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Autore: Para_muse    10/03/2013    3 recensioni
Elisabeth è una ragazza che sogna e poi realizza quello che vuole: va in America, lavora sul set di un telefilm abbastanza famoso e fa la fotografa. Quello che più ama fare nella sua vita è racchiudere in un click più soggetti. I soggetti che l'attirano. Uno in particolare lo ammira...sia con i suoi occhi che con il suo obbiettivo...una storia d'amore, d'amicizia, e di insicurezza che Elisabeth riuscirà, forse, a liberarsene.
*storia per metà betata*
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '"The Second Chance" - Racchiusi in un...bookstory.'
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ECCOCI ALLA FINE. CI VEDIAMO DI SOTTO :D



Capitolo 29
 
Call ask “why” about love
 
Uscii dalla box doccia, avvolgendomi frettolosamente nell’accappatoio bianco, e stringendomi in vita la cintura morbida, scappai nella stanza da letto a vestirmi.
I passi silenziosi e bagnati di Jensen mi seguirono.
- Voglio saperlo – disse, stringendomi un polso, facendomi voltare.
- Perché? – domandò per l’ennesima volta.
Il mio mutismo non lo fece demordere. Era convintissimo nel farmi parlare.
- Non lo so. Non lo so, sul serio Jensen. Non ne ho idea… - sussurrai, cercando di sviare e di sciogliere delle sue dita, con la mano libera.
La prese, invece che allentarsi, si fece più ferrea e, corrugando la fronte lo fissai irritata. – Lasciami andare per favore, mi fai male… - sussurrai. 
A quelle parole, mi ubbidì come scottato, ma non si tirò indietro, non mi lasciò spazio per sfuggire. Mi rinchiuse tra le sue braccia appoggiate al muro.
- Parlami – sottolineò.
- Che cosa devo dirti? Sono incinta non ti basta? – esclamai con voce squillante e irritata. Le mie parole ferirono il suo scudo, e i suoi occhi si allargarono impercettibilmente sotto il mio sguardo, riempiendosi di rabbia e quasi follia.
- Certo che mi basta, ma non fa la differenza. Perché non me l’hai detto? Sono chi tu dici di amarmi, sono tuo marito. Io dovevo saperlo… - mi urlò contro, afferrandomi per le spalle, scuotendomi avanti e indietro.
Le sue parole mi perforarono la mente e il cuore. Capii solo adesso quando ci fosse rimasto male.
- Jensen io, io credevo che Aurora per te fosse abbastanza e… un altro bambino in arrivo…pensavo che per te fosse troppo – sottolineai la parola “abbastanza” e “troppo” e mi lasciò con una spinta facendomi sbattere contro il muro.
Si voltò, appoggiando una mano sul telaio del nostro letto. Abbassando lo sguardo, si portò la mano libera sul volto, come per togliere via tutti quei brutti pensieri.
- Da quanto tempo? – domandò, voltandosi con il viso nella mia direzione. Alzai lo sguardo e lo fissai con le lacrime agli occhi.
- Da circa… - tirai su con il naso, e passai la manica dell’accappatoio per togliere via le lacrime. – Da circa tre mesi, a breve avrò un’altra visita… - chiarii.
Sembrò andare su tutte le furie. Si voltò di colpo e mi fissò colpevole: - Sei già stata dal medico, senza dirmi nulla? – domandò isterico.
Non risposi, feci solo si con la testa.
- E non hai avuto un minimo di ripensamento? Solo il senso di colpa di aver fatto tutto da sola? – domandò avvicinandosi, mentre la sua mano si stringeva in un pugno.
Cercai di tirarmi indietro, come per cercare riparo. Le parole che avrei voluto dire, non sarebbe stato mai sufficienti, perciò decisi che un secco “no” seguito da un’alzata di spalle, sarebbe stato preso comunque come una risposta banale e gravosa alla situazione.
- Non può essere vero… hai nascosto… - si bloccò di colpo, fissandomi con occhi socchiusi.
Chissà cosa gli stava passando per la testa, ricordai solo il gemito di rabbia che gli uscii dalle labbra, prima che potesse sibilare quelle parole che mi ferirono il cuore e l’anima:
- Il bambino… è mio? -.
