i lineamenti del suo interlocutore. In quel momento niente gli sembrava poi così tragico o impossibile e al contrario ogni cosa sembrava potersi risolvere da sè.
-Eppure- pensò ad alta voce manifestando un dubbio- è una cosa che non ti riguarderebbe. Potresti lasciami nella merda volendo.
Il francese rise:- Che modo volgare di parlare, mon cher. Sei proprio un teppistello. Ascolta: Uno, Francis Bonnefoy non lascia mai un amico in difficoltà. Due: ti ho sposato, mon cher, ho fatto un giuramento solenne. Nella buona e nella cattiva sorte- decantò teatrale- la mia vita è legata indissolubilmente alla tua, quindi se permetti questo è anche un mio problema. E per finire tre...
Il campanello suonò proprio in quel momento. Francis si diresse alla porta un po' crucciato, Arthur si afflosciò sulla sedia toccandosi il petto. Gli stava scoppiando.
-Tre... cosa?- gemette esasperato.

L' inglese si affacciò all' ingresso. Non appena vide i suoi fratelli parlare con Francis si nascose nuovamente in cucina spiaccicandosi letteralmente contro il muro. Voleva scappare. Come erano arrivati fino a lì?!
-Ti abbiamo seguito, idiota!- affermò Ian rispondendo involontariamente alla sua domanda- esci fuori, ti ho visto!
-Che bambino, si nasconde- affermò Eric fissando con aria apatica una foto sul mobile all' ingresso.
-Non mi stavo nascondendo!- berciò Arthur arrivando a passo di marcia- quando ci siete voi in giro la privaci va a farsi fottere.
-Alla faccia del gentleman...- fece Eric
-Suvvia- intervenne Francis con fare bonario- Arthur è un po' stressato. Le feste per le forze dell' ordine sono sempre un periodo più pieno di lavoro. La gente sembra impazzire delle volte.
Ian ignorando il francese oltrepassò i due andandosi a sedere su una poltrona. Francis ricordava vagamente i due fratelli maggiori di Arthur, all' epoca li aveva visti qualche volta fuori dalla scuola e aveva pensato che quel ragazzo fosse un gran figo. Però non vedeva la ragazza, doveva esserci anche una sorella da qualche parte.
-Arthur- iniziò Ian- sono incazzato nero. Ti sposi e non ci dici niente. Dovresti vergognarti.
Il biondo si chiese quando mai gliene fosse fregato qualcosa della sua vita.
-Voglio assolutamente vedere la pazza che ha avuto il coraggio di mettersi con te!- affermò risoluto.
A ecco, ora si spiegava tutto.
-Deve essere una cozza- continuò il rosso con quell' aria di superiorità che lo caratterizzava- altrimenti non mi spiego cosa ci abbia potuto trovare in uno come te.
-Ian, non essere ingiusto- affermò Jack- deve essere di sicuro una persona speciale se Arthur l' ha scelta.
-Oh sì- confermò Francis- è molto speciale. Lo è assolutamente. E' una creatura meravigliosa.
-Non... non esagerare frog- gemette l' inglese. Il vinofilo non perdeva mai l' occasione di tessere più o meno implicitamente le sue lodi ma forse si era scordato che non aveva uno straccio di moglie da presentare ai suoi fratelli. Ora quelli probabilmente si aspettavano una creatura degna di una favola.
-E allora?- chiese Jack- dov' è la tua mogliettina?
-Ragazzi- Arthur si girò verso la voce femminile che proveniva dal corridoio e vide una figurina arrivare a passi svelti verso di loro- fate silenzio, ok?- chiese gentilmente- Tonio e Gil dormono ancora.
-Eccola!- gridò Francis allungando le braccia verso la nuova arrivata e guardandola con occhi spiritati- ecco la moglie!
-Francis ma che stai dicendo?
-Vero che sei la moglie di Arthur?- domandò il francese a denti stretti indicando il diretto interessato.
La ragazza aggrottò le sopracciglia confusa, guardò prima Francis, poi quell' Arthur dall' aria disperata, infine i tre ragazzi. Cercò con tutta se stessa di capire la situazione. Il rosso sembrava un predatore pronto a divorarli tutti, poi c' erano i gemelli, uno tutto sorridente e l' altro in disinteressata attesa.
-S...sì- capitolò alla fine- sono la moglie di... Arturo.
Ian scoppiò a ridere:- Arturo?
Jack corse ad abbracciarla:- Che bello! E' un piacere conoscerti, noi siamo i tuoi cognati. E' un peccato che Grace non sia qui! Sai, è appena scappata con una brasiliana.
Arthur spalancò gli occhi. Sua sorella delle volte era proprio avventata.
Eric sbuffò chiedendosi come avesse fatto Arthur a sposarsi con una bella ragazza come quella.
Arthur poi guardò Francis e la ragazza riconoscente notando con un certo dispiacere che il francese si era tolto la fede dal dito. Lo aveva fatto per lui, ne era sicuro perchè quella mattina l' aveva vista.
-Cos' è questo casino?- domandò Gilbert seguito da Antonio- avete disturbato il mio magnifico sonno- Toh- continuò l' albino guardando Francis e Arthur- c' è il marit-
Il biondo aveva avuto la prontezza di riflessi di tappargli la bocca e trascinarsi entrambi gli amici in cucina:- Vi offrò qualcosa- disse sorridente rivolgendosi agli ospiti.








CIAO a tutti, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Credo che sia il primo che vede come diretto protagonista un personaggio esterno al trio. Ho inserito anche i fratelli Kirkland ad eccezione del Galles come vedete. L' idea mi è venuta vedendo l' immagine che ho messo a inizio capitolo, mi ha fatto venire in mente anche i caratteri dei personaggi anche se spero di rendere Scozia secondo l' idea che c' è di lui nel fandom. Personalmente lo adoro.
Secondo il mio punto di vista il ragazzo che sorride tutto allegro nell' immagine è Irlanda del Nord, il nome che ho scelto per lui è Jack.
Il gemello è ovviamente l' Irlanda. Il nome è Eric.
Specifico che i nomi in effetti non credo siano irlandesi, li ho scelti ad istinto in realtà, mi piacevano e li ho trovati adatti.
La ragazza vi dico subito che è fem!Spain perchè sì, amo Antonio in tutte le salse. Tranne quando gli fanno fare la parte di scemo del villaggio in certe fic.
  
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