12.30 a.m. , Timberline Knolls, 3 maggio 2010
Mi aveva colpito quello che aveva detto Demi.
Eravamo lì, sedute, a fissare il pavimento, come se solo il silenzio ci potesse capire. Mi paralizzai e scattai in piedi quando mi accorsi di aver lasciato la valigia aperta con tutte quelle cose ‘proibite’ in mostra. Demi le aveva viste sicuramente. Mi accosciai velocemente e con fretta sulla valigia per chiuderla. Ero agitata. Che avrebbe pensato di me la mora? Forse mi avrebbe capito. Come se mi leggesse nel pensiero la sua affermazione rispose alla mia domanda.
‘tranquilla, ti capisco’ disse con un filo di voce la mia compagna.
Si stava riferendo a quella roba? Non so. La guardai in faccia, lei venne affianco a me, aprii la sua valigia e mi mostrò le sue cose ‘proibite’. Notai che erano le stesse. Avevamo gli stessi problemi a quanto pare.
‘non mi farò prendere via questa roba’ disse lei.
Annuii leggermente. La capivo, niente da fare. Mi abbracciò istintivamente e non potei che ricambiare l’abbraccio. Sentii scendere una sua lacrima sulla mia spalla e anche le mie ritornarono sul mio viso. Era confortante. Non avevo mai incontrato una persona che mi capisse come lei, anche se la conoscevo da pochi minuti.
Fummo interrotte da un’ infermiera che entrò in camera.
‘vedo che avete legato. Che bello, venite in salone, è pronto il pranzo’ disse per poi andarsene. Ci alzammo da terra e uscimmo. Mentre ci avviavamo in mensa c’era molta tensione.
‘non credo di riuscire a mangiare’ dissi.
‘non credo di riuscire a non vomitare’ mi rispose.
Raggiungemmo altre ragazze in mensa. Ci sedemmo vicino ad altre ragazze, avranno avuto sui trent’anni. Nella mensa però ce ne erano di tutte le età. Solo ragazze, ma che andavano dai dieci ai sessant'anni.
Nessuno disse nulla. Sembravamo tutte normali infondo. Era strano in un certo senso pensare che quelle donne e ragazze avevano tutte problemi simili ai miei. Fecero la preghiera e ci servirono il primo pasto. Pollo, riso, verdure e latte. Alcune non ebbero problemi a finire tutto quel cibo in meno di venti minuti. In venti minuti io mangiai qualche pezzo di pollo e bevvi un sorso di latte. Quando delle infermiere si avvicinarono a noi mi limitai a dire ‘ok sono a posto, grazie’ facendo per alzarmi.
Mi guardarono comprensive, ma poi mi spiazzarono dicendo ‘devi finire tutto’ indicandomi il piatto con la testa.
Non ce la facevo. Come potevo. Avevo un pensiero fisso: vomitare. Se avessi mangiato non sarei riuscita a non farlo. Sarei ingrassata troppo. Si sarebbe visto troppo. Demi aveva mangiato come me più o meno e a lei dissero la stessa cosa.
‘no sono sazia.’ Dissi di nuovo decisa, prendendo la parte anche di Demi.
‘eccone due testarde’ fu la risposta divertita delle infermiere.
Demi mi guardò seria. Forse tutte e due avevamo capito che quello era il nostro posto infondo. Non riuscivamo a finire il cibo. Per noi era come impossibile. Appena le infermiere si allontanarono aspettando che finissimo di mangiare Demi mi prese la mano.
‘se ce la faccio io,…ce la fai anche tu’ disse seria guardandomi. Annui.
Prese in mano la forchetta e si sforzò di finire il suo pranzo. Presi un respiro profondo e mi sforzai anche io. Finito di mangiare ero sicuramente soddisfatta di quello che avevo fatto. Ma anche pentita. Anche Demi era strana. Tornammo in camera. Mi sedetti sul letto.
Sospirai guardando il bagno. Avevo davvero voglia di vomitare tutto e Demi comprese.
‘parliamo un po’, almeno non ci pensiamo. Perché infondo dobbiamo abituarci’ sospirò ‘sarà cosi tutti i giorni’.
Si sdraiò sul letto affianco a me guardando il soffitto.
‘quanti anni hai Jillian?’
‘sedici…’ risposi timidamente. Mi vergognavo della mia età. Una ragazza di sedici anni di solito va alle feste, pensa ai ragazzi, allo shopping. Di certo non si trova in una clinica.
‘sei molto forte. dico per avere sedici anni e trovarti qui. Io ne ho diciotto’.
‘no, non credo di essere forte. Credo che ormai tutte le ragazze che sono qui dentro non siano forti. Magari devo diventarlo’. Ci fu silenzio per un po’.