Come aveva potuto pensare una cosa del genere? L’emozioni mi assalirono così velocemente che non ci vidi più dalla tristezza e dalla rabbia. La mia mano fredda corse sulla sua guancia calda e barbosa. Lo schiaffo risuonò per tutta la casa silenziosa.
- Io. Non. Sono. Una. Sgualdrina – sillabai con poca voce, stringendomi l’accappatoio al petto.
- Io non pensavo che tu lo fossi, solo che… - un altro schiaffo partì a raffica, prendendolo in piena spalla.
- Esci. Fuori. Da. Casa. Mia! Adesso! – sottolineai, indicando la porta con un braccio.
Il suo sguardo si allargò appena, mentre la mano sinistra continuava a massaggiarsi la mascella.
- Io non vado da nessuna parte… - borbottò, voltandosi per darmi le spalle.
Mi strinsi ancora di più nel grande telone, e raggiungendo la cabina armadio, lasciai andare giù l’accappatoio, iniziando a vestirmi.
Infilai i primi vestiti che mi vennero ad occhio, e quando con una semplice asciugata di tovaglia, mi pettinai i capelli in una coda bassa, afferrai la borsa e mi diressi fuori in corridoio.
- Elisabeth dove stai andando? – domandò con rabbia inumana (inusuale da parte di Jensen), venendomi incontro.
Mi voltai appena in tempo per descrivergli la parola “mostro” nella frase: - Non abito con un mostro -  per avvicinarmi alla porta aperta dove Aurora era spuntata sonnolenta, mentre si stava strofinando un occhio.
- What’s up, mom? – domandò la ragazza, semi addormentata.
- Vestiti tesoro, andiamo dalla zia -.
- Che cosa? – disse, fissandomi con occhi semi chiusi.
- Don’t listen your mother, you’ll stay here. Go back to sleep! – ordinò perentorio la voce di mio marito, anzi di uno sconosciuto.
- Lascialo parlare, prepara una piccola borsa tesoro, cinque minuti e andiamo – ribadii, lasciando la porta aperta, dirigendomi verso la porta che dava al garage.
-  Elisabeth! – mi richiamò Jensen, seguendomi, afferrandomi per un braccio.
- Lasciami andare! Non toccarmi! – gli urlai, cercando di mettere pressione al suo braccio.
La sua grande mano mi afferrò l’altro braccio e con uno scossone mi fermò in una presa salda. Uno dei suoi bracci si strinsero così forte al braccio che non lo sentii più. 
L’unica cosa sensata che riuscii a fare fu smuovere le gambe, ma anche quelle furono placcate al muro.
- Mamma! Papà! – urlò isterica Aurora, piangendo poco dopo, così normale per una bambina delicata e sensibile come lei.
- Lasciami andare, lurido bastardo! – dissi tra i denti stretti, mentre il suo sguardo incomprensibile cercava di placarmi. 
Quando le mie parole arrivarono dritto al suo cervello, e le sue mani mi lasciarono libera un’altra volta, non aspettai neanche un secondo: gli sputai in viso con tutto il ribrezzo che potevo avere.
- Mi fai schifo – borbottai, respirando con qualche difficoltà. – Se pensi che sia una sgualdrina, perché non mettevi incinta qualcuno di competenza?! – domandai curiosa di sentire la sua risposta. Ma il suo silenzio mi permise di chiudere in bellezza.
- Magari una puttana preferirà te, invece che una gruccia, come avrei tanto voluto fare io a Cayo Largo! – gli urlai contro, facendogli capire quando tutto ebbe avuto inizio.
E avesse avuto fine con un mal rovescio che mi arrivò dritto in guancia, facendomi cadere a terra.
- Ah! Smettetela! Smettetela! –. Mani gentili mi strinsero in un abbraccio protettivo, mentre mani poco gentili cercarono di farmi alzare da terra.
- Non ti permetterò di umiliarmi in questo modo. Sono sempre tuo marito, stupida donna che non sei altro! Come puoi pensare una cosa del genere? – mi urlò contro, sballottandomi. Aurora si aggrappò al suo braccio cercando di tirarlo via.
- Smettila! Lasciala andare! Non farle male! Jensen! – strillò piangendo.
Jensen non si scostò minimamente; almeno fin quando non ebbi un conato di vomito, e iniziare a sudare freddo per un forte dolore alla pancia.
Era il bambino.
 
