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Autore: rainsperfume    10/03/2013    0 recensioni
'Quella doveva essere una sera come tante e invece stava per succedermi qualcosa di speciale, molto speciale.'
Rebecka è una ragazza come tante, ma non poteva immaginare che una semplice serata in discoteca le avrebbe cambiato per sempre la vita.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella doveva essere una sera come tante e invece stava per succedermi qualcosa di speciale, molto speciale.
Come ogni pomeriggio mi stavo preparando per passare una serata in discoteca con le mie due migliori amiche. Dopo aver indossato vari capi, scelsi dei pantaloncini corti e la canottiera color bianco sporco che mi avevano regalato le ragazze per Natale.
Appena mi specchiai per vedere se i due capi abbinati stessero bene mi accorsi che Emma e Sofia avevano esagerato come al solito. La canottiera era troppo scollata per i miei gusti, ma anche troppo aderente. Già in ritardo non mi cambiai. Presi la mia felpa dall’attaccapanni e corsi in strada dove mi aspettava una macchina i cui sedili anteriori erano occupati dalle mie più care amiche.
Appena entrai nell’abitacolo iniziarono a cantare a squarciagola sulle note dei Beatles fino al nostro arrivo nel parcheggio della discoteca.
Avvistammo il posto più vicino all’entrata e ci dirigemmo verso di esso, ma fummo precedute da una Volvo argentata, che sgommando a tutta velocità ci precedette infilandosi per prima nel posto che fino ad un momento prima era libero.
Era inutile discutere con loro, quindi andammo a cercare un altro posto.
Scese dall’auto, ci incamminammo verso l’entrata della discoteca. Nel farlo passammo proprio davanti all’auto che ci aveva “rubato” il posto. Era bellissima, la più bella auto che avessi mai visto. Mentre la fissavamo, tutte e tre sbalordite, le portiere si aprirono e dalla Volvo scesero cinque ragazzi. Fra questi, uno in particolare mi colpì nel profondo. Avrà avuto la mia stessa età ma, in confronto a me, era molto più bello. Non sembrava uguale agli altri del gruppo, era distaccato. Sembrava, e questo mi stupì molto, timido. A differenza dei pantaloni di cuoio nero e dalle maglie con i teschi degli altri, indossava un paio di jeans e una camicia bianca con le maniche arrotolate fin sui gomiti, in mano teneva una felpa. Il suo sguardo trovò per un attimo il mio, prima che abbassassi la testa arrossendo violentemente. Continuammo a camminare verso l’entrata, ma poco prima di raggiungere la porta del locale affollato, il gruppo di ragazzi ci superò. Lui ed io ci scambiammo un’altra rapida occhiata, aveva gli occhi di un color castano-dorato, mai visti di così belli. Mi proibii di arrossire ancora, ma non ebbi il successo che speravo.
Entrammo nel locale dove la musica per poco non faceva scoppiare i timpani. Dopo aver preso una coca-cola a testa ci sedemmo attorno ad uno dei pochi tavolini liberi. Notai subito il gruppo di ragazzi che ci eravamo fermate ad osservare mentre ci dirigevamo verso l’ingresso della sala. Notai che lui mi osservava. Cercai di fingere indifferenza, ma non riuscivo a resistere, ero attratta come una calamita da quegli occhi dorati, così splendenti, così belli. Senza accorgermene avevo finito la coca così come anche Emma e Sofia.
‘Ne vuoi un’altra?’, mi chiese Sofia indicando la lattina vuota davanti a me.
Riuscì soltanto ad annuire, senza però distogliere lo sguardo dagli occhi che tanto mi attraevano. Dopo nemmeno cinque minuti tornò Sofia con tre bibite ghiacciate. Mi sforzai di distogliere lo sguardo. Mi accorsi che non ero l’unica che lo fissava, e a giudicare dal trucco pesante e dai vestiti tutti esageratamente scollati e aderenti al corpo delle altre ragazze, non avevo alcuna possibilità contro di loro.
