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Autore: lasciamivolare    10/03/2013    3 recensioni
"Le stazioni sono un posto magico, penso. Abbracci spezzati, baci dati al vento, treni che partono e arrivano come le persone nella nostra vita. Valigie. Grandi, piccole o di mille colori. Non ha importanza, questo, sai? Non credo che la domanda migliore sia "Cosa si portano dietro queste persone" ma "Chi." In ogni valigia c'è una persona importante, un segreto che non respira più, un pezzo di cuore. Un pezzo di vita, uno straccio d'amore."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I stare at my reflection in the mirror,
Why am I doing this to myself?
Losing my mind on a tiny error,
I nearly left the real me on the shelf.





Guardo la data di oggi nella tabella oraria della stazione principale di Londra: 10 febbraio.
Ho decisamente perso la cognizione del tempo.
È passata solamente una settimana dal funerale, sembra un secolo.
Chiudo gli occhi e passo la lingua tra le labbra: sanno ancora di caffè.
Non sono abituato a sentire questo sapore in bocca, di solito appena compivo questo gesto avvertivo l’indistinguibile intonazione di ciliegia del suo lucidalabbra che mi inebriava i sensi e mi accompagnava nel tragitto da casa fino alla stazione e poi dalla stazione fino a lavoro, sempre con me.
Mi portava ovunque. Solo l’idea di poter incontrare le sue labbra per sentirne nuovamente il sapore bastava a farmi balzare giù dal letto ogni mattina, ora fatico persino ad aprire gli occhi.
Respiro, cercando inutilmente di ingoiare il nodo che si è appena formato in gola, non va giù. Deglutisco ancora, stringo il manico della mia ventiquattr’ora grigia e apro gli occhi giusto per notare il frenetico viavai della gente che, come se nulla fosse, ha cominciato la sua settimana all’insegna dell’abitudine.
Sposto lo sguardo in ogni direzione.
Non può essere possibile, come fa il mondo a continuare a girare, a muoversi, a respirare senza i suoi occhi blu? Non sente anche lui la mancanza dei suoi capelli color grano, della sua risata cristallina?
Poco distante dalla mia posizione, un ragazzo abbraccia la sua probabile fidanzata dicendole che si sarebbero visti quel pomeriggio.
Sento incresparsi sul mio viso un sorriso amaro.
Quanto può arrivare a mancarti un semplice gesto quando il mittente di quest’ultimo non c’è più.
Il mio cuore comincia a battere più forte.
Non ce la posso fare, tutto si muove troppo velocemente per essere vero.
Io non dovrei essere qui.
Mi costringo a respirare prima che l’ennesimo attacco di panico mi invada, il dottore mi ha avvertito di chiudere gli occhi e respirare piano quando sento che stanno per arrivare, ma questa volta la prima cosa che vedo quando chiudo gli occhi non sono che i suoi invasi dalle lacrime.
La pioggia battente, l’abitacolo riscaldato, le grida.
Il mio sguardo carico di rabbia che si volge nella sua direzione e non si accorge della fine della strada di fronte a noi.
L’impatto, il sangue.
Quando apro gli occhi sento le lacrime salate invadermi il viso e toccare terra con un tonfo sordo che nella mia mente rimbomba come un grido tra le montagne.
Io non dovrei essere qui.
Basta questa piccola affermazione a far riprendere il battito regolare del mio cuore.
Scrollo la testa e passo la manica della giacca sugli occhi, asciugando le lacrime. Mio padre diceva sempre che gli uomini non piangono. Ma è davvero questo, che sono? Un uomo? Dopo ciò che è successo posso ancora considerarmi tale?
Un treno passa nel binario di fronte ai miei occhi trasportandomi con sé lontano dai miei pensieri, e rivelando, una volta finito il passaggio, una vetrina lucida quanto basta per farmi trovare faccia a faccia con il mio riflesso. Da quanto non mi guardo allo specchio?
Tuttavia, nonostante il corso degli eventi, sembro non essere cambiato più di tanto: i capelli ricci e folti stanno come sempre scombinati sopra alla mia testa e il mio viso pallido si ritrova ombreggiato da un leggero accenno di barba. È davvero strano, penso, come le cose all’esterno rimangano sempre impassibili, anche quando dentro te avvengono così tanti cambiamenti.
La superficie rimane invariata, al limite si crepa, infatti sembro dieci anni più vecchio dei miei pochi ventidue anni di età.
Pur da un certa distanza, riesco a distinguere il verde acceso dei miei occhi, che stonano tanto con i miei vestiti scuri.

“Cos’ho fatto di tanto speciale per meritarmi degli occhi così belli, Styles?” chiese Jude, accarezzando la mia guancia e fissando il suo sguardo azzurro nel mio.
Seppur nella penombra, riuscivo a distinguere il limpido celeste dei suoi occhi e la sua indistinguibile schiera  di denti perfetti che illuminava l’atmosfera più di quanto lo facesse luce fioca nel comodino.
Incrociai le mie gambe nude alle sue, da sotto le coperte.
“La domanda è, cos’ho fatto io per meritarmi una come te?” chiesi a mia volta.
Sorrise.
“E’ un complimento?”
Per tutta risposta, allungai il mio indice fin sotto il suo mento e lo avvicinai leggermente, o almeno quanto bastava per azzerare la distanza tra le nostre labbra.
“Direi di si.”

