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Autore: Fanny Lestrange    10/03/2013    4 recensioni
Correvo. Correvo a perdifiato. Li avevo alle calcagna, non ce l'avrei mai fatta, eppure correvo. Gliel'avevo promesso.
Fuggivo. Stremato, ansimante, i piedi che affondavano nella sabbia, fuggivo. Fuggivo da loro. Da lei.
Un uomo, il deserto e la sua folle, disperata corsa: in fuga dal passato, incontro alla morte. Song-fiction ispirata a "Sahara" dei Nightwish.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi prenderanno. So che mi prenderanno. Nonostante mi sia messo in cammino alle prime luci dell’alba, senza dubbio hanno guadagnato in fretta terreno, e il mio vantaggio dev’essere quasi nullo, ormai.
Se mi fermo e tendo l’orecchio, mi sembra persino di udire l’eco delle carovane che avanzano: il legno delle ruote che scricchiola sinistro, le urla degli schiavi siriani che spronano i cavalli. Più veloci, avanti. Più veloci, il faraone deve catturare il traditore. L’infido, il maledetto. Che onta sarebbe per Sua Altezza se il dannato riuscisse a fuggire, a oltrepassare i confini del regno e a mettersi in salvo.
Ma l’onore del re può stare tranquillo: non succederà. Mi prenderanno, e presto anche. Sarò morto prima del calar del sole.
 
 
 
“ Un filosofo, dunque? Non certo il primo che si presenta alla nostra corte… L’ennesimo, oserei dire. E allora ditemi, sapiente… Come definireste la felicità? ”
 
“ Uno stato dell’essere, mia regina.”
 
“ Siate più esaustivo… Che genere di stato? ” aveva replicato, aggrottando lievemente la fronte, quella fronte dal profilo perfetto il cui ricordo non mi da pace.
 
Le avevo tenuto testa, senza abbassare lo sguardo.
 
“ Uno stato in perenne evoluzione, mia signora. L’animo umano è per sua disposizione teso alla felicità, all’appagamento del benessere fisico e intellettuale. Tutta la nostra vita è una continua ricerca del piacere.” avevo aggiunto, fissandola intensamente.
 
Mi aveva sorriso, inarcando le sopracciglia.
 
“ Ma io vi ho appunto chiesto di descrivermi il piacere, non la sua ricerca…”
 
“ Posso affermare con discreta certezza, mia regina” avevo risposto prontamente, senza lasciarmi intimidire dalla sua puntigliosa incontentabilità.
“ che non vi è alcun piacere capace di eguagliare quello generato dalla sua ricerca.”
 
Lei aveva socchiuso le labbra, sorpresa e, una volta tanto, impreparata.
 
“ Interessante.” si era riscossa infine.
“ Questa non l’avevo davvero mai sentita…” ebbe l’umiltà di ammettere.
“ Siete… Illuminante, oserei dire. Diverso da tutti gli altri. Avrei piacere che restaste alla nostra corte, se non avete già ottenuto un impiego altrove. Come precettore, ad esempio…”
 
“ Senz’altro, mia cara.” era intervenuto il marito, rimasto fino ad allora in disparte, volutamente immerso in un silenzio freddo e calcolatore.
“ Potrà restare tutto il tempo che vorrà.” aveva mormorato, indirizzandomi uno sguardo beffardo e, così mi era parso, segretamente ammonitore.
 
Avevo chinato il capo, senza tuttavia distogliere gli occhi dai suoi.
 
“ Maestà… Vi ringrazio. Sarà un onore per me.”
 
La regina aveva rivolto al marito un sorriso di approvazione e gratitudine, per poi volgersi nuovamente verso di me.
 
“ Magnifico. Ma non perdiamo altro tempo: esigo che siate nostro ospite fin da subito. Venite, unitevi al nostro banchetto.”
 
Mi aveva condotto via entusiasta, ed io, entusiasta, l’avevo seguita.
 