Immersa nei miei pensieri non mi accorsi che si alzò dalla comoda poltroncina in vellutino. Appena alzai lo sguardo lo vidi girarsi e camminare verso di me. Il panico iniziò a farsi sentire, a sgorgare da ogni poro della mia pelle. Non sapevo cosa fare, mi sentivo i piedi paralizzati e mi inchiodai alla sedia.
‘Ciao, vuoi venire a ballare?’, mi chiese appena fu abbastanza vicino a noi da farsi sentire sopra la musica, che ora rimbombava nella sala piena di gente.
Terrorizzata, guardai verso Emma e Sofia, che sembravano abbastanza a proprio agio da nascondere la sorpresa per quell’invito inaspettato.
‘Venite con noi, ragazze?’, chiesi speranzosa. Era strano, infatti una parte di me voleva restare sola con lui mentre l’altra voleva attaccarsi alle due ragazze sedute di fronte a me per non scollarsi più finche quel ragazzo mi sarebbe stato vicino.
‘C’è troppa gente e fa troppo caldo. Vai pure tu.’, mi disse Emma.
Sofia annuì, senza trovare nulla da dire.
In quel preciso istante avrei volentieri staccato la testa a morsi a entrambe, però decisi che era meglio di no. Troppi testimoni e, sinceramente, mi sarebbe dispiaciuto  sporcarmi i vestiti che sicuramente poi avrei dovuto buttare via.
Lanciai a tutte e due un’occhiataccia, prima di alzarmi, controvoglia. Loro mi risposero con un occhiolino. Lui mi prese per mano e mi trascinò fino in centro alla pista. Aveva ragione Emma: faceva caldo.
Non so dire quanto tempo passò prima che mi riprendesse la mano e mi trascinasse fuori. Non ero mai stata nel giardino della discoteca. Era molto grande, assomigliava più ad un prato con qualche tavolino sparso qua e la. Ci andammo a sedere sull’erba vicino allo steccato.
‘Come ti chiami? Io sono Jacob’, mi disse.
‘Sono Rebecka.’, risposi impacciata.
‘Fa caldo. Vuoi qualcosa da bere?’, propose, trafiggendomi con il suo sguardo dorato.
Ero completamente persa nei suoi occhi. Annuii senza distogliere lo sguardo.
‘Torno subito.’, e andò verso la porta per poi sparire  all’interno della sala.
Avevo le guance in fiamme. Mi chiesi cosa stavano facendo Emma e Sofia.
Ero ancora immersa nei miei pensieri quando lui tornò con in mano due bibite ghiacciate. Me ne porse una e si risedette accanto a me. Dopo un attimo di momentaneo imbarazzo, iniziammo a parlare e a discutere sulle nostre idee per il college. La serata fu molto piacevole, ma passò troppo in fretta.
‘Oh, cavolo!’, esclamai dopo aver guardato l’orologio.
‘Cosa succede?’, mi chiese incuriosito.
‘Sono le undici e mezzo!’
‘Si. E allora?’
‘Ho passato da un pezzo il coprifuoco. I miei mi ammazzano davvero, stavolta’
‘Prima di andare, dammi almeno il tuo numero di telefono.’
Ci scambiammo il numero del cellulare. Poi lo salutai, lo ringraziai per la bella serata e corsi dentro.
Cercai con lo sguardo dove erano Emma e Sofia. Stavano ancora sedute al tavolino dove le avevo lasciate prima. Le avvisai del mio enorme problema. Corremmo verso la macchina a perdifiato. Mi misi al volante, inserii la chiave e partii verso l’uscita del parcheggio. Da quando avevo salutato Jacob una domanda mi ronzava in testa: l’avrei rivisto? Speravo tanto di si, ma sicuramente mi avrebbe dimenticata nel giro di pochi giorni, ne ero sicura.
‘Ehi, Rebe.’, mi chiamò Sofia. ‘Se i tuoi ti buttano fuori di casa puoi sempre venire da me, lo sai vero?’
‘Si, certo.’, risposi con tono ironico. ‘Ma per adesso preferirei di no, grazie!’
Era una delle tante qualità di Sofia, ti faceva sorridere anche nei casi più disperati.
