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Autore: Shinkutsuki    10/03/2013    1 recensioni
Tutto ciò che l’uomo riesce a metabolizzare, in un attimo fugace prima di cadere nella confusione assoluta, è che Alina certe volte è insopportabile proprio perché le sue parole nascondono verità che prima o poi chiunque si trova sbattute in faccia.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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..: The Last Cage :..




Sobbalzando per l’ennesima volta nel corso di quella dannata notte, Louie sbuffa aprendo un occhio e fissando il soffitto crepato della stanza in cui si trova.
Muro che cade a pezzi.
Stanza minuscola di un monolocale sin troppo caro per il suo reale valore.
E come se non bastasse c’è il dannato treno della metropolitana che passa di continuo appena lì sotto, facendo tremare l’intera casa come se ci fosse un terremoto.

« Posto di merda e vita del cazzo. »
Soffia contrariato lui, tirandosi a sedere tra tutti quei cuscini e cercando tentoni, sul comodino lì affianco, il pacchetto di sigarette e l’accendino. Tutte le raccomandazioni della proprietaria gli ronzano in testa: non accendere sigarette in casa mia, potrebbe andare tutto a fuoco, il fumo fa male, di sotto abita mia figlia con i bambini, eccetera eccetera.
Osservando l’ondeggiare frenetico dello sgangherato lampadario fissato per miracolo al centro del soffitto, per un attimo solo Louie si trova a riflettere su come sarebbe bello estinguersi in una fiammata.

L’istante dopo sbuffa liquidando la questione con una scrollata di spalle, e si alza – inutile restare ancora a letto, con tutto quel baccano non riuscirebbe a prendere sonno. Muovendosi tentoni per l’appartamento buio prende almeno due spigoli prima di imboccare l’ingresso della cucina, da cui arriva un sospetto plic. Ripetuto. Gli basta accendere la luce per rendersi conto che il rubinetto del lavandino perde allegramente, ed in maniera copiosa anche.

« … »
stringendo la sigaretta appena accesa tra le labbra l’uomo ingoia il verso esasperato di un’imprecazione e getta un’occhiata all’orologio da muro fissato con un chiodo alla parete accanto all’ingresso. Sei e quarantacinque del mattino.
Troppo presto tanto per chiamare un idraulico – da pagare poi con quali soldi? – quanto per uscire a comprare pezzi di ricambio ed arrangiarsi – stesso discorso.
Potrebbe cercarsi un altro posto in cui stare, in effetti, che cada meno a pezzi. In una zona migliore dove, magari, trovare anche un lavoro. Non sarebbe male, dopotutto. Guardando fuori dalla finestra, nel grigiore inquinato della città, percepisce di nuovo quell’irrequietezza che morde la sedentarietà e preme per spingerlo a muoversi.


 

‹ Il problema non è mai stato dove andare. Sono scappato da tanti posti per trovare rifugio in mille altri posti ancora. Il mio problema è sempre e solo stato uno: dove rimanere. ›



Neanche alla Corte è riuscito a restare troppo a lungo; ne fa parte, certo, ne farà parte finché avrà vita ed ogni richiamo del Re sarà per lui legge, ma non è riuscito a restare a viverci per più di sette, otto mesi. Poi ha avuto bisogno di cambiare aria.
Alina una volta gli ha detto che non troverà mai pace finché rimarrà da solo, fin quando non incrocerà parte di se stesso negli occhi di qualcun altro: allora, sì, si sentirà a casa in qualunque luogo. Balle, le ha risposto lui. Non ha mai creduto in queste cose, mai, non ha mai cercato la compagnia duratura di qualcuno ed ha sempre evitato largamente relazioni complesse. Ha conoscenze, non amicizie. Fa sesso, mai l’amore. Conosce prostitute, non giovani cenerentole innamorate di un’idea e di un sogno.
Lui i sogni li ha persi per strada da un pezzo, e non ne sente la mancanza.


‹ La solitudine è indipendenza: l’avevo desiderata e me l’ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì,
ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri. ›



A riscuoterlo dai propri pensieri arriva il suono stonato e nervoso del campanello di casa, più simile ad un urlo che ad altro. Scrollando il capo e battendo le palpebre il biondo getta un’altra occhiata all’orologio, perplesso. Sono passati meno di cinque minuti da quand’è entrato in cucina; chi diavolo può essere a quest’ora? Storcendo le labbra accarezza brevemente l’idea di non aprire neanche, ma potrebbe anche trattarsi della padrona di casa – quell’assurda donna pare avere la capacità innata di fiutare l’odore della nicotina anche a quattro piani di distanza. Spegne la sigaretta, dunque, prima di andare ad aprire. Non è certo in condizioni di accogliere ospiti, in boxer e scarmigliato com’è, ma se ne frega alla grande: fino a propria contraria quella è ancora casa sua. E son pur sempre le sei e qualcosa del mattino.

Il viso che si trova ad inquadrare, però, non è affatto quello rugoso della signora Anne. Gli occhi scuri e truccati che restituiscono la sua occhiata perplessa sono duri come una pietra e spiccano nel centro di un viso da bambola, attorniato da ciocche biondo-rossicce.
Anche il resto del corpo è quello di una bambola, ma non si concede di guardarlo: lo conosce sin troppo bene, come ricorda gli abiti succinti che la donna è solita indossare; da prostituta, appunto.

« Cherry. »
Mormora, tra l’annoiato ed il perplesso. Anni che non la vede, ma non è cambiata di una virgola. « Ti sei data alle visite a domicilio, adesso? »
« Non sono per i pezzenti, quelle, dolcezza. »
Con un sorrisetto affilato sulle labbra l’uomo frena una risposta facile solo perché, accanto alla donna, nota un’altra sagoma. Piccola, e che gli fa inarcare le sopracciglia. Deve abbassare di molto lo sguardo per incrociare gli occhi sgranati di un bambino. Biondo come lui, con le stesse iridi d’argento liquido ed un’espressione sgomenta che gli sembra irrimediabilmente lo specchio della sua.


Qualche volta lungo la strada si ha la fortuna di incontrare se stessi negli occhi di qualcun altro.



Cherry parla, dice qualcosa, ed incita il bambino ad entrare in casa. Ma lui non l’ascolta. Nessuno dei due l’ascolta più. Tutto ciò che l’uomo riesce a metabolizzare, in un attimo fugace prima di cadere nella confusione assoluta, è che Alina certe volte è insopportabile proprio perché le sue parole nascondono verità che prima o poi chiunque si trova sbattute in faccia. Ma neanche lui ancora sa quanto grande sia, questa realtà.










Note
E’ un po’ “strana”, questa, I know, ma mi sentivo di scriverla tanto per spezzare un po’ con If… che poi, in realtà, non è che spezzi sul serio: c’è legata. Narra di eventi avvenuti precedentemente alla long che sto scrivendo, circa dodici-tredici anni prima :P e trattano di Louie, s’è capito, ed un piccolo passerotto ( otto il passerotto? ) che in If è ben più grande, ed è mio. Louie ed Alina, appena menzionata, non sono miei OC – appartengono a Chandrajak. Così come la Corte di cui si accenna.
Cherry non la vuole nessuno, invece.

Btw, le citazioni vengono/sono, in ordine, da/di “Le comete sono come i miei aquiloni”, Hermann Hesse e Rossella Porro.

  
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