 
 
 
Ansimo, stremato. Ho bisogno, d’acqua, subito, ma non ce n’é. Ho bisogno di fermarmi e risposare per riacquistare le forze, ma non mi è concesso. Questione di poche ore, ormai, e riposerò per sempre.
Gocce di sudore mi colano lungo la fronte come piccole gemme preziose; le raccolgo e le porto alla bocca, bagnandomi le labbra inaridite.
Il sole è davanti a me, un disco di fuoco abbagliante che m’impedisce di distinguere la via.
Le dune tutt’intorno sembrano impegnate in una danza amorosa con il vento, che le accarezza, le cinge con le sue ali e le trasporta lontano, mutando loro forma. Ora paiono pilastri di un tempio, baluardo sicuro e incrollabile; ora creature mostruose e immense, pronte a fagocitarmi in un soffio; ora vascelli che veleggiano veloci, che inseguono me, antico marinaio in un oceano di sabbia, mi accerchiano, mi assalgono.
E’ finita, non c’è scampo per il traditore, il maledetto dagli dei. Non c’è scampo per colui che ha osato sfidare il faraone, colui che ne ha macchiato l’onore.
Mi domando quale sarà il mio ultimo pensiero prima di morire, sebbene lo sappia già. Mi auguro solo, se davvero è scritto che non possa salvarmi, che una tempesta di sabbia li preceda e mi porti via, avvolto nel suo abbraccio soffocante. Che mi porti da lei, ovunque sia.
 
 
 
 
“ Raccontami una storia.”
La sua voce, squillante e intrisa al tempo stesso di tristezza.
 
“ Una storia? ” le avevo fatto eco, spaesato.
 
“ Una storia, sì. E’ una richiesta così strana? ”
La sua risata, una cascata d’acqua limpida e gelida.
 
“ Non ne conosco…” avevo replicato debolmente, troppo occupato ad ascoltarla rapito.
 
Lei a quelle parole si era sollevata puntellandosi su un gomito, giungendo così a sovrastarmi, e mi aveva fissato, con uno sguardo che era a metà tra lo scettico e il canzonatorio.
 
“ Tu? Un pensatore di professione che non sa raccontare una storia? Dovrei crederti? ”
 
I lunghi capelli, neri come il cielo in una notte senza stelle, le ricadevano sul letto, increspandosi in onde morbide e sinuose. Le avevo sorriso.
 
“ No. Aspetta. Ora ne scelgo una…”
 
Avevo chiuso gli occhi, fingendomi concentrato, e poco dopo avevo percepito il tocco caldo e appassionato delle sue labbra che cercavano le mie.
 
“ C’era una volta…” avevo iniziato, una volta che ci fummo separati.
“… c’era una volta una principessa, bellissima ma infelice. Viveva in un palazzo grande, fastoso e sempre pieno di gente, al centro di una città ricca e importante, che gli stranieri venivano a visitare da ogni angolo della terra. Il marito, che sposandola ne aveva fatto una regina, era l’uomo più potente di quella regione. Eppure la principessa si sentiva sola. Avrebbe desiderato viaggiare, conoscere nuove persone, ma tutto questo le era proibito. Si sentiva prigioniera, avrebbe voluto fuggire. Finché non incontrò un uomo che della libertà aveva fatto una ragione di vita. Entrambi capirono che insieme sarebbero stati bene, e così fu. Ma…” e qui la voce mi si era incrinata.
“… ma ognuno dei due sapeva che non sarebbe potuta durare. Perché se avessero continuato a vedersi, prima o poi sarebbero stati scoperti, e se fossero stati scoperti, una morte certa avrebbe atteso entrambi. Così si vedevano di nascosto, ma senza mai fuggire del tutto la morsa del pericolo che incombeva su di loro, senza mai estraniarsi completamente dal mondo che li avviluppava, senza mai riuscire a essere davvero l’uno dell’altra.”
 
Quando, dopo un lungo silenzio, avevo riaperto gli occhi, il suo volto era rigato di lacrime.
 