- Buon Natale! – qualcuno venne ad urlarci contro, nella stanza da letto in Texas, dove io e Jensen dormivamo abbracciati e nudi.
Mi risvegliai un poco scossa e mi fissai intorno.
- Mackenzie? – borbottai spaventata, fissandola alla porta, mentre evitava di far entrare quattro pesti di nome: Aurora, Thomas, Daneel, Anna.
Nostra figlia, nostro figlioccio e le nostre due nipoti.
Tutti insieme appassionatamente a romperci le scatole insieme alla zia della situazione, per invitarci a scendere e a dare via ai regali.
I bambini chiedevano solo quello.
Perciò li invitai ad uscire, stringendomi al calore corporeo di Jensen, convincendoli con la promessa che saremmo scesi tra cinque minuti.
Che si fecero, dieci e poi venti, tra baci e carezze così intime e liberatorie, che mi regalarono un bel risveglio di Natale con i fiocchi.
- Buon Natale amore – sussurrò Jensen, lasciandomi un bacio a fior di labbra, risvegliandomi completamente dall’assopimento post-coito. 
Aiutò ad alzarmi, e ci dirigemmo entrambi in bagno. Chi si lavava il viso, chi i denti, riuscimmo dopo venti minuti a uscire dalla stanza in perfetto ordine e pronti per inizio alla festa di Natale.
Quando scesi le scale mi ritrovai quasi tutta la famiglia al completo.
Padalecki. Ackles. Ackles. Perconti. De Santis. Ferraro. Insomma eravamo proprio tutti al completo. Più di 15 persone.
Wow.
- Forza, forza, forza! Apriamo i regali! – esclamai, sbattendo le mani contenta, avvicinandomi all’albero che da quasi un mese torreggiava nel soggiorno di casa. 
I bambini erano contenti di poter finalmente aprire i loro regali. O almeno chi ormai era grande. Come Aurora. E Thomas. Per il resto Daneel o Anna, le rispettiva figlia di mia cognata e di mia sorella, non è che capissero molto.
Soli dolci visi stupiti a quei strani orsacchiotti o giocattoli che sarebbero diventati i loro prossimi giocghi della settimana; che poi verranno dimenticati nell’angolino insieme all’altro mucchio.
I più grandi si avvicinarono a prendere i proprio regali per donarli a chi indirizzato. 
Io ne ricevetti un paio (avevo perso il conto) ma ricordai benissimo la tutina verde per il dolce bebè in arrivo, o il braccialetto che mia sorella mi aveva regalato sia a me che al bambino in arrivo, sempre coordinato.
Oppure da non dimenticare il portafoto tutto sbrilluccicoso da parte di mia figlia. 
Con una bellissima foto dentro, scattata a Cayo Largo. Insieme, felice, e spensierati. Una bellissima famiglia riunita in vacanza.
Oh, quante lacrime iniziai a versare? Erano gli ormoni che iniziarono a fare tutto. Ma io dicevo no con la testa. Perché io sapevo quando valesse quella foto per me, anzi per noi tutti. 
- Ti amo mamma! – disse Aurora, prendendo con entrambe le mani il viso per un bacio sulle labbra.
Come se fossi veramente la sua mamma. Bhè lo ero. Perché mi stavo facendo tutti quei complessi? 
Lei era la mia dolce figlia. Lei era un dono sceso dal cielo. Dal primo giorno quando la vidi. Lì da sola, sulla spiaggia.
- Ti amo anch’io piccolina! – dissi, lasciandole una dolce carezza sul viso.
- Più di me? – domandò Jensen, spuntando da dietro le mie spalle, facendomi quasi spaventare. Mi voltai di colpo, e alzandomi dallo sgabello dove mi ero seduta, mi strinsi a lui in un abbraccio quasi di gruppo, con Aurora in mezzo.
- Il mio amore è uguale per entrambi. Siete importanti per me, mi avete cambiato la vita… - sussurrai, fissando prima uno e poi l’altra, sorridendo e piangendo allo stesso momento.
Non riuscii a fermarmi così subito. Mi era servita tutta la riserva di Klenex che c’era casa per tamponare tutto quel bagnato.
 