‘credo tu abbia ragione, ma se sei qui vuol dire che continui ad essere forte ogni giorno’.
‘forse’.
‘sono stanca, ti scoccia se dormo un po’?’ mi disse Demi.
‘nono fai pure’
‘non fare cazzate’
‘si..’
Demi si sdraiò sul suo letto e in poco tempo si addormentò. Non avrei fatto cazzate no, l’avevo promesso. Guardai l’orologio. Erano le due e mezza. Tra poco sarei potuta uscire un po’. Mi misi a leggere, era sempre stata la mia passione. E poi un buon libro mi tranquillizzava sempre. Pagine e pagine. Ogni singola parola del libro, anche se non c’entrava, mi ricordava il dolore.
«una dipendenza è una vera e propria ossessione. Riempie i tuoi pensieri 24h su 24»
3.00 p.m.
Decisi di lasciare la mia compagna riposare. Uscii dalla stanza cercando di non svegliarla e di fare poco rumore. Arrivai nella sala principale della clinica. Delle ragazze parlavano, altre leggevano. Mi avviai verso un’infermiera dall’aria simpatica. Lessi il cartellino. ‘Jess’
‘scusi Jess potrei uscire a prendere una boccata d’aria?’ dissi sorridendole amichevolmente.
‘si certo vuoi che venga con te? Facciamo due passi, almeno non stai da sola’
‘posso stare anche da sola, grazie’
‘io vengo lo stesso’ disse prendendomi sotto il braccio sorridendo e trascinandomi fuori.
Era simpatica. Avrà avuto sui venticinque anni, portava il camice bianco ma era decorato da qualche disegnino. Teneva i capelli biondi raccolti in uno chignon e aveva un trucco leggero e fine. Fuori era cosi tranquillo e silenzioso. Era tutto cosi…spensierato. ebbi la sensazione che quello sarebbe diventato il mio posto preferito. Continuavamo a camminare una affianco all’altra in silenzio come se l’unica cosa da fare fosse ammirare la natura splendida di quel meraviglioso giardino. Non c’era nessuno a parte noi due. Mi fermai provocando l’attenzione di lei. Respirai profondamente. C’era vicino una panchina mi sedetti e lei fece uguale. Mi guardò con uno sguardo comprensivo ed amichevole.
‘come ti senti?’
respira. ‘……non riesco a realizzare di essere qui. Sono confusa, smarrita. Questo posto mi ricorda solo una prigione in realtà. Vorrei essere a casa mia, ma so che questo è il mio posto. So che questa ‘cosa’ mi farà stare meglio. Mi farà diventare una persona migliore. Ma poi chi me lo assicura? Sono fatta cosi e non so davvero come…guarire’ delle lacrime iniziarono a rigare il mio volto ma continuai ‘si, solo ora mi sono accorta di avere un problema, di essere malata. Sai…il fatto è che finché non ti trovi in una clinica non ti rendi conto di stare male, di avere un problema, serio. C’è sempre qualcuno che sta peggio di te, che è più malato di te. Poi arrivi qui e capisci che sei finita. Perché infondo io sono così e non ho voglia di guarire. Non so come guarire. Sento che poche ma davvero poche persone mi capiscono. Una di queste per fortuna l’ho incontrata. È la mia compagna di stanza. Non so la conosco da poco ma sento che mi capisce. Faccio davvero fatica a pensare che dovrò rialzarmi da terra, da dove sono caduta. Che dovrò mettere una fine alle mie ‘droghe’, ai miei pensieri fissi. Ma è per il mio bene. Penso’.
Stavo letteralmente gocciolando. Ero una fontana. Mi ero appena sfogata davanti a un’infermiera sconosciuta. E la cosa che più mi sorprese fu il fatto che davanti alla domanda ‘come ti senti’ non avevo risposto il solito ‘bene, sono solo stanca’ ma avevo confessato tutto. Mi sentivo nuda. Spoglia. Libera. Mi girai sentendo dei singhiozzi. Demi era dietro di me e aveva sentito tutto. A differenza dell’infermiera che era rimasta come paralizzata davanti a quello sfogo, Demi era lì, anche lei sotto forma di fontana vivente, con le mani tremanti davanti al viso. Mi si avvicinò singhiozzando e mi abbracciò. Ci stavamo bagnando le spalle a vicenda ma a nessuna delle due sembrava importare. Tra i singhiozzi riuscii a comprendere qualcosa.
‘nessuno. Mi aveva. Mai descritta. Cosi. Ti capisco. Troppo. Ti voglio bene.’
La strinsi forte e tra i singhiozzi le risposi semplicemente.
‘anche io’.