“ Questo sei tu a dirlo.” aveva sussurrato, lottando contro il groppo che le serrava la gola.
 
Aveva deglutito, preso fiato e ripreso, lentamente, come se ogni parola le costasse uno sforzo enorme: “ Sei stato tu ad insegnarmi che il viaggio conta più della meta. L’hai già dimenticato? Non m’importa se non raggiungeremo mai il traguardo, vale sempre la pena di mettersi in cammino. Un solo, perfetto istante come questo ne è la prova. Di quello che succederà dopo non m’interessa, non ora.”
 
L’avevo fissata, un macigno sul cuore.
 
“ Devo dire… L’allieva ha superato il maestro.” avevo mormorato, strappandole un sorriso, prima di sollevarmi, prenderle il viso fra le mani e baciarla a lungo, mentre le mie lacrime si mescolavano alle sue.
 
 
 
 
Il sole sta calando. L’orizzonte stesso brulica di morte.
Milleuno tramonti come questo abbiamo ammirato insieme. Milleuno notti abbiamo trascorso l’uno al fianco dell’altra, nascosti agli occhi avidi del mondo, aspettando l’alba. Milleuno notti durante le quali il faraone non ha sentito la mancanza della propria sposa, di gran lunga preferendole le numerose e avvenenti concubine di cui la corte pullulava, ma che ognuno fingeva di non notare.
E ora, che ha visto vacillare il suo primato, la rivendica, la rivuole solo per sé; come un bambino che, ormai dimentico del suo giocattolo preferito, abbandonato in favore di altri più nuovi, si adira tuttavia se qualcuno ne riscopre il valore.
Dove sarà, adesso, la mia regina? Mi ha preceduto, ed è già là ad attendermi nel regno delle ombre? Oppure ha avuto salva la vita, come ho pregato incessantemente durante la mia fuga, nonostante arda dal desiderio di rivederla? La morte, in entrambi i casi, sarà un sollievo; se cerco scampo, è solo per onorare la promessa fatta a lei.
 
Un crampo al polpaccio mi costringe a rallentare. Nell’attesa che passi, m’inerpico faticosamente su una duna, dall’alto della quale scruto la distesa sconfinata di sabbia. E poi, all’improvviso, la scorgo: una colonna di carri che, come un lungo serpente, avanza snodandosi in tutta la sua imponenza. Non se ne riesce a scorgere la fine. Esito, chiedendomi se ne valga davvero la pena. Per tentare, se non altro, di andare incontro alla morte con le mie stesse gambe. Quanti saranno? Milleuno. Di certo. Riprendo a correre.
 
 
 
 
“ Lui sa.”
Un sussurro, appena percettibile.
 
“ Che cosa?”
Mi ero illuso, volevo credere di essermi sbagliato.
 
“ Hai sentito benissimo.”
Un singhiozzo, subito soffocato.
 
Le avevo accarezzato la testa, aspettando, trattenendo il respiro, immobile nel buio della stanza.
 
“ Mio marito. Ci ha scoperti. Oggi ho colto casualmente uno stralcio di conversazione tra il capitano delle guardie e un soldato.”
 
Parlava in fretta, senza concedersi nemmeno una pausa, conscia del poco tempo che avevamo a disposizione.
 
“ Il capitano gli stava trasmettendo ordini del faraone sulla tua cattura. Non ho avuto dubbi. Naturalmente non si sono accorti della mia presenza, e tuttora ci credono all’oscuro dei loro piani, così…”
 
Qui la voce le si era spezzata, infrangendosi in un torrente di lacrime. Io tacevo, impotente. Incapace di alleviare il suo dolore tanto quanto il mio. Inerte, incredulo, impreparato. Inutile.
 
“ Abbiamo tempo, per fortuna.” aveva mormorato infine lei, dopo quella che mi era parsa un’eternità.
“Fuggirai prima dell’alba.” aveva decretato, in un tono che non ammetteva repliche.
Un sospiro.
“ E io verrò con te.” aveva aggiunto, dopo un’impercettibile esitazione.
 