- Sono felice di vedervi di nuovo insieme signori Ackles. Finalmente ultimo mese eh? Pronti per il bambino o bambina? – eccitata la dottoressa, mi fece sedere direttamente sulla lettiga, facendomi alzare la maglia.
Il mio pancione comparì liscio e molto grande. Quasi mi stupii vederlo dopo quello che era successo qualche mese addietro. Lo spavento di poter perdere quell’essere dentro di me… aveva colpito entrambi. 
E quello che era successo al terzo mese di gravidanza, non sarebbe successo un’altra volta mai più.
Jensen non sapeva ancora come scusarsi. 
Bhè nemmeno io.
Fissai la pelle nuda appena un secondo, non amavo vedermi scoperta. Solo Jensen amava accarezzare la carne calda e liscia. Al solo pensiero della sua guancia appositamente rasata sulla mia pancia, per avere un contatto, era così bello che iniziai a piangere come una stupida.
- Cosa c’è? Stai male? Perché stai piangendo? – domandò di getto Jensen, stringendomi le mani nelle sue in una morsa protettiva.
- Elisabeth? Cosa succede? – domandò la dottoressa, tornando con un tono professionale.
Scossi la testa, e tirai su con il naso, cercando di togliere via le lacrime calde sulle guance arrossate.
- E’ tutto okay, solo ormoni! – borbottai, ridendo poco dopo da sola. Jensen quasi bianco invece, era spaventato e stava sudando freddo.
- Mi fai prendere un colpo ogni volta… - borbottò, stringendomi in un abbraccio, per come poteva.
La dottoressa, ritornando più tranquilla, afferrò il gel e spruzzando una generosa quantità sulla pancia, iniziò con la sonda esterna a passarla sulla pelle e a premerla in certi punti, facendo spuntare qualcosa sullo schermo nero.
- Mio Dio, che bello! – e piansi di nuovo come non avevo fatto mai, quando vidi quel bambino con un dito in bocca, e una mano sulla testolina come per ripararsi dai rumori o dalla luce.
- L’altra volta non si era fatto vedere vero? – domandò la dottoressa, voltandosi a fissarci entrambi. Un po’ sotto shock, rispose Jensen dicendo un “no” appena balbettato.
- Si è vero, il sesso non si sa ancora… - sussurrai, sperando che questa volta si riesca a capire un po’.
- Bhè posso dirvi che è un bel maschietto. Guardate qui – e la dottoressa indicandoci “qualcosa” capimmo che se quello non apparteneva ad un maschio, allora bhè…sarebbe stata una femminuccia con qualcosa da uomo.
Jensen quasi esultò saltando sul posto, mentre io mezza contenta e mezza no (in verità avrei preferito una femminuccia, ma andava bene lo stesso) mi voltai verso di Jensen per regalargli un bel sorriso di congratulazioni. Il suo pistolino aveva funzionato.
- Te l’avevo detto io che sarebbe stato un maschio Ackles! – esclamò, prendendomi il viso per un lungo bacio, che mi mise in imbarazzo, accaldandomi di colpo.
- L’aveva detto anche mia madre… - borbottai, voltandomi di nuovo verso la dottoressa, imbarazzata.
- Tranquilli, qui abbiamo finito, vi lascio un attimo da soli… - sussurrò, porgendomi un po’ di carta per pulirmi via il gel. Poco dopom quando Jensen mi aiutò scendere dalla lettiga con qualche difficolta, mi prese tra le braccia (per quando la pancia permettesse) e con un lungo bacio mi disse più di mille volte quanto mi amasse, e più di milioni di grazie per averlo perdonato.
Si, almeno ci eravamo perdonati.
Non avevo parole alla sua dolcezza e gratitudine di sempre.
- Ti amo anch’io, Jensen Ross Ackles. Ti amo da morire – sussurrai anch’io, stringendolo a me.
 