Finalmente arrivammo davanti casa. Accostai la macchina, salutai le ragazze e scesi  lasciando il posto di guida ad Emma che ripartì sgommando. Corsi fino alla porta d’ingresso, presi una boccata d’aria ed entrai nella villetta. In soggiorno, seduti sul divano, trovai i miei genitori. Con la faccia contratta per la rabbia, girarono in sincrono la testa per guardarmi.
‘Siediti, subito!’, ordinò mia mamma guardandomi negli occhi.
Impaurita per il suo stato d’animo, non riuscii a sostenere lo sguardo. Mi sedetti sul pouf posto davanti al divano. Mi guardai le mani.
‘Rebecka Weller,’ , sbraitò mio padre, furioso. ‘potresti dire a me e a tua madre dove sei stata fino a quest’ora e cosa di tanto importante ti ha fatto tardare il rientro a casa?’
‘Papà, calmati per piacere.’, tentai. Presto scoprii che peggiorai solo il suo umore.
‘Lo sai bene che per cinque minuti non ti diciamo mai niente, ma un’ora e mezza di ritardo mi sembra un po’ eccessivo. Non ti pare?’
‘Si, papà. Ma vedi, ero con Emma e Sofia e ho perso la nozione del tempo.’
‘Basta con le scuse. Non ti muoverai più di casa la sera e varcherai quella soglia’, indicò la porta principale, ‘soltanto per andare a scuola. E riguardo ad Emma e Sofia, anche loro hanno un coprifuoco che sicuramente rispettano.’
Le lacrime di rabbia iniziarono a rigarmi il viso. ‘Si, lo rispettano sempre. Ma loro hanno il coprifuoco a mezzanotte e non alle dieci. Smettila di trattarmi come una bambina, papà. Non so se te ne sei accorto ma ho diciott’anni e ho tutto il diritto di ritornare a casa più tardi.’
‘Finché rimarrai sotto questo tetto………’
Non gli feci completare la frase, ero livida. ‘Oh, non ti preoccupare, non ci rimarrò ancora per molto!’
Mi alzai e corsi in camera mia. Mi buttai sul letto con gli occhi pieni di lacrime.
Il giorno dopo mi svegliai alla tenue luce dell’alba. Mi accorsi della coperta che avevo addosso, mia madre era entrata di nuovo in camera mia quando io dormivo. La cosa mi faceva andar fuori di testa. Gettai a terra la coperta. Mi alzai dal letto e mi avvicinai alla finestra. Sospirai, era già domenica. Il sole mi toccava la pelle attraverso i vetri.
Mi stavo appena abituando al calore dei raggi sul mio corpo, quando il telefono squillò. Appena lessi di chi era il messaggio mi pietrificai. Allora si era ricordato di me, non mi aveva dimenticata. Lo lessi attentamente: ”Ciao, che bella giornata. Ti va se ci incontriamo tra un’ora al parco? Jacob.”
Sapevo che non c’era alcuna possibilità che i miei mi lasciassero uscire, anche se era domenica e fuori splendeva il sole. Ripensai a quando mio padre aveva detto che non avrei più varcato la soglia di casa. Aveva menzionato solo la porta principale, ne ero del tutto sicura. Presi il cellulare sapendo che quello che stavo per fare mi sarebbe costato più di un mese di punizione, ma che importava. “Mi farebbe molto piacere.”, scrissi. Feci un respiro profondo e inviai il messaggio.
Fortunatamente quando tornai in camera mia attraverso la finestra i miei non si erano accorti di nulla. Andò avanti così per ben due mesi, ogni domenica ci incontravamo al parco mentre durante la settimana ogni giorno dopo scuola mi riportava a casa in macchina.
Finché una domenica mi mandò un messaggio dove mi diceva che dovevamo parlare. Fui assalita dal panico. Sicuramente voleva rompere la nostra storia, si era stufato di me. Era troppo bello per essere vero. Risposi che poteva venire a casa mia, tanto i miei erano andati in centro a fare delle commissioni.
Un’ora dopo, in perfetto orario, bussò alla mia porta. Mi ero già preparata all’impatto mentale di quello che stava per dirmi. Volevo anticiparlo e togliergli il peso di dire che mi voleva piantare per un’altra. Ma appena lo fissai negli occhi fui sopraffatta dalla loro bellezza. Non mi stufavo mai di guardarli, di pensarli, erano troppo belli, troppo perfetti. Lo invitai ad entrare, ma rifiutò il mio invito.