Quelle parole mi avevano finalmente riscosso, riportandomi tutt’a un tratto alla realtà.
 
“ No.”
Avevo scosso il capo, sollevandomi a sedere e afferrandola per le spalle.
“ No, non se ne parla. Mi prenderebbero sicuramente, anche se fuggissi. E punirebbero te ancora di più per avermi seguito. Non sopporterei di vederti morire per causa mia…”
 
“ Morire, ma che dici? Se partiamo ora avremo tutta la notte per metterci in cammino e precederli. Non saprebbero quale direzione prendere, non ci troveranno mai! ” aveva replicato lei infervorandosi, delusa, forse, che non approvassi la sua proposta.
 
Avevo sorriso della sua ingenuità: un sorriso mesto, rassegnato.
 
“ Ti sbagli. Non sai com’è là fuori. Tu stessa ammetti di non aver mai messo piede fuori di qui. Dammi retta, conosco le vie carovaniere molto meglio di te e ti assicuro che sono limitate, e rintracciare un viaggiatore nel deserto con nemmeno ventiquattr’ore di vantaggio non è così difficile… Viceversa, se ci inoltrassimo senza seguire sentieri, smarriremmo l’orientamento in poche ore. In entrambi i casi, sarebbe per noi la morte. Voglio che almeno tu ti salvi.” avevo sussurrato, accarezzandole il viso e asciugandole le lacrime.
 
“ No…”
“ Sì, invece. Ascoltami. Se rimani e chiedi perdono, senza dubbio avrai salva la vita. Giustiziarti significherebbe per lui trovarsi costretto a dare una spiegazione, ad ammettere lo scandalo. Farà di tutto per evitarlo; il suo onore gli è troppo caro. Di’ che ti ho abbandonato io, che questa notte non eravamo insieme. Che non sapevi della mia fuga. Non esiteranno a concederti la grazia, vedrai.”
 
 
Mi aveva guardato colma di sdegno.
 
“ Mi ritieni vile fino a questo punto? Credi forse che la mia esistenza valga davvero la pena di continuare ad essere vissuta, in queste condizioni? Tu morto e io misera traditrice? ”
 
 
“ Non avrai tradito nessuno, siamo d’accordo. Mentirai perché te l’ho chiesto io. Ti prometto che farò di tutto per sopravvivere. ” avevo cercato di persuaderla, senza quasi rendermi conto delle parole che mi uscivano di bocca.
 
La mia unica preoccupazione era proteggerla; il fine avrebbe giustificato i mezzi.
 
 
“ Me lo prometti davvero? ” aveva sgranato gli occhi, scettica.
“ Lo giuri sugli dei? ”
 
“ Lo giuro sugli dei. ”
 
Non credevo agli dei (e fu un bene che lei non se lo ricordasse), ma credevo alle promesse.
 
“ Farò in modo che non mi prendano. Te lo prometto. ”
 
 
Aveva abbozzato un sorriso, corrugando però subito dopo la fronte.
 
“ Ma che senso ha vivere separati, sapendo che non ci incontreremo più? Non è preferibile rimanere uniti nella morte? ”
 
 
Avevo sospirato, attirandola a me.
 
“ L’eternità è un’illusione di noi mortali. Non abbiamo alcuna certezza che esista un aldilà in cui rimanere insieme per sempre, anche se ci piace crederlo. E’ più facile, più comodo. Scegliere di vivere, soprattutto quando la situazione sembra irrisolvibile, richiede un grande coraggio. Sperare, lottare, perseverare è fatica. Che cosa siamo più tentati di fare, quando cadiamo a terra? Giacere lì, inerti, non costa alcuno sforzo; rialzarsi è eroico. E io so che tu puoi farcela. Nemmeno un istante del tempo che abbiamo trascorso insieme andrà perduto. Mi mostrerai che ho avuto ragione? ”
 
Lei taceva: sospettavo che non fosse completamente convinta.
 