- Ti odio Jensen! Fatti più in la! – gli urlai quasi contro, voltandomi di schiena per cercare di riposare meglio.
Jensen saltò per aria, e guardandomi con occhi semi chiusi preoccupato, fissò la mia pancia nuda e scoperta.
- Cosa succede? – sussurrò assonnato. Gli lanciai uno sguardo d’odio e gli indicai il letto.
- Guarda! Guarda! Non mi lasci spazio! Io non riesco a dormire…sono incinta Jensen! Ho bisogno di spazio e del tuo… - afferrai il suo cuscino  e me lo infilai sotto il collo. Il suo odore sembrò rilassarmi un po’. - …grazie! – borbottai, chiudendo gli occhi e rilassandomi un poco.
- E’ il mio cuscino! Così dove dormo adesso? – esclamò frustrato, incollandosi alla mia testa per riposare anche lui.
- Togliti Jensen, non riesco a dormire, sul serio! Il bambino sta facendo le capriole e sto cercando di… - non mi fece finire di parlare, perché labbra umide, mi fecero il solletico. 
- Smettila, così lo svegli di più! – risi divertita, cercando di allontanare un Jensen-papà tutto preso dalle coccole.
- Alan, piccolo Alan, la mamma vuole dormire, lasciala stare… - sussurrò, accarezzando il dorso più in alto, con dita leggere, facendomi venire la pelle d’oca.
- Jensen – sussurrai appena, accarezzandogli i capelli in una dolce carezza.
- Alan la mamma ti vuole bene ma tu… -; il mio urletto lo fece fermare.
- Cosa c’è? – domandò preoccupato.
- Dammi la mano, guarda qui l’ennesima benevolenza di tuo figlio! Sta scalciando in questo punto… - sussurrai, afferrandogli una mano per appoggiarla poco più sotto sul seno destro, dove spuntava una forma quasi indistinta di piedino umano.
- Oh, sarebbe perfetto se…se… - quasi ruzzolò a terra, per scendere di corsa dal letto, impigliandosi con il lenzuolo.
- Dove vai? – domandai stupita, alzandomi sui gomiti.
- Prendo la macchina fotografica! – esclamò, andando in soggiorno, cercando di fare piano. Quando tornò, sorridente, impugnò immediatamente la macchina fotografica con flash e… click.
Click. Click. Click.
- Non bastano già? – sussurrai, allungando una mano perché mi passasse la macchina, facendomi vedere le foto.
Tornando a letto, iniziammo a vedere alcune foto anche passate. Anche vecchissime.
Notai anche foto molto vecchie. Tipo Jensen sul set.
- Queste foto sono vecchissime… - sussurrò lui appunto.
- E antiquate oserei dire… - , notando quando fossi un poco spratica a quei tempi.
- Già, ma ora sei fantastica…soprattutto adesso che sei incinta. Hai molta fantasia… - sussurrò, lasciando che la macchina fotografica cadesse sul comodino con un tonfo, mentre le sue labbra percorrevano lungo la mia spalla, sul mio collo e sul mio viso e sul…
- Jensen… - sussurrai in mancanza d’aria.
- Mmh? –.
- Fermati – borbottai, allungando una mano sulla sua spalla, mentre l’altra quasi impaurita si allungava tra le mie cosce.
- No… - sussurrò, lasciando che le sue labbra restassero sulla mia pelle, mentre le mie dita toccavano qualcosa di bagnato e appiccicoso. 
Non era semplice pipì.
Il mio urletto si tramutò in un singhiozzò fermo in gola, cercando di non fare l’isterica, dissi all’orecchio di Jensen cosa era successo.
- Mi si sono rotte le acque Jensen… - .
- CHE COSA? – urlò, tirandosi indietro per saltare in aria.
 