‘Preferisco rimanere qui, se non ti dispiace. Ho una cosa molto importante da dirti.’
Leggevo la tristezza e la frustrazione nei suoi occhi. Non cercava affatto di nascondere i suoi sentimenti, anzi cercava sempre di dar sfogo a tutto. Riuscivi sempre a leggere nei suoi occhi i sentimenti che provava, era la cosa del suo carattere che più mi piaceva.
‘Vedi, sono venuto qui per dirti che mio padre ha avuto una promozione. Mi trasferisco a New York. Me ne vado.’
Quelle parole mi trafissero come un secchio di acqua gelida.
Riuscii soltanto a mormorare: ‘Ti prego, non mi dimenticare.’
Mi ero preparata a tutto, ma non a questo.
‘Non ti dimenticherò, te lo giuro.’
‘Ti amo.’, sussurrai appena, travolta dalla verità di quelle parole.
‘Anch’io.’
Premette le sue labbra calde sulle mie e mi strinse a sé. Quando mi lascio mi trafisse un’ultima volta con il suo sguardo dorato.
‘Non mi dimenticare nemmeno tu.’
Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi con tutta la forza che avevo. Lui ricambiò il mio abbraccio. Quando ci separammo, si girò e si diresse verso la sua bellissima Volvo argentata. Mi lanciò un ultimo sguardo.
Corsi in camera mia e mi buttai sul letto, il mascara che ormai mi inondava le guance, mescolato alle lacrime, e gocciolava sul copriletto. Ma ormai che importava.
Andai alla finestra e guardai la macchina che se ne andava per non tornare mai più.
‘Non ti dimenticherò Jacob, non ti dimenticherò.’
No, non potevo dimenticarlo, ma nemmeno perderlo così. Un’idea, una folle, pazza, stupida, dolce idea affiorò alla mia mente: dovevo fermare quella macchina!
Corsi di sotto, mi infilai il giubbotto e saltai in auto. Mentre uscivo dal vialetto, digitai il numero di Emma e mi portai il cellulare all’orecchio.
‘Pronto, Rebecka?’
‘Emma, ho bisogno urgente del tuo aiuto.’. Le spiegai la situazione mentre le lacrime ricominciarono a bruciarmi le guance. ‘Sta andando verso l’autostrada. Dobbiamo bloccarlo prima che riesca a raggiungerla altrimenti non riuscirò più a fermarlo. Ti prego, aiutami.’
‘D’accordo, ci vediamo al casello.’
Riattaccai appoggiando il cellulare sul cruscotto e con il cuore in gola premei il piede sull’acceleratore. Come se non bastasse, nuvole nere coprirono il cielo e grandi gocce d’acqua iniziarono a cadere.
Gli alberi s’innalzavano ai lati della strada donando a quella giornata un’atmosfera fin troppo lugubre. Ed eccolo finalmente: il casello autostradale. Rallentai accostando.
Scesi dall’auto mentre la pioggia mi bagnava capelli e vestiti e vidi Emma accanto alla sua macchina. Era già completamente fradicia, segno che stava li in piedi da un bel po’. Si girò appena mi sentì arrivare. In quel momento, nel suo sguardo, lessi tutto ciò che il mio cuore non avrebbe mai voluto sapere. Venne verso di me, rimasta come paralizzata sotto quello scrosciare incessante, e mi abbracciò. In quel gesto pieno di tristezza, ma anche di infinito affetto, mentre sentivo che ogni forza mi stava abbandonando, portò la bocca al mio orecchio pronunciando quelle parole che mai avrei voluto sentire: ‘Mi dispiace, non ci sono riuscita.’ 


Bonjour! Okay, premetto che l'ho scritto in terza media come compito estivo e si, Jacob ha gli stessi tratti di Edward Cullen (mi vergogno immensamente di dire che ero fissata con Twilight in quel periodo). Ma è la mia prima storia seria e ci sono particolarmente affezionata, anche se non è il massimo. Spero che la apprezzerete comunque! With love. c:
  
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