“ E se davvero il paradiso esiste, prima o poi ci rincontreremo là. Dovremo solo aspettare. ”
 
Percepivo la sua testa abbandonata contro la mia spalla, il suo respiro affannoso, i suoi capelli che mi solleticavano la schiena; quel prolungato silenzio mi tormentava. Poi, finalmente, la risposta, inaspettata e disarmante.
 
“ Ed è l’attesa la gioia più grande. ”
 
 
 
 
 
Il cielo ha un volto oscuro. Il sole sta tramontando. Le forze mi abbandonano. Il dolore al polpaccio pulsa sempre più acuto. Stringo i denti, determinato a non cedere. Gliel’ho promesso.
Mentre i piedi affondano pesanti nella sabbia, e i capelli mi sferzano il viso, il vento freddo della sera mi porta il suo canto, la sua ballata ipnotica che echeggia nella notte incombente. Aveva una voce bellissima, la mia regina. Quando intonava quella melodia struggente, antica come la sua terra, persino il cielo sembrava commuoversi. Se avesse voluto, avrebbe fatto sbocciare i fiori nel deserto e sgorgare l’acqua dalle rocce, ne ero certo.
 
Le ginocchia mi cedono. Piombo nella sabbia, la bocca si riempie di polvere. Tento di rialzarmi, ma è inutile. Non mi resta molto tempo, le carovane si avvicinano. Non mi avranno. Io sono suo, soltanto suo.
Con un ultimo, immane sforzo rivolgo il viso verso il sole, ormai quasi inghiottito dall’orizzonte. Gradualmente, sembra prendere le sue sembianze: una bellezza ardente. I lunghi raggi che lambiscono le dune, nell’oscurità del crepuscolo che avanza, paiono i suoi capelli corvini; e quel disco dorato che pian piano s’inabissa, non è forse il suo volto angelico?
Mi sorride: una promessa di pace.
Chiudo gli occhi, mentre tutt’intorno la sabbia lentamente si tramuta nei Campi Elisi.
Eccomi, mia regina. Sono pronto. Il deserto, la madre terra, l’unica tomba degna di accogliere colui che all’antica sapienza abbia osato avvicinarsi. Che le dune, le mie lapidi, possano custodire le mie ossa, e che il mio ricordo sia miraggio di speranza per i viaggiatori del futuro.
La mia anima, mia regina, è con voi. Accoglietela, ovunque siate. Eccomi.
 
 
 
 
 
Note: Salve a tutti! Ho deciso di cimentarmi in questo esperimento, ossia la mia prima song-fic, dopo aver letto il testo di Sahara, dei miei adorati Nightwish. Non si tratta, a dirla tutta, della loro canzone che io abbia amato di più, bensì della prima alla quale sia riuscita, con le mie sole forze, ad attribuire non solo un senso compiuto, ma una vera e propria storia. Alla prima lettura non mi diceva niente; alla seconda un’idea ha cominciato a prendere forma nella mia testolina, apparendo come per magia tra le righe; alla terza l’idea è divenuta una certezza, un chiodo fisso, di cui mi sarei liberata solo scrivendo.
Quanto alla storia in sé, ho scelto di non ambientarla in un periodo storico preciso, per rimanere in una dimensione, diciamo così, fiabesca (anche i personaggi sono senza nome), mentre il luogo chiaramente è l’Egitto, e il deserto intorno ad esso.  Ragion per cui nemmeno le deduzioni filosofiche del protagonista trovano una precisa collocazione temporale, anche perché sono state ispirate sia dal ‘Carpe diem’ di Orazio, sia dalle teorie sulla felicità di Epicuro (almeno mi pare, non avendo ancora iniziato a studiare filosofia vera e propria).
Detto ciò, grazie a chiunque vorrà lasciare una recensione: sono sempre ben accette!
Baci,
Fanny
 
  
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