- Ti strozzerei con queste mani, se non le stringessi a pugni per il dolore! Son of the bicth! – gli sputai contro, con gli occhi fuori dalle orbite per il dolore alla schiena e nei bassi fondi.
- Scusami, scusami, scusami! – borbottava Jensen, saltando su un piede e su un altro, come per cercare di fare qualcosa.
- TI ODIOOO! – strillai, cercando quasi a morsi di raggiungerlo, mentre la dottoressa cercava di farmi calmare, e Jessica, continuava a mugolare per il dolore alla mano.
- Non dirmi questo! Lo sai che è il contrario! – borbottò Jensen, avvicinandosi un poco. Sbraitai come un leone e lo allontanai con una mossa.
- Elisabeth! – quasi strillò preoccupato della mia reazione.
- Signor Ackles, per favore non la provochi, la farà stare peggio, e sentirà di più il dolore! – esclamò quasi irritata la dottoressa, a mio marito che restò a dir poco di stucco.
- Ma ce l’avete con me?! – domandò corrugando la fronte, mentre cercava di richiamare rinforzi ovvero Jared che se ne stava fuori con i bambini.
- Non ti azzardare a chiamare nessuno! Devi vedertela con me! – sottolineai, stringendo gli occhi a fessura, mentre le contrazioni si facevano sempre più lunghe e dolorose.
Gemetti di dolore, piegandomi quasi a libro per attenuarlo.
- JENSEN! – strillai piangendo.
- Sono qui amore mio, sono qui! – disse, quasi speranzoso, avvicinandosi, stringendomi le mani al posto di Jessica.
- Jensen devo dirti una cosa… - sussurrai, appoggiandomi di nuovo sul cuscino per cercare di rilassarmi un poco prima della prossima contrazione.
- Cosa? Cosa amore mio? – disse, portandomi indietro i capelli umidi.
- Azzardati a infilarmi quel coso di nuovo tra le cosce e ti picchierò ogni qual volta che ti avvicinerai a me! – sussurrai, afferrandogli il mento per un bacio quasi contradditorio.
- Okay, non lo farò più! Elisabeth? – sussurrò con un sorriso divertito.
- Cosa? – domandai, respirando a pieni polmoni.
- Ti amo -.
- Perché? – domandai di getto, riaprendo gli occhi che avevo stretto a fessura per una contrazione in arrivo.
- Sai che si chiede perché in amore… – sussurrò dolcemente, guardandomi dritto negli occhi per lasciarmi un lungo bacio, mentre i primi impulsi di una spinta mi fecero staccare le labbra dalle sue per un urlo lancinante e pieno di dolore.
Fu solo pochi attimi dopo. Alle 00.00 in punto, sentii il vagito del mio dolce Alan. 
Alan Michael Ackles.
- Dov’è? – domandai, cercando in mezzo a tutte quelle persone. 
- E’ qui, eccolo il mio secondo genito! – esclamò Jensen, tenendo tra le braccia qualcosa di bagnato e strillante.
Click. Click. Click.
- Cosa? Dove? – abbagliata dai flash, stanca e sfinita… chiusi gli occhi e lascia che l’incoscienza mi avvolgesse.
- Elisabeth? Alan, ti sta cercando… - sussurrò una voce dolce, mi risvegliai un poco curiosa, piena di adrenalina.
- Dove? Mmh? – aprii gli occhi e ritrovai la stanza vuota, a parte un bambino con occhi azzurri chiarissimi, e capelli biondo castani che fissava qualcosa in un punto indefinito.
- Come stai? – domandò Jensen, dondolando il piccolino avanti e indietro nella tutina bianca con su scritto: - “Sono figlio di un cacciatore”? – lessi, ridendo come una strafatta.
- Si, non è adorabile il mio piccolo demone? – domandò, abbassando il viso per fissare il figlio che rise, quando gli tocco il nasino con un dito.
- Jensen? Sul serio… un demone? – domandai ridendo, allungando un braccio verso di lui, per farmi dare il mio piccolo “demone”.
Jensen me lo porse piano e cautamente. Quando lo tenni tra le braccia, la prima cosa che feci fu allungare una un dito tra le sue piccole e strette ad un pugno, che si allungarono  per stringersi forte intorno all’indice.
- Guardalo, com’è tranquillo con te… - sussurrò, toccandogli la pancia come a fargli il solletico.
Il bambino si disturbò appena, poi si voltò verso il petto aprendo la bocca per cercare qualcosa.
- Oh, la dottoressa aveva detto che prima o poi l’avrebbe fatto… praticamente vuole il tuo latte, ti ricordi quando… - lasciò il discorso in completo, quando con mosse quasi meccaniche, e un poco imbarazzante, lasciai che il seno si scoprisse quasi da solo, mentre il bambino come attratto con la calamità, si attaccò al mio seno, ciucciando forsennatamente.