 
Decido di aspettare il mio treno sedendomi su una panchina non troppo lontana dalla mia postazione, giusto per evitare svenimenti o cose simili.
Un altro giorno, un giorno in cui, magari, le mie labbra avessero mantenuto il loro abituale sapore di ciliegia, mi sarei con ogni probabilità ritrovato a pensare a che posto magico siano le stazioni.
Abbracci spezzati, baci dati al vento, treni che partono e arrivano come le persone nella nostra vita, che volano come l’aria che soffia ad ogni passaggio e ti scompiglia i capelli, i vestiti, i pensieri.
Uomini che corrono incontro al loro destino e altri che scappano da loro passato, fogli di giornale, parole, lacrime, risate troppo forti che vogliono farsi sentire per l’ultima volta, flebili sorrisi che tentano di nascondere qualcosa. E chissà cosa, poi.
Ad eccezione dei business-man al telefono e dei turisti cinesi che scattano fotografie con reflex spropositate, la stazione centrale sembra essere una delle poche zone di Londra a non aver risentito della globalizzazione e dell’influsso negativo della tecnologia.
Ricordo le mattine in cui Jude faticava a dormire e decideva di accompagnarmi, diceva sempre che le pareva di fare un salto nel passato.
E le piaceva da morire.
E piaceva da morire anche a me.
In realtà, le stazioni non sono altro che enormi mercati dove si vendono gli errori e ci si compra la possibilità di ricominciare da zero.

Per l’ennesima volta mi guardo intorno e scorgo ovunque valigie grandi, piccole, nere, bianche e di mille colori, e più le guardo e più mi accorgo che tutto ciò non ha importanza.
Non credo che la domanda sia cosa si portano dietro queste persone, ma chi.
In ogni valigia c’è una persona importante, un segreto che non respira più, un pezzo di cuore, e me ne accorgo da come i manici delle borse troppo grandi sembrano essere l’unica ancora di salvezza di chi ci sta aggrappato.
E anche se aggrapparsi ai ricordi può far male, a volte sono l’unica cosa che abbiamo per rimanere in vita, per scappare da dove ci troviamo, da come ci sentiamo.
Per indicarci dove siamo, come ci siamo arrivati e dove ora dobbiamo andare, per dimostrarci che, anche se male, anche se poco, anche se piano, abbiamo vissuto.
Prendo un respiro profondo e comincio a torturarmi le mani. Lo posso fare? Potrei davvero ricominciare da zero?
Frugo nella tasca, tirandone fuori il mio biglietto. Lo osservo.
Basterebbe un foglio di carta a darmi una nuova vita? Potrei scappare via da qui, da me stesso, dai miei errori?
Mi meriterei l’opportunità di costruire un nuovo passato, con nuovi ricordi, con una nuova, prima stretta di mano?

L’altoparlante annuncia l’imminente arrivo del mio treno, così mi alzo in piedi, impugnando nuovamente il manico della ventiquattr’ore, come se fosse la mia ancora, il mio unico contatto con la realtà.
Di lì a poco arriva il treno e le porte si aprono di fronte ai miei occhi.
Fiumi di persone si immergono travolgendomi con loro all’interno del mezzo.
Ancora intriso nei miei pensieri, mi ritrovo a camminare passivamente tra i corridoi stretti alla ricerca di uno scompartimento vuoto dove poter stare da solo con me stesso.
Lo trovo poco più avanti.
Affondo in uno dei sedili, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino.
Sento qualcuno farsi avanti pochi minuti più tardi, e quando volgo lo sguardo incrocio la bella figura di una giovane ragazza dai capelli castani, tenuti raccolti in una crocchia scomposta sopra la nuca, che lascia cadere, qua e là, qualche ricciolo scuro.
E’ avvolta in un cappotto imbottito forse fin troppo grande che rivela due gambe magre coperte da calze di lana.
“E’ occupato, qui?” chiede.
Avrei voluto risponderle che sì, era occupato da me, i miei pensieri negativi e l’ondata di sensi di colpa, era tutto talmente occupato che quasi si faticava a respirare, figurati a sedersi.
Ma, inconsapevolmente, scuoto la testa.
Accompagnata da un dolce sorriso di cortesia, la ragazza si accomoda nel sedile di fronte al mio.
Prolunga la sua mano verso di me.
“Mi chiamo Amine.”
“Harry.” Dico, sorridendole.
Mi ritrovo immediatamente a pensare a quanto sia bella.
I grandi occhi color cioccolato contornati solamente da una sottile linea di mascara conferiscono al suo viso chiaro un’aria da bambina, le dita lunghe e affusolate tirano fuori un libro dalla borsa fin troppo grande.
“Prendi spesso questo treno? –chiedo, incuriosito- Non mi pare di averti già vista.”
“In realtà no, ho cambiato lavoro da poco.” Dice, posizionando il libro tra le gambe, e mordendosi le labbra carnose. Ha tutta l’aria di essere un vecchio vizio, lo si vede dal colore rosato che hanno assunto.
Annuisco, non sapendo che dire.
Sorride.
“Qual è la tua fermata?”
“L’ottava.” Dice.
Esattamente quattro fermate dopo la mia.
“La tua?” chiede poi, fissandomi negli occhi.
Giurerei che stesse nutrendo qualche speranza nascosta.
“Anche la mia.”






 




 




Buona domenica a tutti :)
Non ho molto da dire in realtà, se non che era da tanto tempo che volevo scrivere questa os, e finalmente ci sono riuscita!
Ringrazio anticipatamente tutti coloro che si fermeranno a leggere.
Love y'all,
Ali

  
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