- Ammazza! – esclamò Jensen ridendo divertito.
- Avete bisogno di sale? – spuntò Padalecki dal nulla, agitando qualcosa di rosso e lungo: sale in pacco.
- Ma no! Ahahah! – Jensen si piegò dalle risate, mentre io cercavo di concentrarmi e non sputacchiare per le risate su Alan, che stava iniziando ad agitarsi.
Così ebbe iniziò la mia vita di mamma. Tra risate, sale, due cacciatori (quasi fratelli) e un bambino forse demone, ebbe inizio la mia vita.
- Allora preferite dell’acqua santa? – domandò Jared, uscendo dalla giacca una fialetta grigio con una croce sopra.
- Allora come va? – spuntò dietro le spalle di suo marito, Jessica.
- Non so, tuo marito sembra un tantino ubriaco…cosa gli hai dato a bere? – domandai, ridendo a scatti, cercando di trattenermi.
- Jared che combini? – domandò sua moglie, fissandola contrariata.
- Io niente, solo… - mostrò gli oggetti a sua moglie, e si beccò in pieno uno scappellotto sulla nuca.
- Ahi, ma che cosa ho fatto? – 
- Mammaaa! Aliuto! Aliuto! – urlò la voce di Thomas, correndo a nascondersi dietro la gamba della madre, urlando, facendo spaventare Alan, che saltò in aria tra le mie braccia, iniziando a singhiozzare e a piangere, strillando e diventando rosso.
- Cosa succede? – domandò Jensen quasi arrabbiato.
- Thooomas! – qualcuno fece il verso di un mostro, entrando con una maschera di plastica a forma di mostro. Aurora. E chi sennò?
- Aaaah! Aliuto! Mamma! Papà! Demone! -.
- Thomas smettila, è Aurora! –.
- Aurora, togliti quella cosa di dosso! Quante volte te lo devo dire, tesoro? – la sgridò Jensen avvicinandosi a lei.
- Thomas, sii un cacciatore! Tieni il sale, forza! – incitò Jared suo figlio, lasciandogli tra le mani un mucchietto di sale, che Thomas non esitò a lanciare addosso ad Aurora che isterica, iniziò ad urlare a Jared.
- Ma perché? No! – strillò, spingendo l’omone che se la rideva, parandosi dalle mani minacciose di una bambina di otto anni e di sua moglie che molto più bassa di lui, si stava lasciando andare a pugni.
Abbassai lo sguardo verso il bambino che cercava ancora attenzione. Lo afferrai stringendolo a me per lungo e all’orecchio gli sussurrai una ninna nanna, cercando di calmare l’agitazione del bebè.
- Alan mi dispiace che tu sia nato in questa famiglia di pazzi…ma, c’è la mammina che ti protegge! -.
A prova di affermazione, senti quasi un’esclamazione di condivisione. Brontolii di contentezza mi fecero quasi sorridere da sola, attirando l’attenzione di tutti, che poi stupiti si fermarono a fissarsi tra di loro (chi pieno di sale  chi no), scoppiando in una risa generale, dove partecipò anche il piccolo Alan Micheal Ackles scatenando la dolcezza di tutti.
- Altro che demone, è un angelo! – disse Jessica, avvicinandosi al letto, per prenderlo tra le braccia.
- A proposito… - iniziai, guardandomi intorno. – Dov’è Misha? – domandai con un sorriso divertente sul viso.
La smorfia di Jared mi fece capire che stava lanciando uno delle sue battute idiote.
- L’ha convocato Dio per qualcosa di vitale importanza, cinque minuti e arriva… -.
Si come no. – Ahahahah! - . 
Non saremmo mai e poi mai diventati seri. Mai.
 
 
*spazio autrice*
 
Allora spero vi sia piaciuto questo capitolo…Siamo alla fine e non mi resta che ringraziare chi di dovere: 
Inizio con ringraziare tutti colore che hanno messo nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate la storia. Ringrazio chi mi ha dato un po’ di fantasia in più, tipo più di mille autori serii e mia madre che è fantasiosa come me, ma in cucina xD 
Ringrazio chi ha letto in silenzio e chi ha letto recensendo. Come la starfragola, Ofelia20, viktoria, Nerea_V.
GRAZIE RAGAZZE, SENZA DI VOI, QUESTA STORIA AVREBBE PRESO UNA PIEGA DIVERSA, VE L’ASSICURO.
E niente, ringrazio a Kripke per avermi fatto conoscere Supernatural e degli attori come Jensen Ackles e Jared Padalecki.
GRAZIE A QUESTO FANDOM per la possibilità di postare una storia così… :)
GRAZIE A TUTTI INSOMMA!
E alla prossima storia, che prometto prima o poi di postare il secondo capitolo :3
 
Un grosso bacio, un abbraccio e ancora grazie.
 
Para_muse
 
 
 
 
   
 
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